Voci e volti della nonviolenza. 380



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 380 del 13 ottobre 2009

In questo numero:
1. Vincenzo Vitale ricorda Dietrich Bonhoeffer (2006)
2. Dietrich Bonhoeffer: Stazioni sulla via verso la liberta'
3. Marco Roncalli ricorda Paul Ricoeur (2005)
4. Paul Ricoeur: Le etiche posteriori come luoghi della saggezza pratica

1. MEMORIA. VINCENZO VITALE RICORDA DIETRICH BONHOEFFER (2006)
[Da "Vita pastorale", n. 5, maggio 2006, col titolo "Il centenario di
Dietrich Bonhoeffer. Testimone cristiano nel mondo moderno" e il sommario
"C'e' chi lo considera martire della Resistenza e santo, chi l'iniziatore
della secolarizzazione o della telogia della 'morte di Dio': ha compiuto una
rivoluzione nella riflessione teologica, anche se e' stato ucciso a 39 anni.
A cento anni dalla nascita e sessanta dalla morte, si moltiplicano le
iniziative per attualizzarne la memoria"]

Era nato a Breslavia (allora citta' tedesca, oggi in Polonia) il 4 febbraio
1906, pochi minuti prima della sorella gemella Sabine, sesto e settima di
otto figli. Fu impiccato il 9 aprile 1945 su ordine dello stesso Hitler nel
campo di concentramento di Flossenburg, in Alta Baviera.
Dietrich Bonhoeffer, il pastore e teologo luterano di cui celebriamo il
centenario della nascita, divenne famoso dopo la morte, grazie alle lettere
scritte dal carcere di Tegel (Berlino) e rese pubbliche dall'amico Eberhard
Bethge con il titolo Resistenza e resa. Ogni anno gli sono dedicati
convegni, libri, dibattiti e pubblicazioni innumerevoli, segno
dell'interesse sempre vivo per il pensiero di un personaggio cosi'
affascinante. Forse qualcuno ricorda un classico della spiritualita' moderna
come La vita comune, ma non tutti conoscono la sua vita: chi era Bonhoeffer?
In sintesi, secondo il felice sottotitolo dato da Bethge alla monumentale
biografia sull'amico, egli e' stato teologo, cristiano, contemporaneo.
*
Giovinezza e studi
Di famiglia dell'alta borghesia e formatosi nella cultura della grande
Berlino degli anni '20, Bonhoeffer era avviato a una brillante carriera di
teologo all'universita'. Aveva fatto in tempo ad ascoltare gli ultimi grandi
luminari della teologia liberale, tra cui Adolf von Harnack, ma era in linea
con la piu' "moderna" teologia dialettica di Karl Barth.
Nel 1927 consegue la laurea in teologia con Sanctorum Communio, una ricerca
sull'essenza della Chiesa; l'argomento rivela gia' il suo interesse per la
"concretezza" del cristianesimo, per la sua "visibilita'". Nel 1928 e'
vicario in una chiesa tedesca a Barcellona; nel 1930 va a studiare presso
l'Union Theological Seminary di New York.
Nel 1931 diventa libero docente all'Universita' di Berlino e viene ordinato
pastore (11 novembre). Ancora in questi anni comincia ad avvicinarsi a
posizioni di pacifismo (mentre in Europa inizia il riarmo bellico), ispirato
dal discorso della montagna, e si impegna anche nell'ecumenismo ai suoi
primi passi: sempre nel '31 fu eletto segretario giovanile dell'Unione
mondiale per la collaborazione tra le Chiese e nel 1933 entro' a far parte
del Consiglio cristiano universale "Life and Work" (da cui sarebbe nato in
seguito il Consiglio ecumenico delle Chiese). Grazie agli estesi legami di
parentela e di amicizie, e' al corrente dei retroscena politici; vede con
chiarezza e preoccupazione la parabola di Hitler e della sua ideologia della
razza e del sangue.
Nel 1932 ha luogo per il brillante teologo una svolta, qualcosa di simile a
una "conversione". L'accademia non gli basta piu'. Scopre la sequela
radicale del Cristo attraverso le esigenze del discorso della montagna: e'
questa la via della "concretezza", della "visibilita'". Comincia cosi' a
superare la dicotomia tra fede e vita, tra signoria di Cristo e altri ambiti
(mondo, cultura). Il cristianesimo, questa e' la scoperta che andra'
approfondendo, e' una risposta totale, non un atto parziale che occupa
soltanto un settore della vita (l'"interiorità" delle lettere dal carcere).
*
Il problema del nazismo
Il 1933 e' un anno cruciale per Bonhoeffer: segna l'ascesa di Hitler al
potere. Le Chiese protestanti attraversano una crisi interna gravissima:
molti responsabili ecclesiastici sono apertamente favorevoli ai nazisti,
affascinati dall'ideologia "germanica". A febbraio Bonhoeffer tiene una
conferenza radiofonica in cui parla del concetto di Fuehrer, mostrando i
rischi di una figura "carismatica" che diventa "seduttore" (con un gioco di
parole in tedesco: Verfuehrer) delle masse.
Ancora il 1933 e' l'anno del cosiddetto "paragrafo ariano", che esclude gli
ebrei dagli uffici pubblici, quindi dalle cariche e dagli uffici
ecclesiastici. Nell'opuscolo La Chiesa davanti alla questione giudaica e in
occasione delle elezioni ecclesiastiche, Bonhoeffer denuncia l'intrusione di
un principio politico totalmente estraneo nella vita della Chiesa. Cita
spesso Proverbi 31, 8 ("Apri la tua bocca in favore del muto"); ripete: "Non
puo' cantare gregoriano chi non grida per gli ebrei!", e rimane deluso dal
silenzio delle Chiese su quella che giudica una grave questione di
giustizia. Il 17 ottobre lascia la Germania per fare il pastore a Londra
(fino al 1935).
La questione fara' il suo corso, arrivando a produrre una frattura nelle
Chiese protestanti: si costituisce nel 1934, in seguito ai sinodi di Barmen
e Dahlem ispirati da Karl Barth, la cosiddetta "Chiesa confessante", che
rifiuta l'arianizzazione imposta dai nazisti nell'ambito ecclesiale. Ha
inizio cosi' il Kirchenkampf, la lotta della Chiesa per mantenere la sua
professione di fede, che indirettamente e' anche un atto politico di
resistenza. I nazisti cercano infatti di ostacolarla con misure restrittive
e ingerenze di ogni genere.
Nel 1935 Bonhoeffer rientra in Germania a servizio della Chiesa confessante
come direttore di un seminario per la formazione dei teologi. Si tratta di
seminari illegali per lo Stato e che il Reich cerchera', con attrattive o
minacce, di far rientrare sotto il proprio controllo per un "livellamento".
In questo contesto prende forma la "vita comune", una riscoperta, inedita
nel mondo protestante, fatta di preghiera, liturgia, studio della Parola e
della teologia, servizio alle comunita', confessione reciproca; a cio' si
ispirano Sequela (1937) e La vita comune (1939).
Questa esperienza concreta della sequela di Cristo, nel contesto nazista,
comporta incomprensione (anche in ambito ecclesiale), persecuzione (da parte
del Reich), emarginazione, accuse (di antipatriottismo, fanatismo, ecc.). La
Chiesa-comunita', che e' lo spazio del cristiano, e' l'alternativa "secca"
al mondo ostile. Tale confessione di fede ha pero' un indiretto significato
politico: e' una specie di resistenza passiva, nonviolenta, come quella
condotta da Gandhi in quegli stessi anni guardando proprio al discorso della
montagna. Vivere la fede vuol dire esporsi a un mondo violento e alla
persecuzione: in breve, per usare le parole di Sequela, significa
testimonianza della "grazia a caro prezzo", dell'obbedienza "semplice" alle
esigenze poste da Gesu' nel discorso della montagna.
*
L'opposizione a Hitler
Il 1939 porta per Bonhoeffer un'altra svolta, che fa del cristiano un
contemporaneo, partecipe delle sorti del suo Paese. Di fronte alla crescente
evidenza della barbarie nazista, gli si pone l'alternativa tra emigrare in
America (dove compie un viaggio in giugno: vi avrebbe lavoro grazie alle
amicizie ecumeniche) o restare in Germania. Sceglie di rimanere con il suo
popolo, ma in una situazione senza precedenti per un uomo di Chiesa: come
resistente, in un gruppo di opposizione a Hitler, il cui scopo e' dapprima
rovesciare il regime mediante un colpo di stato organizzato e poi
l'attentato a Hitler, visto come ultima risorsa per porre fine a una
situazione perversa.
Interrogato, piu' tardi, da un compagno su come fosse giunto, lui pastore, a
una scelta simile, disse: "Se un pazzo sul Kurfuerstendamm (viale centrale
di Berlino) lancia la propria auto sul marciapiede, non posso, come pastore,
accontentarmi di seppellire i morti e di consolare i familiari. Infatti, se
mi trovo sul posto, devo balzare avanti e strappare il guidatore dal
volante".
Bonhoeffer funge da "ponte" con gli interlocutori alleati, facendo
sostanzialmente la spia e accettando il "disonore" di passare per traditore
della patria. Varie ragioni lo portano a questa scelta, che per lui
significa ancora seguire Cristo concretamente in quelle circostanze:
soprattutto il violento antisemitismo del regime, la distruzione dello Stato
di diritto, i preparativi di guerra perseguiti dal regime, il conflitto con
le Chiese.
Anche in questa esperienza, la sua riflessione teologica nasce non dal
tavolino accademico, ma dal contatto con la dura scorza delle cose, cosa che
costituisce il fascino dei suoi scritti di questo periodo, tutti abbozzi
incompiuti. In quelli per l'Etica, l'opera che voleva scrivere e che rivela
l'orientamento di fondo etico-pratico del suo pensiero teologico, indaga le
basi cristologiche dell'etica cristiana e soprattutto riflette sul rapporto
tra Dio e mondo: e' in Cristo che Dio e il mondo sono riconciliati e si apre
lo spazio per la responsabilita' cristiana per il mondo.
*
Il carcere e la morte
Il 5 aprile 1943 Bonhoeffer finisce nelle mani della Gestapo, che ancora non
sospetta del suo coinvolgimento nel complotto, ma solo reati minori legati
all'ufficio statale che serve da copertura alla sua attivita'. Nel carcere
berlinese di Tegel fa ancora un'altra esperienza a contatto con il mondo
"non-religioso", fatto di persone che non riconoscono Cristo, ma che hanno a
cuore la causa della giustizia. Nascono le profetiche riflessioni del
carcere su come Cristo possa essere anche signore dei "nonreligiosi", sul
"mondo divenuto adulto", per il quale Dio non e' piu' il "tappabuchi".
La sua profonda riflessione reinterpreta in chiave radicalmente cristologica
l'essere-cristiano e l'essere-Chiesa: come Cristo e' l'uomo per altri, cosi'
la Chiesa "e' Chiesa soltanto se esiste per altri, ovvero se partecipa
dell'essere stesso di Cristo".
Citiamo solo un brano che riteniamo rappresentativo di questa fase, a
conclusione di questa rapida presentazione: "Piu' tardi ho appreso, e
continuo ad apprenderlo anche ora, che si impara a credere solo nel pieno
essere-aldiqua' della vita. Quando si e' completamente rinunciato a fare
qualcosa di noi stessi - un santo, un peccatore pentito o un uomo di Chiesa
(una cosiddetta figura sacerdotale), un giusto o un ingiusto, un malato o un
sano -, e questo io chiamo essere-aldiqua', cioe' vivere nella pienezza
degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle
esperienze, delle perplessita' - allora ci si getta completamente nelle
braccia di Dio, allora non si prendono piu' sul serio le proprie sofferenze,
ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani
e, io credo, questa e' fede, questa e' metanoia, e cosi' si diventa uomini,
si diventa cristiani" (lettera del 21 luglio 1944, il giorno successivo al
fallito attentato contro Hitler).
Dopo questa data, gli eventi precipitano: si scopre la documentazione del
complotto e per Bonhoeffer e' chiaro che non c'e' piu' ritorno. Secondo una
delle ultime testimonianze, a chi gli dava l'ultimo addio avrebbe detto: "E'
la fine, per me e' l'inizio della vita".
Si compiva cosi' con la morte il destino del teologo diventato cristiano e
infine contemporaneo, in un cammino dove vita e teologia sono intrecciate
strettamente. E rimane piu' vivo e attuale che mai il suo messaggio per i
cristiani di ogni tempo a non fare della fede cristiana una fuga dalla
terra, ma un principio che ispira il nostro rapporto con il mondo
sull'esempio di Cristo, l'uomo per altri.
*
Bibliografia
La traduzione dell'edizione critica tedesca di tutti gli scritti, Opere di
Dietrich Bonhoeffer, e' giunta al vol. 8 (dei 16 in tedesco), Queriniana,
Brescia. Tra le opere singole: Resistenza e resa. Lettere e scritti dal
carcere, San Paolo 1988, Cinisello Balsamo; I Salmi. Il libro di preghiere
della Bibbia, San Paolo 2001; Etica, Queriniana 2005; Vita comune,
Queriniana 2004; Sequela, Queriniana 2004; Gli Scritti (1928-1944), a cura
di M. C. Laurenzi, Queriniana 1979. Tra la sterminata produzione di opere
sul pensiero del teologo segnaliamo: Bethge E., Dietrich Bonhoeffer, teologo
cristiano contemporaneo. Una biografia, Queriniana 2004; Andreini A.,
Bonhoeffer. L'etica come confessione, prefazione di Bruno Forte, San Paolo
2001; Ferrario F. (ed.), Vorrei imparare a credere. Dietrich Bonhoeffer
(1906-1945), Claudiana 1996, Torino; Galantino N. - Trupiano A., Dietrich
Bonhoeffer. Storia profana e crisi della modernita', San Paolo 2001; Gallas
A., Anthropos teleios. L'itinerario di Dietrich Bonhoeffer nel conflitto tra
cristianesimo e modernita', Queriniana 1995; Mancini I., Bonhoeffer,
Vallecchi 1969, Firenze; AA.VV., "Dietrich Bonhoeffer: un pensiero per il
futuro", "Testimonianze" 443-444 (2005), numero speciale.

2. MAESTRI. DIETRICH BONHOEFFER: STAZIONI SULLA VIA VERSO LA LIBERTA'
[Da "Vita pastorale", n. 5, maggio 2006, col titolo "Una poesia da
Resistenza e resa. Stazioni sulla via verso la liberta'" (ma abbiamo
riscontrato il testo sulla fonte: in Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa,
Edizioni Paolini, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, pp. 448-449)]

Disciplina
Se tu parti alla ricerca della verita', impara soprattutto / la disciplina
dei sensi e dell'anima, affinche' i desideri / e le tue membra non ti
portino ora qui ora la'. / Casti siano il tuo spirito e il tuo corpo, a te
pienamente sottomessi / ed ubbidienti, nel cercare la meta che e' loro
assegnata. / Nessuno apprende il segreto della liberta', se non attraverso
la disciplina.

Azione
Fare ed osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto / non ondeggiare nelle
possibilita', ma afferrare coraggiosamente il reale / non nella fuga dei
pensieri, solo nell'azione e' la liberta'.
Lascia il pavido esitare ed entra nella tempesta degli eventi / sostenuto
solo dal comandamento di Dio e dalla tua fede / e la liberta' accogliera'
giubilando il tuo spirito.

Sofferenza
Straordinaria trasformazione. Le tue forti, attive mani / sono legate.
Impotente, solo, vedi la fine / della tua azione. Ma tu prendi fiato, e cio'
che e' giusto poni / silenzioso e consolato, in mani piu' forti, e sei
contento. / Solo un istante attingi beato la felicita' / e poi la consegni a
Dio, che le dia splendido compimento.

Morte
Vieni, ora, festa suprema sulla via verso la liberta' / morte, rompi le
gravose catene e le mura / del nostro effimero corpo e della nostra anima
accecata, / perche' finalmente vediamo, cio' che qui c'e' invidiato di
vedere. / Liberta', a lungo ti cercammo nella disciplina, nell'azione e
nella sofferenza. / Morendo, te riconosciamo ora nel volto di Dio.

3. MEMORIA. MARCO RONCALLI RICORDA PAUL RICOEUR (2005)
[Dal mensile "Jesus", n. 7, luglio 2005, col titolo "Paul Ricoeur. Un
filosofo morale" e il sommario "Scomparso il 20 maggio scorso all'eta' di 92
anni, Paul Ricoeur e' stato un grande dell'esistenzialismo cristiano, un
pensatore tra i piu' influenti del nostro tempo, un uomo che ha sempre
sostenuto la necessita' del dialogo di fronte alle grandi sfide della
modernita', dall'etica alla politica, fino al nodo della fede"]

Suggestionati dal titolo di un suo libro fondamentale, La memoria, la
storia, l'oblio (uscito in Francia nel 2000 e in Italia tre anni dopo con
Cortina Editore), vorremmo essere capaci di ricordarlo, di collocarlo a
tutto tondo nel suo tempo - che e' anche il nostro -, di non perdere i tanti
fili della sua opera. Parliamo di Paul Ricoeur, mancato il 20 maggio scorso,
a novantadue anni: l'addio di un grande dell'esistenzialismo cristiano,
dell'ermeneutica novecentesca, autore influente sulle due sponde
dell'Atlantico e fecondo per convinzioni ed esiti, filosofo abituato al
confronto con la realta', un uomo che sino alla fine ha sostenuto la
necessita' del dialogo, del rispetto dell'altro (aveva interlocutori, non
avversari, tantomeno nemici), senza sottrarsi ad alcuna sfida: provenisse
dall'etica o dalla politica, dalla bioetica o dall'ecologia.
Gettando uno sguardo sul suo itinerario di pensatore - ben ricostruito anche
nel suo volume Riflession fatta. Autobiografia intellettuale (Jaca Book
1998, in lingua originale nel 1985), oltre le tappe della fenomenologia,
dell'esistenzialismo, dell'ermeneutica, eccolo al lavoro per un impegno
d'ispirazione personalista, eccolo al crocevia di molte discipline: per
comprendere e comprendersi, attento a simboli, metafore, linguaggio, cifre,
pensiero.
Nato nel 1913 a Valence, di formazione protestante, professore di liceo dal
1933, studi di tedesco e intense letture da Heidegger a Husserl, prigioniero
nella seconda guerra mondiale, alla Liberazione riprende l'insegnamento e
scrive Karl Jaspers et la philosophie de l'existence - opera nata in campo
di concentramento uscita nel 1947 - occupando poi la cattedra di Storia
della filosofia a Strasburgo. Sulla scena filosofica europea arriva pero'
con lo studio Il volontario e l'involontario del 1950 (tradotto in Italia da
Marietti): spalancato su uno spazio teoreticamente inesplorato.
Professore alla Sorbona nel 1956, si dedica a esplorare miti e simboli
attraverso i quali l'uomo occidentale ha pensato il rapporto tra Finitudine
e colpa (un altro titolo, del l960, edito in Italia dal Mulino), quindi a
parlare della vita interpretando i segni: da qui il motto Il simbolo da' a
pensare (titolo di un suo saggio edito dalla Morcelliana nel 2002); da qui -
legando il se' e i segni, lo spossessamento e l'appropriazione - il nuovo
libro Il conflitto delle interpretazioni (1969, poi tradotto da Jaca Book).
Nel frattempo si consuma il '68, il confronto con i maestri del sospetto -
Marx, Nietzsche, Freud - dai quali prende le distanze (il conflitto degli
ermeneutici e' "tra fede e ateismo") mentre lavora all'Universita' di
Nanterre (dov'e' criticato per aver sostenuto il governo durante i primi
moti studenteschi). Rassegnate le dimissioni, e' la volta degli States: tra
Yale e Columbia e Chicago, esilio apparente, animando di fatto importanti
seminari a Parigi.
Dagli anni Settanta, pieni di ricerche fra antropologia e letteratura -
sugli statuti del testo, della metafora, fra retorica, poetica, linguaggio,
ecc. -, agli anni Ottanta, spesi ad approfondire il nesso tra tempo e
racconto, si arriva a quelli della sua vera "consacrazione": gli anni
Novanta. Quando in molti - specie i giovani - scoprono il suo pensiero, il
suo lavoro etico-politico, il suo sondare con chiarezza concettuale "il
rischio enorme di essere uomo", il suo entrare in dialogo con la filosofia
analitica (si pensi all'importante Se' come un altro, ma anche a Ideologia e
utopia editi da Jaca Book, il primo nel 1990, il secondo nel 1994).
L'elenco delle sue opere a questo punto potrebbe continuare. Preferiamo
pero' - tra i molti titoli - ricordare quello del suo testamento filosofico,
l'anno scorso: Parcours de la reconnaissance, uno dei momenti piu' alti
toccati dal dibattito filosofico europeo contemporaneo sul tema del
riconoscimento. Qui Ricoeur, lucido e creativo, quasi giocando
sull'ambiguita' della parola "reconnaissance" (che in francese sta sia per
"riconoscimento", sia per "riconoscenza") intreccia il problema
dell'identita' (tema centrale di Se' come un altro), alla questione della
memoria e del perdono (ricorrente in molti suoi lavori recenti), ma rimanda
pure all'attualizzazione della tematica hegeliana del riconoscimento e alla
filosofia del dono di Marcel Henaff.
Varra' poi la pena di ricordare che l'importanza di Ricoeur non resta
limitata alla sua filosofia. Lo dimostrano altri suoi saggi dedicati a Freud
e alla psicanalisi oppure alla conoscenza storica. E, soprattutto,
all'ermeneutica biblica. E qui e' doveroso un cenno a lavori come
Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica o Come pensa la Bibbia. Studi
esegetici ed ermeneutica, pagine care a teologi ed esegeti, che legando
diverse discipline, mostrano come ogni autentica filosofia investa e
interroghi il religioso, nel senso ricoeuriano del termine: ascoltare una
Parola che ci precede e trasformarla in un destino. "Ricoeur parlava di
un'affermazione originaria, da cui scaturisce l'impulso primo
dell'esistenza, come fosse la traduzione antropologica del fiat biblico.
Un'affermazione che non gli ha impedito di scrivere pagine profonde sul
tragico nell'esistenza: tema pressoche' inindagato dalla critica, ma a ben
vedere filo rosso della sua riflessione", ha commentato all'indomani della
morte di Ricoeur, Ilario Bertoletti, direttore editoriale della Morcelliana
e traduttore di alcuni suoi saggi. Aggiungendo: "Riflessione che lui amava
rappresentare con la metafora platonica del giro piu' lungo. Un giro piu'
lungo necessario, perche' per lui, credente, la parola umana poteva al piu'
essere una dialettica spezzata".
Dunque, la vita. Dunque la filosofia e la retorica, la storia e il
linguaggio, la poetica e la Bibbia, l'antropologia e la religione, l'etica e
la morale. Ma non e' tutto. L'evoluzione ricoeuriana ha registrato anche
svolte e ripensamenti. Sul filo del tempo che scorre. Con i suoi elementi di
novita'. Lo documenta anche il nuovo libro che esce in questi giorni dalla
fucina bresciana che ha gia' in catalogo otto titoli di Ricoeur: Etica e
morale (introduzione di Domenico Jervolino, Morcelliana, pp. 100, euro 10).
Un saggio importante di meno di cinque anni fa, che rappresenta l'ultima
riflessione morale di Ricoeur, da lui stesso definito "un po' piu' di una
chiarificazione e un po' meno di una retractatio", dunque "una riscrittura
rispetto alla petite ethique pubblicata in Se' come un altro (del 1990)",
rassicurando "coloro che ignorano quel testo (...) che il presente e'
autosufficiente".
Di questo nuovo volume presentiamo in queste pagine il paragrafo "Le etiche
posteriori come luogo della saggezza pratica", dove il grande pensatore
francese mostra come il momento tragico della scelta morale investa
direttamente due luoghi emblematici della discussione etica contemporanea:
l'ambito medico e quello giuridico.

4. TESTI: PAUL RICOEUR: LE ETICHE POSTERIORI COME LUOGHI DELLA SAGGEZZA
PRATICA
[Dal mensile "Jesus", n. 7, luglio 2005]

Il solo mezzo per dare visibilita' e leggibilita' al fondo primordiale
dell'etica sta nel proiettarlo sul piano post-morale delle etiche applicate.
A questa impresa in Se' come un altro ho dato il nome di saggezza pratica.
Tanto in Kant quanto in Aristotele si possono facilmente trovare i segni
della necessita' di questo passaggio (transfert) dall'etica anteriore alle
etiche posteriori. E' in effetti significativo che Kant abbia ritenuto
necessario completare l'enunciazione dell'imperativo categorico attraverso
la formulazione di tre varianti dell'imperativo che, spogliate della
terminologia pietrificata delle esposizioni scolastiche, orientano l'obbligo
in direzione di tre sfere d'applicazione: il se', l'altro e la citta'.
L'analogia primaria tra la legge morale e la legge naturale, secondo la
prima formulazione dell'imperativo categorico, mira, in una filosofia morale
che oppone l'etica alla fisica, solo a sottolineare il tipo di regolarita'
che avvicina la legalita' del regno morale a quella del regno fisico: il
mantenersi (conservare il proprio se') attraverso il tempo che presuppone il
rispetto della parola data e sulla quale riposano a loro volta le promesse,
i patti, gli accordi, i trattati. L'ipseita' e' un altro nome di questo
mantenersi: e' la formula dell'identita' morale in opposizione all'identita'
fisica dello stesso. Certo, il mantenersi rappresenta la componente
soggettiva della promessa, e deve coniugarsi con il rispetto dell'altro
nello scambio delle attese in cui consiste concretamente la promessa.
La seconda formulazione dell'imperativo categorico - nel suo richiedere che
la persona, in se' o in altro, sia trattata come un fine in se' e non solo
come un mezzo - mette in rilievo quest'altra componente della promessa. Ma
il rispetto, come ho sopra suggerito, non costituisce che una delle
configurazioni del sentimento morale: propongo di chiamare sollecitudine la
struttura comune a tutte queste disposizioni favorevoli all'altro che stanno
alla base delle piu' immediate relazioni intersoggettive; non si dovrebbe
esitare ad annoverare tra queste relazioni la cura di se', in quanto figura
simmetrica della cura d'altri.
Infine, l'obbligo di considerarsi insieme soggetto e legislatore nella
citta' dei fini puo' essere interpretato in modo estensivo come la formula
generale del rapporto di cittadinanza in uno stato di diritto.
A loro volta queste formule ancora generali, che distribuiscono l'imperativo
in una pluralita' di sfere - mantenersi, sollecitudine per il prossimo,
partecipazione cittadina alla sovranita' -, divengono massime concrete
d'azione solo in quanto riprese, rielaborate, riarticolate nelle etiche
regionali, speciali, quali l'etica medica, giuridica, degli affari, e cosi'
via.
L'etica "greca" di Aristotele presentava un programma paragonabile di
moltiplicazione e di dispersione delle valutazioni fondamentali poste sotto
il segno della virtu'. L'Etica nicomachea si dispiega nella forma di un
andirivieni tra la virtu' e le virtu'. Preso in se stesso, in effetti, il
discorso della virtu', benche' costruito sull'idea della preferenza
ragionevole e finalizzato all'idea della vita buona, tende a richiudersi su
un tratto formale comune a tutte le virtu', il carattere di "medieta'" - del
medio efficace e giusto - che separa in ogni virtu' un eccesso da un
difetto. Quindi solo la reinterpretazione ragionata delle figure
paradigmatiche delle azioni permette di dare un corpo alla nuda idea di
virtu'.
Di qui il censimento delle situazioni tipiche della pratica e dei modelli
paradigmatici che vi corrispondono. In questo senso, il coraggio, la
temperanza, la liberalita', la dolcezza, la giustizia sono la quintessenza
di una cultura condivisa e illuminata da una grande letteratura - Omero,
Sofocle, Euripide -, dai maestri della parola pubblica e da altri saggi
professionisti e non. La lettera di questi piccoli trattati, che leggiamo
ancora oggi con felicita', non dovrebbe tuttavia arrestare il movimento di
reinterpretazione innescato da quei testi nel cuore della loro stessa
cultura. La comprensione che ancora abbiamo, attraverso la lettura, di
questi profili di virtu' dovrebbe invitarci non solo a rileggere questi
trattati, ma a riscriverli a beneficio di qualche moderna dottrina dei vizi
e delle virtu'.
Lo stesso Aristotele ha dato una chiave per queste riletture e riscritture
mettendo a fianco delle virtu' da lui chiamate etiche una virtu'
intellettuale, la phronesis, divenuta la prudenza dei latini e che si puo'
considerare la matrice delle etiche posteriori. Essa consiste infatti in una
capacita': l'attitudine a discernere la giusta regola, l'orthos logos, nelle
circostanze difficili dell'azione. L'esercizio di questa virtu' e'
inseparabile dalla qualita' personale dell'uomo della saggezza - il
phronimos -, l'uomo accorto (la distinzione tra l'equita' e la giustizia
offre un significativo esempio di questo passaggio dalla norma generale alla
retta massima in circostanze ove la legge e' troppo generale, ove, come si
direbbe oggi, l'affare e' delicato, il caso difficile). Tra la prudenza e le
"cose singolari" il legame e' stretto. E' quindi nelle etiche applicate che
la virtu' della prudenza puo' essere messa alla prova. In questo senso la
stessa phronesis - che si presuppone si eserciti all'interno della pratica
quotidiana - dovrebbe poter presiedere anche alla reinterpretazione della
tavola delle virtu' sulla scia dei moderni trattati delle passioni.
Vorrei proporre due esempi - uno nel campo medico, l'altro nel campo
giudiziario - di questo nuovo impiego della saggezza pratica nelle etiche
regionali.
Ognuna di queste etiche applicate ha proprie regole, ma la loro parentela
phronetica - se ci si concede l'espressione - conserva tra esse una
significativa analogia formale al livello di formazione del giudizio e di
presa della decisione. In entrambi i casi, si tratta di passare da un sapere
costituito di norme e conoscenze teoriche a una decisione concreta in una
particolare situazione: la prescrizione medica da un lato, la sentenza
giudiziaria dall'altro. Un'applicazione che si opera nel giudizio singolare.
La differenza tra le due situazioni e' tuttavia notevole: nel caso medico,
e' la sofferenza a suscitare la richiesta di cure e la stipulazione di un
patto di assistenza tra quel malato e quel medico.
Nel caso giudiziario, la situazione iniziale tipica e' il conflitto, da cui
nasce la domanda di giustizia e che trova nel processo il suo codificato
inquadramento. Di qui la differenza tra i due atti finali: prescrizione
medica e sentenza giudiziaria. Ma la progressione del giudizio e' simile da
una parte e dall'altra. Il patto di assistenza concluso tra quel medico e
quel paziente si puo' porre sotto regole di vario tipo. Innanzitutto, le
regole morali riunite nel Codice di deontologia medica: obbligo del segreto
medico, diritto del malato di conoscere la verita' sul suo caso, esigenza di
un consenso informato prima di ogni trattamento rischioso; in secondo luogo,
le regole proprie del sapere biologico e medico che il trattamento clinico
mette alla prova; infine, le regole amministrative che regolamentano, sul
piano della sanita' pubblica, il trattamento sociale della malattia. Questo
e' il triplice inquadramento normativo del concreto atto medico che sfocia
in una decisione concreta, la prescrizione e, da un piano all'altro, il
giudizio, la phronesis medica.
E' proprio questo spazio intermedio che l'esercizio del giudizio nell'ordine
giudiziario permette di meglio articolare, nella misura in cui e'
rigorosamente codificato. Il contesto, lo si e' detto, e' il processo, ove
si esplicitano le operazioni argomentative e interpretative che conducono
alla presa di decisione finale: la sentenza, chiamata anche giudizio.
Operazioni ripartite tra una molteplicita' di protagonisti e rette da una
procedura rigorosa. Ma, come nel giudizio medico, la posta in gioco e'
l'applicazione di una regola giuridica a un caso concreto, la controversia
in esame.
L'applicazione consiste, insieme, in un adattamento della regola al caso,
attraverso la determinazione del tipo di reato, e del caso alla regola,
attraverso una descrizione narrativa considerata veridica. L'argomentazione
che guida l'interpretazione sia della norma che del caso si alimenta delle
risorse codificate della discussione pubblica. Ma la decisione resta
singolare: quel delitto, quella accusa, quella vittima, quella sentenza - e
la sentenza cade come la parola di giustizia pronunciata in una situazione
singolare.
Queste sono le somiglianze strutturali tra due processi di applicazione di
una regola a un caso e di sussunzione di un caso sotto una regola,
somiglianze che assicurano l'analogia tra le due modalita' di prendere la
decisione nel campo medico e nel campo giuridico. Nello stesso tempo, queste
somiglianze illustrano il passaggio (transfert) dall'etica anteriore, piu'
fondamentale della norma, in direzione delle etiche applicate che eccedono
le risorse della stessa norma.
A quale tratto dell'etica fondamentale da' visibilita' e leggibilita'
l'etica medica? Alla sollecitudine, che richiede sia portato soccorso a ogni
persona in pericolo. Ma questa sollecitudine si rende manifesta solo
attraverso il vaglio del segreto medico, del diritto del malato a conoscere
la verita' del suo caso, e del consenso informato, tutte regole che
conferiscono al patto di assistenza i tratti di una deontologia applicata.
Quanto alla presa di decisione che mette capo alla sentenza nel quadro del
processo giudiziario, essa incarna in una formulazione concreta l'idea di
giustizia che, al di qua di ogni diritto positivo, e' propria
dell'aspirazione alla vita buona. Una delle tesi della mia petite ethique,
in Se' come un altro, era che l'intenzione etica, al suo piu' profondo
livello di radicalita', si articola in una triade ove il se', l'altro
prossimo e l'altro lontano sono parimenti onorati: vivere bene, con e per
gli altri, all'interno di istituzioni giuste. Se l'etica medica si legittima
sul secondo termine della sequenza, l'etica giudiziaria trova
nell'aspirazione a vivere in istituzioni giuste la richiesta che unisce
l'insieme delle istituzioni giudiziarie all'idea della vita buona. E questa
aspirazione a vivere in istituzioni giuste trova visibilita' e leggibilita'
proprio nelle parole di giustizia pronunciate dal giudice nella applicazione
di norme che, di per se', sono pertinenti al nucleo fondamentale della
moralita' privata e pubblica.
In conclusione, si possono considerare equivalenti le due seguenti
formulazioni: da un lato, si puo' intendere la moralita' come il piano di
riferimento in rapporto al quale si definiscono da una parte e dall'altra
un'etica fondamentale - anteriore alla moralita' - e delle etiche applicate,
posteriori alla moralita'. Dall'altro lato, si puo' affermare che la
morale - nel suo dispiegarsi in norme private, giuridiche, politiche -
costituisce la struttura di transizione che guida il passaggio (transfert)
dall'etica fondamentale in direzione delle etiche applicate che le donano
visibilita' e leggibilita' sul piano della praxis. L'etica medica e l'etica
giudiziaria sono, in questo senso, esemplari nella misura in cui la
sofferenza e il conflitto costituiscono due situazioni tipiche che appongono
sulla praxis il sigillo del tragico.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 380 del 13 ottobre 2009

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