Coi piedi per terra. 372



 

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 372 del 2 ottobre 2010

 

In questo numero:

1. Si e' svolto il 30 settembre un incontro a Viterbo contro il crimine e la follia nucleare

2. Pasquale Pugliese: Questo 2 ottobre

3. Ignazio Marino: Nel rispetto di se' e dell'altro

4. Leoluca Orlando: Rispetto di identita' e diversita'

5. Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Livio Miccoli

6. Vandana Shiva: L'introduzione de "Il bene comune della Terra"

7. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo

 

1. INIZIATIVE. SI E' SVOLTO IL 30 SETTEMBRE UN INCONTRO A VITERBO CONTRO IL CRIMINE E LA FOLLIA NUCLEARE

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Nella sera di giovedi' 30 settembre 2010 a Viterbo, presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul", si e' svolto un incontro conviviale e di riflessione contro il crimine e la follia nucleare.

L'iniziativa e' stata promossa dall'associazione "Respirare" e dal centro sociale "Valle Faul", in occasione del passaggio a Viterbo della "carovana antinucleare" che in questi giorni sta attraversando l'Italia.

L'incontro e' stato aperto da Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo e figura storica delle lotte ambientaliste, antimilitariste e antimafia nell'Alto Lazio, che ha ricostruito le lotte antinucleari degli anni Settanta e Ottanta con particolar riferimento alla vicenda di Montalto di Castro, ed ha riassunto i motivi fondamentali dell'opposizione al nucleare.

E' intervenuta Marzia Marzoli, del movimento "No coke" dell'Alto Lazio, che ha esposto ulteriori esperienze e riflessioni.

Alfonso Navarra, animatore della "carovana antinucleare" che sta percorrendo l'Italia in queste settimane, e di molte altre iniziative ecopacifiste e nonviolente, ha illustrato il senso dell'iniziativa e la necessita' di un'ampia mobilitazione.

Sono poi intervenute varie altre persone presenti che hanno portato testimonianze, avanzato proposte, formulato quesiti ed argomenti di riflessione ulteriore.

L'incontro e' stato vivamente partecipato.

Un commosso ricordo e' stato dedicato ad Alfio Pannega (Viterbo, 1925-2010), figura simbolo della Viterbo popolare ed antifascista, poeta e militante per la dignita' umana, protagonista fin dal primo giorno dell'esperienza del centro sociale "Valle Faul", deceduto il 30 aprile scorso, che ha lasciato una profonda impronta ed un incancellabile ricordo non solo nelle persone che vivono e frequentano il centro sociale ma in tutta la Viterbo popolare, artigiana, operaia e contadina, in tutte le persone di volonta' buona e di retto sentire che ebbero la fortuna grande di conoscerlo ed apprezzarlo.

*

Nota per la stampa a cura dell'associazione "Respirare"

Viterbo, primo ottobre 2010

L'associazione "Respirare" e' stata promossa a Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.

 

2. EDITORIALE. PASQUALE PUGLIESE: QUESTO 2 OTTORE

 

[Ringraziamo Pasquale Pugliese (per contatti: puglipas at interfree.it) per questo intervento.

 

Per un profilo di Pasquale Pugliese dall'ampia intervista recentemente apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 267 riprendiamo la seguente notizia biografica: "Sono nato nel 1968 a Tropea, sul Tirreno calabrese, ho studiato filosofia e svolto il servizio civile al di la' dello stretto, Messina. Migrante in direzione Nord, come molti calabresi della diaspora, sono infine approdato a Reggio Emilia. Dove ho fatto per diversi anni l'educatore in un progetto del Comune chiamato Gruppi Educativi Territoriali. Ne sono poi diventato coordinatore, supervisore ed oggi mi occupo di progettazione educativa. Contemporaneamente, fin dai tempi dell'universita', ho mantenuto un costante dialogo con il Movimento Nonviolento grazie al quale sono maturate molte di quelle convinzioni che ho appena espresso. Da un po' di tempo, accompagno la vita del movimento cercando di dare un contributo al suo coordinamento nazionale ed alla rivista "Azione nonviolenta", sulla quale seguo, per lo piu', le tematiche educative. A Reggio Emilia, dopo aver partecipato negli anni, a molte "reti", "coordinamenti" e "campagne", negli ultimi tempi mi dedico alla Scuola di Pace, sia sul piano dell'organizzazione che della formazione (www.comune.re.it/scuoladipace). Da poco tempo sto provando anche a muovere i primi passi sul web, dove ho un "profilo" su facebook, nel quale sono attivi diversi contatti con amici della nonviolenza di tutt'Italia, e dove cerco di seguire un rudimentale blog nel quale, man mano, inserisco articoli e interventi e dove finira' anche questa intervista. (www.pasqualepugliese.blogspot.com). Tuttavia, tra tutte le attivita', quella principale, che richiede le mie migliori energie e mi da' le maggiori soddisfazioni, e' quella di papa' di due splendide bambine: Annachiara e Martina"]

 

 

 

Perche' la Giornata internazionale della nonviolenza, fissata dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite per il 2 ottobre - anniversario della nascita di Gandhi - non riesce ad assumere quel riconoscimento pubblico, dalle istituzioni e dai mezzi di informazione, che hanno invece assunto fin dalla loro proclamazione altre giornate analoghe? Perche', almeno in Italia, rimane una "celebrazione" semiclandestina, a cura esclusivamente di coloro che fanno specificamente  riferimento alla noviolenza come ideale?

 

Si potrebbero dare molte risposte ma penso che una, fra tutte, stia a fondamento delle altre: "La nonviolenza e' stata sospinta ai margini perche' rappresenta una delle poche idee realmente rivoluzionarie, un concetto che cerca di cambiare completamente la natura della societa'. Una minaccia all'ordine costituito. Per queste ragioni la nonviolenza e' stata trattata come qualcosa di profondamente pericoloso". Spiega cosi' il giornalista statunitense Mark Kurlansky nel suo libro di qualche anno fa "Un'idea pericolosa. Storia della nonviolenza" (Mondadori 2007), e mi sembra che in fondo in Italia le cose stiano proprio cosi'.

 

Senonche' il deficit di nonviolenza in una societa' e' direttamente proporzionale al suo tasso di violenza. E infatti in Italia la violenza, in tutte le sue forme, dilaga.

 

Violenza e' quella che spara e uccide, che domina - e governa - molte zone del nostro paese sotto il giogo delle mafie: l'omicidio del sindaco-pescatore Angelo Vassallo ne e' solo una delle ultime tragiche conferme.

 

Violenza e' quella delle enormi e crescenti diseguaglianze sociali ed economiche, delle morti sul lavoro e dei suicidi di coloro che il lavoro lo hanno perso.

 

Violenza e' il razzismo montante, le sue leggi razziali, i suoi campi di detenzione illegale, la scia di morti nel Mediterraneo, la schiavitu' nei campi di pomodoro.

 

Violenza sono i suicidi in carcere, di cui nessuno da' notizia, ma che stanno diventando una strage.

 

Violenza e disprezzo della Costituzione sono le azioni di guerra camuffate da "missioni di pace".

 

Violenza e' il taglio delle spese per la cultura, la scuola e l'educazione che alimenta e rafforza la "dittatura dell'ignoranza".

 

Violenza e' lo spregio quodiniano delle istituzioni democratiche anche da parte di chi ne e' rappresentante e ne dovrebbe essere custode.

 

E l'elenco potrebbe drammaticamente continuare.

 

Ma come se tutto cio' non bastasse, la violenza assume oggi anche un carattere formativo ed educativo secondo quanto previsto dai percorsi di "educazione alla guerra", benedetti congiuntamente dal Ministro dell'Istruzione e da quello della Difesa in via sperimentale per la Regione Lombardia, nei quali - mentre si tagliano i soldi per le attivita' ordinarie - soldati di ritorno dalle missioni di guerra insegneranno ai ragazzi delle scuole secondarie ad usare le armi e sparare!

 

Il deficit di nonviolenza porta alla banalizzazione della violenza, "la violenza e la sua arbitrarieta'" non solo "sono date per scontate", come ha scritto Hannah Arendt, nel suo saggio "On violence", ma anzi sono oggi colpevolmente alimentate.

 

Dunque il 2 ottobre giunge a ricordarci quanto sia importante rilanciare nel nostro paese, qui ed ora, un forte impegno nonviolento.

 

E' cio' che proveremo a fare anche attraverso il prossimo Congresso del Movimento Nonviolento, a Brescia dal 29 ottobre al primo novembre. E quanto, ancor di piu', andra' fatto in vista di un altro importante doppio appuntamento - prima del prossimo 2 ottobre - il 24 settembre del 2011, cinquantesimo anniversario sia della prima Marcia della pace, sia della nascita del Movimento Nonviolento. Entrambe creature di Aldo Capitini. Il quale, nel 1936  scriveva: "il mondo ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza un'apertura infinita dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo e' il varco attuale della storia".

 

Era pieno fascismo ma sembra parli dell'oggi.

 

 

 

3. OGGI. IGNAZIO MARINO: NEL RISPETTO DI SE' E DELL'ALTRO

[Ringraziamo Ignazio Marino (per contatti: marino_i at posta.senato.it) per questo intervento.

Ignazio R. Marino, nato a Genova nel 1955, risiede a Philadelphia, chirurgo, e' a capo della divisione trapianti e chirurgia del fegato della "T. Jefferson" di Philadelphia; senatore della Repubblica, e' presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Sistema sanitario nazionale. Tra le opere di Ignazio Marino: Credere e curare, Einaudi, Torino 2005; Idee per diventare chirurgo dei trapianti. Una corsa tra la vita e la morte, Zanichelli, Bologna 2008; Nelle tue mani. Medicina, fede, etica e diritti, Einaudi, Torino 2009]

 

La vera scelta non e' tra nonviolenza e violenza, ma tra nonviolenza e non esistenza. Se non riusciremo a vivere come fratelli moriremo tutti come stolti. Non dimentichiamo la lezione di Martin Luther King. L'ascesa al monte e' faticosa, il cammino e' impervio, ma nel rispetto di se' e dell'altro lo sguardo diventa limpido e restituisce senso alla vita.

 

4. OGGI. LEOLUCA ORLANDO: RISPETTO DI IDENTITA' E DIVERSITA'

[Ringraziamo Leoluca Orlando (per contatti: orlando_l at camera.it) per questo intervento.

Leoluca Orlando (Palermo, 1947), gia' sindaco di Palermo fortemente impegnato nella lotta contro la mafia, promotore del "Movimento per la democrazia - La Rete", e' attualmente deputato in parlamento per l'Italia dei valori. Tra le opere di Leoluca Orlando: Contributo allo studio del coordinamento amministrativo, Milano 1974; Teoria organica e Stato apparato, Palermo 1979; Palermo, Mondadori, Milano 1990; Fede e politica, Marietti, Genova 1992; Fighting the Mafia and Renewing Sicilian Culture, Encounter Books, San Francisco 2001; Ich sollte der naechste sein, Herder Verlag, Freiburg 2002, 2010; Hacia una cultura de la legalidad-La experiencia siciliana, Pontificia Universidad catolica del Peru', 2003; Der Sizilianische Karren, Amman Verlag, Zuerich 2004; edizione in lingua araba del libro Fighting the Mafia and Renewing Sicilian Culture a cura della Fondazione libanese per la pace civile permanente, Beirut 2004; Hacia una cultura de la legalidad. La experiencia siciliana, Universidad Autonoma Metropolitana, Mexico 2005; Leoluca Orlando racconta la mafia, Utet, Torino 2007; Leoluca Orlando erzaehlt die Mafia, Herder Verlag 2008]

 

La nonviolenza e' rispetto di identita' e diversita', in una realta' nella quale la violenza e', sempre, al servizio di perversione di identita' e di disprezzo della diversita'.

La nonviolenza e' rispetto di eguaglianza, in una realta' nella quale la violenza e', sempre, al servizio di prepotenza.

La nonviolenza e' umanita', in una realta' nella quale la violenza e', sempre, disumana.

La nonviolenza, se si ha rispetto per identita', diversita', eguaglianza, umanita', e' , al tempo stesso, espressione di etica della responsabilita' e della convenienza.

Vogliamo, abbiamo il dovere e il diritto di  vivere in un mondo di responsabilita'; riteniamo conveniente, si', anche conveniente, la nonviolenza.

 

5. LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA. PAOLO ARENA E MARCO GRAZIOTTI INTERVISTANO LIVIO MICCOLI

 

[Ringraziamo Paolo Arena (per contatti: paoloarena at fastwebnet.it) e Marco Graziotti (per contatti: graziottimarco at gmail.com) per averci messo a disposizione questa intervista a Livio Miccoli.

Paolo Arena e Marco Graziotti fanno parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Per un profilo di Livio Miccoli si veda la risposta alla prima domanda di questa intervista]

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?

Livio Miccoli: Vorrei incominciare da questa domanda. Non solo perche' a pochissimi il mio nome dira' qualcosa, ma anche perche' avverto un certo imbarazzo a rispondere a un'intervista sulla nonviolenza. Non possiedo infatti alcuna formazione o preparazione specifica, ne' tengo corsi o ho pubblicato libri sull'argomento.

 

Sono nato e vivo a Napoli, dove insegno storia e filosofia in un Liceo (ma non sono ne' uno storico ne' tantomeno un filosofo della nonviolenza). Ho una moglie meravigliosa e due figli bellissimi, che sono la mia vita.

 

Insieme ad altri amici partecipo al Comitato Claudio Miccoli, costituitosi nel 1998, presieduto da Francesco Ruotolo, che si propone di diffondere la cultura della nonviolenza, per riaffermare, nel nome di Claudio, i valori nei quali credeva e per i quali sacrifico' la sua giovane vita, perche' le sue idee non muoiano con lui.

 

Con Marco Falvella e altri familiari delle vittime della violenza politica degli anni Settanta, sono tra i fondatori dell'Anvitop (Associazione Nazionale Vittime del Terrorismo e dell'Odio Politico), che si propone "di ricordare il comune sacrificio delle vittime, alimentando i valori della tolleranza e della nonviolenza, monito operante per prevenire nuovi episodi di eversione" (art. 1 dello Statuto).

 

Rispondero' solo ad alcuni dei quesiti proposti, quelli su cui sento di avere qualcosa di particolare da dire, per portare una testimonianza sulla storia di mio fratello Claudio, purtroppo ancora poco conosciuta in Italia, a volte anche tra gli amici della nonviolenza. Su molte domande da voi proposte non credo di essere piu' competente di un qualsiasi eventuale lettore, ne' che la mia opinione possa interessare piu' di quella di chiunque altro. Dunque mi asterro' dal rispondere.

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come e' avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

 

- Livio Miccoli: Io credo che la nonviolenza si impari dal contatto con gli altri, soprattutto da piccoli. Prendiamo per esempio il diverso atteggiamento con cui le famiglie, d'estate sotto gli ombrelloni, trattano i venditori ambulanti che si avvicinano per vendere la loro merce, camminando a fatica, sudati, sotto il sole rovente: alcuni genitori insegnano ai figli la nonviolenza, altri no. Io ho vissuto in una famiglia in cui - come avviene in tantissime altre - il rispetto degli altri, la compassione, la solidarieta' non erano valori dichiarati, ma esercitati come pratica quotidiana.

 

La riflessione teorica, l'adesione intellettuale alla nonviolenza, le letture, sono tutte cose venute dopo, e molto meno importanti.

 

Ancora oggi mi capita di imparare, piu' che dai libri, dai comportamenti delle persone. Un'alunna della mia scuola l'anno scorso e' stata fermata dai carabinieri perche' e' intervenuta a difesa di alcuni immigrati, maltrattati e minacciati di essere condotti in caserma dai militi perche' stavano mangiando un panino seduti sui gradini della scuola. La ragazza allora ha tirato fuori la sua merenda, e si e' messa a mangiarla seduta accanto agli immigrati: "Adesso portate via anche me" ha detto, e cosi' e' stato. Non era una mia alunna, e non aveva mai sentito parlare di disobbedienza civile o di Rosa Parks. Eppure ha adottato esemplarmente una tecnica nonviolenta. Dove l'ha imparata?

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalita' della nonviolenza hanno contato di piu' per lei, e perche'?

 

- Livio Miccoli: Senz'altro mio fratello, Claudio Miccoli.

 

Nel 1978, quando fu ucciso, Claudio era un giovane napoletano di venti anni, dieci in piu' di me. Aveva barba e capelli lunghi, mille interessi, ed era assai impegnato socialmente: appassionato ecologista, era diventato, ad appena diciotto anni, il più giovane consigliere regionale del Wwf. Amava scrivere poesie, disegnare, fotografare, viaggiare, ed era stato piu' volte nel Parco Nazionale d'Abruzzo, dove aveva preso contatti con la direzione per avviare un progetto per la reintroduzione degli ungulati (cervi) nell'Appennino centro-meridionale. Antinuclearista convinto, aveva partecipato alle manifestazioni contro la costruzione della Centrale di Montalto di Castro. Dotato di un animo particolarmente sensibile, aveva disposto di donare i suoi organi dopo la morte, parlandone con i nostri genitori; questo avveniva piu' di trenta anni fa, quando la cultura della donazione degli organi in Italia era agli albori. Appena diplomatosi al Liceo Scientifico, in attesa di iscriversi all'Universita' (avrebbe scelto Filosofia), Claudio trascorse l'estate del 1978 partecipando ai campi antincendio del Wwf, viaggiando, incontrandosi con gli amici.

 

La sera di sabato 30 settembre, dopo aver preso parte ad una riunione del Wwf, Claudio ando' con alcuni amici a bere birra e a mangiare taralli a piazza Sannazaro. La piazza, come ogni sabato, era gremita di giovani che si intrattenevano a parlare, conoscersi, suonare la chitarra. Ad un tavolo della birreria sedevano nove ragazzi, sconosciuti a tutti gli altri: erano militanti del Fronte della Gioventu' di piazza Vanvitelli, neofascisti giunti per dimostrare il loro valore, camerati che non avevano paura neanche di farsi vedere in una piazza considerata "rossa". Sotto i giubbotti nascondevano delle mazze, che si erano procurati sradicando dei paletti che cingevano un'aiuola al Vomero. A un certo punto uno di loro, alzatosi, si avvicino' ad altri ragazzi, che avevano, poggiata sul tavolo, una copia di "Lotta continua". "Che bello!" esclamo', strappando il giornale. Non ci fu il tempo di nessuna reazione. Alle spalle dei ragazzi, infatti, era pronto un altro fascista, che assesto' una violenta mazzata sul capo del lettore di "Lotta continua". In pochi istanti il caos si impadroni' della piazza: tutti spaventati fuggirono, disperdendosi in varie direzioni. Anche Claudio che, seduto pochi tavoli piu' in la', aveva assistito a tutta la scena, scappo', perdendo il contatto con i suoi amici e raggiungendo di corsa la vicina stazione della metropolitana di Mergellina. Ma non prese mai quel treno. Torno' sui suoi passi, riflettendo. Ritornando in piazza, sulla salita Piedigrotta, raggiunse due ragazzi ancora in fuga: uno aveva quindici anni, un altro sedici. A pochi passi da loro, di nuovo i fascisti: "Si stava tornando a casa quando vedemmo quel gruppo di quattro persone (uno brandiva un coltello, un altro impugnava un bastone). Miccoli ci disse di scappare. Successivamente, pero', si fermo'" - testimoniera' al processo uno dei due giovani che si trovavano casualmente in compagnia di Claudio, al momento dell'aggressione. Messi in fuga i due ragazzi, da solo, forte solo delle sue parole, Claudio ando' incontro ai suoi assassini per parlare con loro, per domandare ai violenti le ragioni della loro violenza, per chiedere "Perche'?".

 

Ma un giovane capellone e barbuto che avanza verso un gruppo di picchiatori armati non puo' che essere un provocatore, sta evidentemente lanciando una sfida, vuole mettere alla prova il loro coraggio; cosi', forse, nella loro gretta meschinita', dovettero pensare i suoi assassini. Gli si avventarono contro, seppellendolo sotto una gragnuola di pugni, calci, bastonate che gli sfondarono il cranio. Mori', dopo sei giorni di agonia, il 6 ottobre 1978. In ospedale, prima di perdere conoscenza, parlando di chi lo ha ucciso, disse: "Non mi hanno lasciato il tempo, io volevo parlare, volevo spiegare, volevo...".

 

Nel diario di Claudio, dopo la sua morte, i miei genitori trovarono una poesia, scritta pochi mesi prima di essere ucciso. Alcuni versi recitano cosi':

 

"Io che non volevo colpire,

 

sono stato colpito!

 

Non ho vinto perche' volevo vincere,

 

ma perche' sono stato sconfitto:

 

perche' la piu' bella vittoria,

 

per chi non vuole combattere,

 

e' non lottare proprio".

 

Credo non sia difficile immaginare perche' Claudio abbia contato tanto nella mia vita. Oggi, perche' il suo sacrificio abbia un senso, mi sforzo di dare un seguito a quel dialogo iniziato da Claudio piu' di trent'anni fa, di continuare a diffondere la nonviolenza, che egli ha professato a costo della vita. Naturalmente, io sono solo un testimone e - per dirla con Capitini - un amico o meglio un simpatizzante della nonviolenza, un filononviolento. Definirsi nonviolenti e' infatti sciocco, oltre che presuntuoso. Chi potrebbe essere sicuro di avere il coraggio di scegliere la nonviolenza in ogni circostanza?

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

 

- Livio Miccoli: I percorsi che conducono alla nonviolenza sono tanti e diversi, come pure i libri: ci si puo' avvicinare alla nonviolenza leggendo un passo del Vangelo o una delle Favole al telefono di Rodari (straordinaria "Il Paese senza punta"), l'autobiografia di Gandhi, i testi di Primo Levi, la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegno' a volare di Sepulveda o L'uomo che piantava gli alberi di Jean Giono.

 

Personalmente fece grande impressione su di me la lettura della Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana: quando ebbi fra le mani il libro - che era stato regalato a mia sorella Rosanna da Franz Amato, suo professore di filosofia noto a Napoli tra gli amici della nonviolenza - avevo tredici anni ed era la prima volta che leggevo un saggio, piuttosto che un romanzo o un racconto. Ne rimasi folgorato. Piu' tardi ho scoperto gli altri scritti di don Milani, il Critone di Platone, Gandhi, Lanza Del Vasto... Ma altri hanno gia' compilato bibliografie sulla nonviolenza, peraltro gia' piu' volte pubblicate su "La nonviolenza e' in cammino", che io stesso consulto ogni tanto. Qui voglio solo aggiungere che saro' ben lieto di donare una copia del volumetto Il vento e' nostro fratello e la pioggia non ci e' nemica, che racconta la storia di mio fratello Claudio e del Comitato a lui intitolato, a chiunque me ne faccia richiesta (comitatoclaudiomiccoli at tin.it).

 

Non dimenticherei infine il cinema, una forma comunicativa che spesso raggiunge i giovani piu' diffusamente della lettura. Anche la filmografia sulla nonviolenza e' ormai sterminata: dai classici "E Johnny prese il fucile" di Dalton Trumbo (1971) e "Gandhi" di Richard Attenborough (1982), fino ai piu' recenti  "Joyeux Noel - Una verita' dimenticata dalla storia" di Christian Carion (2005) e "Invictus" di Clint Eastwood (2009).

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

 

- Livio Miccoli: Il sito del Movimento Nonviolento www.nonviolenti.org mi sembra il piu' completo per avere un quadro generale da cui partire per accostarsi alla nonviolenza organizzata in Italia. Chi si trova a Napoli e ha voglia di impegnarsi puo' visitare anche il sito www.comitatoclaudiomiccoli.it e contattarci all'indirizzo e-mail comitatoclaudiomiccoli at tin.it

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo? E quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?

 

- Livio Miccoli: Trascrivo dall'undicesima edizione (1986) dello Zingarelli, il vocabolario che ho a casa. Il "pacifismo" e': 1. L'atteggiamento di chi ama la pace; 2. Il movimento a favore dell'abolizione della guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Da cio' deduco - con un certo orgoglio - che la Repubblica italiana e' intrinsecamente pacifista, dal momento che l'art. 11 della Costituzione afferma che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Poi pero' leggo che il ministro della Difesa di questa stessa Repubblica - nostalgico fascista dal pizzetto mefistofelico e lo sguardo da invasato - ha progettato per gli studenti delle nostre scuole dei corsi paramilitari: gli alunni, divisi in "pattuglie", impareranno a sparare con la pistola (ad aria compressa), a tirare con l'arco, ad arrampicarsi, a eseguire perfettamente "percorsi ginnico-militari". E mi confondo un poco.

 

E' una confusione indotta, voluta, che viene da lontano: dalla pax romana denunciata da Tacito ("Fanno il deserto e lo chiamano pace") fino alle guerre attuali mascherate da "missioni di pace".

 

Mi torna in mente il titolo di un articolo, apparso sulle pagine napoletane de "La Repubblica" il 28 luglio 2010: "Tentato omicidio, arrestati due pacifisti". Nel pezzo si descrive la violenta aggressione da parte di due partecipanti al corteo del primo maggio scorso a Napoli contro un giovane militante di Casa Pound, ferito a coltellate. Dunque, stando a quanto scrive "La Repubblica" di Napoli, i pacifisti possono anche ammazzare. No, proclamarsi pacifisti non basta piu'. Come sovente e' accaduto in Italia, l'uso spregiudicato di certe parole ne ha svuotato il senso.

 

Il termine "nonviolenza" e' meno conosciuto, ma dunque anche meno inflazionato: se provate a chiedere in giro chi sono i nonviolenti, spesso vi risponderanno che sono dei vigliacchi, dei paurosi che si sottraggono alla lotta. I piu', tuttavia, stenteranno a fornire una definizione, e forse vi chiederanno lumi, e vi presteranno ascolto senza troppi pregiudizi.

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?

 

- Livio Miccoli: La nonviolenza richiede estremo coraggio, anche dinanzi alla morte: il vero nonviolento preferisce la morte alla diffusione della violenza e del male, nella convinzione socratica che "non conta vivere, ma vivere bene". Ovviamente parliamo del coraggio di morire, non di uccidere. Ha scritto Gandhi: "Posso immaginare un uomo completamente armato che in fondo sia un vile. Il possesso delle armi sottintende un elemento di paura, se non di vilta'. Ma la vera nonviolenza e' impossibile, se non si possiede un autentico coraggio... Non si puo' insegnare la nonviolenza a una persona che ha paura di morire" (Gandhi, Antiche come le montagne, a cura di Sarvepalli Radhakrishnan, traduz. ital. Edizioni di Comunita', Milano 1973).

 

*

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?

 

- Livio Miccoli: Una relazione intensa e diretta, come testimoniato dalle seguenti parole di Gandhi, che generano in me non pochi sensi di colpa: "La norma aurea consiste nel rifiutare, risolutamente, cio' che milioni di altri non possono avere. Tale capacita' di rinuncia non scendera' d'incanto su di noi. Per prima cosa occorre coltivare una forma mentis atta a ricusare quei beni e quei mezzi che sono negati a milioni di nostri simili, e, quindi, occorre ridimensionare la nostra vita, il piu' celermente possibile, in conformita' a questa forma mentis" (da Le parole di Gandhi scelte da Richard Attenborough, traduz. ital. Tea, Milano 1991).

 

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- Paolo Arena e Marco Graziotti: C'e' qualcosa che vorrebbe aggiungere?

 

- Livio Miccoli: Complimenti per la vostra iniziativa. Credo che mai nessuno finora abbia tentato di mettere a confronto tante diverse voci di amici della nonviolenza in Italia. Grazie per avermi fornito un'occasione per riflettere su alcune delle questioni piu' importanti della mia vita. Spero di non essermi dilungato troppo.

 

 

 

6. MAESTRE. VANDANA SHIVA: L'INTRODUZIONE DE "IL BENE COMUNE DELLA TERRA"

 

[Riproponiamo ancora una volta l'Introduzione (pp. 7-19) del libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006.

 

Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008; Ritorno alla terra, Fazi, Roma 2009; Campi di battaglia, Edizioni Ambiente, Milano 2009]

 

 

 

Il progetto democratico ed ecologista che ispira questo studio ha origini antiche, ma costituisce anche l'obiettivo di fondo di un movimento politico emergente che difende la pace, la giustizia e la sostenibilita'. Concepire il pianeta come una grande comunita' e come un bene comune inalienabile a tutte le forme di vita che lo popolano significa porre in correlazione il particolare e l'universale, le diversita' specifiche e gli aspetti comuni, le dimensioni del locale e del globale, richiamandosi a quella che in India viene descritta come vasudhaiva kutumbkham, la "famiglia terrestre", l'insieme di tutti gli esseri viventi che traggono sostentamento dal nostro pianeta. I nativi americani, al pari di tutte le culture indigene del mondo, concepivano la vita come un continuum che vincola le sorti dell'essere umano a quelle di tutte le altre specie, attraverso un  condizionamento reciproco che coinvolge tutte le generazioni passate, presenti e future. Il discorso che capo Seattle, della tribu' dei Suquamish, pronuncio' nel 1848 evoca bene tale continuita' del vivente:

 

"Come si puo' pensare di vendere o di acquistare il cielo, o il calore della terra? Quest'idea e' davvero strana per noi.

 

"Se la brezza dell'aria e la luminosita' dell'acqua non ci appartengono, come potete pensare di comprarle da noi?

 

"Anche la piu' piccola parte di questa terra e' sacra al mio popolo. Ogni ago di pino lucente, ogni riva sabbiosa, la bruma che si diffonde nell'oscurita' dei boschi, ogni insetto che ronza sereno e' santo nella memoria e nell'esperienza di vita della mia gente. La linfa che scorre negli alberi porta con se' i ricordi dell'uomo rosso.

 

Questo sappiamo: la terra non appartiene all'uomo; e' l'uomo che appartiene alla terra. Questo sappiamo. Ogni cosa e' correlata come il sangue che unisce la nostra famiglia. Ogni cosa e' correlata".

 

Il movimento democratico globale prende forma dal riconoscimento di queste correlazioni, dei diritti e delle responsabilita' che ne derivano. La protesta di capo Seattle: "La terra non appartiene all'uomo", trova eco in altre e piu' recenti forme di contestazione: "Il nostro mondo non e' in vendita", "La nostra acqua non e' in vendita", "I nostri semi e la nostra biodiversita' non sono in vendita". Queste forme di resistenza alle privatizzazioni imposte dall'ideologia insensata della globalizzazione economica costituiscono le fondamenta del nuovo movimento democratico.

 

*

 

Le multinazionali concepiscono il mondo in termini di mero possesso e il mercato in termini di mero profitto. Ma dopo quanto e' accaduto a Bangalore nel 1993, quando mezzo milione di contadini indiani insorsero per opporsi alla classificazione dei semi come proprieta' privata sancita dal Wto (World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio) con l'accordo Trips (Trade Relate Intellectual Property Rights) relativo agli aspetti attinenti al commercio dei diritti di proprieta' intellettuale, dopo che gli incontri ministeriali sono stati interrotti due volte dalla protesta popolare, dapprima a Seattle nel 1999 e successivamente a Cancun nel 2003, l'agenda delle multinazionali ci appare sempre piu' contrastata dall'apporto creativo, dall'intelligenza e dal coraggio di milioni di persone che concepiscono la terra come una famiglia, come una comunita' che lega tutte le forme di vita e tutti gli esseri umani senza distinzioni di razza, classe sociale, culto o nazionalita'.

 

La globalizzazione imposta dalle multinazionali concepisce il pianeta in termini di proprieta' privata. Al contrario, i nuovi movimenti difendono le risorse locali e globali del territorio perche' lo intendono come bene comune. Le comunita' che insorgono in ogni continente per contrastare la distruzione delle loro diversita' biologiche e culturali, dei loro mezzi di sostentamento e delle loro stesse vite costituiscono l'alternativa democratica alla trasformazione del mondo in un gigantesco supermercato, in cui beni e servizi prodotti con costi ecologici, economici e sociali estremamente alti vengono rivenduti a prezzi stracciati. Opponendosi a questa globalizzazione liberista e suicida che inquina il pianeta, dilapida ogni risorsa e impone la dislocazione forzata di milioni di contadini, lavoratori e artigiani, le comunita' si impegnano a sviluppare delle economie alternative che proteggono la vita e promuovono la creativita' individuale.

 

La globalizzazione economica si configura come una nuova forma di "enclosure of the commons", la recinzione delle terre comuni britanniche, come una privatizzazione imposta attraverso atti di violenza e dislocazioni forzate. Anziche' generare abbondanza, questa privatizzazione subordinata al profitto produce nuove esclusioni, nuove espulsioni e maggiore poverta'. Non solo, ma trasformando in merce ogni risorsa e forma di vita, essa depriva anche i popoli e le specie viventi dei loro fondamentali diritti in termini di spazio ecologico, culturale, economico e politico. La proprieta' privata dei ricchi torna cosi' a fondarsi su una rapina ai danni dei poveri. Le privatizzazioni si traducono in un esproprio delle risorse pubbliche e dei beni comuni dei soggetti piu' poveri, che si ritrovano ad essere economicamente, politicamente e culturalmente depauperati.

 

I brevetti sulla vita e la retorica di un mondo fondato sulla proprieta' privata, in cui qualsiasi cosa, dall'acqua alla biodiversita', dalle cellule ai geni, dagli animali alle piante, viene considerata in termini di merce, si traducono in una visione del mondo che non riconosce il valore intrinseco, l'integrita' e la sovranita' di ogni forma di vita. Secondo questa ideologia, il diritto dei contadini a disporre dei semi, dei malati a ricevere le loro medicine a prezzi accessibili, dei piccoli produttori a una ripartizione equa delle risorse terrene possono essere liberamente violati. La retorica della proprieta' privata nasconde la filosofia di morte di chi, pur scandendo slogan a favore della vita, cerca di impadronirsi di tutte le risorse del pianeta e della creativita' umana per controllarle e monopolizzarle. In Inghilterra, le recinzioni delle terre comuni trasformarono milioni di contadini in forza lavoro disponibile sul mercato. Se queste prime recinzioni si limitavano a sottrarre delle terre, l'attuale privatizzazione si spinge fino a mercificare ogni aspetto della vita, dai saperi comuni alle tradizioni culturali, dall'acqua alla biodiversita', inclusi servizi pubblici quali la sanita' e l'istruzione.

 

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A fronte di tale situazione, la difesa dei beni comuni costituisce l'espressione piu' alta di una concezione democratica dell'economia.

 

La privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici e la mercificazione dei mezzi di sostentamento dei poveri altro non sono che un vero e proprio furto ai danni della sicurezza economica e culturale dei popoli. Milioni di persone deprivate della loro identita' e della possibilita' di provvedere dignitosamente alla loro esistenza vengono indotte a ricorrere all'estremismo, al terrorismo e al fondamentalismo religioso. Queste ideologie identificano l'altro con il nemico e rivendicano un'identita' esclusiva per poter sfuggire a una realta' alla quale rimangono invece ecologicamente, culturalmente ed economicamente connesse. Il loro tentativo di sottrarsi si traduce in un comportamento antagonistico e cannibale. L'ascesa dell'estremismo e del terrorismo e' un fenomeno direttamente imputabile alle nuove forme di recinzione o privatizzazione introdotte dal colonialismo della globalizzazione economica. Cosi' come il cannibalismo di polli e maiali soggetti a un allevamento intensivo si sconfigge con il ricorso a metodi piu' naturali, anche il terrorismo, l'estremismo e le ideologie che invocano la pulizia etnica e l'intolleranza religiosa vanno affrontati come aberrazioni prodotte dalla globalizzazione economica, patologie che si possono sanare soltanto democratizzando la realta' globale.

 

La privatizzazione genera esclusione, e l'esclusione e' il prezzo che la globalizzazione economica cerca di occultare. Le nostre azioni di protesta contro la biopirateria del neem, del riso basmati e del grano hanno saputo raggiungere l'obiettivo che si erano preposte, ottenendo un riconoscimento del nostro patrimonio biologico e intellettuale come bene comune. La lotta vittoriosa delle donne di Plachimada, una piccola comunita' tribale dello stato indiano del Kerala, contro la piu' grande multinazionale del mondo, la Coca-Cola, costituisce un esempio tra i piu' significativi delle potenzialita' dei movimenti democratici emergenti.

 

I nuovi diritti sulla proprieta' intellettuale privatizzano un patrimonio comune di natura biologica, intellettuale e digitale. La privatizzazione ci depriva anche delle nostre risorse idriche. Ogni bene comune privatizzato comporta la dislocazione e la perdita d'autonomia di molti soggetti umani, l'arricchimento di una minoranza a scapito di un generale aumento della poverta'. La dislocazione forzata produce precarieta', e nelle sue forme piu' estreme puo' arrivare a negare anche i piu' elementari diritti alla vita. Con la diffusione delle sementi geneticamente modificate e degli aborti indotti per selezionare il sesso dei nascituri, assistiamo alla progressiva scomparsa di un numero crescente di piccoli agricoltori e di donne. L'entita' e il tasso di sviluppo di questo fenomeno sono direttamente proporzionali alla "crescita economica" imposta dai promotori della globalizzazione neoliberista.

 

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Per fortuna pero', queste forme di genocidio brutale non costituiscono l'unica e incontrastata tendenza della storia contemporanea.

 

Un futuro diverso ha preso forma per le strade di Seattle e Cancun, nelle case e nelle comunita' agricole di tutto il mondo.

 

Un futuro che si basa sul principio di inclusione, anziche' di esclusione; sulla nonviolenza e sulla difesa del pianeta come bene comune, anziche' come territorio da recintare; su una libera condivisione delle risorse terrene, anziche' sulla loro privatizzazione e monopolizzazione. Il movimento democratico globale deriva da un'esperienza collettiva di dialogo e solidarieta', di pluralismo e cooperazione, di confronto e di scambio tra le diversita'. Questa e' l'alternativa democratica a piani economici quali il "Progetto per il nuovo secolo americano" (1), un piano di sviluppo definito a porte chiuse e condizionato dalla mentalita' angusta delle multinazionali. Le nostre proposte si qualificano infatti come portato della nostra autonomia organizzativa, di identita' profondamente radicate nello specifico delle realta' locali, della nostra molteplicita' e diversita'. Il nostro intervento non si limita a prendere in considerazione gli interessi del genere umano, ma si estende alla tutela di tutte le forme di vita che popolano il pianeta. E' qualcosa di piu' dell'organizzazione della prossima protesta o del prossimo Social forum: e' quanto intendiamo fare quotidianamente, nella vita di tutti i giorni, per modificare la realta' globale attraverso un impegno individuale e radicato nel tessuto delle nostre realta' locali. I cambiamenti che riusciamo a ottenere possono sembrare di poco conto, ma l'impatto che producono sara' determinante per le sorti del pianeta e dell'umanita'. Essi mirano infatti a contrastare la logica violenta e autodistruttiva perpetrata dalle culture, dalle economie e dalle politiche di morte, per sostituirla con nuovi modelli di sviluppo economico, politico e culturale fondati sulla nonviolenza e sulla creativita' che promuovono, valorizzano e sostengono la vita.

 

Il progetto di costituire una democrazia della comunita' terrena non deve essere inteso come un'astrazione, ma come l'insieme delle pratiche specifiche dei popoli che reclamano i loro beni comuni, le loro risorse e il diritto di vivere liberi e in pace, preservando la loro identita' e la loro dignita'. Poiche' si tratta di una realta' multiforme e composita, ho scelto di soffermarmi su alcuni esempi significativi dei progetti politici, economici e culturali che concorrono a costituirla. Queste tre dimensioni della politica, dell'economia e della cultura sono ovviamente inseparabili.

 

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I modelli economici che adoperiamo per produrre e scambiare beni e servizi sono condizionati dai valori della nostra cultura e dal nostro sistema politico. Anche lo sviluppo di un modello economico alternativo si verifica pertanto in sinergia con l'elaborazione di una nuova cultura e di nuove istituzioni piu' democratiche.

 

Le economie che apportano la vita sono i luoghi e le pratiche in cui le risorse comuni vengono condivise equamente, per provvedere al fabbisogno di cibo e di acqua e per conferire un senso all'esistenza dei singoli e della comunita'. Il movimento democratico globale sorge dalla consapevolezza di essere radicati nello specifico di una realta' locale che tuttavia interagisce con la realta' globale del pianeta, per non dire dell'universo intero. Si tratta di un modello di sviluppo planetario che non puo' fondarsi sulla speculazione finanziaria o sul trasferimento immotivato di beni e servizi, ma sui principi dell'ecologia e della solidarieta'.

 

Un'economia globale che tiene conto dei limiti imposti dall'ecologia non puo' che valorizzare la produzione locale, per ridurre gli sprechi di risorse umane e naturali. E solamente quelle economie che adottano un modello di sviluppo ecologico possono diventare delle economie che apportano la vita, in grado di assicurare un futuro sostenibile. I nostri piani di sviluppo non possono essere condizionati dalla logica aziendale dei profitti trimestrali, come pure dalle scadenze quadriennali o quinquennali dei politici. Occorre considerare ben altro, perche' il futuro coinvolge l'evoluzione di tutte le forme di vita terrene e il benessere di tutti gli individui che compongono la nostra famiglia, la nostra comunita' e l'intera societa' umana. La tutela dell'ecologia costituisce un obiettivo prioritario perche' la nostra identita' principale e' proprio quella ecologica.

 

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Noi siamo cio' che mangiamo, l'acqua che beviamo, l'aria che respiriamo. La nostra liberta' non puo' prescindere dal diritto a un controllo democratico del cibo, dell'acqua e della nostra sopravvivenza ecologica.

 

Le democrazie che tutelano la vita sono gli spazi e gli strumenti politici necessari per riconquistare le nostre liberta' fondamentali, per difendere i nostri diritti e per espletare i nostri doveri e le nostre responsabilita' comuni: proteggere la terra, difendere la pace e promuovere la giustizia sociale. I fautori della globalizzazione economica sostengono che il libero mercato promuove uno sviluppo della democrazia. In realta', le multinazionali distruggono la democrazia in ogni sua forma, a ogni livello.

 

La privatizzazione delle risorse comuni rappresenta l'effetto negativo piu' evidente, perche' cancella le democrazie di base proprio come la recinzione delle terre provoco' la scomparsa delle comunita' contadine in Inghilterra. Ma anche gli stessi accordi economici che promuovono la globalizzazione non vengono decisi democraticamente, poiche' sono sanciti e imposti da organizzazioni come la Banca mondiale, il Wto o il Fondo monetario internazionale a prescindere dalla volonta' delle comunita' e dei paesi direttamente coinvolti. Le multinazionali che controllano la globalizzazione indeboliscono le istituzioni democratiche dei paesi in cui operano, perche' le loro decisioni vengono prese scavalcando le istituzioni parlamentari e i singoli cittadini. Qualsiasi governo appena eletto, indipendentemente dall'orientamento politico, si trova costretto ad approvare una serie di riforme economiche di stampo neoliberista. L'attuale processo di globalizzazione rende impossibile lo sviluppo di un'economia democratica, configurandosi come una vera e propria dittatura economica delle multinazionali.

 

Quando una dittatura economica indebolisce le istituzioni democratiche di una nazione, si assiste anche alla crescita di pericolosi fenomeni quali il fondamentalismo  religioso e l'estremismo di destra. Ecco allora che la globalizzazione non provoca soltanto una crisi della democrazia, ma anche l'avvento di una democrazia di morte che ricorre all'odio, al terrore e alla discriminazione sociale per ottenere voti e potere.

 

Impegnarsi in un progetto di democratizzazione ecologica e sociale significa, al contrario, concepire e progettare delle democrazie che tutelino la vita assicurando a tutti la possibilita' di esprimersi su questioni fondamentali come il cibo, che mangiamo o che ci viene negato, come l'acqua, che beviamo o che ci viene sottratta perche' e' stata inquinata o privatizzata, come l'aria, che respiriamo o che forse ci avvelena. Le democrazie che tutelano la vita si fondano sul riconoscimento del valore intrinseco di tutte le specie, di ogni popolo e di ogni cultura, sull'equa ripartizione delle risorse terrene e sulla comune gestione di tali risorse.

 

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Le culture che valorizzano la vita sono spazi in cui possiamo configurare ed esprimere valori, convinzioni politiche o religiose, pratiche e tradizioni diverse, pur restando in sintonia profonda con la nostra identita' comune e universale di esseri umani che condividono la terra, l'acqua e l'aria con tutte le altre specie. Tali culture si fondano sulla nonviolenza e sulla solidarieta', sul pluralismo e sull'uguaglianza, sul rispetto della giustizia, della diversita' e della vita in tutte le sue forme.

 

Una cultura che cresce in seno a un'economia che protegge la vita trova spazio per tutti gli esseri viventi, senza distinzioni di sesso, etnia, religione o specie. Essa esprime un radicamento profondo alla terra e alle specificita' del luogo in cui si origina, ma anche un sentimento di solidarieta' per tutto il genere umano, una coscienza universale che nasce dal sentirsi parte di un'unica famiglia terrena. Le culture che valorizzano la vita si fondano sulla compresenza di molte identita'. La nostra identita' terrena e' data al tempo stesso dall'esperienza concreta della realta' in cui viviamo - della quotidianita' del lavoro e del riposo, del gioco e del pianto - e dalla globalita' delle pratiche che ci correlano al resto del mondo.

 

"Ogni cosa e' correlata," come insegna capo Seattle. Noi esistiamo in rapporto con la terra, localmente e globalmente. Le culture che valorizzano la nostra identita' terrena ci insegnano a seguire dei criteri di sviluppo ecologicamente compatibili. Soltanto ricordandoci di essere cittadini della terra e figli di questo pianeta possiamo riscoprire la nostra identita' comune e superare le scissioni profonde, l'intolleranza, l'odio e il terrore provocati dalle privatizzazioni, dalla polarizzazione del mondo e dagli sconvolgimenti introdotti dalla globalizzazione economica.

 

Le culture indigene che credono in una convivenza pacifica delle specie e dei popoli, nel rispetto delle differenze biologiche e culturali dei singoli percorsi evolutivi, sono ancora vive nella nostra memoria collettiva e ci aiutano a concretizzare il progetto di una democrazia della comunita' terrena. Il principio di interconnessione e inseparabilita' su cui si fonda questa antica visione viene ribadito anche, in maniera significativa, dalla scienza contemporanea: si pensi alla teoria dei quanti, al continuum spazio-temporale della relativita' generale, o alla complessita' delle strutture degli organismi viventi.

 

In tempi piu' recenti, questa visione del mondo si e' espressa attraverso i valori, le prospettive e le azioni dei movimenti impegnati a perseguire la pace, la giustizia e la sostenibilita'. Viviamo in un'epoca in cui l'asservimento della democrazia agli interessi del capitalismo globale ha generato nuove paure, nuove insicurezze, nuovi fondamentalismi e nuove manifestazioni di violenza. In India e negli Stati Uniti, le elezioni del 2004 hanno evidenziato come la disoccupazione e il diffondersi della poverta' possano costituire un terreno fertile per l'ascesa del fondamentalismo religioso, un'ideologia che semina discordia e fa leva sulle differenze culturali per distogliere l'attenzione da quei valori che invece possono unirci: il lavoro, l'ambiente, i diritti umani, la nostra comune appartenenza all'umanita'.

 

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Concepire la Terra come una grande comunita' democratica ci aiuta invece a riappropriarci della nostra identita' di esseri umani e delle correlazioni che ci uniscono a tutte le altre specie. Questa visione del mondo rispetta la sacralita' della vita in tutto il vivente, senza distinzioni di classe, casta, genere o religione, e ci insegna a sconfiggere l'avidita' e la violenza subordinando i nostri interessi individuali a quelli della famiglia terrena. Privatizzare l'acqua o introdurre dei brevetti sulla vita diventa allora impensabile, perche' tutti gli esseri viventi hanno il diritto di vivere e sostentarsi. Se la famiglia terrena riconosce, come capo Seattle, che "ogni cosa respira all'unisono, l'albero, l'animale e l'uomo" e che "l'aria condivide il suo spirito con tutte le creature viventi", essa non consentira' piu' a una parte della comunita' internazionale di alterare il clima, di impadronirsi delle risorse atmosferiche comuni e di produrre il 36% dell'inquinamento da anidride carbonica mondiale, a scapito dei diritti delle altre specie e degli altri popoli.

 

Conservare gli equilibri ecologici necessari per la sopravvivenza del nostro pianeta e difendere i diritti umani fondamentali come quello all'acqua, al cibo, alla salute, all'istruzione, al lavoro e a un'esistenza dignitosa: questo e' l'impegno di una visione democratica e comunitaria che riconosce l'importanza della vita e la rispetta in tutte le specie e in tutti i popoli.

 

Negli ultimi trent'anni, la mia adesione a questa concezione del mondo si e' tradotta in un impegno concreto all'interno dei movimenti che lottano per un'affermazione universale dei diritti umani e di quei movimenti ecologisti e animalisti che riconoscono il valore intrinseco di tutte le specie. La difesa dell'umanita' non puo' prescindere da quella delle altre specie, perche' soltanto una comunita' terrena unita e solidale puo' costituire un'alternativa reale a una globalizzazione economica che riconosce soltanto i diritti delle multinazionali e trasforma gli esseri viventi in materie prime da poter sfruttare o in rifiuti facilmente eliminabili.

 

Sentirsi parte della comunita' terrena significa entrare in sintonia con la fluidita' della vita, che si rinnova e si rigenera costantemente. Significa percepire la continuita' del vivente, dalla nostra esistenza quotidiana a quella dell'universo, e comprendere il significato universale della nostra epoca, della simultanea interazione di diverse realta'. La comunita' terrena deve pulsare in armonia con le potenzialita' infinite di un universo in continua espansione, anche quando si trova ad affrontare minacce che mettono a rischio la sopravvivenza stessa della nostra specie. Essa custodisce le nostre speranze nei momenti piu' critici; ci lascia intravedere la pace in un mondo di guerre senza fine; ci induce ad amare la vita appassionatamente e con coraggio nonostante i messaggi di odio e morte veicolati dai media e dai gruppi di potere.

 

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Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena

 

1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco.

 

Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrita' e di un'identita' individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprieta' privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprieta' intellettuale.

 

2. La comunita' terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita.

 

Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto e' nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonche' i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanita'. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne' di trattarli con crudelta' e violenza.

 

3. Le diversita' biologiche e culturali devono essere difese.

 

Le diversita' biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversita' biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilita'. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversita'.

 

4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento.

 

Tutti i membri della comunita' terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento e' un diritto naturale perche' equivale al diritto alla vita. E' un diritto che non puo' essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita.

 

5. La democrazia della comunita' terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici.

 

La realizzazione di una democrazia della comunita' terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrita', provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunita' terrena e' un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunita' stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune.

 

6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali.

 

Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creativita' alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili e' quello di operare all'interno delle realta' locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunita' terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creativita' di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacita'. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate.

 

7. La democrazia della comunita' terrena e' una democrazia che tutela la vita.

 

Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamentodemocratico da adottare gia' a partire dalla quotidianita'. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanita' e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunita' terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunita' costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilita' ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi piu' alti applicando il principio della sussidiarieta'. La democrazia della comunita' terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno.

 

8. La democrazia della comunita' terrena si fonda su culture che valorizzano la vita.

 

Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di liberta' per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identita'. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanita' e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunita' terrena.

 

9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa.

 

Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignita' e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future. Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identita' diverse che condividono lo spazio comune della comunita' locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita.

 

10. La democrazia della comunita' terrena promuove un sentimento di pace e solidarieta' universale.

 

La democrazia della comunita' terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziche' separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidita', sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarieta', la giustizia e la sostenibilita'.

 

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Note

 

1. Il Pnac e' un think-tank americano con sede a Washington, fondato negli anni Novanta, al centro dell'elaborazione delle strategie "neocons" di politica estera statunitense.

 

 

7. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO

 

Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org

Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com

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COI PIEDI PER TERRA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 372 del 2 ottobre 2010

 

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