Telegrammi. 241



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 241 del 4 luglio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail:
nbawac at tin.it
 
Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: Una lettera al direttore
2. Oggi a Viterbo
3. Lisa Shannon: No, non e’ “cultura”
4. Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi intervistano Elena Liotta (parte prima)
5. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
6. "Azione nonviolenta"
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
 
1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: UNA LETTERA AL DIRETTORE
 
Caro direttore,
se mai mi permettessi di dire cio' che veramente penso, ebbene, direi questo.
Che trovo ignobile la complicita' di massa con la guerra cui l'Italia sta partecipando in Afghanistan.
E che trovo ignobile non si insorga contro il colpo di stato razzista in Italia.
Ma sono una persona civile, e non mi permetto di dire cio' che veramente penso quando so che questo dispiacerebbe a tanti cari amici (ad esempio quelli che sono pronti a stracciarsi le vesti - e fanno bene - quando il governo di un altro paese commette guerre e crimini, ma tacciono sbadigliando quando e' il nostro paese che a una guerra, una guerra terrorista e stragista, razzista e mafiosa, imperialista e totalitaria, sta prendendo parte; o ad esempio quelli che a tutto si adattano, compreso il colpo di stato razzista del governo hitleriano oggi in carica nel nostro paese, e magari colgono l'occasione per ricavarci pure qualche finanziamento pubblico). Pertanto mi taccio.
Mi professo e mi creda servitor suo devotissimo obbedientissimo eccetera eccetera.
 
2. INCONTRI. OGGI A VITERBO
 
Oggi, domenica 4 luglio 2010, con inizio alle ore 15,30, presso il centro sociale autogestito "Valle Faul" a Viterbo, si svolgera' il trentunesimo incontro di studio del percorso di formazione e informazione nonviolenta iniziato da alcuni mesi.
All'incontro partecipa il responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo.
Il centro sociale autogestito "Valle Faul" si trova in strada Castel d'Asso snc, a Viterbo.
L'iniziativa e' ovviamente aperta alla partecipazione di tutte le persone interessate.
 

3. MONDO. LISA SHANNON: NO, NON E' "CULTURA"

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Lisa Shannon, apparso sul “New York Times” del 25 giugno 2010.

Lisa Shannon e’ la fondatrice di “Run for Congo Women” e l'autrice di Un migliaio di sorelle: il mio viaggio nel posto peggiore sulla Terra per essere una donna]

 

Dopo un mese, durante il mio primo viaggio nel Congo orientale (teatro del conflitto piu' mortale dopo la seconda guerra mondiale), avevo ormai sentito un mucchio di storie orribili: dal cannibalismo forzato ad interi villaggi in cui gli abitanti sono stati bruciati vivi. Non era piu' facile scioccarmi. Ma uno scambio di battute con una lavoratrice del campo umanitario mi ha freddata.

Arrivai a Baraka, una citta' sul lago Tanganika che era zeppa di soldati congolesi e personale umanitario internazionale, nel febbraio 2007. Ho chiesto ad una scarmigliata donna europea, che lavorava con le Nazioni Unite, le condizioni di sicurezza. Entusiasticamente, lei mi descrisse il progetto video per convicere i rifugiati nella vicina Tanzania che non c'era pericolo a tornare a casa.

“Le milizie straniere se ne sono andate”, disse, “Ci sono solo stupri e saccheggi al momento. Nessun attacco”.

Sconcertata, ho chiesto: “Lei non considera lo stupro una minaccia alla sicurezza?”

“Lo stupro e' cosi' comune qui”, ha risposto lei, “E' culturale”.

Questa fu la prima delle molte volte che ho udito passar sopra agli stupri di massa in Congo definendoli “culturali”. La violenza sessuale in Congo e' fra le peggiori del pianeta. Le Nazioni Unite stimano che centinaia di migliaia di donne siano state soggette a stupri di gruppo, torturate e tenute prigioniere come schiave sessuali da quando il conflitto ebbe inizio nel 1998. Fu quando i gruppi armati cominciarono ad agire come mafie, combattendo per il possesso dei minerali nel Congo orientale. Per controllare il territorio, le milizie usano lo stupro come un'arma di loro scelta.

Nello scorso maggio, il senato statunitense ha incluso un provvedimento nella sua legge sulla regolazione finanziaria per assicurarsi che le ditte con appalti pubblici non comprino i “minerali del conflitto” dalle miniere controllate dalle milizie in Congo. Tali sforzi sono i benvenuti, per quanto grossolanamente tardivi.

Pure, noi in Occidente troviamo piu' facile percepire lo stupro come una parte accettata di una cultura non familiare, anziche' come un'arma di guerra che dovremmo aiutare a bandire. Troppo spesso i “nemici” diventano tutti gli uomini congolesi, invece che gli uomini con i fucili che terrorizzano la popolazione del Congo. Interpretando il caos e la violenza come “uomini contro donne” o minimizzando la crisi come “culturale” noi operiamo una profonda ingiustizia verso gli uomini congolesi. Invece di dare una mano, gli mandiamo un insulto implicito: E' un peccato, e' vero, ma... e' che voi siete fatti cosi'.

Tale percezione e' diffusa. Io lavoro a tempo pieno per le donne congolesi e mi trovo a spendere una inusitata quantita' di energie nel difendere gli uomini congolesi: che si tratti del confronto con il tizio pieno di soldi, al barbecue nel cortile del retro, che parla dei “rituali di stupro delle tribu' africane” o del confronto con un attivista per i diritti umani, mentre sediamo allo stesso tavolo da conferenze, che si avvita su “le radici culturali della violenza sessuale in Congo”.

Margot Wallstrom, l'inviata speciale del segretario generale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale durante i conflitti, ha cosi' di recente descritto tale modo di pensare: “il persistente convincimento che la violenza sessuale sia una tradizione, anziche' una tattica o una scelta”.

Qualsiasi congolese puo' dirvi che lo stupro non e' “tradizionale”. Accadeva in Congo prima della guerra, come accade dappertutto. Ma la proliferazione della violenza sessuale e' venuta con la guerra. Milizie e soldati congolesi usano ora entrambi la violenza sessuale come un'arma. Lasciata priva di controllo, la violenza sessuale ha trionfato nel Congo orientale devastato dal conflitto. Cio' non rende lo stupro “culturale”. Lo rende piu' facile da commettere. C'e' differenza.

Gli analisti spesso usano la frase “cultura dell'impunita'” per descrivere il Congo. John Prendergast, che ha lavorato nelle zone di conflitto africane per 25 anni, spiega: “Il primato della legge viene meno ed i perpetratori commettono crimini senza timore di denunce o castighi. Perdurando nel tempo, cio' conduce ad un ulteriore crollo dei codici della societa' e dello stesso tessuto sociale di una comunita'”.

I media, il personale umanitario e gli attivisti hanno tutti fallito in modo considerevole nel riportare le storie di uomini congolesi che sono stati uccisi perche' si rifiutavano di violentare. Durante le interviste che ho fatto a centinaia di donne, ho udito innumerevoli storie di uomini che hanno preferito, letteralmente, una pallottola in testa piuttosto che violare la propria figlia, sorella o madre. A Baraka, una sopravvissuta raccontava: “Tentarono di costringere mio fratello a stuprarmi. Lui rifiuto' e fu ucciso. Cosi' mi violentarono loro”.

Descrivere la violenza in Congo come “culturale” e' piu' che offensivo. E' pericoloso. La donna europea che minimizzo' la violenza sessuale come “culturale” implicava che le donne congolesi devono aspettarsi di essere stuprate. Nel far cio', e' venuta meno alla sua responsabilita' di darne l'avviso, come minaccia estrema alla sicurezza, ai rifugiati di ritorno. Piu' tardi, quello stesso giorno del 2007, incontrai venti donne congolesi che erano tornate dai campi profughi durante i sei mesi precedenti. In quel lasso di tempo, meta' di loro erano state stuprate.

“Il relativismo culturale legittima la violenza e ne scredita le vittime, perche' se tu accetti lo stupro come culturale, rendi lo stupro inevitabile”, ha scritto la signora Wallstrom, in un recente saggio firmato insieme al Ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Store, “Cio' fornisce uno scudo ai perpetratori e permette ai leader mondiale di scuotersi la violenza sessuale dalle spalle rendendola un'immutabile, per quando spiacevole, realta'”.

Quando biasimiamo tutti gli uomini congolesi per la violenza sessuale, non solo implichiamo che lo stupro e' qualcosa di inerente al territorio africano, ma evitiamo questioni critiche, in special modo quelle relative al ruolo che noi in Occidente giochiamo.

Chi e' stato zitto durante dodici anni di stupri di massa ed altre indescrivibili atrocita'?

Noi.

Chi finanzia il massacro con la propria avidita' per l'ultimissimo processore ed il telefono “intelligente” prodotti con i minerali che vengono dal Congo?

Noi.

Chi ha aiutato i combattenti a rifornirsi di armi?

Noi.

Cio' ci impedisce di tentare di porre fine alla crisi tramite un coordinato sforzo internazionale. Quando etichettiamo lo stupro in Congo come “culturale” ci siamo sfilati dalla questione. E questa si' che e' un'istanza culturale. Nostra.
 

4. RIFLESSIONE. MARCO GRAZIOTTI, MARTA MUREDDU, PAOLA PISTERZI INTERVISTANO ELENA LIOTTA (PARTE PRIMA)

[Ringraziamo Marco Graziotti (per contatti: paoloarena at fastwebnet.it), Marta Mureddu (per contatti: kengah_17 at yahoo.it) e Paola Pisterzi (per contatti: paola87 at hotmail.it) per averci messo a disposizione questa intervista.

Marco Graziotti, Marta Mureddu e Paola Pisterzi fanno parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Elena Liotta, nata a Buenos Aires il 25 settembre 1950, risiede a Orvieto, in Umbria; e' psicoterapeuta e psicologa analista, membro dell'Ordine degli Psicologi dell'Umbria, membro dell'Apa (American Psychological Association), socia fondatrice del Pari Center for New Learning; oltre all'attivita' psicoterapica, svolta prevalentemente con pazienti adulti, in setting individuale, di coppia e di gruppo, ha svolto e svolge altre attivita' culturali e organizzative sempre nel campo della psicologia e della psicoanalisi; tra le sue esperienze didattiche: professoressa di Psicologia presso la "American University of Rome"; docente in corsi di formazione, e coordinatrice-organizzatrice di corsi di formazione a carattere psicologico, per servizi pubblici e istituzioni pubbliche e private; didatta presso l'Aipa, societa' analitica accreditata come scuola di specializzazione post-laurea, per la formazione in psicoterapia e per la formazione di psicologi analisti; tra le altre esperienze parallele alla professione psicoterapica e didattica: attualmente svolge il ruolo di Coordinatrice psicopedagogica e consulente dei servizi sociali per il Comune di Orvieto, e di Coordinatrice tecnico-organizzativa di ambito territoriale per la Regione Umbria nell'Ambito n. 12 di Orvieto (dodici Comuni), per la ex- Legge 285, sul sostegno all'infanzia e adolescenza e alle famiglie, occupandosi anche della formazione e monitoraggio dei nuovi servizi; e' stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto; dopo la prima laurea ha anche lavorato per alcuni anni in campo editoriale, redazionale e bibliografico-biblioteconomico (per "L'Espresso", "Reporter", Treccani, Istituti di ricerca e biblioteche). Autrice anche di molti saggi apparsi in riviste specializzate e in volumi collettanei, tra le opere di Elena Liotta segnaliamo particolarmente Educare al Se', Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2001; Le solitudini nella societa' globale, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2003; con L. Dottarelli e L. Sebastiani, Le ragioni della speranza in tempi di caos, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2004; Su Anima e Terra. Il valore psichico del luogo, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2005; La maschera trasparente, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2006; A modo mio. Donne tra creativita' e potere, Magi, Roma 2007]
 

- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Da dove cominciare? Lei e' nata a Buenos Aires nel 1950 e risiede a Orvieto, in Umbria; e' psicoterapeuta e psicologa analista, ma ha svolto e svolge varie altre attivita': didattiche, di coordinatrice e docente di corsi di formazione, di consulente per servizi pubblici ed enti locali oltre che per associazioni di volontariato; ha lavorato in ambito editoriale, giornalistico, per istituti di ricerca e biblioteche; ha scritto vari libri; ed e' anche stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto. Dimentichiamo qualcosa di essenziale?

- Elena Liotta: Io aggiungerei una cosa personale, pero' importante perche' e' stata un po’ un motore della mia vita: sono mamma, e adesso anche nonna. E credo che tutte le cose che ho fatto e potuto scrivere riflettano l’importante cambiamento avvenuto nella nostra societa' occidentale nei rapporti tra uomini e donne, da me pienamente vissuto.

*

- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: La sua e' una vita di intenso impegno culturale e civile. Quali esperienze sono state decisive nelle scelte della sua vita, e quali maggiormente formative, e quali maggiormente coinvolgenti, piu’ appassionanti?

- Elena Liotta: Sicuramente nascere in America Latina nel 1950, dove ho studiato e sono cresciuta, ha segnato la mia vita. Poi, trovarmi a 18 anni nel ’68 in Italia (e non in Argentina dove probabilmente non sarei sopravvissuta) ha significato qualcosa. Date, luoghi che mi hanno indirizzato fortemente. Poi, ancora, l’universita', la mia prima laurea in Lettere, ma indirizzata all’orientalistica, che ha dato una sfumatura diversa al mio dissenso, al mio bisogno di cambiamento nella societa' in cui vivevo, non prendendo la forma della protesta come reazione violenta, ma del cambiamento tramite l’osservazione di se'. I miei studi sono stati di tipo filosofico-religioso, la storia delle religioni, delle tradizioni popolari, antropologia e tutta l’orientalistica: religione e filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, la storia, la letteratura. Anche nell’avvicinarmi alla psicologia del profondo, che e' stata oggetto della mia seconda laurea,  mi sono sempre domandata che cosa succede dentro all’essere umano, piu' che cosa fa fuori. Cosa induce a certi comportamenti, individuali e sociali. La protesta, il cambiamento, tutto fa ritorno alla psiche dell’essere umano. Bisogna sapere che cosa si sta facendo, perche' lo si fa e come funziona la nostra mente in generale. Una mancanza di consapevolezza puo' creare gravi danni nei passaggi culturali e storici. Ho conosciuto e studiato in quei contesti il pensiero di Gandhi, naturalmente, che unisce mirabilmente il dentro e il fuori dell’essere umano. Poi il mio impegno politico piu' recente, inaspettato. Infatti, prima che diventassi assessore nei primi anni Novanta, io ero gia' impegnata politicamente nei vari movimenti di contestazione e critica sociale, ma mai ero stata iscritta ai partiti. Un altro passaggio importante della mia vita, e soprattutto scelto, e' stato venir via da Roma per vivere in campagna, in un centro piu' piccolo e nella natura, non tanto in cerca di isolamento, ma per trovare una dimensione a misura d’uomo e di donna.  Dopo poco e in modo parzialmente casuale, sono stata invitata ad occuparmi delle politiche sociali, educative e sanitarie della citta'. Questa esperienza mi ha permesso di osservare concretamente la dimensione locale, il suo rapporto con quella metropolitana e in via di globalizzazione. Mi ha permesso anche di capire che la realizzazione di modelli di vita alternativi non e' semplice. C’e' in giro tanta letteratura ecologica, spesso maturata in ambiente metropolitano, sul risparmio energetico, la decrescita, il localismo, cose di cui mi occupo con interesse profondo. Vivere fuori dalle citta' aiuta a capire cosa e come si puo' fare davvero e cosa no, almeno per oggi. Potrebbe sembrare che sia facile, oltre che desiderabile, cambiare stile di vita, e invece non lo e' per niente.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Che risultati ha ottenuto con la sua attivita’ di promozione dei diritti sociali? Quali ostacoli ha incontrato?

- Elena Liotta: Quando sono stata attiva nella politica istituzionale, esperienza nuova per me, ho capito com’e' difficile governare in Italia in una politica come quella che abbiamo, per chiunque. Essendo tutto collegato in strani equilibri, qualunque cosa si faccia ci sara' qualcuno che protestera'; e' molto difficile il lavoro di mediazione, non si e' mai a conoscenza fino in fondo di cio' che sta accadendo. Quindi per chi e' abituato a essere responsabile in prima persona non e' facile muoversi in un contesto politico. Ci sono in Italia ancora vari strati di potere percio' se si e' in un partito, e poi in una giunta, si e' soggetti a controllo, che e' giusto, ma anche ad una forma di espropriazione di quello che si fa o no, o anche ad una forma di complicita' che a volte e' ignota. Se in una giunta, ad esempio, una persona non si intende di lavori pubblici, o altre materie, potrebbe un giorno trovarsi nei guai senza aver personalmente fatto nulla di male.  Dopo circa tre anni mi sono dimessa perche' non mi sentivo al mio posto. Come esperienza e' stata molto utile perche' mi ha fatto capire meglio di quanto potessi immaginare come funziona il potere. Ma io avevo scelto molto presto nella vita di lavorare in altri contesti, quelli di cura, educativi, di sostegno ai deboli. La politica e' andata bene perche' in qualche modo nel sociale non circolano grandi somme di denaro e spesso tutto viene affidato alle donne. Inoltre, non si tratta di un’area particolarmente appetibile e lavorando con tanto impegno ho stabilito un contatto positivo con la citta', che ancora dura in altre forme. Sono consulente del Comune per il settore educativo-scolastico e per la biblioteca. La mia uscita non e' stata di protesta ufficializzata, ho spiegato che, oltre a questioni personali che mi avevano colpito (lutti familiari), mi sentivo sovradimensionata da una parte e sottodimensionata dall'altra, questo perche' non sono cresciuta nella politica istituzionale ne' pensavo di volerlo fare. Avevo gia' piu' di quarant'anni, e a posteriori sono contenta cosi'. Si puo' fare politica anche in altri modi.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Visto che ne parlavamo, in quali progetti e’ impegnata attualmente?

- Elena Liotta: Attualmente lavoro sempre meno sul piano clinico, ovvero con pazienti singoli, come ho fatto per molti anni. Insegnavo anche nella formazione specialistica di futuri psicoterapeuti, cosa che ho mantenuto. Come anche l’attivita' di supervisione di vari servizi sociali, pubblici, su base mensile, o se necessario con piu' frequenza.

Qui a Viterbo lavoro all'Arci per il servizio a favore dei rifugiati, a Pisa alla Casa della donna, per il gruppo che si occupa del maltrattamento, tramite l’ascolto telefonico, la Casa rifugio, il gruppo delle avvocate, ecc. A Roma, sempre per il Comune, sono alcuni anni che svolgo attivita' formativa con le educatrici di una decina di asili nido. Con il Comune di Orvieto sono ufficialmente coordinatrice pedagogica dal 2000, e seguo vari servizi, dalla prima infanzia (asili nido) all'adolescenza (Centri di aggregazione giovanile), mi occupo di genitorialita', faccio incontri all’Universita' della Terza Eta', in biblioteca tengo dei laboratori (sul sogno uno e l’altro sugli stili di vita), in pratica mi curo di tutta la componente umana, ma non psicoterapeuticamente in senso stretto. Ho elaborato nel tempo una modalita' in cui il sapere intorno alla psiche viene trasmesso a partire dall’esperienza diretta di comportamenti e vissuti comunicati in un’atmosfera conviviale, come direbbe Illich, e con linguaggi semplici e chiari, non specialistici. Di fatto lavoro per creare maggiore consapevolezza, rispettando il punto di partenza delle persone. Ad esempio, se si parla di ambiente, si parla di ambiente, non si fanno interpretazioni psicologiche, tantomeno psicoanalitiche. E' un modo per educare a un pensiero piu' profondo. Dimenticavo, faccio  la coordinatrice pedagogica anche per il Comune di Citta' della Pieve.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Non si annoia!

- Elena Liotta: No, non mi annoio, a volte mi sento anche un po' caricata.

Pero' voglio spiegare che tutto questo dentro di me e' fortemente collegato, io ho queste due o tre idee-cardine e alla fine sono sempre quelle (tra cui la nonviolenza e' fondamentale!), e vedo che sono giuste per i bambini, per gli adulti, per le donne, per tutti. E' solo che vanno "somministrate" in ogni situazione con il linguaggio di quella situazione, l'abilita' e' tutta li', questo e' cio' che fa la differenza, affinche' tutti capiscano con la loro possibilita' di capire per poi ampliarla.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Passiamo alla nonviolenza, com'e’ avvenuto il suo accostamento ad essa?

- Elena Liotta: Io penso che pur considerandomi una persona reattiva, infatti non e' che le cose mi scivolino addosso, ho sempre avuto una forma di rifiuto mio, intrinseco, per la violenza, di qualsiasi genere. E' proprio una cosa naturale. Ho potuto rinforzarla quando lessi Teoria e pratica della nonviolenza di Gandhi, che per me e' stato un libro fondamentale, in occasione del mio primo esame di Religioni e filosofie dell'India. Dopo aver fatto anche un periodo di ricerca per il Cnr a Londra, sull'incontro tra Oriente e Occidente, feci la mia tesi con Corrado Pensa, su Vimala Thakar, una filosofa indiana che e' morta di recente. Questa donna aveva studiato economia e filosofia, e per un periodo aveva seguito Vinoba Bhave, uno dei piu' grandi seguaci di Gandhi in India, e il suo movimento. Dopo aver trovato un suo orientamento personale, Vimala e' venuta in Europa, ha viaggiato per il mondo tenendo seminari sulla consapevolezza, e' stata come un'anima femminile gandhiana. La considero una mia maestra. Tra le altre importanti figure ci sono stati Krishnamurti, e tutti coloro che rappresentano quella parte dell'India, fecondata nel ‘900 dal pensiero di Gandhi, che in Occidente ha fatto moltissimo. Non sono i guru, che hanno costituito un altro tipo di influenza, sono filosofi, pensatori, come puo' essere oggi Panikkar.

Grazie alla mia tesi ho approfondito molto, con uno sguardo femminile, meno politico, non movimentistico, ma piu' di cambiamento interiore, come si fa a diventare nonviolenti dentro, poi ho conseguito anche la laurea in psicologia e contemporaneamente ho fatto un training analitico che ha prodotto altre consapevolezze e cambiamenti in me. L’attenzione all’interiorita' non significa passivita', come molti immaginano a torto. Sono una persona attiva, che non si tira indietro se e quando c'e' da fare. Ecco, secondo me bisogna anche fare, venendo dal '68 posso dirvi anzi che qualcosa bisogna anche fare. Soprattutto oggi.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: A questo proposito quando dice che l'avvicinamento alla nonviolenza debba partire dall'interno, come possiamo attuare questo cambiamento considerando che “di natura” l'uomo tende a prevalere sull'altro, o almeno e’ questo cio’ che ci hanno insegnato?

- Elena Liotta: Esatto, questo e' quello che ci hanno insegnato, perche' non e' cosi', ne parlo anche nel mio libro Su Anima e Terra: il mondo e' fatto piu' di persone nonviolente che di persone violente, perche' la maggior parte delle persone non va in giro ne' ammazzando ne' prevaricando, sono molti meno quelli che lo fanno. In tutta l'America Latina ci sono state tante lotte interne, pero' a nessuno e' venuto in mente di venire a colonizzare l'Italia o l'Europa, nessuno si e' mosso da li' per venire a colonizzarci. L'Europeo ha questa natura troppo... diciamo "intraprendente" o "invadente"? Molti popoli della terra non sono cosi', quindi significa che essere umani non vuol dire automaticamente essere violenti. Pero' viene insegnato questo. A furia di dirlo si realizza.

Il fatto di poter avere delle reazioni estreme aggressive non significa essere di natura violenta. Quindi io credo molto che si possa cambiare, ma i contesti sono il vero problema. Il contesto e' la cultura, la politica, l'economia di un paese, e' questo che fa l'essere umano, che e' poi condizionabile, e questo, ahime', di sicuro lo e'. Per me l'educazione e' tutto.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Che cosa possiamo fare concretamente per accostarci alla nonviolenza?

- Elena Liotta: Io direi che dipende proprio dal contesto in cui ci si muove, chiaramente se si e' attivisti della nonviolenza si dovranno organizzare delle campagne, delle iniziative ecc. questo va da se'. Le soluzioni devono essere sempre integrate. Credo che chiunque voglia possa lavorare sulla nonviolenza, con un po' di esame di se', di consapevolezza, di osservazione delle proprie parti violente, rabbiose, reattive. Chiunque lo dovrebbe fare, io lo metterei quasi come obbligo morale. Fa un certo effetto sentire persone che parlano di nonviolenza e sono le prime ad essere profondamente violente, anche verbalmente. Si tratta di un punto molto gandhiano. Gandhi lo diceva sempre. Diceva “non faccio mai niente se non l'ho prima elaborato dentro di me”, che e' il principio di qualsiasi psicologia del profondo, del guardarsi dentro. Conoscere se stessi. E’ facile dire, scrivere, parlare. Ma se vogliamo disinnescare la violenza dobbiamo esperire in prima persona, capire di prima mano come funziona e come funziona invece la nonviolenza. Qui arriviamo alla fondamentale differenza tra psicologia e psicoterapia. La psicologia e' lo studio e la conoscenza della psiche, si tratta di imparare "come funziona la macchina", lo dovrebbero fare tutti, penso che dovrebbe essere in tutti i corsi di studio universitari, e' un preliminare.

Bisogna capire, ad esempio come funziona un gruppo, ormai oggi si sa: anche i gruppi hanno dinamiche psicologiche, se non le conosci come puoi gestire, governare un gruppo? Una classe, una squadra, una qualsiasi aggregazione. Magari alla fine si governa solo con l'autoritarismo. Ci si casca facilmente in queste derive. La deriva autoritaria e' sempre li' pronta, e' in chi non ha altri mezzi e oggi, lo sapete, si puo' essere autoritari senza neanche alzare la voce, senza neanche usare le armi, abbiamo tante altre forme di costrizione e ricatto. Sempre violenza e'.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Cosa ne pensa dell'attuale legge sull'immigrazione in particolare della legge 94/2009, dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), delle deportazioni; e cosa si dovrebbe fare?

- Elena Liotta: Ne penso il peggio possibile, tutto cio’ mi ferisce, come italiana e come straniera. Vorrei che tutti gli immigrati scioperassero cosi' l’Italia si fermerebbe! Ma se neanche gli italiani lo fanno piu'?

Cioe' e' qui che le domande e le risposte si fanno complicate, perche' il rapporto tra le culture, il modo in cui e' organizzato tutto oggi e' fortemente concatenato ad interessi corporativi, mafiosi, c'e' dentro di  tutto. Come si fa a prendere in considerazione solo  l'immigrato che arriva, che e' l'ultimo tassello? Non vi so rispondere a questa domanda, non so cosa si puo' fare, pero' io intanto ho scelto di lavorare con chi arriva. Per lui posso fare qualcosa, qualcosina. Occorrono pratiche nuove, vedo che esistono modi per uscire dai circuiti piu' stretti, grazie all'uso di internet. Oggi se si lavora sul piano locale, non va dimenticato che tante cose che succedono sono collegate a cio' che succede nel mondo. E' importante fare buon uso di internet o comunque essere abili in questo, un giovane non puo' rinunciarvi. Come anche conoscere una lingua, e' importante se si vogliono aprire un po' gli orizzonti. Anche inventarsi delle pratiche nuove, perche' a volte quelle a cui si e' abituati producono pochissimo, cioe' producono il consenso in chi il consenso ce l'ha gia', e ci si ritrova sempre tra gli stessi. Va benissimo perche' ci si tiene su, ci si rinforza, ci si consola, si e' pochi ma buoni, si dicono una serie di cose, ma per allargarsi bisogna sapere argomentare, fare attivita' che raggiungano piu' persone, appassionarli a una visione diversa della realta'. Inoltre, parlando di nonviolenza e' fondamentale essere di modello col proprio esempio, ci vuole almeno un po' di coerenza. Poi scrivere, usare le immagini, comunicare nei modi in cui oggi si puo', fare senz’altro un'attivita' di diffusione in modo convincente ma anche incontrarsi tra persone, guardarsi in faccia, ristabilire rapporti di vicinanza. E, infine, dare un certo sfogo alla fantasia per trovare nuovi modi, non rimanere intrappolati nella formule altrui. Mi piace dire che se le cose umane sembrano sempre piu' o meno le stesse, sono i tempi in cui avvengono che non sono gli stessi. E questa variabile va rispettata.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Ogni giorno la tv ci bombarda di notizie dove il problema e’ identificato sempre nell'immigrato, come possiamo evitare di essere influenzati?

- Elena Liotta: Anche qui, ricordiamoci che nel mondo sono numericamente  molti di piu' i non razzisti che i razzisti. Spesso facendo delle supervisioni di gruppo con operatori vari di situazioni sociali mi si parla dei casi singoli come se rappresentassero la realta' intera. Si tratta invece dell’eccezione che turba. Se usato in modo manipolativo questo fattore drammatizzante sposta fortemente l’opinione pubblica. La maggior parte della gente non e' razzista, non e' che lo sta diventando o non lo sta diventando, certamente se ci si mettono di punta e si inizia dall'infanzia si riesce a far diventare razzisti, nazisti, un intero popolo. Allora come si puo' contrastare questo rischio? Ognuno puo' farlo intanto nel proprio campo e raggio di azione. A me stare con gli stranieri piace molto, a volte sto meglio con loro che con gli italiani, figuriamoci, ci sono nata e cresciuta, sono abituata alle pelli di altri colori, ma molta altra gente e' cosi'. Allora ci vogliono sempre piu' occasioni di incontro, vediamo tutto quello che fanno anche qui a Viterbo all'Arci, con tutte le difficolta' che a volte ci sono. I rifugiati non e' che siano tutti tranquillissimi (come potrebbero? ci si mette mai davvero nei loro panni?), pero' la maggior parte lo e', la maggior parte si integra, fa il suo percorso. Poi c'e' qualche caso, ma quello e' normale, anche tra gli italiani e' cosi'. Io sono favorevole a una costante demistificazione di cio' che viene detto sui media, dubitare su tutto. Tante volte si riecheggiano parole che tutti dicono, e questa e' la manovra del grande giocoliere della societa' dello spettacolo: a furia di dire una cosa, quella diventa vera. Tutti quanti cominciano a pensare che e' vero, ma se guardi alla realta' che hai accanto puoi vedere che ci sono pochi casi e che tante persone sono ben disposte verso gli stranieri. Con quel nucleo di diffidenza umana che si ha anche tra italiani che non si conoscono, di altre regioni o addirittura quartieri...

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Ci continuano a far vedere soltanto dei singoli casi...

- Elena Liotta: Esatto; e' una manovra sottile, psicologica. Come per la crisi: c'e' la crisi, non c'e' la crisi, alla fine non si sa se c'e' la crisi o no; cioe': qual e' il punto? Che non si sa, che ti resta il dubbio. Magari vedi che hai da mangiare, il tetto sulla testa c'e', ma allora che crisi e'? Poi pero' intorno a te c'e' chi ha perso il lavoro. E' vero che c'e'. Quel dubbio corrode, e l'essere umano quando non ha le cose chiare tende mediamente a ricadere su un piano materialistico, quindi a cercare rassicurazione nelle cose concrete, allora spende di piu'. Queste sono delle perversioni e chi governa lo sa benissimo. Per gli stranieri andrei avanti facendo attivita' di integrazione, lavorando con gli immigrati, per gli immigrati, quando e' possibile. Infine, se si puo', e' importante esprimere un parere con il voto, con una protesta, perche' la parte politica ha bisogno di essere scossa dal basso.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Sull'ambiente, prima ci ha parlato della vita in campagna, quali sono gli ostacoli che incontra ogni giorno?

- Elena Liotta: Prima di tutto qui vorrei dire: no alle mode! Sono diciassette anni che vivo in campagna e non ci vivo nemmeno da contadina, pur avendo un orto, figuriamoci come sarebbe viverci da contadine. Ci sono tutti quei libretti, i manualetti, su come risparmiare e tutta una lista di cose che si dovrebbero fare, la maggior parte delle quali invece non si possono fare. A meno che non si sia pensionati o disoccupati. Io non posso non usare la macchina, perche' non esiste una rete decente di autobus in tutto il territorio che io possa utilizzare. Adesso hanno anche tagliati i treni. Le persone anziane nella frazione in cui abito io, come i ragazzi e le ragazze, o vengono accompagnate o restano isolate. Hanno svuotato le frazioni, hanno fatto un disastro sul piano delle comunita', allora la comunita' bisogna ricostruirsela, mettendo petrolio dentro le automobili. Qualcuno dice di prendere la bicicletta. Ma dove la prendi la bicicletta? A Ferrara o a Pisa. L'Italia, l’Umbria poi e l’Alto Lazio, e' fatta tutta di colline! Non e' praticabile con la bicicletta. E poi in bicicletta chi ci va? Il giovane, il single, perche' la mamma coi bambini, che deve andare a fare la spesa, che lavora, con orari da cani, come fa? I giornalisti che si buttano in queste innocenti imprese volendo dire alla gente come debba campare, non hanno la piu' pallida idea di come campa veramente la famiglia media italiana. Questa e' una cosa che sempre noto. Tante manovre di tipo pubblicitario. Sembra che si faccia qualcosa, sembra che si faccia la raccolta differenziata, ma poi tutto quanto viene buttato in discarica. Sembra che... sembra che... e la realta' e' sempre scollegata. C’e' la realta' ideale, c’e' quella pubblicitaria, poi c’e' quella vera.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: In realta’ si consiglia ma non si mette la gente in condizione di farlo...

- Elena Liotta: No, infatti. Alcune, poche, rare persone sono nelle condizioni giuste per "ridurre la loro impronta ecologica". Le altre soffrono nel desiderarlo, ma accorgendosi di non poterlo fare o non riuscirci, aumenta il proprio disagio. Nell’insieme i rifiuti aumentano e gli stili di vita non cambiano. Questo vale per tutto, risparmi energetici compresi. E' un disastro, un vero disastro; e' molto triste.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: A questo proposito, lei ha aderito alla campagna contro il mega-aeroporto di Viterbo...

- Elena Liotta: Ma e' proprio lo stile di vita che e' in gioco, anche qui. Al laboratorio sugli stili di vita, che e' il progetto a cui terrei di piu', la gente non viene sempre volentieri. C’e' incostanza, non si percepisce l’urgenza. Forse e' una vera a propria rimozione. Pochi vogliono affrontare le sfide di una reversione di comportamenti. Alla fine ci vengono gli stessi, i soliti. Magari si va una tantum ad ascoltare le conferenze tradizionali, piu' "culturali", sull'arte, le antichita', le teorie scientifiche, ecc., ma sul come stiamo vivendo, tutto sommato pare che non si desideri capirne di piu'. Nel laboratorio non si danno suggerimenti su "come si dovrebbe vivere". Ecco no, io non lavoro cosi'. Io lavoro sul come si vive realmente. Come state vivendo? Abbiamo fatto l'inventario degli oggetti nell'armadio. Quanti vestiti, quante scarpe, quante maglie. Vogliamo cominciare dalla verita'? Cerchiamo di capire perche' dobbiamo sempre essere pieni zeppi di cose. Quando anch'io mi sono messa a contare, pur avendo gia' eliminato molte cose, vedendo il numero di sciarpe che avevo - molte mi sono state regalate - ero comunque allibita. Non so! Piu' di una cinquantina. Ma uno che ci deve fare con cinquanta sciarpe? Con quaranta paia di scarpe? Dove le tieni? Occupi spazio, ci vuole manutenzione. E' uno spreco, e' proprio il modo in cui viviamo, grida vendetta su tutta la linea, figuriamoci prendere gli aerei quando non serve. E quando serve davvero?Domandatevi perche' vi volete muovere tanto. In una vignetta di Altan si legge: “cerco di andarmene lontano ma mi vengo sempre dietro”, tanto dovunque tu vada sei sempre tu, no? E allora forse anche su questo desiderio di fuga da se stessi, di fuga lontano da tutto, indotto poi mediaticamente, e' meglio riflettere. Vado in aereo a respirare aria buona lontano, mentre me la inquina il traffico aereo a casa? E’ demenziale. Ci inducono ormai ad andare via (voli a prezzi stracciati) mediamente una volta al mese. Facendo il conto delle feste ho calcolato che ce ne e' una al mese, feste in cui si spendono soldi e la tv dice "dove andranno gli italiani?Quanto spenderanno?". Ma perche' ci dovrebbe interessare? E giu' con le induzioni. La festa della mamma, del papa', del nonno, della donna, Natale, Pasqua, Santi e morti, i famosi ponti. C'e' chi si sorprende se dici che non vai da nessuna parte, ma perche' dovrei? Finche' questa mentalita' non cambia e non si comincia tranquillamente a dire “perche' dovrei partire con l’aereo?” e qualche volta sara' si', ma molte altre no, non cambiera' nulla. Magari pero' qualcuno puo' pensare che se anche la dottoressa non parte, non e' poi cosi' sconveniente e forse puo' non partire anche lui. I cambiamenti avvengono anche cosi'. Avendo il coraggio di modellare un comportamento diverso, senza fare chiasso, senza gridare, ti comporti in un certo modo e lo dici chiaramente. Lo ammetto, io non compro i giornali da anni. Perche' non credo a quasi nulla di cio' che scrivono. Tutti.

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- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Per quanto riguarda gli spostamenti in aereo, alcune persone sostengono di essere costrette a spostarsi da una citta’ all'altra in breve tempo, e in questo caso l'aereo sembra quasi necessario, cosa pensa di questo?

- Elena Liotta: Diciamo che se accadesse una catastrofe questo si modificherebbe da se', cosi' uno non potrebbe andarci più. Spontaneamente il sistema non si modifica, ma non so se dobbiamo essere contenti di aspettarci le catastrofi. Forse bisogna rivedere l’idea della "necessita'" con cui si giustificano troppe scelte.

Una cosa che secondo me ha a che fare anche con la pace e con la nonviolenza, e' che una societa' troppo frammentata non permette il costituirsi del legame di comunita' umana. Se si vive da una parte, si studia da un'altra, si lavora in un'altra ancora, non ci si puo' dimenticare che per quanto si possa comunicare via internet, l'essere umano ha bisogno di stare vicino alle persone, vederle, toccarle. Una coppia che non si incontra mai, e' destinata ad avere una crisi, alla fine la famiglia non c'e' piu'. Bisogna parlare, guardandosi in faccia. Questa frammentazione totale significa anche, per certi versi, controllare meglio tutto. "Divide et impera", no? Qui arriviamo al problema del localismo, che come la decrescita, definita “felice” - io piu' che felice, che mi pare un po' troppo, direi serena - definirei come "localismo intelligente". E’ assolutamente necessario che si lavori su base locale, avendo una comunita' di riferimento, potendo vedere i tuoi figli crescere. Passati certi momenti, non li recuperi piu'. Deve esserci un ritorno a una dimensione umana della vita, per questo l'aereo e' smisuratamente "fuori". Sono d'accordo che gli aerei esistano, sono stati inventati, ma che vengano usati per le cose necessarie, come all'inizio e' stato per i cellulari, ce li avevano solo i medici o coloro che comunque gestivano emergenze.

Ciascuno poi fa quel che puo' nel corso di una vita. Personalmente scelgo di non fare piu' certe cose e di non nasconderlo. Quanto posso influenzare gli altri io con le mie scelte? Forse un po' si'. Scrivo, cerco di esprimere un dissenso per quello che vedo, perche' sono profondamente convinta da psicologa e psicoterapeuta che il malessere globale delle persone e' tale che se non cambia lo stile di vita avremo sempre piu' clienti, pazienti, droghe, farmaci, antidepressivi, perche' pian piano sta diventando sempre peggio. La gente vive male, continua a vivere male. Non bisogna essere tossicodipendenti ed entrare nel meccanismo specifico; le dipendenze sono tutte tossiche, eccetto quelle affettive primarie, che sono le uniche sane (se rimangono all’infanzia), il resto e' tutto tossico.

(parte prima - segue)

 
5. APPELLI. IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento.

Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato.

Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235.

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Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 
6. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
 
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
 
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Riletture
- Harold Bloom, L'angoscia dell'influenza, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 168.
- Harold Bloom, Il canone occidentale, Bompiani - Rcs Libri, Milano 1996, 1999, pp. X + 490.
- Harold Bloom, Come si legge un libro e perche', Rcs Libri, Milano 2000, 2001, pp. 384.
- Harold Bloom, Shakespeare. L'invenzione dell'uomo, Rcs Libri, Milano 2001, 2003, pp. 580.
- Harold Bloom, Il genio, Rcs Libri, Milano 2002, 2004, pp. 946.
 
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
9. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 241 del 4 luglio 2010
 
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
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