Minime. 944



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 944 del 15 settembre 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Kurtz als Erzieher
2. Modello di esposto recante la notitia criminis concernente varie
fattispecie di reato configurate da misure contenute nella legge 15 luglio
2009, n. 94
3. Modello di esposto recante la notitia criminis concernente il
favoreggiamento dello squadrismo
4. Cosa fare
5. Roberto Saviano ricorda Anna Politkovskaja
6. Giusy Baioni intervista Frans Van der Hoff (2007)
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. KURTZ ALS ERZIEHER

Nel leggere sui giornali le farneticazioni naziste di taluni ministri della
Repubblica (nel silenzio complice di tutti gli altri) mi chiedo se questo
sia un incubo, una distopia, un febbricitante delirio, "a tale told by an
idiot, full of sound and fury, signifying nothing".
*
La schiavitu' nei campi e sulle strade; i morti gonfi d'acqua e smangiati
dai pesci nel mare; le deportazioni nei campi di tortura; milioni di esseri
umani che per legge vengono dichiarati untermenschen; l'apartheid imposto
nel paese che fu di Pico della Mirandola e di Giacomo Leopardi, di Eleonora
Fonseca Pimentel e dei fratelli Cervi.
*
Il razzismo, lo schiavismo, lo squadrismo che un governo di barbari pretende
di rendere legge.
E l'acquiescenza infame di tanti che pure vedono e sanno ed intendono. E
tacciono. O peggio si prestano al callido teatrino di spacciar per burletta
un crimine di dimensioni immani.
*
Ha fatto scuola Kurtz, ha fatto scuola Hitler. I criminali sono al governo.
*
E' dunque l'ora della resistenza.
E' dunque l'ora dell'insurrezione nonviolenta per contrastare la barbarie.
E' dunque l'ora che ogni persona di volonta' buona, ogni organizzazione
democratica, ogni istituzione fedele alla Costituzione della Repubblica
Italiana si assuma le proprie responsabilita', la responsabilita' che e' una
e di tutti.
Difendere la legalita' che salva le vite.
Difendere la civilta' che e' una e che tutti comprende.
Difendere l'umanita' perseguitata dalla violenza razzista nemica dell'intera
umanita'.
Denunciare, contrastare e sconfiggere il colpo di stato razzista,
schiavista, squadrista, assassino.
Con la forza della verita'.
Con la forza della legalita'.
Con la forza della democrazia.
Con la forza della civilta'.
Con la forza della nonviolenza.
Vi e' una sola umanita'.

2. UNA SOLA UMANITA'. MODELLO DI ESPOSTO RECANTE LA NOTITIA CRIMINIS
CONCERNENTE VARIE FATTISPECIE DI REATO CONFIGURATE DA MISURE CONTENUTE NELLA
LEGGE 15 LUGLIO 2009, N. 94

Alla Procura della Repubblica di ...
Al Presidente del Tribunale di ...
Al Presidente della Corte d'Appello di ...
Al Presidente della Corte di Cassazione
Al Presidente della Corte Costituzionale
Al Sindaco del Comune di ...
Al Presidente della Provincia di ...
Al Presidente della Regione ...
Al Questore di ...
Al Prefetto di ...
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Presidente della Camera dei Deputati
Al Presidente del Senato della Repubblica
Al Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura
Al Presidente della Repubblica Italiana
Al Presidente del Parlamento Europeo
Al Presidente della Commissione Europea
Al Presidente del Consiglio d'Europa
Al Segretario generale delle Nazioni Unite
Oggetto: Esposto recante la notitia criminis concernente varie fattispecie
di reato configurate da misure contenute nella legge 15 luglio 2009, n. 94
Con il presente esposto si segnala alle istituzioni in indirizzo, al fine di
attivare tutti i provvedimenti di competenza cui l'ordinamento in vigore fa
obbligo ai pubblici ufficiali che le rappresentano, la notitia criminis
concernente il fatto che nella legge 15 luglio 2009, n. 94, recante
"Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", volgarmente nota come
"pacchetto sicurezza", sono contenute varie misure, particolarmente all'art.
1 e passim, che configurano varie fattispecie di reato con specifico
riferimento a:
a) violazioni dei diritti umani e delle garanzie di essi sancite dalla
Costituzione della Repubblica Italiana;
b) violazione dei diritti dei bambini;
c) persecuzione di persone non per condotte illecite, ma per mera condizione
esistenziale;
d) violazione dell'obbligo di soccorso ed accoglienza delle persone di cui
all'art. 10 Cost.;
e) violazione del principio dell'eguaglianza dinanzi alla legge.
Si richiede il piu' sollecito intervento.
Alle magistrature giurisdizionalmente competenti si richiede in particolare
che esaminati i fatti di cui sopra procedano nelle forme previste nei
confronti di tutti coloro che risulteranno colpevoli per tutti i reati che
riterranno sussistere nella concreta fattispecie.
L'esponente richiede altresi' di essere avvisato in caso di archiviazione da
parte della Procura ex artt. 406 e 408 c. p. p.
Firma della persona e/o dell'associazione esponente
indirizzo
luogo e data

3. UNA SOLA UMANITA'. MODELLO DI ESPOSTO RECANTE LA NOTITIA CRIMINIS
CONCERNENTE IL FAVOREGGIAMENTO DELLO SQUADRISMO

Alla Procura della Repubblica di ...
Al Presidente del Tribunale di ...
Al Presidente della Corte d'Appello di ...
Al Presidente della Corte di Cassazione
Al Presidente della Corte Costituzionale
Al Sindaco del Comune di ...
Al Presidente della Provincia di ...
Al Presidente della Regione ...
Al Questore di ...
Al Prefetto di ...
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Presidente della Camera dei Deputati
Al Presidente del Senato della Repubblica
Al Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura
Al Presidente della Repubblica Italiana
Al Presidente del Parlamento Europeo
Al Presidente della Commissione Europea
Al Presidente del Consiglio d'Europa
Al Segretario generale delle Nazioni Unite
Oggetto: Esposto recante la notitia criminis concernente il favoreggiamento
dello squadrismo
Con il presente esposto si segnala alle istituzioni in indirizzo, al fine di
attivare tutti i provvedimenti di competenza cui l'ordinamento in vigore fa
obbligo ai pubblici ufficiali che le rappresentano, la notitia criminis
concernente il fatto che nella legge 15 luglio 2009, n. 94, recante
"Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", volgarmente nota come
"pacchetto sicurezza", e' contenuta una misura, quella di cui all'art. 3,
commi 40-44, istitutiva delle cosiddette "ronde", che palesemente configura
il favoreggiamento dello squadrismo (attivita' che integra varie fattispecie
di reato), anche alla luce di pregresse inquietanti esternazioni ed
iniziative di dirigenti rappresentativi del partito politico cui appartiene
il Ministro dell'Interno e di altri soggetti che non hanno fatto mistero ed
anzi hanno dato prova di voler far uso di tale istituto a fini di violenza
privata, intimidazione e persecuzione, con palese violazione della legalita'
e finanche intento di sovvertimento di caratteri e guarentigie fondamentali
dell'ordinamento giuridico vigente.
Si richiede il piu' sollecito intervento.
Alle magistrature giurisdizionalmente competenti si richiede in particolare
che esaminati i fatti di cui sopra procedano nelle forme previste nei
confronti di tutti coloro che risulteranno colpevoli per tutti i reati che
riterranno sussistere nella concreta fattispecie.
L'esponente richiede altresi' di essere avvisato in caso di archiviazione da
parte della Procura ex artt. 406 e 408 c. p. p.
Firma della persona e/o dell'associazione esponente
indirizzo
luogo e data

4. UNA SOLA UMANITA'. COSA FARE

Un esposto all'autorita' giudiziaria piu' essere presentato recandosi presso
gli uffici giudiziari o presso un commissariato di polizia o una stazione
dei carabinieri.
Puo' essere anche inviato per posta.
Deve essere firmato da una persona fisica, precisamente identificata, e deve
recare un indirizzo per ogni comunicazione.
*
Noi proponiamo alle persone che vogliono partecipare all'iniziativa di
presentare e/o inviare i due esposti che abbiamo preparato alla Procura
competente per il territorio in cui il firmatario (o i firmatari - gli
esposti possono essere anche sottoscritti da piu' persone) risiede, e ad
altre magistrature di grado superiore (la Corte d'appello e' nel capoluogo
di Regione, la Corte di Cassazione e' a Roma; sempre a Roma sono le altre
istituzioni statali centrali).
Proponiamo anche di inviare l'esposto al sindaco del Comune in cui si
risiede (idem per il presidente della Provincia, idem per il presidente
della Regione; ed analogamente per questore e prefetto che hanno sede nel
capoluogo di provincia).
Ovviamente i modelli di esposto da noi preparati possono essere resi piu'
dettagliati se lo si ritiene opportuno. Ed altrettanto ovviamente gli
esposti possono essere inviati anche ad ulteriori istituzioni.
*
Indirizzi cui inviare gli esposti:
Naturalmente gli indirizzi delle istituzioni territoriali variano da Comune
a Comune, da Provincia a Provincia e da Regione a Regione.
Comunque solitamente:
- l'indirizzo e-mail delle Procure e' composto secondo il seguente criterio:
procura.citta'sede at giustizia.it, quindi ad esempio l'indirizzo e-mail della
Procura della Repubblica ad Agrigento e' procura.agrigento at giustizia.it
(analogamente per le altre province).
- L'indirizzo e-mail dei Tribunali e' composto secondo il seguente criterio:
tribunale.citta'sede at giustizia.it, quindi ad esempio l'indirizzo e-mail del
Tribunale ad Agrigento e' tribunale.agrigento at giustizia.it (analogamente per
le altre province).
- L'indirizzo e-mail delle Prefetture e' composto secondo il seguente
criterio: prefettura.citta'sede at interno.it, quindi ad esempio l'indirizzo
e-mail della Prefettura di Agrigento e' prefettura.agrigento at interno.it
(analogamente per le altre province).
- Sempre per le prefetture e' opportuno inviare gli esposti per e-mail anche
all'indirizzo dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico (in sigla: urp),
composto secondo il seguente criterio: urp.pref_citta'sede at interno.it,
quindi ad esempio l'indirizzo e-mail dell'Urp della Prefettura di Agrigento
e' urp.pref_agrigento at interno.it (analogamente per le altre province).
- L'indirizzo e-mail delle Questure e' composto secondo il seguente
criterio: uffgab.siglaautomobilisticacitta'sede at poliziadistato.it, quindi ad
esempio l'indirizzo e-mail della Questura di Agrigento e'
uffgab.ag at poliziadistato.it (analogamente per le altre province).
- Sempre per le questure e' opportuno inviare gli esposti per e-mail anche
all'indirizzo dell'Ufficio per le relazioni con il pubblico (in sigla: urp),
composto secondo il seguente criterio:
urp.siglaautomobilisticacitta'sede at poliziadistato.it, quindi ad esempio
l'indirizzo e-mail dell'Urp della Prefettura di Agrigento e'
urp.ag at poliziadistato.it (analogamente per le altre province).
- E ancora per le questure e' opportuno inviare gli esposti per e-mail anche
all'indirizzo dell'Ufficio per gli immigrati, composto secondo il seguente
criterio: immigrazione.siglaautomobilisticacitta'sede at poliziadistato.it,
quindi ad esempio l'indirizzo e-mail dell'Ufficio per gli immigrati della
Prefettura di Agrigento e' immigrazione.ag at poliziadistato.it (analogamente
per le altre province).
Quanto alle istituzioni nazionali:
- Presidente della Corte di Cassazione: Palazzo di Giustizia, Piazza Cavour,
00193 Roma; e-mail: cassazione at giustizia.it; sito: www.cortedicassazione.it
- Presidente della Corte Costituzionale: Piazza del Quirinale 41, 00187
Roma; tel. 0646981; fax: 064698916; e-mail: ccost at cortecostituzionale.it;
sito: www.cortecostituzionale.it
- Presidente del Consiglio dei Ministri: Palazzo Chigi, Piazza Colonna 370,
00187 Roma; tel. 0667791; sito: www.governo.it
- Presidente della Camera dei Deputati: Palazzo Montecitorio, Piazza
Montecitorio, 00186 Roma; tel. 0667601; e-mail: fini_g at camera.it; sito:
www.camera.it
- Presidente del Senato della Repubblica: Piazza Madama, 00186 Roma; tel.
0667061; e-mail: schifani_r at posta.senato.it; sito: www.senato.it
- Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura: Piazza
dell'Indipendenza 6, 00185 Roma; tel. 06444911; e-mail: segvpres at cosmag.it;
sito: www.csm.it
- Presidente della Repubblica Italiana: piazza del Quirinale, 00187 Roma;
fax: 0646993125; e-mail: presidenza.repubblica at quirinale.it; sito:
www.quirinale.it
Quanto alle istituzioni sovranazionali:
- Presidente del Parlamento Europeo: rue Wiertz 60 - Wiertzstraat 60, B-1047
Bruxelles - B-1047 Brussel (Belgium); tel. +32(0)22842005 - +32(0)22307555;
sito: www.europarl.europa.eu
Al Presidente della Commissione Europea: 1049 Brussels (Belgium); sito:
http://ec.europa.eu/index_it.htm
- Presidente del Consiglio d'Europa: Avenue de l'Europe, 67075 Strasbourg
(France); tel. +33(0)388412000; e-mail: cm at coe.int; sito:
www.coe.int/DefaultIT.asp
- Segretario generale delle Nazioni Unite: United Nations Headquarters,
Between 42nd and 48th streets, First Avenue and the East River, New York
(Usa); sito: www.un.org
*
Gli invii per fax o per posta elettronica o attraverso gli spazi ad hoc nei
siti istituzionali possono non essere ritenuti dai destinatari equipollenti
all'invio postale dell'esposto: si suggerisce quindi, almeno per quanto
riguarda le Procure, di inviare comunque anche copia cartacea degli esposti
per posta ordinaria (preferenzialmente per raccomandata).
Ma poiche' ormai crediamo di aver gia' raggiunto con almeno un invio gran
parte delle Procure, chi non avesse tempo ed agio di procedere agli invii
cartacei per posta ordinaria puo' limitarsi all'invio per e-mail, che
costituira' comunque un sostegno visibile e rilevante all'iniziativa.
*
Ovviamente e' opportuno che gli esposti siano inviati anche a mezzi
d'informazione, movimenti democratici, persone interessate: una delle
funzioni dell'iniziativa e' anche quella di ampliare la mobilitazione contro
il colpo di stato razzista informandone l'opinione pubblica e coinvolgendo
piu' persone, piu' associazioni e piu' istituzioni che sia possibile
nell'impegno in difesa della legalita', della Costituzione della Repubblica
Italiana, dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
Infine preghiamo tutte le persone che presenteranno esposti di comunicarcelo
per e-mail all'indirizzo: nbawac at tin.it
Grazie a tutte e tutti, e buon lavoro.

5. LIBRI. ROBERTO SAVIANO RICORDA ANNA POLITKOVSKAJA
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo la prefazione di Roberto Saviano, dal
titolo "Chi scrive, muore", al libro di Anna Politkovskaja, Cecenia. Il
disonore russo, Fandango, Roma 2006, 2009]

Anna era tornata dal fare la spesa, il 7 ottobre 2006. Una donna dall'aria
stanca, al supermercato lungo la Frunzenskaja, la strada che costeggia la
Moskva. Sta tornando dall'ospedale dov'e' ricoverata la madre divorata da un
cancro. Suo padre, legatissimo alla moglie, appena ha saputo della notizia
della malattia e' morto d'infarto.
Sembra accanirsi il peggio della sorte in quei giorni. Divorziata, Anna, ha
due figli ormai grandi che vede poco; a casa l'aspetta Van Gogh, ora un
cagnone, ma era un cucciolo segnato dai maltrattamenti. Di lui scriveva: "E'
di muovo sera. Giro la chiave nella serratura e Van Gogh mi vola addosso,
sempre e comunque. Anche se gli fa male la pancia, qualunque cosa abbia
mangiato, anche se stava dormendo profondamente. E' fonte di un affettuoso
moto perpetuo. Tutti ti piantano, tutti si stancano di te: il cane non
smette mai di amarti".
Ha tre borse della spesa nell'auto che ferma davanti al portone di casa sua
al numero 8 della Lesnaja Ulitsa. Trovare parcheggio e' facile. E' un
quartiere borghese abbastanza protetto e con un certo gusto. Ci abitano i
professionisti della nuova Russia. Nei palazzi si entra solo con un codice
d'accesso. Anna sale a casa e posa le prime due buste della spesa, piene di
alimenti e roba per la casa. Poi riscende a prendere la terza busta, piena
di oggetti sanitari per la madre, in ospedale mancano. Sale al primo piano
con l'ascensore, appena si spalancano le porte, ancora dentro la cabina,
incontra un uomo e una donna. Lui e' magro, giovane, cappellino calzato con
visiera a coprire gli occhi - diranno i testimoni - e accanto c'e' la donna.
Punta una pistola IZH silenziata al petto. Al lato sinistro del petto. Spara
per tre volte. Due colpi prendono il cuore spaccandolo in tre parti, un
terzo colpo si devia sulla spalla. Poi per avere la certezza di aver
compiuto bene il lavoro, una volta caduto il corpo a terra spara alla nuca.
Avevano seguito Anna dal supermercato e sapevano i codici per entrare nel
palazzo e l'hanno aspettata sul pianerottolo. Dopo l'esecuzione lasciano la
pistola con matricola abrasa nella pozza di sangue e vanno via. Una signora,
poco dopo, chiama l'ascensore, quando questo riscende al piano terra e le
porte si spalancano, lancia un urlo e subito dopo una preghiera. Trova il
cadavere di Anna.
Era il cinquantaquattresimo compleanno del presidente Vladimir Putin e
quella morte sembra un regalo. Anna Stepanovna Politkovskaja nata a New York
con il cognome Mazepa, 48 anni, viene sepolta il 10 ottobre 2006 al cimitero
Trojekurovo di Mosca. Dietro il feretro in prima fila i due figli, Ilja, di
28 anni, e Vera, di 26, la sorella, l'ex marito e il cane. La sua parola non
poteva essere fermata che cosi'. Solo in quel modo c'erano riusciti: con le
pallottole. Tre anni dopo gli accusati dell'omicidio di Anna sono stati
tutti assolti. Assolto Sergej Chadzikurbanov, ex funzionario del ministero
degli Interni, assolti i due fratelli ceceni Dzabrail e Inragim Machmudov,
il terzo, Rustam, implicato anche lui, fuggito all'estero e mai arrestato, e
assolto il colonnello delle forze di sicurezza Pavel Rjaguzov. Assolti e
liberati dal presidente della Corte militare Evgenij Zubov coloro che
secondo l'accusa avevano seguito, e poi ucciso Anna. L'assassinio a oggi non
ha colpevoli ne' mandanti. Ma le sue parole continuano a essere spine
ficcate sotto le unghie e nelle tempie stesse del potere russo. Cecenia e'
un libro pericoloso. Anna Politkovskaja l'ha scritto con la volonta' di
raccontare una ferita che non riguardava solo una parte sperduta in qualche
antro caucasico. L'ha scritto riuscendo a rendere la storia della guerra in
Cecenia una realta' quotidiana di tutti. Ed e' questo cio' che l'ha uccisa.
La sua capacita' di rendere la Cecenia dibattito necessario a Londra e a
Roma, fornendo elementi a Madrid e a Parigi, a Washington e a Stoccolma.
Ovunque le sue parole sono diventate nitroglicerina per il governo di Putin,
al punto che questo libro e' diventato piu' pericoloso di una trasmissione
televisiva, della dichiarazione di un testimone, di un processo al Tribunale
Internazionale. Perche' Cecenia raccoglie tutto quello che Anna ha visto in
una delle peggiori guerre che l'umana specie abbia mai generato, una guerra
dove le donne violentate e i soldati torturati dovevano dichiarare a verbale
di essere i reali colpevoli delle violenze subite. La sua poetica e'
possibile sintetizzarla in un aforisma di Marina Cvetaeva sulla qualle si
era laureata: "Tutto il mio scrivere e' prestare orecchio".
Anna Politkovskaja lavorava in una situazione complicatissima. Le trasferte
le venivano pagate 30 dollari, non c'era possibilita' di guadagno, il lavoro
non era sostenuto da alcuna gratificazione economica. Zero soldi per
viaggiare e la parte maggiore dello stipendio se ne andava per difendersi da
querele e denunce, che piovevano ogni volta che appariva un articolo a sua
firma. Sfiancarla era l'obiettivo. E deprimerla con una forte pressione
diffamatoria senza fine. Il piano principale non era ucciderla, ma
distruggerne l'immagine. Far credere a chi l'amava - ed erano in molti - che
fosse un'arrivista pazza.
Non dimentichero' mai le parole pronunciate da Aleksandr Politkovskij, l'ex
marito di Anna, all'indomani della sua morte: "Fu nel 1994, quando si
occupo' della lotta tra gli oligarchi Vladimir Potanin e Vladimir Gusinskij
per il controllo di Norilsk Nickel, il piu' grande produttore mondiale di
nickel, che doveva essere privatizzato. Vinse Potanin, ma a un certo punto
Gusinskij chiamo' Anna e le mostro' un dossier diffamatorio che aveva
raccolto sulla nostra famiglia. Anna era spaventata, andai a prenderla e
parlammo a lungo, seduti in macchina. Li' lei decise che sarebbe andata
avanti comunque, anche se temeva il discredito piu' di tutto il resto".
Meglio morire che essere diffamata. E tutto sommato e' questa la vera
consolazione. Terribile, tragica ma incredibilmente vera.
Almeno con la morte hanno smesso di tentare di screditarla. Il discredito e'
l'elemento primo di distruzione, si infanga la famiglia cercando di
dimostrare collusioni, corruzioni e reati. Si va dai parenti delle vittime
che ha raccontato e si fa pressione perche' dicano che ha inventato tutto,
che tutto e' avvenuto diversamente. Si diffondono voci di calunnia: e'
menzognera, mitomane, matta, buffona, carrierista. Erano, in fondo,
centinaia i cronisti in Russia che la odiavano perche' il marito aveva fatto
carriera gia' durante la Perestrojka, diventando la voce critica, si', ma di
una televisione dell'Urss. E poi Anna scriveva su un giornale in parte sotto
il diretto controllo azionario di Gorbacev e dell'oligarca Lebedev. Il
venticello della calunnia era di far i rivoluzionari con lo spazio dato dai
vecchi padroni comunisti. Non era difficile per il potere politico trovare
appigli verosimili per rovinare la sua immagine. Cosi' come oggi centinaia
di suoi colleghi in ogni angolo del mondo la difendono e indagano su quanto
accaduto.
Ma poi il marito continua a spiegare perche' Anna temeva il discredito sopra
ogni cosa: "Lei scriveva i suoi articoli per cambiare le cose. Ogni pezzo
doveva aiutare qualcuno o contrastare un'ingiustizia. Doveva produrre
qualcosa, anche poco, ma qualcosa. Se avesse perso la sua credibilita'
questo sarebbe diventato impossibile. Lo stesso le successe, anni dopo, con
Ramzan Kadyrov, il governatore filorusso della Cecenia, che minaccio' di
trascinarla in una sauna e farla fotografare in pose sconce con uomini
nudi". L'avrebbero narcotizzata, rapita e fotografata in pose porno con
degli uomini, in una specie di orgia, di gang bang tra omaccioni unti d'olio
con al centro la piu' pericolosa delle giornaliste. Come dire, ecco la vita
che fa quella che va raccontando il suo paese come un inferno. Chi avrebbe
creduto che era stata costretta e narcotizzata? Tutti avrebbero accettato
quelle foto sconce, e avrebbero urlato al vizio, all'orgia, al piacere della
nuova cortigiana che si credeva una combattente. In quel caso, dopo le foto
sparate sulle prime pagine di molti giornali e sui siti di gossip di mezzo
mondo, nessuna smentita, nessuna denuncia o dimostrazione di violenza
avrebbero potuto togliere il fango sul viso. Un fango che avrebbe messo in
dubbio e in discussione ogni reportage, ogni inchiesta, ogni parola. E
questo e' il pericolo primo. Prima delle pallottole o quando le pallottole
non riescono nel loro intento, si arriva alla distruzione della
credibilita', a inabissare l'autorevolezza, a rendere nulle le parole non
partendo dalle parole stesse, ma creando un meccanismo che quelle parole
priva di ogni senso, rendendole involucri vuoti.
Quando Anna decise di dismettere il ruolo di giornalista e partecipare
attivamente a cio' che stava vedendo e raccontando, nell'ottobre del 2002,
partecipo' ai colloqui con i terroristi che avevano preso in ostaggio gli
spettatori del musical Nord Ost al teatro Dubrovka di Mosca. Decise di farlo
portando acqua agli ostaggi. Nel settembre del 2004, durante l'assedio della
scuola di Beslan, voleva tentare la mediazione. E ci sarebbe riuscita
poiche' era rispettata da entrambi i fronti, ma Anna dichiaro' di essere
stata avvelenata proprio a bordo dell'aereo che la stava portando in
Ossezia. Quel veleno doveva ammazzarla e impedirle di portare avanti una sua
proposta per la soluzione della crisi. In un modo semplice, leggero,
tentarono di eliminarla: con una tazza di te'. Dopo aver bevuto le inizio' a
girare la testa e lo stomaco si contraeva in spasmi. Svenne, ma aveva avuto
il tempo di chiedere aiuto alla hostess. Fu portata in ospedale a Rostov.
Quando si risveglio' un'infermiera le sussurro' all'orecchio: "Mia cara
l'hanno avvelenata ma tutti i test sul suo sangue sono stati distrutti per
ordini dall'alto". Ricordo benissimo giornalisti italiani che alcuni giorni
dopo la notizia si davano di gomito: "Ha visto troppo 007 la nostra Anna. E
poi quando uno e' in pericolo non lo sbandiera a tutte le conferenze, cerca
di difendersi in silenzio". Questo il tenore dei commenti dopo che era
sopravvissuta a un avvelenamento senza prove.
Anna sapeva invece che il silenzio sarebbe stato un enorme regalo a chi la
voleva zittire e delegittimare. Aveva ricevuto moltissime minacce, e per un
periodo le fu pagata una scorta privata dal suo giornale, la "Novaja
Gazeta". Il 9 settembre 2004 scrisse un articolo su "The Guardian",
"Avvelenata da Putin", e in molti, in troppi non le credettero. Per strani
meccanismi, l'invidia dei colleghi per la visibilita' e la forza delle
parole di Anna, che facevano identificare la lotta per i diritti civili in
Cecenia con la sua penna e il suo viso, trasformandola in un simbolo,
divenne spesso il maggior alleato delle voci ufficiali del governo che
raccontavano di una donna presa da se stessa e dal suo progetto mitomane. E
tutto questo la lasciava completamente isolata. Nell'articolo del 9
settembre 2004 scrivera': "E' assurdo, ma non era forse lo stesso durante il
comunismo, quando tutti sapevano che le autorita' dicevano idiozie ma
fingevano che l'imperatore fosse vestito? Stiamo ricadendo nell'abisso
sovietico, nell'abisso dell'informazione che crea morte dalla nostra stessa
ignoranza... per il resto, se vuoi continuare a fare il giornalista, devi
giurare fedelta' assoluta a Putin. Altrimenti puo' significare la morte,
proiettile, veleno, tribunale o qualunque soluzione i servizi segreti, i
cani da guarda di Putin, riterranno piu' adeguata".
A difenderla c'erano solo i suoi libri e i suoi articoli. I suoi libri sono
immediati, veloci, hanno la potenza della scoperta, della novita',
dell'informazione sconosciuta e resa nota. Ed e' questo cio' che l'ha
esposta.
In Memorie di un rivoluzionario, Victor Serge preciso': "Sono piu'
interessato a dire che a scrivere, altri piu' bravi di me sapranno curare le
parole assieme ai fatti, io ora non ho tempo, devo dire e basta". Sembra
essere lo stesso per Anna. I suoi libri sono immediati, veloci, hanno la
potenza della scoperta, della novita', dell'informazione sconosciuta e resa
nota. "A chi in Occidente mi vede come la principale militante contro Putin
rispondo che io non sono una militante, sono solo una giornalista. E basta.
E il compito del giornalista e' quello di informare. Quanto a Putin, ne ha
fatte di tutti i colori e io devo scriverne", diceva dichiarando senza
problemi che il suo non era un compito politico, ma assolveva alla
necessita' di scrivere. Detestava scrivere editoriali "non importa sapere
che penso, ma quello che vedo" e andava avanti con i suoi
racconti-inchiesta.
Anna Politkovskaja sapeva che solo i lettori l'avrebbero difesa, partecipava
a moltissimi convegni internazionali, sapeva che la gente, gli occhi,
l'interesse, avrebbero difeso le sue parole. E solo loro erano la sua
scorta. I suoi strumenti erano il reportage e l'intervista e quando questa
era diretta a un'autorita', se il politico o il burocrate era evasivo o
mendace, la Politkovskaja passava alla denuncia. Sono dozzine i processi ai
quali la scrittrice ha partecipato anche solo come testimone. In
un'intervista al quotidiano inglese "The Guardian", il 15 ottobre del 2002,
racconto': "Sono andata oltre il mio ruolo di giornalista. L'ho messo da
parte e ho imparato cose di cui non sarei mai venuta a conoscenza se fossi
rimasta una semplice giornalista, che sta ferma nella folla come tutti gli
altri". Fu forse questa la ragione che la spinse in Cecenia nel 1999 e da
allora, articolo dopo articolo, inizio' a montare questo libro che oggi
rappresenta uno dei piu' grandi documenti letterari del nostro tempo per
comprendere la fisiologia di ogni conflitto, feroce, nascosto, abominevole,
terribilmente moderno.

6. ESPERIENZE. GIUSY BAIONI INTERVISTA FRANS VAN DER HOFF (2007)
[Dal mensile "Jesus" n. 2, febbraio 2007, col titolo "Frans Van der Hoff. Il
prete 'equo e solidale'" e il sommario "Olandese trapiantato in America
latina, Frans Van der Hoff e' un prete che ha vissuto lunghi anni in Cile e
poi in Messico. Dagli indios zapotechi ha appreso a mettere in primo piano
la comunita'. E con loro ha dato vita a una cooperativa da cui e' nata la
Max Havelaar, uno dei primi e piu' importanti marchi di prodotti del
commercio equo e solidale"]

Si definisce "prete contadino" e non ama parlare molto di se' e della sua
storia. Preferisce raccontarvi dei suoi indios, delle comunita' del Sud del
Messico, nello Stato di Oaxaca, dove vive da 25 anni. Lui e' Frans Van der
Hoff, sacerdote olandese trapiantato in America latina e, soprattutto, uno
dei padri del commercio equo e solidale.
Cresciuto in una famiglia contadina cattolica da cui eredita l'amore per la
terra, fin da ragazzino sceglie gli studi in seminario, nella congregazione
del Sacro Cuore, e li completa a singhiozzo negli anni della contestazione,
mentre molti dei suoi compagni abbandonano. Continua gli studi al di fuori
del convento, a contatto con il mondo universitario che in quegli anni era
in pieno fermento. Oggi ricorda: "All'universita', ho imparato che
protestare e' interessante, ma solo se si ha una proposta". Diviene studente
lavoratore e cresce da subito sensibile alle istanze che in quegli anni
richiamavano l'attenzione del ricco Nord alle miserie degli altri
continenti, proprio mentre la Chiesa vive il Vaticano II. Viene ordinato
sacerdote nel '68; l'anno successivo si laurea con lode in teologia con una
tesi sul Cile e qui sceglie di andare, nel 1970, come ricercatore. Appena
giuntovi, scopre la vita dei barrios, poverissima ma ricca di fermento, e
ben presto si ritrova a svolgere la funzione di mediatore tra i molti
movimenti politici e sociali, attivissimi in quegli anni ma frammentati.
Le sue scelte sono condivise da alcuni confratelli, mentre altri
preferiscono la vita chiusa del convento. "Avevo la sensazione che non avrei
mai compreso fino in fondo l'universo della poverta', se non facendone
veramente parte", scrive ora Van der Hoff nel suo Max Havelaar, L'avventura
del commercio equo e solidale, edito da Feltrinelli, e Faremo migliore il
mondo. Idea e storia del commercio equo e solidale, da Bruno Mondadori.
I suoi slanci vengono bruscamente interrotti nel 1973, con l'avvento al
potere del generale Pinochet. Le attivita' di Frans Van der Hoff sono
incompatibili con il regime e cosi' si ritrova costretto a fuggire. In quel
periodo molti suoi confratelli, disillusi per la posizione assunta dalla
gerarchia ecclesiastica, abbandonano l'istituto. Anche Frans ha quella
tentazione, ma resiste: "Mi convinsi che uscendo avrei definitivamente perso
ogni tipo di capacita' di azione, lasciando la Chiesa in mano alle forze
conservatrici. Era l'ultima cosa che volevo. E cosi', un'altra volta, per
quanto furioso, scelsi di rimanere".
Van der Hoff trova riparo in Messico, come tanti rifugiati politici cileni.
Anche li' il clima repressivo e' forte e ben presto il sacerdote viene di
nuovo coinvolto nella resistenza. Fedele alla scelta di essere prete
lavoratore, inizia come venditore ambulante di calze, poi trova un posto in
una fabbrica di automobili; nel frattempo, si occupa della tipografia
clandestina della resistenza, insegna nel seminario ecumenico e segue gli
abitanti delle bidonville (dove gli altri sacerdoti non entrano), iniziando
a celebrare la messa domenicale nella discarica. Non avendo casa, soggiorna
un po' dappertutto: capanne, stanzette, retrobottega.
Le varie attività di Van der Hoff lo espongono ben presto a nuovi pericoli.
Riceve due volte minacce dalla polizia segreta, e nello stesso periodo si
ammala di epatite A: i due motivi, insieme, lo convincono della necessita'
di abbandonare Citta' del Messico per la campagna. E' il 1980. Il vescovo di
Cuernavaca, suo sincero amico, gli consiglia di trasferirsi a Tehuantepec,
"luogo interessante e con molte popolazioni indigene".
Si tratta della regione di Oaxaca, nel Sud del Messico, allora come oggi
poverissima e percorsa da forti tensioni sociali. In quell'area, l'80 per
cento della popolazione e' india, in maggioranza zapoteca. Inizia per Frans
la vita da campesino, che continua ancora oggi: si sistema in una casetta di
argilla e comincia a coltivare la terra, stupendo gli indigeni e
conquistando cosi' la loro fiducia. All'inizio, nessuno sa che e' sacerdote.
E' qui che Van der Hoff scopre i valori indigeni e la loro visione
antropologica che al centro pone non l'individuo, ma la comunita'. Ed e' qui
che nell'81-'82 comincia anche l'avventura di Urici (Unione delle comunita'
indigene della regione dell'Istmo), la cooperativa di coltivatori di caffe'
che e' diventata una delle prime cooperative di commercio equo e solidale.
Il sacerdote ha impiegato poco a constatare le misere condizioni di vita dei
campesinos e le cause che ne sono all'origine: lo sfruttamento
indiscriminato da parte dei commercianti di caffe', che impongono prezzi
irrisori, la miseria che causa ignoranza e sottomissione. Anche la fede di
questa gente ne e' condizionata: la poverta' e la sofferenza sono percepite
come punizioni di un Dio severo e inaccessibile. "La vostra miseria non e'
stata voluta da Dio, siete liberi di ribellarvi", comincia a suggerire loro
Frans. Da questa esperienza di osservazione e condivisione, Van der Hoff
trae anche spunto per scrivere una tesi di dottorato, nata dalla
rielaborazione organica degli appunti presi a matita su fogli volanti alla
mattina, mentre munge le mucche.
Quando i campesinos si organizzano in cooperative e cominciano a vendere il
caffe' a valle, saltando l'intermediazione dei coyotes (gli intermediari),
scoprono che e' di qualita' molto piu' alta di quanto gli intermediari
facevano loro credere. I guadagni crescono, la poverta' diviene un po' meno
misera. Anche la loro spiritualita' cambia e si apre alla visione di un Dio
misericordioso, che in Cristo ha scelto la condivisione coi poveri. Van der
Hoff oggi rilegge il suo ruolo in quegli anni come quello di un'ostetrica:
"Le idee venivano concepite dalla gente, io assistevo al parto".
Nel 1985, dall'incontro di Frans Van der Hoff con Nico Roozen, economista
olandese che lavorava per l'organizzazione interconfessionale di sviluppo
Solidaridad, nasce la Max Havelaar, oggi uno dei piu' importanti marchi
equosolidali internazionali, diffuso in tutto il Nord Europa. La fonte del
progetto furono proprio le parole dei coltivatori indigeni: "Non vogliamo la
vostra elemosina, non siamo mendicanti; se voi ci pagate un prezzo giusto
per il nostro prodotto, possiamo cavarcela senza il vostro aiuto". Questo,
commenta oggi Van der Hoff, "e' il nocciolo della questione, in senso sia
teologico che economico".
A quel punto, occorreva trovare uno sbocco per il caffe' equo. Racconta
ancora Van der Hoff: "Nell'88 vado in Olanda con quattro campesinos, per
capire come creare un mercato diverso con l'associazione Solidaridad e far
arrivare i prodotti messicani in Olanda in tutte le botteghe, non solo
quelle dei prodotti tipici. C'era abbastanza sensibilita', ma ci domandavamo
come ampliare il campo, sviluppare questo progetto con le centrali
d'importazione. Ci venne un'idea: lo sposo della regina d'Olanda ricevette
il primo pacchetto di caffe' Max Havelaar e fu un boom. Tanto che le grosse
compagnie tentarono di bloccare il fenomeno. Ma noi abbiamo continuato ad
andare avanti e un po' alla volta abbiamo raggiunto la Germania, il Belgio,
l'Inghilterra e nel '94 l'Italia. Ora siamo presenti in 21 Paesi, con un
marchio di certificazione".
Un successo pagato a caro prezzo, anche dai campesinos: "Tra il 1985 e il
1992, molti furono i contadini uccisi dai sicari. Ne morirono trentasette,
tra quelli assassinati e quelli che hanno perso la vita in incidenti occorsi
mentre tentavano di sfuggire ai loro inseguitori. Ho dovuto celebrare
numerosi funerali, ma posso dire che ne uscimmo piu' forti".
Oggi Van der Hoff dice di se': "Sono messicano, anche se nato in Olanda". E
risponde volentieri alle domande sul futuro del commercio equo e solidale e
sulle sfide che lo attendono. "Il commercio equo non e' una panacea, da solo
non basta. Bisogna creare una piattaforma ampia, fatta di organizzazioni di
consumatori, gruppi di donne, ambientalisti... Dobbiamo muoverci su vari
fronti per guadagnare spazio. Il commercio equo e' un assunto politico,
quindi bisogna cercare di convincere presidenti e politici. L'anno scorso ho
parlato con Jacques Chirac e gli ho chiesto: in che tipo di mondo crediamo?
E' irresponsabile trasferire alle prossime generazioni i problemi. La
politica non funziona piu', perche' il suo spazio d'azione e' ridotto, non
puo' decidere senza il consenso del potere economico. In vent'anni, si e'
avuta un'evoluzione del commercio equo: il volume e' cresciuto enormemente e
ora le multinazionali e i politici lo prendono sul serio. Ad esempio, il 35
per cento delle banane ormai vengono dalla filiera del commercio equo.
Questo cambia anche i grandi produttori. In un mondo con un solo modello,
urgono contromodelli, perche' quello neoliberale non funziona. In vari Paesi
dell'America latina si sta realizzando un percorso alternativo, perche' ci
si e' resi conto che non c'e' sviluppo secondo il modello del Nord".
Van der Hoff non si ferma, ha le idee molto chiare: "La poverta' dignitosa
va bene, se arriva a garantire salute, istruzione, una vita degna. Mentre il
pianeta non riesce a sostenere lo stile di vita opulento del 20% della
popolazione. Questo non e' semplificare, ma ridurre la problematica mondiale
all'essenziale e affrontarlo. Faremo migliore il mondo: e' un sogno, non
un'utopia". E davanti a quanti vogliono far credere che la realta' e' troppo
complessa per poter essere modificata, la risposta di Van der Hoff e':
"Semplificare le cose, non creare illusioni e simulacri, camminare uniti:
anche la mosca piu' piccola puo' dare molto fastidio! In 50 anni, contiamo
di costruire un mondo piu' giusto, tenimos paciencia".
Dopo tanti anni con gli indios, anche la sua idea di Dio e' cambiata.
"Abbiamo cominciato in Cile a leggere il Vangelo con Paulo Freire, a leggere
Matteo 25, il giudizio finale. Alla fine la traduzione corrente e' inesatta:
il greco dice 'ai piu' poveri', non 'ai piu' piccoli'".
Questa e altre espressioni del Vangelo, lette nella Sierra ricevono un tipo
di illuminazione diversa. Commenta Van der Hoff: "E' come se cadesse il velo
di Maya. Oggi io credo in un Dio tanto grande da essere un Dio povero.
Senno' non si capirebbe Gesu', che si impegno' a fianco dei poveri e che per
questo fu ammazzato. Dio assume il rischio di stare coi poveri. E un altro
pensiero e' importante, per me: stiamo cercando responsabilita', ma
soprattutto felicita'. Io sono molto ottimista e felice. Vivere con il
minimo necessario ti fa libero. Lo mas elementar es lo mas feliz. Guardi:
nella scuola primaria studiavamo il vecchio catechismo e la prima domanda
era: perche' siamo sulla terra? Risposta: per essere contenti qui e dopo.
Innanzitutto qui! Il poi lo vedremo, ma ora dobbiamo costruire linee vitali
per essere felici qui. E questo lo possiamo fare con i poveri".

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 944 del 15 settembre 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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