Coi piedi per terra. 276



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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 276 del 28 giugno 2010
 
In questo numero:
1. Paolo Finzi ricorda Colin Ward
2. Una bibliografia essenziale di Colin Ward
3. Alcuni estratti da "Acqua e comunita'" di Colin Ward
4. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
 

1. MEMORIA. PAOLO FINZI RICORDA COLIN WARD

[Da “A. Rivista anarchica” n. 352 dell’aprile 2010 riprendiamo il seguente ricordo apparso col titolo “Mio padre e Colin”.

Paolo Finzi (Milano, 1951) giornalista e saggista, politologo e conferenziere, e' una delle figure piu' prestigiose e autorevoli della cultura libertaria in Italia; fa parte della redazione di "A. rivista anarchica" fin dalla sua fondazione nel 1971. Tra le opere di Paolo Finzi: La nota persona. Errico Malatesta in Italia, La Fiaccola, Ragusa 1990; Insuscettibile di ravvedimento. L'anarchico Alfonso Failla (1906-1986), La Fiaccola, Ragusa 1993; amico fraterno di Fabrizio De Andre' fin dal 1974, ha pubblicato, dopo la sua morte, il dossier "Signora liberta', signorina anarchia" (2000), il cd "Ed avevamo gli occhi troppo belli" (2001), il dvd "Ma la divisa di un altro colore" (2003) e il doppio cd "Mille papaveri rossi" (2004), tutti dedicati alla figura del cantautore genovese.

Colin Ward (1924- 2010) e' stato uno straordinario militante, pensatore, educatore e saggista anarchico; e' deceduto l'11 febbraio 2010 a Ipswich. Dalle sue opere molto abbiamo appreso]

 

Una piccola premessa. Nella coppia dei miei genitori, e’ sempre stata mia madre l’anima politica, la partigiana, la socialista, l’attivista dell’Udi (le donne di sinistra) e del Cemp (educazione sessuale e diffusione della pillola anticoncezionale). Mio padre, morto 21 anni fa, era una brava persona, un imprenditore legato al fare, al lavoro, una persona sicuramente antifascista, politicamente direi un liberal, con la mente curiosa e aperta, troppo pratico per sentir proprie le ideologie. Era persona interessata a conoscere; parlava con lo stesso interesse del suo incontro con mio suocero, l’anarchico Alfonso Failla, e di quello avvenuto in ben altro contesto con il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Era come spiazzato dalla mia militanza anarchica. Venne a sentire alcune mie conferenze, una volta si spinse addirittura a Rimini per sentirmi parlare di Errico Malatesta. Apprezzava, cercava di comprendere, ma c’era troppa ideologia, troppi programmi futuri da realizzare. E la sua concezione antropologica, espressa al meglio dalle poesie di Trilussa (tante ne recitava a memoria), non lasciava spazio a utopie, sogni, anarchie.
All’inizio degli anni ’70, una mattina, entro’ in camera mia insolitamente agitato. Gli avevo dato da leggere un libro di Colin Ward, in inglese: Anarchy in action, che dopo sarebbe stato tradotto per i tipi dell’Antistato con il titolo Anarchia come organizzazione. In sostanza mi disse: e’ inutile che stampiate una rivista e tanti libri pieni di teorie, che servono a voi che siete gia’ convinti, ma non convincono nessuno. E’ questo il libro che dovete tradurre. L’anarchia spiegata da questo Ward e’ una cosa seria, comprensibile, che si fa rispettare. Se voi anarchici volete un consiglio, stampate e distribuite questo libro.
Era un imprenditore, mio padre, seppure di quelli “all’antica”. Di fronte al mio antimilitarismo mi ripeteva spesso “Se sei qui, ringrazia per tutta la tua vita i resistenti di Stalingrado e i piloti inglesi della Raf”. Ebreo, poliglotta, aveva vissuto la stagione dell’Olocausto. La vita era per lui una cosa terribilmente concreta. Conobbe e apprezzo’ tanti compagni nostri, suoi coetanei. Ma solo Colin Ward riusci’ nel miracolo di fargli apparire “concreta” l’utopia anarchica. Scusate se e’ poco.
 

2. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI COLIN WARD

[Dal sito di "Anarchopedia" (http://ita.anarchopedia.org) riprendiamo la seguente bibliografia essenziale di Colin Ward]

 

- Anarchy in Action,Allen & Unwin 1973, Freedom Press 1988 (trad. it.: Anarchia come organizzazione, Antistato, Milano, 1976 e ried. Eleuthera 2006).

- Streetwork: The Exploding School, con Anthony Fyson, Routledge 1973.

- (a cura di), Vandalism, Architectural Press 1973.

- Utopia, Penguin 1974.

- Tenants take Over, Architectural Press 1976.

- Work, Penguin Education 1978.

- Violence, Penguin Education 1979.

- Housing: An anarchist approach, Freedom Press 1983.

- (a cura di), British School buildings: Desing & Appraisals, Architectural Press 1977.

- The Children in the City, Architectural Press 1979; Penguin 1994 (trad. it.: Il bambino e la citta’, L'Ancora del Mediterraneo 2000).

- (con Dennis Hardy), Arcadia for All: the Legacy of a Makeshift Landscape, Mansell 1986.

- When we Build Again, Lets have Housing That Works, Pluto Press 1985.

- (con Dennis Hardy), Goodnight Campers! The History of the British Holiday Camp, Mansell 1986;

- Chartres: the Making of a miracle, Folio Society 1986.

- (a cura di), A Decade Of Anarchy, selezione del mensile “Anarchy” 1961-1970, Freedom Press 1987.

- (con David Crouch), The Allotment: Its landscape & culture, Faber & Faber 1988.

- The Child in the Country, Hale 1988; Bedford Square Press 1990.

- Welcome Thinner City, Bedford Square Press 1989.

- (con Ruth Rendell), Underminig The Central Line, Chatto & Windus 1989.

- Talking Houses, Freedom press 1990.

- (con Tim Ward), Images of Childhood, Sutton 1991 (trad. it.: Dopo l’automobile, Eleuthera 1997).

- Influences: Voices Of Creative Dissent, Green Books 1992.

- New Town, Home Town: The Lessons of Experience, Gulbenkian Foundation 1993.

- Talking Schools, Freedom Press 1995.

- Reflected in Water, Cassel 1997 (trad. it: Acqua e comunita’, Eleuthera 2003).

- (a cura di D. Goodway), Conversazioni con Colin Ward Eleuthera 2003.

- Anarchism, Oxford up 2004 (trad. it.: L’Anarchia, Eleuthera 2008).
 
3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "ACQUA E COMUNITA'" DI COLIN WARD
[Riproponiamo - ripresi dal sito www.tecalibri.it - i seguenti estratti dal libro di Colin Ward, Acqua e comunita'. Crisi idrica e responsabilita' sociale, Eleuthera, Milano 2003 (ed. orig.: Reflected in Water, A Crisis of Social Responsibility, 1997)]
 
Indice del volume
Presentazione dell'edizione italiana, di Teresa Isenburg; Al lettore italiano; Prefazione; I. La condivisione di un bene comune; II. La "tragedia dei beni comuni"; III. Societa' idrauliche e speranze regionali; IV. Il fascino della diga; V. Zuffe per l'acqua; VI. Piccolo e locale; VII. Donne al pozzo; VIII. L'acqua mercificata; IX. L'ineguale mondo dell'acqua; X. Acqua sporca; XI. Crisi confluenti; XII. I piaceri dell'acqua; Suggerimenti bibliografici, a cura di Teresa Isenburg.
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Da pagina 19
Prefazione
"C'e' qualcosa che lega tutti gli uomini e le donne del mondo in modo tanto stretto e intimo che ogni differenza di colore, religione e cultura diventa, di fronte a esso, insignificante... composto per il 55 per cento di acqua, il flusso vitale del sangue che scorre nelle vene di ogni membro della specie umana dimostra che la famiglia umana e' una realta'. Migliaia di anni fa, l'essere umano ha scoperto che questo fluido gli era indispensabile e prezioso oltre ogni prezzo" (Richard M. Titmuss, The Gift Relationship)
Richard Titmuss scriveva non dell'acqua ma del sangue. Studiava la trasfusione di sangue e le sue implicazioni, mettendo a confronto il mercato commerciale, dove il sangue viene acquistato, con la donazione volontaria. Aveva rilevato che il carattere dominante del sistema americano delle banche del sangue era una redistribuzione dei prodotti ematici dai ceti poveri a quelli ricchi, poiche' le persone che vendono il proprio sangue, non avendo nient'altro da vendere, sono tendenzialmente quelle senza specializzazione e senza lavoro appartenenti ai "gruppi a basso reddito, oggetto di sfruttamento". Aveva anche osservato come in Gran Bretagna i donatori volontari di sangue, interrogati circa le loro motivazioni, fornissero indicazioni la cui "vivacita', individualita' e diversita' davano vita e senso comunitario alle generalita' statistiche", tanto che l'80 per cento delle risposte "suggeriva sentimenti di responsabilita' sociale verso gli altri membri della societa'".
La sua conclusione era che il mercato commerciale del sangue fosse negativo, per quattro ragioni non etiche e verificabili: "Sotto il profilo dell'efficienza economica, provoca un grande spreco di sangue; il rapporto tra domanda e disponibilita' e' caratterizzato da una scarsita', cronica e acuta, che rende illusoria ogni idea di equilibrio. E' amministrativamente inefficiente, poiche' genera un aumento delle pratiche burocratiche e ancor piu' dei costi fissi di gestione, computo e registrazione. In Gran Bretagna, il prezzo che il paziente (o consumatore) deve pagare per unita' di sangue e' da cinque a quindici volte superiore a quello del sistema volontario. Infine, per quanto riguarda la qualita', nella distribuzione commerciale e' piu' facile che possa circolare sangue contaminato".
Titmuss e' morto nel 1974, e quindi non e' vissuto abbastanza da assistere in Gran Bretagna al passaggio dell'ideologia mercantile da teoria economica a dogma politico. E non ha nemmeno potuto vedere il disastro che ha colpito i pazienti emofiliaci, pesantemente dipendenti dagli emoderivati, in conseguenza dell'importazione di sangue contaminato. Cio' che lo spingeva era semplicemente la volonta' di contestare "la resurrezione rozzamente materialistica dell'homo oeconomicus nella politica sociale".
Il sangue, come si dice, e' piu' denso dell'acqua. Il sangue e' una proprieta' individuale, l'acqua e' una necessita' collettiva. Eppure le due sostanze hanno qualcosa in comune, poiche' e' l'acqua a tenere insieme i costituenti del sangue ed e' altrettanto indispensabile per la sopravvivenza. Come dice Michael Allaby: "Un essere umano adulto deve assumere almeno 1,75 pinte [un litro circa] di acqua al giorno, bevendola direttamente o come ingrediente degli alimenti. Senz'acqua una persona non puo' sopravvivere per piu' di sei giorni circa, e appena due o tre nei climi caldi. Al contrario, una persona in buona salute puo' resistere diverse settimane senza cibo solido".
L'acqua e' vitale al pari del sangue, e pertanto anch'essa, come diceva Titmuss, e' preziosa oltre ogni prezzo. Questa consapevolezza spiega la nostra indignazione quando sentiamo di famiglie inglesi cui l'acqua e' venuta a mancare per non aver pagato le tariffe imposte dalle compagnie private, alle quali il governo ha venduto quella che e' una risorsa collettiva. A maggior ragione dovremmo provare angoscia a sapere che un terzo della popolazione mondiale non ha accesso ad acqua potabile sicura, e che un terzo di tutti i decessi che si verificano ogni giorno nel mondo sono la conseguenza di malattie di origine idrica.
Qualcuno deve riaffermare il fatto di per se' evidente che l'acqua, risorsa continuamente rinnovata ma non inesauribile, appartiene a tutti e non a un particolare gruppo che ha scelto di controllarne la disponibilita'. Il che non significa che chi la distribuisce non debba essere compensato. Il venditore di acqua rientra in un'antica attivita' di servizio. Nel Bangladesh vi sono contadini senza terra che si guadagnano da vivere in imprese cooperative per la fornitura di acqua, che viene portata mediante dispositivi mobili agli agricoltori la cui proprieta' e' troppo dispersa per l'irrigazione meccanica.
Ma l'acqua e' anche essenziale per produrre tutto cio' che mangiamo, beviamo e usiamo, per tutte le produzioni industriali e per ogni tipo di pulizia e comfort. Come il sangue, e' troppo preziosa per essere considerata una merce. Ed e' anche strumento di gioia umana infinita, come ben sappiamo dal piacere che traiamo da fiumi, torrenti, laghi e mari, come dimostrano le fontane e le piscine che si trovano in ogni citta' o paese.
Questo libro non e' il tentativo di ripetere per l'acqua lo studio che Titmuss ha fatto per il sangue, visto come trasferimento di risorse dal povero al ricco o come un dono da parte dei piu' fortunati ai meno fortunati. Esso intende semplicemente fornire un breve resoconto delle gigantesche implicazioni sociali, a livello tanto locale quanto globale, generate dall'universale bisogno di acqua e dalle varie crisi idriche che si prospettano al mondo.
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Da pagina 33
Quando nel 1979 e' entrato in carica il nuovo governo conservatore, nessuno immaginava che tra le sue realizzazioni ci sarebbe stata quella di cambiare la natura dell'acqua da bene comune a merce. Eppure, dieci anni piu' tardi, l'acqua e' stata venduta, insieme ad altri beni di proprieta' pubblica, ai consumatori che gia' la possedevano collettivamente. Gli storici di un'altra industria ci ricordano che la privatizzazione della fornitura idrica non e' stata facile. I politici responsabili sono "stati sconfitti nella Camera dei Lord e hanno corso il rischio di essere incriminati dall'Unione Europea per gli standard qualitativi dell'acqua. Sono stati contestati dai gruppi ambientalisti per il medesimo motivo e per le massicce occupazioni di territorio da parte delle amministrazioni idriche". Ciononostante, la vendita delle azioni, nel novembre 1989, ha avuto successo al punto che la domanda ha superato di 5,7 volte l'offerta. Tuttavia, il guadagno netto dell'operazione e' risultato negativo per il governo. A fronte di un incasso dalla vendita pari a 5,3 miliardi di sterline, c'era da coprire un passivo di 5 miliardi, piu' un'iniezione di liquido di 1,6 miliardi per finanziare le amministrazioni e 100 milioni di spese di vendita. Cosi', l'affare si e' concluso con una perdita di 1,4 miliardi di sterline per il governo.
Il popolo dei consumatori d'acqua (il che significa tutte le famiglie della nazione) non si e' probabilmente reso conto che il bene inestimabile che gia' possedeva era stato venduto in perdita sulla spinta di una transitoria ideologia governativa. Ma si e' ben presto reso conto delle conseguenze. Ogni gruppo familiare ha constatato un incremento medio delle tariffe del 67 per cento tra il 1989-90 e il 1994-95, mentre i profitti delle compagnie erano aumentati in media del 20 per cento all'anno tra il 1989-90 e il 1992-93, e i margini di profitto erano saliti dal 28,7 al 35,6 per cento. Il malumore per i prezzi dell'acqua e' andato crescendo man mano che si veniva a conoscenza dei ricchi stipendi e delle partecipazioni agli utili che la dirigenza delle compagnie idriche si era attribuita, del fatto che le operazioni di diversificazione finanziaria effettuate al di fuori dell'industria idrica erano state disastrose, e del fatto che per l'adeguamento di impianti e installazioni era stato speso assai meno di quanto si fosse fatto credere pubblicamente.
Possiamo anche ritenere tutto cio' un aspetto scontato dell'economia imprenditoriale. Ma e' la situazione dei ceti poveri che mi interessa. Nel rapporto sul prezzo dell'acqua del National Consumer Council si legge che nel distretto idrico dove le tariffe sono piu' elevate, cioe' quello denominato South West Water, "la bolletta media assorbe il 4,9 per cento del reddito di una famiglia di due adulti e due bambini, il 7,6 per cento di quello di un genitore single con un unico figlio, e il 9,1 per cento nel caso di un pensionato che vive da solo". Il rapporto commenta che "queste percentuali costituiscono un peso finanziario cospicuo per le famiglie con inferiore capacita' di far fronte all'aumento di prezzo dei servizi essenziali".
Dove vivo, gli affittuari delle case di proprieta' pubblica pagavano settimanalmente una somma modesta per questo servizio, che era controllato dall'autorita' comunale. Questa, oggi, si rifiuta di fungere da esattore per conto di una compagnia privata, e la bolletta dell'acqua, maggiorata e da pagare in anticipo, e' diventata un altro dei costi fissi della vita che i ceti meno abbienti devono in qualche modo far rientrare nel proprio bilancio. Fino al 1988, chi aveva diritto ai "benefici supplementari" governativi era esentato dalle spese di fornitura idrica. Oggi tale esenzione e' stata soppressa e costoro devono pagare quei soldi di tasca propria. La privatizzazione dell'acqua ha fatto conoscere ai consumatori piu' poveri un nuovo approccio aggressivamente commerciale, tant'e' che migliaia di famiglie si sono viste interrompere la fornitura. Ritenevo che tale azione fosse illegale, come lo e' in Scozia e in Irlanda del Nord, ma mi sbagliavo. Nel 1992 il rappresentante della societa' Thames Water ha dichiarato alla stampa: "Siamo troppo concilianti, ed e' per questo che le interruzioni della fornitura dovranno aumentare". Un manipolo di parlamentari, guidato da Helen Jackson, ha tentato di far approvare una legge che imponesse alle compagnie idriche di recuperare le morosita' per via legale, come ogni altro creditore, e non tramite l'interruzione del servizio. Non hanno avuto successo, nonostante la cospicua documentazione di un numero infinito di casi in cui persone in difficolta' erano state penalizzate dalla politica spietata delle compagnie idriche.
A un meeting indetto dalla Jackson nel 1993, John Middleton, direttore sanitario della Sandwell Health Authority nel West Midlands, ha fatto notare come il senso di moralita' pubblica sia andato progressivamente decadendo dalle campagne sanitarie di centocinquanta anni fa, rammentando che "in epoca vittoriana veniva almeno riconosciuta la necessita' che a tutti, ricchi e poveri, fosse garantita una provvista d'acqua igienicamente sicura. Le interruzioni della fornitura sono qualcosa che non dovrebbe essere tollerato in una societa' civile". E ha aggiunto che durante il 1992 e il 1993, anni in cui si e' verificato un sensibile incremento delle sospensioni nella sua zona, dove piu' di 1.400 famiglie sono rimaste senz'acqua, "i casi di dissenteria ed epatite sono aumentati di dieci volte". La British Medical Association, intervenendo sul medesimo argomento, ha rilevato che esisteva un numero elevato di gruppi sociali vulnerabili per i quali la garanzia della disponibilita' idrica era vitale. Erano le persone in condizioni di salute tali da richiedere l'uso di quantitativi suppletivi di acqua, per l'igiene personale, per fare il bucato, per lavare i bambini e gli anziani. Il Policy Studies Institute ha condotto uno studio rigoroso sul fenomeno della morosita' e delle conseguenti sospensioni di fornitura, dal quale e' emerso che "solo i consumatori piu' anziani sembrano essere meno a rischio di morosita' e quindi di sospensione". Nel medesimo studio e' detto anche che "durante il 1994 circa 2 milioni di famiglie hanno avuto problemi di morosita' e per 12.500 di esse cio' si e' risolto nella sospensione della fornitura idrica".
Personalmente, al di la' di ogni considerazione medica, non posso immaginare una situazione in cui sia possibile vivere senz'acqua, ne' certamente lo possono i miei lettori. Abbiamo tutti bisogno di bere e di mangiare, tutti produciamo feci e urina di cui ci dobbiamo liberare, tutti abbiamo bisogno di lavarci. Negare a chiunque di noi l'accesso all'acqua ci mette nella condizione di quella donna di Preston che prima ho citato, portata in tribunale e condannata per furto d'acqua.
Quello avveniva centocinquanta anni fa, ed e' sconvolgente rendersi conto che nella nostra civile Britannia le fantasie degli opulenti sostenitori della logica di mercato ci vorrebbero ridurre alla brutalita' di quel tipo di atteggiamento. L'equivalente moderno di Elizabeth Stubbs e' in certo senso in una situazione ben peggiore della sua. Perche' un secolo fa, come abbiamo visto, ogni paese aveva la sua pompa comunale, frutto di uno sforzo comunitario o di un'iniziativa filantropica, accessibile a tutti. C'e' una fontana di acqua potabile, ora asciutta, nella East Street di Colchester che reca l'iscrizione "Con gioia trarrai quest'acqua", e tutti i londinesi di una certa eta' ricorderanno gli innumerevoli punti per l'abbeveraggio umano o animale messi a disposizione dalla Metropolitan Drinking Fountain e dalla Cattle Trough Association. L'acqua era allora riconosciuta come un diritto umano universale e non come una merce.
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Da pagina 128
Abbiamo visto nel capitolo I che se in epoca vittoriana, malgrado la fiducia riposta nel sistema di mercato, era riconosciuto come "dovere morale vincolante" assicurare a ogni famiglia l'accesso all'acqua potabile, indipendentemente dalla possibilita' di pagare, nel 1994 12.500 famiglie inglesi si sono viste tagliare la fornitura per morosita'.
Nel 1887 l'anarchico Petr Kropotkin riteneva che "la crescente tendenza a fornire l'acqua alle abitazioni private senza tener conto dell'esatto ammontare usato da ciascun individuo" fosse uno dei sintomi - insieme all'uso pubblico e gratuito di biblioteche, scuole, parchi e strade pavimentate e illuminate - della tendenza verso una societa' dove "chi contribuisce al bene comune con tutte le sue capacita' riceve dal comune fondo sociale i mezzi per soddisfare al meglio i propri bisogni".
Un secolo dopo, questa interpretazione sembrerebbe decisamente ottimistica per due ragioni. La prima e' stata la rinascita del culto del mercato e della privatizzazione dei beni pubblici a ogni costo. La seconda, la crescita della coscienza ecologica e la consapevolezza che tutte le risorse sono limitate. Ad esempio, Sandra Postel, una riconosciuta autorita' sul problema della scarsita' idrica, fa notare che "sorprendentemente, il costo dell'acqua nella maggior parte delle famiglie britanniche e' legato al valore della casa e non ha niente a che vedere con il consumo reale... Prove fatte in Gran Bretagna hanno dimostrato che con i contatori il consumo dell'acqua nelle famiglie puo' calare del 10-15 per cento".
Nel 1995, con il rapporto Water Conservation: Government Action (Interventi governativi per la tutela idrica), il governo britannico ha dato grande rilevanza alla necessita' di far pagare l'acqua in base al consumo. Un portavoce dell'opposizione ha anzi lamentato che "ventinove dei settantuno paragrafi di questo documento trattano della misurazione del consumo idrico. I Conservatori vogliono obbligare tutti a mettersi in casa un contatore dell'acqua". E aggiungeva che i dati dell'industria idrica dimostravano che le perdite giornaliere lungo le tubature della rete ammontavano a un valore complessivo di 826 milioni di galloni d'acqua [3 miliardi e 350 milioni di litri circa], su cui il controllo dei consumi non avrebbe avuto alcuna influenza.
Il governo stesso ammette che l'installazione dei contatori potrebbe costare fino a 200 sterline per famiglia. Il che significherebbe una spesa complessiva da 4 a 5 miliardi a carico dei consumatori. E le spese di esercizio dei contatori ammonterebbero fino a 500 milioni all'anno.
La tutela idrica e' un problema vitale tanto nei Paesi ricchi che in quelli poveri, ma viene di fatto banalizzato applicando a entrambi lo stesso meccanismo mercantile. Commenta Jean Robert: "I governi che intendono regolare i consumi idrici attraverso il mercato dovrebbero tenere a mente che solo se l'acqua e' un bene comune, gratuitamente accessibile ai ceti poveri, e' possibile contenere l'eccesso di consumo dei ceti ricchi per mezzo di prezzi elevati, senza provocare la rovina dei poveri. A Lima, ad esempio, dove il governo tenta di gestire il consumo idrico con questi sistemi, i prezzi sono troppo elevati per i poveri, che non hanno l'acqua in casa e la comprano in bidoni per strada, e troppo bassi per i ricchi, che corrompono gli autisti delle autocisterne che dovrebbero servire i quartieri poveri e usano quell'acqua per lavare le proprie automobili".
[...] In Gran Bretagna la privatizzazione della fornitura idrica non e' stata inibita da alcuna opposizione efficace, all'epoca, e le sue conseguenze non sono state notate pubblicamente se non molti anni piu' tardi. I dettagli amministrativi sull'industria idrica britannica, dati nel capitolo I, sono importanti per due ragioni. La prima e' che le riforme del 1974 hanno portato la fornitura e lo smaltimento dell'acqua per la prima volta sotto il controllo diretto del governo centrale, e il ministero del Tesoro, sia con i Conservatori sia con i Laburisti, ha costantemente ridotto la spesa a favore delle Authority idriche tra il 1974 e il 1986. Nel 1982 la somma messa a disposizione dell'industria idrica dal governo era la meta' di quella prevista come investimento di capitale nel 1974. La seconda ragione e' che il riassetto dell'industria idrica da parte del governo ha permesso di metterla insieme alle altre strutture pubbliche che nel 1980 sono state offerte in vendita a una cittadinanza che gia' le possedeva collettivamente.
Le isole britanniche sono ricche d'acqua, con precipitazioni cospicue, eppure vanno incontro occasionalmente a periodi di scarsita' idrica. E' affascinante paragonare l'atteggiamento pubblico durante la siccita' del 1995 con quello dei sedici mesi di asciutta tra il maggio 1975 e l'agosto 1976. Nel 1976 le famiglie britanniche non avevano ancora maturato alcun mutamento di percezione di fronte all'acqua trasformata da bene comune in prodotto commerciale. Fred Pearce, corrispondente per i problemi idrici del "New Scientist", riferisce che fino ad allora i responsabili della pianificazione avevano considerato "qualunque forma di restrizione della fornitura, anche un semplice hosepipe ban (divieto di uso non domestico dell'acqua) come un'ammissione di fallimento. Si rendevano conto che era privo di senso spendere milioni di sterline per ridurre la frequenza degli hosepipe bans da un anno su cinque a un anno su dieci". Ma Pearce sottolinea anche gli sforzi delle Authority, allora regionali, per agevolare l'accesso alle fonti d'approvvigionamento e i progetti a lungo termine come quello della conduttura anulare di Londra o il sistema per ricaricare le falde con le acque invernali dei fiumi. La reazione pubblica era stata piu' che mai interessante. Il National Water Council infatti rilevava che "la disponibilita' a risparmiare volontariamente l'acqua durante la siccita' era molto diffusa tra la popolazione e le industrie. La campagna per invitare al risparmio durante la siccita' aveva ridotto la domanda d'acqua perfino del 30 per cento in certe zone... e ulteriori interventi come la verifica delle perdite impreviste e la riduzione della pressione nelle tubature avevano prodotto risparmi di un altro 10 per cento".
Il 90 per cento della popolazione aveva risposto all'invito a ridurre i consumi per il bagno e piu' dell'80 per cento aveva dichiarato di aver fatto attenzione a mettere il tappo al lavandino, anche se solo il 9 per cento aveva detto di aver messo un blocco nello sciacquone del WC. Nel 1976 c'era dunque stata un'intensa cooperazione tra le varie amministrazioni idriche, tanto che Fred Pearce nota che "nel peggior caso di siccita' in duecentocinquant'anni, i tecnici sono riusciti a non interrompere l'erogazione dell'acqua", e c'era stata cooperazione anche da parte degli utenti per ridurre i consumi. Nessuna recriminazione: semplicemente il desiderio di trarre insegnamento dall'esperienza. Durante la siccita' del 1995, il clima e' cambiato. La gente ha dato la colpa alle compagnie idriche e queste hanno dato la colpa alla gente. Il ministro dell'Ambiente, John Gummer, ha avvertito la popolazione di attenersi ai precetti del 1976, di riciclare nell'orto l'acqua usata per lavare e di mettere un blocco nello sciacquone. Il giornale locale della mia citta', che difficilmente potrebbe essere definito di sinistra, ha sottolineato in un articolo di fondo la differenza fondamentale tra allora e adesso: "Allora l'acqua era proprieta' pubblica, e il pubblico aveva interesse a conservarla. Ma poi e' arrivato Mr Gummer con i suoi colleghi e ci ha detto che dovevamo cambiare idea, che l'acqua non era una risorsa naturale ma un prodotto capitalistico come gli altri".
Le compagnie idriche appena privatizzate hanno cercato di giustificare i loro profitti esorbitanti spiegandoci quali grandi miglioramenti stavano apportando al servizio. Si sono auto-compensate con enormi aumenti "di incentivazione". Non dovremmo allora aspettarci, se paghiamo la bolletta, di poter usare tutta l'acqua che vogliamo? E che importa alle compagnie, che mirano al loro profitto, se la usiamo per innaffiare l'orto o per lo scarico del gabinetto? Forse che, come qualunque acquirente, non abbiamo il diritto di usare come vogliamo il bene che abbiamo comprato, al pari di qualunque prodotto commerciale?
E' vero che tali atteggiamenti non vanno troppo d'accordo con il risparmio idrico, ma se questo fosse stato tenuto nella giusta considerazione a suo tempo, forse la privatizzazione non sarebbe apparsa un'idea tanto buona.
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Da pagina 150
I disastri prodotti dalla concentrazione della produzione agricola sulle colture da reddito per l'esportazione voluta dall'alto non si esauriscono con le frustrazioni finanziarie. Ovunque nel mondo i contadini si sono basati sulla coltivazione di prodotti di sussistenza per il consumo locale adattando le loro tecniche alla disponibilita' d'acqua e di fertilizzanti. Ben diversamente, le piu' importanti colture da esportazione non solo richiedono superiori apporti nutritivi (con il ricorso a costosi prodotti agro-chimici di importazione, che a loro volta possono provocare l'inquinamento delle falde idriche), ma anche quantitativi d'acqua superiori a quelli delle coltivazioni alimentari locali. Per secoli, la richiesta di cotone da parte dei Paesi piu' ricchi ha prodotto disastri umani. Nelle parole dei redattori della rivista "The Ecologist": "Le ripercussioni del commercio del cotone sono state catastrofiche e hanno colpito popolazioni praticamente di ogni colore e clima. Negli Stati Uniti, circa 90.000 indiani Cherokee sono stati scacciati dalle loro terre per far posto alle piantagioni di cotone, e 30.000 di essi sono morti nella famosa marcia verso ovest. Il periodo tra il 1784 e il 1860 ha visto il numero degli schiavi negli Stati del sud aumentare di otto volte, specificamente per le piantagioni di cotone, un aumento che e' sfociato nel piu' sanguinoso conflitto del secolo XIX".
Il processo non riguarda solo la storia passata. Come abbiamo visto, era il desiderio di produrre piu' cotone che stava dietro ai tentativi di imbrigliare il Nilo, scatenando infiniti problemi politici e sociali per l'Egitto e gli Stati confinanti. E lo stesso vale per la distruzione del lago d'Aral, risultato della politica dell'ex-Unione Sovietica. "The Ecologist" riporta la storia ai giorni nostri: "Durante il terzo Piano quinquennale dell'Etiopia, il 60 per cento dei terreni messi a coltura nella fertile valle di Awash e' stato dedicato alla produzione di cotone. I pastori Afar del luogo sono stati allontanati dai loro pascoli tradizionali e spinti verso i fragili territori piu' in alto, contribuendo a quella deforestazione che in parte e' responsabile della crisi ecologica dell'Etiopia".
Le fortune ammassate per secoli dall'industria cotoniera mai, in alcun continente, sono andate a beneficio di chi e' stato impiegate per piantare, curare e raccogliere il cotone, uomini donne e bambini cui l'acqua e' stata sottratta per irrigare la coltura. Contadini di sussistenza e pastori sono spinti via per far posto alle necessita' di uno stracolmo mercato mondiale. Joan Davidson riporta l'esperienza di altri Paesi africani, come Burkina Faso, Ciad e Mali: "Nella parte del Mali detta Koutiala, lo sviluppo della produzione cotoniera ha accelerato i problemi di degrado ambientale, con l'abbattimento di aree boscate e la progressiva occupazione di terreni prima usati per le colture alimentari. Il risultato di una simile pressione sulle risorse naturali e' stata la scarsita' di terra per i piccoli agricoltori e quindi il collasso del sistema agricolo tradizionale basato sul riposo periodico dei terreni. A causa del disboscamento, c'e' poca legna da ardere e gli abitanti dei villaggi devono usare come combustibile deiezioni bovine e stocchi di cotone, che altrimenti potrebbero essere impiegati per ripristinare la fertilita' del suolo in un'area gia' vulnerabile per la siccita' e l'erosione".
L'imperialismo vecchia maniera e' morto, ma e' stato sostituito da un ben piu' efficiente imperialismo economico, che obbliga i Paesi poveri a distruggere la loro precaria economia e il loro ambiente a beneficio dell'economia consumistica del mondo industrializzato. L'acqua che potrebbe essere gestita in modo da garantire la vita locale viene dissipata a favore dell'esportazione, in un mercato altamente competitivo, o dell'industria turistica. E come sempre le vittime dell'economia del mercato globale sono le popolazioni locali, private della loro dotazione di acqua per l'esclusivo vantaggio di estranei lontani. A organizzazioni solidaristiche non ufficiali come Oxfam e' lasciato il compito di ribadire il principio elementare secondo cui l'acqua deve essere usata per le necessita' umane, magari poca per tutti, ma non tutta per pochi.
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Da pagina 158
Un quarto di secolo dopo, lo scenario e' cambiato. Non solo le industrie di approvvigionamento idrico e scarico sono state privatizzate, ma adesso e' anche presente una lobby ambientalista che si preoccupa degli aspetti economici dell'approvvigionamento idrico e dei problemi ecologici connessi con lo smaltimento degli scarichi fognari. E siamo tutti diventati consapevoli del fatto assurdo che il 32 per cento dell'impiego domestico di un prodotto sottoposto a costosa depurazione e' per lo scarico dei gabinetti.
Un altro cambiamento deriva dall'impegno del governo britannico a conformarsi agli standard stabiliti dagli accordi internazionali. L'Unione Europea, quando ancora si chiamava Comunita' Europea, ha emesso una lunga serie di standard idrici che sono serviti soprattutto a fornire argomenti per le campagne delle organizzazioni non ufficiali. Ad esempio, ha emesso direttive sulla qualita' delle acque di balneazione, dal punto di vista fisico, chimico e microbiologico, in base alle quali la Marine Conservation Society e la Coastal Anti-Pollution League pubblicano una loro "Guida alle buone spiagge", mentre il Tidy Britain Group gestisce il sistema di valutazione "Bandiera azzurra". I tentativi del governo britannico di diluire l'efficacia di queste valutazioni vengono definiti da David Kinnersley, un'autorita' in materia di qualita' idrica, come "clamorose mistificazioni".
Un effetto salutare simile hanno avuto le direttive europee in materia di controllo dell'inquinamento fluviale e qualita' dell'acqua potabile. Kinnersley nota l'ironia del fatto che, da quando l'acqua di rete e' stata sottoposta a controlli analitici indipendenti, "gli inglesi si sono rivolti al consumo di acqua in bottiglia in misura difficilmente immaginabile prima. Quest'acqua viene acquistata nei supermarket a un prezzo per litro piu' di mille volte superiore a quello dell'acqua di rubinetto". E' stato anche detto, nel 1996, che alberghi e ristoranti vendono acqua imbottigliata prodotta semplicemente filtrando la normale acqua di rete, con un profitto superiore al 1000 per cento. Sono le follie di una societa' ricca, dove nessuno si preoccupa di separare l'acqua da bere da quella usata per gli scarichi igienici o per lavare la macchina. Reti idriche separate sono di improbabile realizzazione, ma molto si potrebbe fare anche solo riducendo la quantita' complessivamente consumata e usando meno acqua per lo scarico dei gabinetti.
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Da pagina 160
La situazione britannica e' meno clamorosa, ma anche qui e' ovvia la scarsa volonta' di applicare "tecniche di risanamento". L'ente di controllo dell'industria idrica, l'Ofwat, nel novembre 1995 ha appurato che "quasi un quarto dell'acqua teoricamente potabile dell'Inghilterra e del Galles e' al di sopra dei limiti per il contenuto in pesticidi". Ed esiste anche una lunga serie di rapporti che dimostra come l'aumento delle tariffe venga giustificato con la necessita' di ridurre l'inquinamento, mentre poi non viene fatto alcunche' al riguardo. Ad esempio, nel 1993 e' stato scritto che "le compagnie idriche ingannano i consumatori perche' li costringono a pagare per il disinquinamento dei pesticidi, mentre i responsabili sono gli agricoltori e l'industria chimica". Due anni piu' tardi, un documento governativo riservato filtrato all'esterno ha rivelato che "gli impianti di trattamento per disinquinare spiagge e corsi fluviali sono stati posticipati nonostante un incremento delle tariffe apparentemente finalizzato a pagare quegli impianti".
Le direttive europee sulla qualita' delle spiagge sono state disattese poiche' il governo britannico ha sostenuto che la definizione di spiaggia "deve essere applicata solo a luoghi dove almeno 500 bagnanti siano effettivamente presenti in acqua, o dove siano piu' di 1.500 per miglio lineare di spiaggia". Tale definizione esclude non solo tutte le spiagge gallesi, ma anche Blackpool, la spiaggia piu' conosciuta di tutta la Gran Bretagna.
Un'altra direttiva dell'Unione Europea, accettata dal governo britannico nel 1991, stabiliva i limiti di riferimento per lo smaltimento dei reflui urbani nei corsi d'acqua superficiali. Una scappatoia nel testo della direttiva imponeva limiti meno severi per le "aree a elevata dispersione naturale", cioe' dove il mare potrebbe allontanare rapidamente gli scarichi. Nel 1994 il ministro per l'ambiente, John Gummer, ha realizzato "una bizzarra manipolazione geografica per consentire alla privatizzata Yorkshire Water Company di evitare l'obbligo di costruire un nuovo impianto da 100 milioni di sterline per il trattamento degli scarichi inquinanti [di Hull]". Costui ha dichiarato mare aperto piu' di 30 miglia [48 chilometri] del fiume Humber, cosicche' potesse continuare a ricevere gli scarichi fognari non trattati della citta' di Hull. L'inghippo e' stato ripetuto adottando un provvedimento simile per Bristol e il fiume Severn. In entrambe le citta' l'amministrazione civica ha fatto opposizione e nel 1996 l'Alta Corte ha stabilito che tale tentativo di evadere la legislazione sull'ambiente era "illegittimo".
Questa manipolazione governativa della geografia e' esattamente il tipo di risposta ai tentativi di controllare lo smaltimento dei reflui civili e industriali che induce le industrie manifatturiere a spostare i loro impianti dai Paesi ricchi dotati di legislazione ambientale alle nazioni povere, dove normative simili mancano o non vengono fatte rispettare. Da questo punto di vista, aveva ragione Jean Robert a dichiarare la nostra manifesta incapacita' a disattivare la bomba a orologeria epidemiologica ed ecologica: i leader politici non vogliono accettare le conseguenze delle leggi che sono stati costretti a promulgare.
Cosi' come le compagnie idriche non intendono affrontare il costo di impianti e condutture separate per fornire acqua costosamente purificata per bere e fare da mangiare e acqua meno trattata destinata agli altri usi che formano la gran parte del consumo domestico e industriale, anche le aziende che si occupano dello smaltimento dei reflui non sono disposte ad affrontare i costi per tenere separati quelli civili da quelli industriali.
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Da pagina 173
Ai britannici viene fatto credere che la Francia sia la nazione piu' centralizzata dell'Europa, ma un tale dubbio onore e' invece piu' meritato dalla Gran Bretagna. E' impossibile pensare che una qualunque citta' britannica possa recuperare la propria capacita' di controllo sulla sua fornitura idrica, quantomeno nell'attuale clima politico. Ma la disastrosa conclusione che dobbiamo trarre dal dibattito che ha avuto luogo in Gran Bretagna e' che la crisi di responsabilita' sociale e' stata ridotta al problema di "acquistare dove costa di meno". Centocinquant'anni prima del dibattito parlamentare sull'introduzione della concorrenza nell'industria idrica, come e' stato sottolineato nel capitolo d'apertura di questo libro, era evidente che "l'acqua e' indispensabile alla salute e al benessere dell'umanita' come l'aria che respiriamo, e quando gli esseri umani si radunano in masse conteggiabili a decine di migliaia, e' essenziale per la salute pubblica che sia disponibile nella misura piu' abbondante possibile".
Questo antico concetto e' andato perduto tanto nei Paesi ricchi che in quelli poveri. Le decisioni sulla disponibilita' di acqua potabile sono prese su basi economiche invece che sociali, tranne i vari casi in cui intervengono istituzioni non governative ad aiutare gli attivisti locali. Se e' il meccanismo dei prezzi a determinare la distribuzione dell'acqua, i ceti poveri muoiono di sete; se e' in base a esso che si stabilisce quali coltivazioni devono essere irrigate per l'immissione sul mercato, i ceti poveri muoiono di fame; se e' sempre questo a decidere la convenienza finanziaria a controllare l'inquinamento, i ceti poveri si avvelenano; e se sono i prezzi a determinare la disponibilita' idrica per l'igiene personale, un gran numero di bambini del mondo non industrializzato muore prima dei cinque anni per malanni banali come la diarrea.
In occasione del discorso tenuto da Christiaan Barnard, pioniere della chirurgia a cuore aperto, di fronte a migliaia di persone in uno stadio sudamericano, Ivan Illich ha sottolineato la probabilita' statistica che una rilevante percentuale degli astanti soffrisse di parassitosi intestinali.
Il problema dell'acqua, un bene limitato ma rinnovabile all'infinito, e' un problema globale. Esistono grandi soluzioni tecnologiche che generalmente penalizzano le popolazioni locali e vanno a profitto di imprenditori stranieri e metropolitani. Il che, a sua volta, acuisce le dispute internazionali, combattute con armamenti di gran lunga piu' sofisticati delle semplici tecniche di gestione idrica. Il messaggio di questo libro e' che se le comunita' umane potessero realmente ottenere il controllo e la gestione dell'acqua che a loro serve, opererebbero con equita' e senso di responsabilita', riconoscendo le necessita' di tutti, comprese quelle di chi, accanto a loro, fa uso della medesima risorsa.
La tragedia della crisi idrica mondiale e' che questo e' l'ultimo approccio che chi controlla l'economia dell'acqua a livello globale intende prendere in considerazione. L'uso responsabile dell'acqua non dipende dall'imposizione di prezzi esorbitanti ai ceti poveri, estromettendoli cosi' dal mercato, ma dall'accettazione del principio elementare di un equo accesso per tutti, un concetto che ogni bambino impara fin dall'infanzia finche' il realismo politico non gli insegna che cio' che conta e' il potere. Se in una situazione di scarsita' il prezzo dell'acqua venisse lasciato all'azione del mercato, i ceti poveri morirebbero di malnutrizione e malattia, come gia' accade in molte parti del mondo, mentre le classi agiate pagherebbero senza problemi, appunto perche' sono agiate.
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Da pagina 183
Esiste davvero un parallelismo tra il nostro comune godimento dell'acqua pubblica, che non appartiene a nessuno ed e' condivisa da tutti, e il nostro bisogno individuale di acqua domestica idonea e sicura. Mari, fiumi, laghi e fontane non sono strutture private, anche se puo' esserlo l'accesso a essi. La pioggia non appartiene a nessuno, ma purificarla e portarla fino alla nostra cucina o stanza da bagno e' un servizio vitale, per il quale paghiamo individualmente o collettivamente. L'esperienza dimostra che per il bene della societa' nel suo complesso ogni famiglia deve avere la sua quota, per quanto modesto sia il suo contributo economico. Prima che cio' fosse capito, nel 1844 Elizabeth Stubbs (vedi capitolo I) e' stata multata per aver tratto acqua dalla bocchetta della Preston Water Company senza contratto che la autorizzasse a farlo. E' assai deprimente leggere che centocinquant'anni dopo Rachel e Steve, cui l'acqua era stata tagliata, abbiano dovuto confessare che "giriamo dietro la casa dei vicini e riempiamo la vasca da bagno con il loro tubo di gomma per innaffiare, e quella e' l'acqua che usiamo per lavare, per il gabinetto, per far da mangiare e tutto il resto". In teoria, sono colpevoli del medesimo reato.
Il fatto che una simile situazione sarebbe stata inconcepibile in una citta' britannica del XX secolo fino agli anni Ottanta ci rammenta che in Gran Bretagna i dogmi dell'economia di mercato sono stati assorbiti con la forza incontenibile di un risveglio religioso. Hanno cambiato il linguaggio di noi tutti, convertiti o eretici, con il risultato che chi usa l'acqua, come il passeggero delle ferrovie, viene oggi descritto come "utente". Un corrispondente del "New Statesman" ci invita, a mio parere correttamente, a "riconoscere che gli 'studi economici' che attualmente ci vengono proposti sono il piu' efficace programma di propaganda politica mai intrapreso in questo Paese". Il medesimo assunto ha dominato per anni la politica delle istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, nel loro approccio al problema dell'approvvigionamento idrico nei Paesi non industrializzati.
A ognuna di queste ondate evangeliche segue una reazione che riconferma gli antichi valori. E' per questo che nella prefazione ho citato il pensiero di Richard Titmuss, che mette a confronto il sistema della donazione di sangue (basato sul senso di solidarieta' e responsabilita' sociale verso gli altri, membri sconosciuti della societa') e il mercato commerciale del sangue, che e' risultato essere essenzialmente una redistribuzione dai ceti poveri a quelli ricchi. E ho suggerito che ci fossero somiglianze, ma anche differenze, tra la distribuzione di queste due sostanze ugualmente necessarie alla vita. Nel corso del libro ho anche mostrato che, nel fondamentale dovere sociale di preservare l'acqua, l'esperienza britannica indica l'esistenza di un diverso atteggiamento popolare a seconda che questa sia fornita come bene pubblico o come il risultato di una transazione commerciale.
Anni prima, Titmuss sosteneva che "e' probabile che nei prossimi cinquant'anni, in Gran Bretagna, le idee sociali saranno importanti quanto l'innovazione tecnica". La maggior parte di quei cinquant'anni e' trascorsa, e tutto quello che abbiamo potuto vedere nel campo delle idee sociali e' stato cio' che Titmuss condannava come "l'ipocrita resurrezione dell'uomo economico nella politica sociale".
Eppure, questo libro ha anche dimostrato che in tutto il mondo una varieta' di societa' umane ha messo a punto sofisticati sistemi di distribuzione idrica che combinano la conservazione dell'acqua con un automatico rispetto per l'equita' e la reciprocita'. Il problema idrico non e' un problema di natura tecnica, ma una crisi di responsabilita' sociale.
 
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Numero 276 del 28 giugno 2010
 
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