Voci e volti della nonviolenza. 357



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 357 del 5 agosto 2009

In questo numero:
1. Tamar Pitch: Miseria del maschile
2. "Kamen'" intervista Edoarda Masi (2004) (parte seconda e conclusiva)
3. Riletture: Nuto Revelli, Mai tardi
4. Riletture: Nuto Revelli, La guerra dei poveri
5. Riletture: Nuto Revelli, La strada del davai
6. Riletture: Nuto Revelli, L'ultimo fronte
7. Riletture: Nuto Revelli, Il mondo dei vinti
8. Riletture: Nuto Revelli, L'anello forte
9. Riletture: Nuto Revelli, Il disperso di Marburg
10. Riletture: Nuto Revelli, Il prete giusto
11. Riletture: Nuto Revelli, Le due guerre
12. Riletture: AA. VV., Memorie di vita  e di Resistenza. Ricordi di Nuto
Revelli (1919-2004)

1. RIFLESSIONE. TAMAR PITCH: MISERIA DEL MASCHILE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 agosto 2009 col titolo "Miseria del
maschile". Abbiamo ovviamente mantenuto la brutale terminologia che cita e
denuncia la violenza dell'immaginario, dell'ideologia, del linguaggio e
della prassi maschilista]

Cio' che va in scena da un po' in Italia e' la miseria della mascolinita'.
Piu' che, genericamente, le donne e, in particolare, le femministe, a dir
qualcosa dovrebbero essere gli uomini. Non (soltanto) sulle bugie del
presidente del consiglio e sul dibattito pubblico/privato, ma proprio sulla
messa in scena di un maschile povero, misero, e, come bene messo in rilievo
dalle "puttane", ridicolo. Qui il machismo tradizionale non c'entra proprio.
Ne' c'entrano affatto le osservazioni sulle "donne all'epoca di Berlusconi"
di un recente articolo su "Repubblica" di Michela Marzano. La quale si
interroga su qualcosa che non e' tipico delle donne italiane ne' delle donne
in genere: ossia, l'ossessione di intervenire sul proprio corpo per renderlo
simile a quello di qualche modella o modello. Ossessione rintracciabile
ovunque, e in tutti i sessi/generi. Molto ci sarebbe da dire su questo, ma
non voglio farlo qui. Invece voglio parlare di questo maschile, della sua
deriva ridicola, e poi riflettere su che cosa ci dice sul tipo di regime
politico che viviamo.
La miseria: un anziano liftato, truccato, coi capelli finti, assai ricco e
potente, ridotto a comprare non tanto sesso, ma ammirazione (le povere
ragazze costrette a visionare lunghi video dell'anziano suddetto che si
accompagna a capi e cape di stato) mi pare una metafora dell'impotenza del
maschile odierno (che nemmeno l'aiutino di qualche medicamento miracoloso
riesce a dissimulare).
Un maschile riprodotto dalle patetiche figure dei Bondi, dei Ghedini e dei
Cicchitto, nonche' dei tristi "tra moglie e marito...", o "... noi non
facciamo del moralismo" dei Franceschini e simili.
Vincere, l'ultimo film di Bellocchio, mi ha fatto pensare: com'e' che oggi
ci rendiamo conto perfettamente di quanto ridicoli (oltre che, va da se',
tutto il resto) fossero Mussolini e la sua esibizione di virilita', quella
si' machista, e stentiamo invece a riconoscere lo stesso ridicolo in
Berlusconi? Certo, ai tempi le donne erano mogli o puttane, ma stavano al
loro posto. Anche oggi per molti uomini sono mogli o puttane, ma al loro
posto non ci stanno, tanto che sono state proprio le mogli e le puttane a
dire che il re e' nudo, e queste ultime a sbeffeggiarlo.
Pero', non siamo passati dalla tragedia alla farsa. In realta', non c'e'
molto da ridere, giacche' questo miserando spettacolo si inserisce
perfettamente dentro quel populismo autoritario di cui parla, tra gli altri,
Jonathan Simon, a proposito dell'America prima di Obama (Il governo della
paura, Cortina). Il populismo autoritario governa con e attraverso la paura
e utilizza a piene mani un repertorio simbolico maschilista. In Italia, il
tipo ideale di questo populismo e' la Lega, dove celodurismo e razzismo sono
le due facce della stessa medaglia: "noi", i maschi italiani, ci ergiamo a
"protettori" (nei vari sensi di questa parola) delle donne italiane contro
gli stranieri barbari e stupratori. Cio' che significa, tra le altre
orribili cose, togliere voce alle donne stesse, a dimostrazione del fatto
che sessismo e razzismo vanno sempre insieme. Del resto, quando si invocano
l'identita' e le tradizioni, il popolo e la patria, l'implicito (che nelle
pulizie etniche diventa esplicito) e' il ferreo controllo sulle donne e i
loro corpi, giacche' depositarie di identita', tradizioni, e cosi' via.
L'ostilita' nei confronti delle donne e' pero' molto visibile anche nei
comportamenti e nei discorsi del presidente del consiglio. A lui le donne
non piacciono. Gli piaceva, non a caso, la sua mamma. Le tollera se corpi
senza voce, se mogli e puttane al modo tradizionale, se gli fanno coro
ammirato intorno. Io penso che ne abbia paura.
La paura attraverso cui il populismo autoritario governa e si legittima e'
in primo luogo la paura delle donne e delle loro liberta', anche se questa
paura non e' detta esplicitamente. Il consenso diffuso a questo regime va
rintracciato anche qui. L'immaginario degli anni Novanta, dopo il
femminismo, e' popolato da mostri femminili, donne onnipotenti padrone della
vita e della morte, minaccia per i figli e l'ordine sociale, persecutrici di
padri separati, potenziali assassine di embrioni, smisurate. E' un
immaginario diffuso, che certo non risparmia chi votava o vota "a sinistra".
L'insicurezza propria dell'epoca in cui viviamo trova i suoi capri espiatori
(in Italia) nei migranti, ma (anche, se non soprattutto) e' di noi che parla
questa favola.
E certo in Italia saremo speciali (ma non lo era anche Mussolini?), pero' le
destre estreme vincitrici in Europa utilizzano un repertorio linguistico e
simbolico non tanto diverso da quello della Lega, e i giornali dell'"amico
Putin" inneggiano alla virilita' dell'anziano scopatore. Per fortuna (del
maschile) c'e' Obama, tutto un altro modo di interpretare le virtu' virili.

2. MAESTRE. "KAMEN'" INTERVISTA EDOARDA MASI (2004) (PARTE SECONDA E
CONCLUSIVA)
[Dal sito www.criticamente.com riprendiamo la seguente intervista a Edoarda
Masi (1) li' riprodotta per gentile concessione della rivista di poesia e
filosofia "Kamen'" (2)]

- "Kamen'": Di Edoarda Masi, oltre ai suoi libri, si conosce poco, che puoi
dire?
- Edoarda Masi: Ho avuto una vita in fondo di piccola borghese italiana
piuttosto comune, salvo il fatto che sono andata in Asia. Oggi tutti i
giovani che studiano il cinese vanno in Asia. Ho studiato a Parma. Quando ho
finito il liceo i miei professori mi hanno detto che dovevo studiare fisica,
e avevano ragione. Io ero liberissima di scegliere, mio padre era una
persona eccezionale, avanti di tre generazioni, anche per il modo di educare
alla liberta'. Pero' esisteva un influsso indiretto, mio padre era un uomo
di lettere, e mi appariva naturale orientarmi verso le lettere.
*
- "Kamen'": Lo dava per scontato?
- Edoarda Masi: Lo davo io per scontato. Ho finito il liceo nel 1944 durante
l'occupazione tedesca, ho anche saltato un anno perche' ero stanca di andare
a scuola. Sono del 1927 e avevo saltato un anno anche in prima elementare. A
Parma non c'era la facolta' di lettere, c'era a Bologna, pero' a quel tempo
non c'erano neanche i treni, c'era la guerra. Allora mi sono iscritta a
legge a Parma, sapendo che poi avrebbero consentito il passaggio di
facolta'. Dopo la liberazione ho fatto il passaggio a Bologna, ma e' durato
un mese e mi sono stufata. Voi non avete idea, mica esistevano i treni per
andare da Parma a Bologna, mica esistevano le automobili private. Neanche
parlarne, forse qualcuna. Dovevi andare con altra gente a dei posti di
blocco fuori citta', dove gli alleati controllavano il traffico. Li' si
aspettava che passassero dei camion e ci si faceva caricare. I camion erano
principalmente di due tipi: militari degli alleati, oppure camion di quelli
che facevano la borsa nera da sud a nord. Dal momento in cui c'e' stata
l'unificazione c'era uno squilibrio enorme di prezzi fra il sud inflazionato
e il nord, e su questo giocavano i borsari neri. Mi ricordo che una volta
tornai da Bologna in cima a un enorme catasta di limoni che veniva dal sud.
Comunque era una vita impossibile, non si poteva studiare in quelle
condizioni. Allora con un'amica decidemmo di rimanere a legge a Parma. Cosi'
mi sono laureata in legge. E non mi dispiace nemmeno perche' e' stato un
allargamento di orizzonti, data l'educazione tutta letteraria ricevuta a
casa.
*
- "Kamen'": La stessa cosa ha detto Piero Bertolucci dell'Adelphi, che si e'
laureato in legge, poi per caso un giorno e' andato a sentire le lezioni di
Colli ed e' rimasto folgorato dalla filosofia. Pero' anche lui e' laureato
in Legge.
- Edoarda Masi: Le donne a quel tempo non potevano entrare in magistratura,
ma io non ci pensavo nemmeno, neanche l'avvocato volevo fare, non mi
piaceva. Ma la laurea in legge da' accesso a quasi  tutte le professioni
"umanistiche". Comunque, l'aspetto nuovo per me rispetto al liceo e' stato
lo studio della storia del diritto pubblico. E' un modo di studiare la
storia che nel liceo non c'e', la storia delle istituzione non si fa. Un
modo di fare la storia d'Italia sconosciuta nel campo dei letterati. E poi
si scopre che i migliori testi di letteratura latina sono quelli dei
giuristi, sono testi meravigliosi di grande sintesi e di grande
razionalita', dove appare il genio propriamente latino. Vedi, per esempio,
la definizione della violenza morale: "Quamvis  si liberus essem noluissem
tamen coactus volui". Dopo la laurea in legge, la prima esigenza era
lavorare subito, qualunque lavoro. In questo senso la mia generazione e'
molto diversa da quelli che oggi volentieri resterebbero a casa della madre
fino a cinquant'anni, se potessero. E' vero che ci sono condizioni di lavoro
difficili, che non e' facile trovare casa e lavoro, pero' in queste
condizioni la gente si assesta... Io ho avuto la fortuna che la mia
adolescenza, tarda adolescenza, i miei diciassette anni, hanno coinciso con
la Liberazione. La storia d'Italia e' stata in armonia con la mia crescita
personale. L'entusiasmo, veramente grande nei primi anni dopo la
Liberazione, ha coinciso per me con il momento in cui uno apre gli occhi sul
mondo. E' un dato generazionale: tutte le mie compagne, donne, figlie della
gente per bene di Parma (una categoria non particolarmente brillante per
spirito d'indipendenza), tutte volevamo lavorare il piu' presto possibile.
Era un desiderio d'indipendenza, non volevamo dipendere dai genitori. C'era
per me anche la considerazione di mio padre, che era un funzionario statale.
Gli stipendi, fino agli anni Sessanta, non ti permettevano quasi di vivere,
essendo dirigenti statali - quindi poveri. Allora perche' dovevo farmi
mantenere da mio padre? Lo trovavo anche immorale. Avrei avuto la
possibilita' di restare all'Universita', ma allora era ancora peggio di
adesso: avrei dovuto lavorare gratis per anni. E poi, pur andando d'accordo
con i genitori e benche' non mi abbiano mai ostacolata in nulla, c'era il
desiderio di indipendenza, volevo contare sulle mie forze.
*
- "Kamen'": Sei figlia unica?
- Edoarda Masi: No, ho un fratello, un po' piu' giovane. Al primo concorso
che c'e' stato per le biblioteche, ho colto l'occasione. Allora erano
concorsi piuttosto difficili. Ho lavorato per un anno alla Nazionale di
Firenze. Ci stavo benissimo, ero contenta, c'erano i colleghi giovani con
cui ci divertivamo...
*
- "Kamen'": Giovanni Semerano era alla Nazionale di Firenze?
- Edoarda Masi: Lavorava alla Marucelliana. Direttrice della Nazionale era
la Mondolfo, allieva e amica di Giorgio Pasquali. Miei colleghi erano
Umberto Albini, grecista, entrato col mio stesso concorso, Martini, che ha
lavorato in seguito in una biblioteca dell'Onu, Casamassima, poi diventato
direttore  della Nazionale. Eravamo stati reclutati quasi tutti
contemporaneamente, nei primi concorsi del dopoguerra dopo anni di stasi.
Ero felice e contenta, ma non potevo sopravvivere, letteralmente, con lo
stipendio, anche avendo trovato una pensione di bravissima gente che mi
nutriva bene (per lo meno mangiavo e avevo una cameretta). Pero' pagati quel
mangiare e quella cameretta, non potevo comprarmi piu' nulla, non era
possibile. I miei si erano trasferiti a Roma e c'era una casa grande... A
Roma ci sono tante biblioteche, mio padre dirigeva allora l'Angelica, non
potevo essere una dipendente di mio padre... Sono andata alla Biblioteca
Nazionale, che era nella confusione piu' completa. Venivo da quella di
Firenze che era diretta bene, bene ordinata, e li' mi sono trovata nel caos.
Gli anni Cinquanta, gli anni di Roma, sono stati per me anni bui, i piu'
brutti della mia vita. Roma e' una citta' faticosissima per chi non abita in
centro e noi abitavamo in periferia. Tu passi la giornata sui mezzi di
trasporto. Mi ero fatta un'automobilina, una Topolino usata, ma anche cosi'
per arrivare a casa dalla biblioteca impiegavo piu' di un'ora. Per fortuna
facevamo orario continuato, pero' arrivavo a casa alle tre, mangiavo, e dopo
cadevo in letargo. Se dovevo uscire, si trattava di ricominciare, riuscivo
ad arrivare in centro alle sei. Questo dei tempi di trasporto e' un aspetto
importante, puo' bloccarti la vita. Roma e' una citta' bellissima, e mi era
familiare come i corridoi di casa mia, pero' e' una citta' ministeriale e
l'odioso ambiente burocratico romano aveva delle propaggini anche nelle
biblioteche. Mentre le biblioteche fuori Roma in fondo erano dei regni
indipendenti. A Roma finivano per essere tutti parenti, amici e imparentati
con i funzionari e gli impiegati dei ministeri, c'era una presenza
burocratico-ministeriale anche dentro la biblioteca. Poi, sulla Biblioteca
Nazionale di quel tempo, diretta in modo strambo, ci sarebbe da scrivere un
romanzo gogoliano.
*
- "Kamen'": Dalla Biblioteca Nazionale di Roma sei andata all'Istituto di
Studi Orientali?
- Edoarda Masi: No. A Roma ho studiato il cinese per quattro anni, poi, nel
1957, sono andata in Cina chiedendo l'aspettativa. Sono stata un po' piu' di
un anno all'Universita' di Pechino. Avevo una borsa di studio di tre anni a
Pechino, ma avrei perso il lavoro in Italia, quindi sono tornata. Anche
perche', per cio' che mi importava - la lingua contemporanea - ne sapevo
abbastanza, e ho continuato a studiare in Italia. Sono tornata nel 1958,
sono stata a Roma ancora due o tre anni, ma li' la vita era sempre piu'
insopportabile, e ho chiesto il trasferimento a Milano. Me lo hanno dato
immediatamente, in un giorno, d'ufficio, mi hanno pagato il trasporto delle
mie cose, perche' nessuno statale voleva trasferirsi da Roma a Milano - dove
vi era carenza di personale, mentre a Roma ce n'era in eccesso. Sono rimasta
a Milano alla Biblioteca Nazionale Braidense fino alla pensione, nel 1973.
*
- "Kamen'": Il tuo ruolo era quello di direttore di biblioteca?
- Edoarda Masi: No, di dirigente. Prima esistevano solo tre categorie: una
categoria esecutiva, una intermedia, e la carriera direttiva. Ero nella
carriera direttiva. In quegli anni Andreotti promosse una riforma: dopo un
certo numero di anni di servizio e un esame, i funzionari direttivi
diventavano dirigenti. Fui tra questi. Il dirigente puo' avere un incarico
di direzione ma in una biblioteca grande oltre il direttore c'e' un certo
numero di dirigenti. Io ero comunista, percio' non ho mai avuto una
direzione. Ne ero stata preavvertita, ancora quando ero a Roma, dal
capodivisione del personale: "Lei e' brava e molto quotata, ma sarebbe
meglio che smettesse di occuparsi di questioni sindacali". Era uno legato
con Gonella, il ministro democristiano della Pubblica Istruzione. Gli
risposi: "Finche' c'e' la liberta'....". E lui: "Che Dio ce la conservi!", e
fu tutto. Non mi importava molto di questa limitazione della carriera, anche
perche' lo studio della storia e della letteratura della Cina stava
diventando il mio interesse principale. Quello dei bibliotecari e' un
ambiente di persone civili. La direttrice ti rispettava. Nelle biblioteche
allora vigeva il matriarcato: i concorsi di accesso erano difficili, si
richiedeva una preparazione notevole, ma la professione dava poche
soddisfazioni e pochissimi soldi. Cosi' la maggior parte delle candidate a
quella carriera era di donne. Questa gestione femminile funzionava bene,
tutto sommato. Negli ultimi anni di Brera mi occupavo degli acquisti e del
personale, una funzione dirigente anche se formalmente non ero il direttore.
Mentre lavoravo a Brera ho conseguito la libera docenza in letteratura
cinese e ho ottenuto all'Orientale di Napoli l'incarico di letteratura
cinese per quattro anni. Era una vita pesante, facevo la pendolare da Milano
a Napoli. Non guadagnavo niente, mi davano ottantamila lire che non
bastavano neanche per pagare il treno o l'aereo. (Fruendo gia' di uno
stipendio statale potevo avere solo un'integrazione.) A Napoli ho insegnato
letteratura cinese moderna. L'incaricato era qualcosa di simile
all'associato di oggi, pero' in condizione di precariato, nominato anno per
anno. Il pendolarismo naturalmente era pesante: a Napoli facevo cinque ore
di lezione di seguito per due giorni. Erano i primi anni Settanta, il clima
era post-sessantottesco, si passavano ore a parlare con gli studenti, era
molto bello, ma pesante. Quando tornavo a Milano, trovavo accumulato il mio
lavoro, non c'era un altro a farlo, nonostante l'autorizzazione ad
assentarmi per due giorni. Ero nella "force de l'age" e ce la facevo, ma con
fatica. Poi avrei dovuto decidermi a dare il concorso per la cattedra; in
quel momento lo avrei vinto, i concorrenti erano pochi. Pero' avrei dovuto
trasferirmi a Napoli: una citta' che amo molto, dove mi sono trovata
benissimo. Ancora oggi con gli ex colleghi napoletani sono in ottimi
rapporti. Ma la mia vita era impiantata a Milano, che non era quella di
oggi, ci stavo molto bene. Qui avevo gli amici e i compagni, qui ero
organizzata. Allora dissi: "Che m'importa, mica voglio fare la carriera
universitaria". Piu' tardi gli amici napoletani me ne hanno rimproverata,
per aver perduto il contatto con gli studenti. E' un rapporto che ancora
oggi, per quanto occasionale, funziona molto bene. Eppure da giovane pensavo
di non essere portata all'insegnamento; ma c'era un equivoco, pensavo
all'insegnamento nella scuola media, ed effettivamente non sono portata ad
avere a che fare coi ragazzini, a tener buona la classe, ecc. L'insegnamento
a ragazzi adulti e' un'altra cosa.
*
- "Kamen'": E i "Quaderni piacentini"?
- Edoarda Masi: E' la storia di Milano di quegli anni. Perche' volevo
restare a Milano? Perche' gli anni  Sessanta sono stati anni meravigliosi.
Da Roma a Milano c'e' stato per me un cambiamento radicale. E' ancora la
storia d'Italia. Gli anni Cinquanta sono i Dieci inverni di Fortini. Per
molti di noi sono stati anni bui; poi e' venuta la liberazione degli anni
Sessanta. Prima dei "Quaderni piacentini" avevo conosciuto i compagni dei
"Quaderni rossi". Raniero Panzieri l'avevo conosciuto gia' a Roma, tramite
un amico comune; allora era un dirigente della sinistra socialista. Quando
ero partita per la Cina, mi aveva detto: "Mandaci delle corrispondenze".
Allora dirigeva "Mondo operaio" che durante la sua direzione fu una rivista
bellissima. E' durato poco, pero', perche' venne emarginato dal suo stesso
partito e fini' a Torino a lavorare per Einaudi. Era amico di Franco
Fortini. Fortini l'ho conosciuto, perche' al ritorno dalla Cina ho scritto
un libro e glielo ho mandato. Pensavo fosse lo scrittore adatto a capirlo.
Il manoscritto gli piacque molto. Lo presento', con Panzieri, alla redazione
Einaudi di cui faceva parte. Questo e' accaduto pressappoco nello stesso
periodo in cui mi sono trasferita a Milano, all'inizio degli anni Sessanta.
Da Einaudi vi fu un grande litigio intorno al mio libro, perche' conteneva
delle critiche al regime cinese, fatte da un punto di vista socialista, non
da un punto di vista ostile. Pero' alcuni non erano d'accordo, sostenevano
che qualsiasi critica sarebbe andata a vantaggio del nemico. C'era questa
mentalita' un po' stalinista, anche fra non stalinisti. Si oppose
principalmente Renato Solmi, un uomo straordinario col quale in seguito ho
stretto amicizia, ma in quel momento troppo osservante e timoroso
dell'eresia. Allora il libro non usci'. In quell'occasione ho avuto un
rapporto un po' piu' discorsivo con Panzieri il quale mi consiglio': "Non lo
dare ad altri editori perche' perderebbe il suo carattere". Oggi non e' piu'
cosi', ma allora Einaudi aveva una certa sua nobilta'. Le case editrici non
erano tutte uguali come oggi. Cosi' l'ho messo nel cassetto. Soltanto
qualche anno fa e' uscito da Feltrinelli con il titolo Ritorno a Pechino,
con un'introduzione esplicativa. Panzieri mi disse: "Comincia a frequentare
le riunioni dei nostri 'Quaderni rossi'" e mi fece fare dei lavori. La
rivista era quasi un sottoprodotto di un intenso lavoro precedente. Non ci
si incontrava come si incontra una redazione, ma per organizzare un lavoro
di studio, di inchiesta e di ricerca - specialmente nelle fabbriche
torinesi. Si facevano grandissime sedute di discussioni. Poi alcuni dei
risultati venivano pubblicati nella rivista, di cui uscirono appena cinque
numeri. E' stata per me un'esperienza straordinaria, ho avuto modo di
incontrare un insieme di cervelli eccezionale. C'erano Vittorio Rieser,
Giovanni Mottura, Liliana e Dario Lanzardo, Michele Salvati che era l'ala
destra, Bianca Beccalli, Mariuccia Salvati, Mario Tronti, Toni Negri,
Adriano Sofri, ecc. Il nucleo di quella che e' stata poi la sinistra
italiana pensante, in ogni direzione, e' passato dalla rivista. Dopo un
certo periodo, entrai a far parte della redazione. I "Quaderni piacentini"
erano piu' collegati con Fortini, che lavoro' per metterli in rapporto con i
"Quaderni rossi". Non e' vero che Fortini fosse un isolato, come dice
Rossana Rossanda. Al contrario, era un organizzatore di cultura, metteva in
relazione le persone, in un continuo lavorio. (Un numero sull'America Latina
fu realizzato insieme dalle due redazioni). Grazie a Fortini cominciai a
frequentare i "Quaderni piacentini", conobbi Piergiorgio Bellocchio, Grazia
Cherchi, Goffredo Fofi. In seguito entrai nella redazione.
*
- "Kamen'": Il valore di queste persone era davvero elevato, molte delle
cose allora dette si sono rivelate azzeccate.
- Edoarda Masi: Intorno ai "Quaderni rossi" gravitavano anche un gruppo
toscano, amici di Sofri, i veneziani incluso Luigi Nono, anche dei
napoletani e dei siciliani. Poi c'era anche Giovanni Pirelli, che fra
l'altro ha aiutato finanziariamente la rivista. Un uomo straordinario. Molti
degli articoli dei "Quaderni piacentini" sono stati tradotti in Europa e
anche altrove. In Francia, la rivista di Sartre riprendeva i nostri
articoli. In Germania, facevano opuscoletti dei nostri articoli. E' stato un
momento in cui e' esistita in Europa una sinistra seria, nella quale gli
italiani hanno avuto un ruolo. "Quaderni piacentini" per un certo periodo e'
stata la piu' bella rivista europea di politica-cultura.
*
- "Kamen'": Come mai, al di la' del dato della naturale dispersione (c'e'
chi muore ecc.), questo patrimonio si e' smarrito?
- Edoarda Masi: Si e' persa la funzione sociale dell'intellettuale. Quei
cervelli in qualche modo erano ancora un residuo di certa cultura
umanistica, e si sono dispersi. Il mio amico Giuseppe Gozzini diceva: "Il
Sessantotto e' stato il rantolo finale di un periodo che durava da piu' di
un secolo". Se si guarda la storia delle persone, ognuno e' rimasto un atomo
per conto suo, una monade. Chi aveva una sua moralita' personale, come
Bellocchio o Vittorio Rieser, si e' mantenuto isolato, facendo il proprio
lavoro in modo decente, ma isolato. Quelli che davano meno importanza alla
salvaguardia della loro purezza intellettuale, sono entrati nel giro o
economico o politico o accademico - qualche volta diventando uomini di
regime.
*
- "Kamen'": Ma non e' per l'incapacita' di pensarsi in un modo diverso?
- Edoarda Masi: No, come diceva Marx, non si puo' fare come il Barone di
Muenchausen che cercava di sollevarsi da terra tirandosi per i capelli. Tu
non puoi piu' avere quella funzione nella societa', se la società non te la
da'. Sei autoreferenziale. Lo sei perche' ti hanno messo in quella
condizione.
*
- "Kamen'": Ma non e' anche per il fatto che gli intellettuali non si sono
pensati fuori da questa autoreferenzialita'?
- Edoarda Masi: Secondo me, individualmente questo e' accaduto. Alcuni non
lo hanno fatto. Ma se parliamo della categoria, la categoria e' determinata
anche dal contesto. L'individuo molto meno, si puo' salvare, si chiude nel
suo guscio, ha la sua moralita' personale, continua a fare le sue cose...
Pero' se pensiamo a una funzione di gruppo, no. Ritengo che nella fase
attuale dell'evoluzione economica e politica mondiale, quelli che erano
chiamati gli intellettuali, ma che in realta' erano gli intellettuali
umanisti, anche del tempo di Marx e poi via via, non hanno piu' quella
funzione che hanno avuto per un secolo e mezzo: in quanto oggi le leve del
potere, sia pure con asservimento, sono semmai nel campo della scienza e
della tecnologia. Per esempio, il sistema di dominio attraverso la
biogenetica, senza una scienza asservita sarebbe impossibile. Il potere
delle transnazionali della chimica senza il potere degli universitari
sarebbe impossibile. Questi sono veramente gli asserviti pericolosi. Quando
tu hai un asservito in campo umanistico, il peggio che puo' fare e' del
giornalismo fetente... non dico che faccia poco male, ma tutto sommato... Il
potere in questo senso e' limitato, mentre non lo e' il potere di quelli che
organizzano l'industria chimica in un certo modo e sono asserviti a quella,
oppure la corporazione dei medici, quelli che insomma hanno finito per fare
della vita umana qualcosa di spaventoso. Diceva un mio amico, ora morto: "Se
mi ammalo gravemente, la prima cosa che faccio e' nascondermi"; perche' uno
non vuole diventare oggetto di esperimenti, campare tre anni di piu',
sottoposto a sofferenze atroci per quei tre anni in piu' che lo fanno
vivere. Certamente e' necessario un contributo di pensiero teorico al
cambiamento effettivo, di filosofia, di economia ecc. Sara' necessario
questo, ma non c'e' ancora. Chi detiene il potere non ha piu' bisogno di
intellettuali, si serve di altri, di mezze calzette.
*
- "Kamen'": Ma come possiamo considerare questi degli intellettuali? Non
hanno la coscienza critica dei propri statuti scientifici o umanistici. E
perche' questa scissione fra scienziati e intellettuali umanistici? Si
tratta di intellettuali e basta.
- Edoarda Masi: Sono d'accordo, dico solo che detengono un pezzo di potere,
e per di piu' sono asserviti.
*
Note
1. Edoarda Masi e' nata a Roma nel 1927. Si e' laureata in giurisprudenza a
Parma nel luglio 1948. Dal 1950 al 1973 e' stata bibliotecaria (ruolo
direttivo, ruolo dirigente) nelle biblioteche statali (Biblioteca Nazionale
di Firenze, Biblioteca Nazionale dì Roma, Biblioteca Nazionale di Milano).
Nel 1956 si e' diplomata presso l'Ismeo di Roma in lingua e istituzioni
cinesi e in lingua russa. Dopo un corso di perfezionamento in lingua cinese
presso lo stesso Ismeo, ha frequentato un corso speciale di lingua cinese
presso l'Universita' di Pechino, nel cui campus ha vissuto nel 1957 e 1958.
Dal l968 al 1971 ha tenuto seminari sulla cultura e la storia della Cina
moderna presso le universita' di Torino, Venezia, Roma, l'Istituto superiore
di sociologia di Milano, l'Istituto universitario orientale di Napoli,
l'Istituto di studi storici e sociologici dell'Universita' di Urbino,
l'Istituto superiore di scienze sociali di Trento. Nel 1970-71 ha insegnato
lingua cinese presso l'Ismeo di Milano. Nel l971 ha conseguito la libera
docenza in lingua e letteratura cinese. Negli anni accademici 1971-72,
1972-73,1973-74 e' stata incaricata dell'insegnamento di letteratura cinese
moderna e contemporanea presso l'Istituto universitario orientale di Napoli.
Nel 1976 ha lavorato informalmente presso l'Ambasciata d'Italia a Pechino.
Nell'anno accademico 1976-77 ha insegnato lingua italiana presso l'Istituto
universitario di lingue straniere di Shanghai. Oltre che in Cina, ha
viaggiato (in Asia) in Giappone e in Vietnam. Ha collaborato a diversi
periodici, fra i quali: "Alfabeta", "Annali Feltrinelli", "Antigone",
"Asahi", "Aut aut", "Azimuth", "Cina", "Critica. Revista de la Maestria en
ciencias sociales de la Universidad Autonoma de Guerrero", "Guerre & Pace",
"Ideologies", "Kursbuch", "L'Indice", "Linea d'ombra", "Nuova rivista
storica", "L'ospite ingrato. Annuario del Centro studi Franco Fortini",
"Quaderni dell'amicizia (Associazione Italia-Cina)", "Quaderni piacentini",
"Quaderni rossi", "Rivista di storia contemporanea", "Rivista storica del
socialismo", "Socialist revolution", "Tempi moderni", "Les temps modernes",
"Ulisse". Ha pubblicato i seguenti volumi: La contestazione cinese, Torino,
Einaudi, 1968, 1969, 1971 (trad. tedesca: Die chinesische Herausforderung,
Berlin, Wagenbach, 1970); Lo stato di tutto il popolo e la democrazia
repressiva, Milano, Feltrinelli, 1976; Per la Cina, Milano, Mondadori, 1978
(trad. americana, con variazioni e aggiunte: China Winter, New York, Dutton,
1982); Breve storia della Cina contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1979; Il
libro da nascondere, Casale Monferrato, Marietti, 1985; Cento trame di
capolavori della letteratura cinese, Milano, Rizzoli, 1991; Ritorno a
Pechino, Milano, Feltrinelli, 1993; Storie del bosco letterario, Milano,
Scheiwiller, 2002. Ha curato le seguenti traduzioni dal cinese: Cao Xueqin,
Il sogno della camera rossa. Torino, Utet, 1964, 1981; Lu Xun, La falsa
liberta', Torino, Einaudi, 1968; Feng Youlan, Sommario di storia della
filosofia cinese, in: "I problemi della pedagogia", 1971-72; Lao She, Citta'
di gatti, Milano, Garzanti, 1986; Confucio, I dialoghi, Milano, Rizzoli,
1989; Chuanqi: storie fantastiche Tang, Parma, Pratiche, 1994; Lu Xun, Erbe
selvatiche, Macerata, Quodlibet, 2003.
2. "Kamen'. Rivista di poesia e filosofia", anno XIII, n. 23, gennaio 2004,
direttore responsabile: Amedeo Anelli.

3. RILETTURE. NUTO REVELLI: MAI TARDI
Nuto Revelli, Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, Panfilo, Cuneo 1946,
Einaudi, Torino 1967, 1989, pp. X + 214. Un diario che rende conto ad un
tempo di una tragedia storica e di una formazione umana.

4. RILETTURE. NUTO REVELLI: LA GUERRA DEI POVERI
Nuto Revelli, La guerra dei poveri, Einaudi, Torino 1962, 19733, pp. XX +
540. Dalla ritirata dal fronte russo (narrata rielaborando il diario gia'
pubblicato in Mai tardi) all'epopea della lotta partigiana fino alla
liberazione. Con un'ampia appendice documentaria, e una prefazione di Aldo
Garosci. Un libro fondamentale (di cui vi e' anche un'edizione scolastica
ridotta, con introduzione e note di Sebastiano Vassalli: Nuto Revelli, La
guerra dei poveri. Il fronte russo, Einaudi, Torino 1977, edizione che
riporta soltanto la parte iniziale dell'editio maior del libro: la premessa
e il diario della ritirata dalla Russia).

5. RILETTURE. NUTO REVELLI: LA STRADA DEL DAVAI
Nuto Revelli, La strada del davai, Einaudi, Torino 1966, 1980, pp. XXII +
602. La tragedia della spedizione in Russia nelle testimonianze degli alpini
sopravvissuti raccolte da Nuto Revelli. Un'opera che e' indispensabile aver
letto.

6. RILETTURE. NUTO REVELLI: L'ULTIMO FRONTE
Nuto Revelli, L'ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella
seconda guerra mondiale, Einaudi, Torino 1971, 1989, pp. LXVIII + 364.
Questa raccolta di lettere a cui occorre accostarsi in profondo rispetto e
pieta', le lacrime trattenendo, raccomandiamo anche per la straordinaria
introduzione di Nuto Revelli a questa seconda edizione, cui e' allegata
anche una sua lettera del febbraio 1988 al presidente della "Commissione
Leopoli" istituita dal Ministero della Difesa un anno prima.

7. RILETTURE. NUTO REVELLI: IL MONDO DEI VINTI
Nuto Revelli, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Einaudi,
Torino 1977, 1991, 2 voll. (vol. I. La pianura. La collina, pp. CXXVIII +
168; vol. II. La montagna. Le Langhe, pp. VI + 256). Uno dei libri piu'
importanti della cultura italiana del Novecento. Un capolavoro di ricerca
sociale (se si preferisce: antropologica; ma l'autentica ricerca sociale
partecipata, coscientizzatrice e militante - in quanto e' lotta per l'umana
dignita' e la reciproca profonda comprensione - e' sempre antropologia del
presente); un capolavoro di riconoscimento di umanita', di indagine storica
ed esistenziale, di lettura morale e politica delle vicende economiche e
sociali, di oralita' che si fa monumento di cultura, capolavoro di
scrittura.

8. RILETTURE. NUTO REVELLI: L'ANELLO FORTE
Nuto Revelli, L'anello forte. La donna: storie di vita contadina, Einaudi,
Torino 1985, 1995, pp. XCVI + 512. Un'opera capitale: Nuto Revelli ascolta,
registra, restituisce queste testimonianze di donne che dicono verita'
definitive.

9. RILETTURE. NUTO REVELLI: IL DISPERSO DI MARBURG
Nuto Revelli, Il disperso di Marburg, Einaudi, Torino 1994, pp. IV + 178. Un
libro straordinario che e' molti libri insieme: storia di una ricerca,
analisi di un metodo, ricostruzione di una vicenda, regesto di riflessioni e
inquietudini, traccia viva di memoria e speranza ed impegno di verita' e
giustizia, e luminoso ancora un incontro di umanita'.

10. RILETTURE. NUTO REVELLI: IL PRETE GIUSTO
Nuto Revelli, Il prete giusto, Einaudi, Torino 1998, pp. IV + 116. La
testimonianza di don Raimondo Viale (1907-1984), il parroco antifascista di
Borgo San Dalmazzo, raccolta e restituita da Nuto Revelli.

11. RILETTURE. NUTO REVELLI: LE DUE GUERRE
Nuto Revelli, Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana, Einaudi,
Torino 2003, pp. XVI + 198. Nato dai testi preparatori e dalle lezioni
tenute all'Universita' di Torino nell'ambito del corso 1985-86 di storia
contemporanea, questo libro di storia e di testimonianza sarebbe opportuno
adottarlo nelle scuole. Con una presentazione di Giorgio Rochat.

12. RILETTURE. AA. VV.: MEMORIE DI VITA E DI RESISTENZA. RICORDI DI NUTO
REVELLI (1919-2004)
AA. VV., Memorie di vita  e di Resistenza. Ricordi di Nuto Revelli
(1919-2004), Nuova Iniziativa Editoriale, Roma 2004 (in supplemento al
quotidiano "L'Unita'"), pp. VI + 136. Una raccolta di saggi, testimonianze e
documenti in ricordo di Nuto Revelli, allora recentemente scomparso.
Contributi di Paolo Giaccone, Michele Calandri, Giovanni De Luna, Giorgio
Rochat, Ernesto Ferrero, Mario Rigoni Stern, Alessandro Galante Garrone,
Corrado Stajano, Bartolo Mascarello, Checca Pasquero Barberis, Christoph U.
Schminck-Gustavus, Gastone Cottino, Alessandra Demichelis; con una nota
introduttiva dei curatori, alcune lettere di Dante Livio Bianco, e una
bibliografia.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 357 del 5 agosto 2009

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