Minime. 806



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 806 del 30 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Primo maggio contro la guerra e contro il razzismo
2. La liberazione della liberta' contro la liberta' dalla liberazione
3. Ida Dominijanni: Le parole e le cose
4. Da una lettera di Margite all'amico suo Crisocardio
5. Luca Kocci: 13 miliardi per nuovi cacciabombardieri
6. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
7. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
8. Benedetto Vecchi intervista Prem Shankar Jha
9. Alcuni estratti da "Questioni di gusto" di Gillo Dorfles
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PRIMO MAGGIO CONTRO LA GUERRA E CONTRO IL RAZZISMO

L'oppressa umanita' non ha nazione.
Si unisca ogni sfruttata e ogni sfruttato
in questa lotta di liberazione
comune. Il cieco, il muto, lo sciancato,

l'incatenata, il folle, il travagliato
da mille mali, tutte le persone
fragili e torturate, il quinto stato
degli spogliati lotti e avra' ragione.

Del suo soffrir nessuno si vergogni:
vi e' soltanto una umanita',
riceva ognun secondo i suoi bisogni,

e ognuno per le sue capacita'
a tutti doni. E infine tutti i sogni
sempre sognati siano la realta'.

2. NOMI. LA LIBERAZIONE DELLA LIBERTA' CONTRO LA LIBERTA' DALLA LIBERAZIONE

Il 25 aprile: giorno della liberazione.
A cosa ci chiama?
Alla lotta contro la guerra assassina, la guerra che del nazifascismo e'
origine ed esito.
Alla lotta contro il razzismo, il razzismo che del nazifascismo e' decisivo
tratto.
Alla lotta contro il totalitarismo.
Alla lotta contro il militarismo.
Alla lotta contro il nazionalismo.
Alla lotta contro lo sfruttamento.
Alla lotta contro il maschilismo e il patriarcato, che del nazifascismo sono
il decisivo fondamento.
Alla lotta per inverare quell'aspirazione e quel programma per cui vissero e
morirono (anzi, come scrisse Piero Calamandrei, per cui morirono e per cui
vivono) i fratelli Rosselli: giustizia e liberta'.

3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LE PAROLE E LE COSE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 aprile 2009 col titolo "La liberta'
contro la liberazione?"]

La politica e' l'arte della dissimulazione piu' o meno onesta, ma la lingua,
invece, non mente. Adriano Prosperi, su "La Repubblica" di ieri, centra
perfettamente il punto quando vede in quell'apparentemente piccolo
slittamento semantico, da "festa della liberazione" a "festa della
liberta'", la posta in gioco della battaglia politica e simbolica che si sta
combattendo sulla data del 25 aprile. La quale posta in gioco non e' solo
l'ingresso o meno, e l'accoglienza o meno, di Silvio Berlusconi e delle sue
truppe nel cerchio di gesso del mito fondativo della Repubblica: se di
questo si trattasse, saremmo tutti contenti e avrebbero perfettamente
ragione quelli che commentano soddisfatti "meglio tardi che mai",
sottolineano il successo conseguito dall'appello di Giorgio Napolitano a
"una rinnovata unita' nazionale" e sperano in una improvvisa, e fin qui
sempre smentita, conversione di Berlusconi alla Costituzione. Senonche' i
miti fondativi non sono dei pranzi di gala o degli after hours a menu fisso.
Sono delle date dotate di senso, e il cui senso cambia a seconda delle
riscritture che se ne fanno. Entrando nel mito fondativo, Berlusconi lo
riscrive e ne cambia il senso. E questo cambiamento di senso, piu' che la
misurazione col bilancino delle frasi dedicate ai partigiani e ai
"combattenti di Salo'", ai meriti di chi stava dalla parte giusta e alle
"responsabilita' in buona fede" di chi stava dalla parte sbagliata, lo
restituisce precisamente quello slittamento dalla "festa della liberazione"
alla "festa della liberta'": per le ragioni che Prosperi scrive, e per altre
che si possono aggiungere. Scrive Prosperi: "Nella parola 'liberazione' e
solo in quella e' iscritto il ricordo di un fatto storico che ha segnato la
discontinuita' fra due Italie. Questo termine sta a ricordare che c'e' stata
una lotta di una parte del paese contro un'altra, che quella parte pur
minoritaria seppe allora raccogliere l'esito della fine del consenso al
regime e conquistarsi nel paese un altro e diverso consenso di massa".
Mantenere quella parola, dunque, significa mantenere aperta una ferita - non
per rinnovarla e rinfocolarla, ma per mantenere il ricordo, il memento, che
la Repubblica e' nata da una lotta, da una divisione, da una ribellione e da
un no a un regime di illiberta'. Sostituirla con "liberta'" significa
chiudere la ferita e seppellirne il ricordo. Significa anche risanarla?
E' evidente a chiunque abbia seguito le tortuose vicende del senso della
festa della liberazione che quella di ieri, pur con tutti i bilancini di cui
sopra, chiude il cerchio aperto, ormai 25 anni fa, da una famosa intervista
sul "Corsera" in cui Renzo De Felice invocava "il superamento della
contrapposizione fra fascismo e antifascismo". Ma non si tratta solo di
questo. Il fatto e' che la parola "liberta'", che secondo Berlusconi
potrebbe e dovrebbe ri-nominare la festa, non entra in campo come un valore
condiviso o come il frutto maturo e collettivo di quell'originaria
liberazione. Entra in campo come una parola di parte, profondamente marcata
dal senso che Berlusconi stesso e tutta la "nuova destra" da lui aggregata
nel '94 le ha conferito; come la bandiera di cui solo poche settimane fa lui
e Fini hanno ammantato quel "partito degli italiani" che porta nel suo nome
la confusione populista e nazionalista fra la parte e il tutto; come
l'insegna sotto la quale per quindici anni si e' aggrumata l'ideologia - in
senso forte - del berlusconismo.
Sempre Prosperi ricorda, citando Marc Bloch, che "il concetto di liberta' e'
uno di quelli che ogni epoca rimaneggia a suo piacere"; come l'abbia
rimaneggiata, in Italia e in tutto l'occidente, l'epoca che si e' aperta nel
1989, in contrasto con quella che si era aperta nel 1789, lo sappiamo bene.
Libero mercato, libera proprieta' e libero consumo; liberta' dalle regole;
liberta' dalla politica e trionfo dell'antipolitica: di questo e di
nient'altro e' stato fatto il catechismo mainstream della liberta' negli
ultimi venti anni. Il che ovviamente non ci rende questa parola meno cara,
ne' meno urgente la necessita' di riconquistarla a quel significato
eminentemente politico, non individualistico, non contabile, non
proprietario, mai garantito e sempre da rimettere al mondo che Hannah Arendt
magistralmente le attribuiva. Invece di esercitarsi in piccole sfide
tattiche a Berlusconi dai risultati controversi, e' su questa grande sfida
di riscrittura della liberta', in direzione opposta a quella berlusconiana,
che una sinistra dotata di senso dovrebbe misurarsi, ed e' questo il terreno
su cui finora e' mancata.

4. CARTEGGI. DA UNA LETTERA DI MARGITE ALL'AMICO SUO CRISOCARDIO

Carissimo Crisocardio,
provo a rispondere in poche parole alla tua lettera, e mi perdonerai se per
esser breve e chiaro rinuncero' alle sfumature e alle articolazioni del
discorso, alle mediazioni e alle dialettizzazioni argomentative, alla
segnalazione dei limiti e della complessita' del ragionamento, come pure
all'enunciazione e all'esame di alcune possibili obiezioni su questioni
forse non marginali - ma neppure centrali - che pure mi sono ben presenti.
Mi attengo a cio' che mi sembra essenziale; la tua intelligenza sapra'
cogliere i nessi, colmare i vuoti, svolgere l'implicito, relativizzare e
contestualizzare.
*
Dal mio punto di vista la massima morale del "non uccidere" e' decisiva: se
cade l'osservanza di essa, cade ogni garanzia di rispetto per la vita umana
e per la dignita' delle persone. E' per aver rotto e fin irriso questo
vincolo che esperienze storiche sorte per liberare l'umanita'
dall'oppressione sono finite nell'orrore piu' cupo.
Il punto cruciale e' il seguente: finche' una persona e' viva c'e' ancora
possibilita' di recarle soccorso. Uccisa, piu' nulla resta. Uccidere una
persona e' crimine non piu' rimediabile.
Ammetto, come sai, il suicidio, e la legittima difesa in stato di
necessita'; non altro.
*
Tu invochi la differenza tra morale e diritto; certo che vi e' differenza
tra morale e diritto. E vi e' differenza tra massima etica e norma
giuridica. Ad esempio la legislazione oggi in vigore, cosi' come
interpretata in via definitiva dai magistrati investiti della vicenda di cui
parliamo, tragicamente ha consentito di uccidere una persona. Io lo trovo
folle e criminale, e criminale e folle trovo altresi' il plauso di molti a
questa scellerata decisione ed alla scellerata sua conseguenza.
La questione che pongo e' che indipendentemente dalla norma giuridica
vigente (ovvero dalla legge positiva che il contesto storico dato -
l'ordinamento giurisdizionalmente cogente - impone) la decisione
dell'uccidere o del non uccidere un'altra persona e' comunque sempre anche
una scelta morale: chi sceglie di uccidere una persona ha soppresso una vita
umana, di una persona ha radicalmente negato il fondamento concreto di tutti
i diritti: l'esistenza. Non ci si puo' girare intorno. Scegliere di uccidere
e' un male. Il resto, perdonami la franchezza, sono questioni secondarie
rispetto a questa che e' l'essenziale; o peggio: fumisterie causidiche su
cui ha gia' detto tutto Pascal nelle Lettere provinciali. E dopo
l'esperienza dell'orrore nazista davvero certi infami deliri sulla
soppressione delle altrui "vite indegne di essere vissute" avrebbero dovuto
cessate per sempre, invece hanno ancora e di nuovo corso.
*
Se poi vuoi che mi dilunghi anche su quelle che a te sembrano forse
argomentazioni ragionevoli, ed a me invece sembrano qualcosa di peggio che
dereistiche astrazioni e sintomi di una gran confusione, ovvero sofismi
intesi a favoreggiare l'omicidio, aggiungerei quanto segue:
a) La formula passepartout del cosiddetto "accanimento terapeutico" dal mio
punto di vista ha ben poco significato rispetto alla cogenza del giuramento
d'Ippocrate (che non si puo' invocare solo a giorni alterni, col rischio di
finire un bel giorno ad assistere il dottor Mengele nei suoi esperimenti).
Ben piu' dello spauracchio del cosiddetto "accanimento terapeutico" - che
pure certo mi turba - mi sgomenta ed inorridisce piuttosto l'accanimento
assassino.
b) Non vi e' sostanziale differenza tra l'uccisione pubblicamente ostesa e
gli omicidi di malati terminali compiuti di nascosto negli ospedali, cui fai
riferimento. Che negli ospedali si asassinino pazienti in modo occulto, non
e' un buon motivo per farli assassinare ugualmente ma in modo palese: un
crimine (e stiamo parlando di omicidio) non cessa di essere tale rendendolo
pubblico, spettacolarizzandolo e "legalizzandolo".
c) Cavillare su esempi astratti temo serva solo ad eludere il fatto
concreto: uno sciagurato pronunciamento della magistratura sulla base della
legislazione vigente ha consentito un omicidio. Io credo che sia immorale e
criminale. Molti, seguendo pessimi mentori corrotti e corruttori,
quell'omicidio hanno ritenuto di poter avallare, io no. Detto altrimenti: a
mio umile avviso la lotta hic et nunc da condurre e' contro l'omicidio, non
a favore dell'omicidio mascherato sotto falso nome.
*
Ovviamente non pretendo di convincerti, mi basta che sia chiaro che tutto
l'argomentare a favore dell'omicidio, quand'anche sia svolto da personaggi
di gran nome e progrediti nei pubblici onori e relative prebende, dal mio
modesto punto di vista e' semplicemente ripugnante.
Ho risposto cosi' alla buona, senza bibliografia in greco classico e in
tedesco contemporaneo; potrei aggiungere anche quella.
Mi occupo di queste questioni dagli anni Settanta, quando ero anche un
dirigente della nuova sinistra antitotalitaria gia' persuaso della
necessita' della nonviolenza (ed oggi la penso ancora allo stesso modo,
spero con ancor maggior chiarezza, con qualche decina d'anni in piu' ed una
vita intera che testimonia - chiedo venia - del mio rigore politico e
morale); dagli anni Settanta, quando invece certi attuali prominenti che s'i
mpancano a maestri di verita' esortavano all'omicidio, o erano alla corte
del Psi di Craxi, o guidavano squadracce di picchiatori e facevano morire
persone, o pubblicavano libelli di osanna alla violenza assassina, o erano
militaristi e guerrafondai sfegatati, o esaltatori del totalitarismo, e
tutti traviavano giovani ingenui rendendoli criminali. E in fondo non sono
poi granche' cambiati neanche loro. Non ho alcuna esitazione a dire che
molte cose che corrono in questi mesi sui giornali e sulle riviste della
ex-sinistra ormai da anni prostituitasi alla guerra e al razzismo sono
ipocrisia, sofisma, incitamento al crimine e apologia di reato, ed abissale
corruzione e resa al male.
La sinistra come movimento organizzato di liberazione ed autocoscienza della
propria condizione delle oppresse e degli oppressi in lotta per un'umanita'
di persone libere, solidali ed eguali in diritti e' un'altra cosa dalle
burocrazie corrotte e totalitarie, dai mandarini in carriera e dagli
usignoli dell'imperatore. La sinistra delle oppresse e degli oppressi si
batte per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani; e fa
la scelta responsabile e solidale della nonviolenza: la scelta teorica e
pratica della nonviolenza, la scelta metodologica ed operativa della
nonviolenza, la scelta morale e politica della nonviolenza.
*
Basterebbe cosi' poco, Crisocardio carissimo, per non cedere alla seduzione
del male: basterebbe farla finita con i bizantinismi astratti e voler vedere
concretamente di cosa stiamo parlando: di uccidere o non uccidere degli
esseri umani. Per quanto e' in mio potere, io sono per salvare le vite.
Posso poi aggiungere, mio buon amico, che credo sia necessario rivendicare e
restituire coerenza tra morale, politica e diritto - pur nella coscienza
delle ovvie differenze e delle indispensabili mediazioni? Non lottiamo forse
per leggi giuste e misericordiose, per una politica che salvi le vite, per
una morale che s'inveri nell'agire concreto e si prenda cura dell'umanita' e
della biosfera?

5. RIARMO. LUCA KOCCI: 13 MILIARDI PER NUOVI CACCIABOMBARDIERI
[Dal sito www.grillonews.it riprendiamo il seguente articolo di Luca Kocci
del 29 aprile 2009 dal titolo "13 miliardi per i cacciabombardieri, 8 per
l'Abruzzo. Al via la campagna di indignazione nazionale", che apparira' su
"Adista" del 2 maggio 2009]

Approvato senza sorprese dalle Commissioni Difesa di Camera e Senato - con
la mancata partecipazione al voto finale dei parlamentari del Partito
Democratico - lo scorso 7 e 8 aprile il piu' grande programma di riarmo mai
realizzato nell'Italia repubblicana: 131 cacciabombardieri Joint strike
fighter (Jsf) per un costo complessivo iniziale (destinato ad aumentare nel
corso del tempo) di quasi 13 miliardi di euro, a fronte degli 8 stanziati
dal governo nel Consiglio dei ministri straordinario del 23 aprile per la
ricostruzione dell'Abruzzo.
"Mentre da ogni parte giungevano appelli a reperire fondi per la
ricostruzione ('Ci vorranno 12 miliardi', ha detto il ministro degli
Interni) e venivano avanzate varie strade da percorrere (5 per mille, tassa
sui redditi alti, donazioni, sms, collette, ecc.) le commissioni Difesa di
Camera e Senato hanno discusso (poco) e approvato l'acquisto di aerei da
guerra F-35", si legge nell'editoriale di maggio di "Mosaico di pace", il
mensile promosso da Pax Christi: "Folli! Non vi e' altro termine per
definire i programmi di sviluppo che il nostro Paese persegue". Perche' "non
ripensarci"? aveva aggiunto don Renato Sacco. Sarebbe "un bel segnale in
tempo di crisi. E noi in Italia abbiamo anche il terremoto, non solo la
crisi. E allora potrebbe essere davvero l'occasione per tutti, maggioranza e
opposizione, per dire: 'Scusate, su questa spesa cosi' alta ci fermiamo, ci
pensiamo su'. Non sarebbe visto come cedimento a un 'pacifismo a senso
unico', ma come un gesto di buon senso... di non spreco". Richieste respinte
al mittente da Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa, intervistato da
"Peacereporter": "Accostare la spesa per il programma Joint Strike Fighter a
quella per gli aiuti e la ricostruzione in Abruzzo e' legittimo dal punto di
vista politico, ma non da quello finanziario. Le due questioni, in termini
di bilancio, non si sovrappongono: il terremoto infatti richiede
stanziamenti immediati, che riguarderanno questo anno e il prossimo, mentre
il programma pluriennale F-35 gravera' piu' avanti sul bilancio pubblico".
Una replica di fronte alla quale non resta che l'indignazione nazionale,
come suggerisce la campagna lanciata dal portale indipendente di
informazione "Grillonews", che in pochi giorni e' stata sottoscritta da
oltre 2.400 persone. "Con queste righe desideriamo esprimervi la nostra
indignazione", si legge nella petizione (che puo' essere firmata sul sito
internet www.grillonews.it) indirizzata a Governo e Parlamento. Una
indignazione che "diventa ancora piu' grande di fronte alla preoccupante
crisi economica che influisce sulla vita di milioni di cittadini che vivono
in Italia, e alle altrettanto preoccupanti calamita' naturali che hanno
colpito una parte del nostro Paese. Sappiate che riteniamo inammissibile e
immorale che il governo si impegni ad investire decine di miliardi di euro
per l'acquisizione di cacciabombardieri. Per questo ci impegniamo a far si'
che questo grido di indignazione giunga in ogni luogo d'Italia, nella
speranza che il suddetto Programma pluriennale venga fermato".

6. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

7. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA PREM SHANKAR JHA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 aprile 2009 col titolo "Sodalizi e
conflitti tra gemelli siamesi" e il sottotitolo "Capitalismo e democrazia.
Intervista con Prem Shankar Jha"]

Il destino incerto della democrazia. E' questo il tema attorno al quale
ruota l'iniziativa in corso a Torino, che non a caso ha come titolo
"Biennale democrazia". Tema articolato in piu' sessioni, attraverso "parole
chiave" che hanno accompagnato la discussione sullo stato di salute dei
sistemi politici appunto democratici. Il multiculturalismo, il potere
pervasivo dei media, ma anche il rischio che l'attuale crisi economica possa
determinare la crescita di un populismo che in nome del popolo limita
liberta' civili e politiche e ridimensiona ulteriormente i diritti sociali.
L'economista indiano Prem Shankar Jha e' stato invece chiamato a discutere
di quel caos originato dalla crisi economica e di come quel caos possa
accelerare la crisi della democrazia.
Prem Shankar Jha e', oltre che uno studioso, anche un noto commentatore
dell'economia mondiale da una prospettiva, quella dell'India, cioe' di una
nazione considerata l'esempio vivente di una nazione che e' potuta crescere
economicamente grazie a quella deregolamentazione dei mercati che ha
caratterizzato il cosiddetto neoliberismo. Tesi che lo studioso indiano ha
piu' volte contestato, come d'altronde dimostra il ponderoso volume Caos
prossimo venturo pubblicato da Neri Pozza lo scorso anno. Un libro che
prevedeva l'eclissi del neoliberismo. Prem Shankar Jha sara' oggi a Torino,
dove terra' una lezione proprio sulla realta' originata dalla crisi,
prefigurando ancora anni di caos, indipendentemente da quanto sostengono
alcuni commentatori sulla fine della crisi economica.
*
- Benedetto Vecchi: Capitalismo e democrazia. Due termini spesso in
conflitto, nonostante la retorica sulla loro indissolubilita'. Cosa ne pensa
di questa querelle?
- Prem Shankar Jha: Storicamente, la democrazia politica e' stata voluta
dalla borghesia per contrastare il potere dei proprietari terrieri e
dell'aristocrazia. Poi e' stata usata dal movimento operaio per contrastare
il potere del capitale, dando vita all'intensa, seppur breve stagione dei
diritti sociali. Stagione tuttavia che ha reso la democrazia e il
capitalismo come realta' in conflitto. Per me, sono da considerare come
fratelli siamesi. Aggiungo, pero', che stiamo parlando di un contesto molto
preciso, quello dove lo stato-nazione esercitava la sovranita' sulla
nazione. La globalizzazione ha lentamente ridimensionato, se non distrutto
lo stato-nazione. C'e' stata l'unificazione dei mercati nazionali in un
unico, grande mercato, mentre le imprese manufatturiere e finanziarie sono
diventate globali e profondamente antidemocratiche. Ogni azione politica
deve essere quindi globale, come le imprese. E' questa la cornice entro la
quale agire politicamente per ridimensionare il potere del capitale e per
sviluppare l'equivalente globale di cio' che e' stato il welfare state.
*
- Benedetto Vecchi: In Caos prossimo venturo, lei sosteneva che la crisi
dell'economia mondiale era una probabilita' che non poteva essere esclusa.
Il bailout delle borse ha drammaticamente confermato la sua analisi. Alcuni
studiosi ed economisti, come Immanuel Wallerstein, ora scrivono che la crisi
attuale possa coincidere con la fine del capitalismo e con lo sviluppo di
una economia di mercato senza capitalisti. Tesi molto provocatoria, non
crede?
- Prem Shankar Jha: Inviterei alla cautela. E' difficile infatti pensare una
economia di mercato senza la proprieta' privata. Piu' realisticamente il
nodo da sciogliere e' come affrontare la crisi e nessuno ha ricette pronte.
Durante il cosiddetto ciclo neoliberista abbiamo assistito al divorzio tra
stato-nazione e attivita' economica, fattore che ha messo fine all'alleanza
tra il potere politico e le imprese. La crisi, invece, ripropone con urgenza
un rinnovato controllo e regolazione nella circolazione dei capitali e della
finanza; assieme a un maggiore rigore nella certificazione dei bilanci delle
imprese. Infine, la crisi economica puo' favorire un cambiamento negli
assetti proprietari delle imprese, come imprese a capitale misto pubblico e
privato; oppure forme inedite di proprieta' sociale. Piu' che fine del
capitalismo parlerei quindi di una trasformazione del capitalismo.
*
- Benedetto Vecchi: Green economy: e' la parola magica per uscire dalla
crisi. Lo dicono e scrivono in tanti. Il personaggio piu' noto a usarla e'
il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quale ha illustrato la sua
azione per favorire lo sviluppo di uno sviluppo economico sostenibile e
compatibile con l'ambiente. Una lieta novella, non crede?
- Prem Shankar Jha: L'"economia verde" e' proprio una parola magica, proprio
come lo fu il carbone nel XVII secolo in un mondo dove il vento e l'acqua
costituivano le uniche potenze energetiche usate nell'attivita' produttiva.
Le stesse speranze sulla possibilita' di uno sviluppo economico duraturo
sono state rinnovate con il petrolio agli inizi del Novecento, il motore a
scoppio, fino all'ultimo prodotto, il computer, che doveva, al pari degli
altri esempi che ho fatto, garantire lo sviluppo ecconomico. Per il momento,
tuttavia non ci sono tecnologie "ambientaliste" che possono essere sfruttate
economicamente, cioe' che possono fare da traino alle attivita' produttive.
Quindi ci sara' un'"economia verde" solo quando si creeranno le condizioni
che hanno portato il carbone, il motore a scoppio, il petrolio, l'automobile
e il computer a essere fattori energetici e prodotti che potevano essere
usati o prodotti secondo precisi requisiti economici e altrettanti
prevedibili profitti. Allo stato attuale, per quanto riguarda le fonti
energetiche non c'e' infatti nessuna vera alternativa al petrolio. Ne'
esistono al momento attivita' produttive che possono sostituire quelle
attuali.
*
- Benedetto Vecchi: Il neoliberismo ha alimentato la crescita di forti
diseguaglianze sociali, proprio quando veniva alimentata la speranza che la
ricchezza avrebbe trovato nel mercato uno straordinario strumento di
redistribuzione. Lei, invece, ha spesso sostenuto il contrario, cioe' che
l'essenza dell'economia mondiale erano proprio le diseguaglianze sociali. In
questo mondo in fibrillazione c'e' chi guarda alla crisi come a una
possibilita' per politiche sociali piu' egualitarie...
- Prem Shankar Jha: Quest'ultima e' proprio un'opinione bizzarra basata su
un errore logico che scambia le coincidenze con la causalita'. Potrebbe
certo accadere che una societa' industriale privilegi politiche sociali piu'
eque. Ma viviamo in un'economia di mercato dove le differenze di reddito
determinano disparita' nel consumo, nel mercato del lavoro e precarieta' nei
rapporti di lavoro. E' quindi auspicabile la presenza di interventi politici
tesi a ridurre le diseguaglianze sociali. Ma per questo serve limitare il
potere delle imprese e favorire la redistribuzione della ricchezza. Non
vanno pero' nascoste le difficolta' che incontrerebbe tale azione politiche
in un mondo globalizzato che vede la messa all'angolo degli stati nazionali,
il luogo e il contesto cioe' dove far crescere gli interventi politici
necessari per ridurre le diseguaglianze sociali. Questo non significa che
non bisogna comunque provarci. Lo ripeto: una regolamentazione dell'economia
e' necessaria anche perche' l'economia e la finanza lasciate libere di fare
cio' che volevano hanno determinato questa crisi.

9. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "QUESTIONI DI GUSTO" DI GILLO DORFLES
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Gillo Dorfles, Questioni di gusto. Critica dell'acritica. Conversazione con
Paolo Priolo, Allemandi, Torino 2008]

Indice del volume
Introduzione; Lingua, letteratura e sopravvivenza; Tv: condanna e
assoluzione; Italiani brava gente? Crocifissi e globalizzazione; Viaggiare
solo su invito; Eleganza, vanita' ed esibizionismo; Moda e design; Lo stato
dell'arte; Sul mercato, l'artista non e' un poeta; Hit parade: questioni di
gusto; Un pittore clandestino; Architettura, architetti e kitsch;
Bibliografia essenziale di Gillo Dorfles.
*
Da pagina 9
Lingua, letteratura e sopravvivenza
Paolo Priolo: Professore, partiamo dai libri. Che cosa sta leggendo in
questo momento?
Gillo Dorfles: I libri su cui concentro la mia attenzione sono spesso tre o
quattro nello stesso momento: c'e' il libro che devo recensire, il classico
che riprendo in mano con piacere di tanto in tanto, il romanzo che leggo per
divertirmi o il saggio piu' impegnativo che studio con interesse. Non e'
semplice risponderle.
PP: Quali sono, allora, i libri che ha scelto di leggere nell'ultima
settimana?
GD: Proprio ieri ho terminato Enduring Love di Ian McEwan, un libro
bellissimo, e ho iniziato Il mistero della donna scomparsa di Alberto
Beonio-Brocchieri, il primo romanzo di un noto professionista e studioso del
mondo della comunicazione. Poi, dati i miei interessi linguistici, ho
pensato di dedicarmi a un saggio di Claude Hagege, Morte e rinascita delle
lingue. L'ho cominciato circa una settimana fa. E' un libro molto
interessante: parla delle lingue morte, di quelle che resuscitano come
l'ebraico e il creolo, di quelle morenti come la lingua incaica e degli
idiomi che prendono il sopravvento come l'inglese e il cinese.
PP: A proposito, come sta la lingua italiana?
GD: L'italiano non sta male, ma potrebbe stare molto meglio. La sua
situazione e' curiosa, in un certo senso unica. E' la lingua neolatina piu'
simile all'idioma parlato dagli antichi romani, quella di piu' diretta
discendenza. Questo primato avrebbe potuto garantirle il diritto di essere
la lingua neolatina piu' diffusa ai giorni nostri, ma cosi' non e' stato.
PP: A chi e' toccato questo destino?
GD: Allo spagnolo, ormai divenuta la lingua europea piu' importante e
parlata dopo l'inglese.
PP: Come mai l'italiano, oggi, e' meno diffuso dello spagnolo?
GD: La colpa e' degli italiani che non hanno saputo valorizzarlo e
promuoverlo adeguatamente all'estero. In un Paese come l'Argentina, ad
esempio, la cui popolazione e' piu' che per la meta' d'origine italiana, la
nostra lingua avrebbe potuto avere ben altra diffusione, se solo fosse stata
valorizzata nel giusto modo. Non avrebbe ovviamente soppiantato la lingua
dei colonizzatori spagnoli, che dal XVI secolo hanno provveduto a occupare
il territorio argentino, costituendone per secoli la classe dirigente, ma
sarebbe stata meno isolata. Detto questo, bisogna considerare che l'italiano
ha assunto un ruolo sempre piu' prestigioso e riconosciuto come lingua
colta. La cultura classica e la storia dell'arte italiane, ammirate in tutto
il mondo, hanno incoraggiato lo studio della loro lingua madre. Il numero di
iscritti ai corsi di lingua promossi dagli istituti italiani all'estero e'
molto aumentato negli ultimi anni. D'altro canto, la decadenza del francese,
che fino a cinquant'anni fa primeggiava con l'inglese e ora perde sempre
piu' terreno, ha spostato l'attenzione sulla nostra lingua: chi un tempo
sceglieva come terza lingua il francese, oggi sceglie l'italiano. Da quando
poi i dialetti, l'elemento linguistico piu' vivo, hanno praticamente cessato
di esistere salvo che come documenti archeologici, l'italiano letterario ha
richiamato su di se' un interesse crescente, si e' rafforzato. Direi dunque
che la nostra lingua ha buone possibilita' di sopravvivere.
PP: A che cosa serve la letteratura?
GD: La letteratura risponde a molte esigenze, soddisfa varie necessita'. La
piu' importante e' quella di divertire chi scrive.
PP: Michel Houellebecq ha scritto che "vivere senza leggere e' pericoloso",
perche' "ci si deve accontentare della vita e questo comporta notevoli
rischi". Cosa ne pensa?
GD: E' un'affermazione curiosa quella di Houellebecq. Diciamo che se i
rischi a cui si fa riferimento fossero tali da mettere a repentaglio la vita
delle persone che non leggono, allora la stragrande maggioranza della
popolazione mondiale sarebbe morta da un pezzo. Il mondo conterebbe pochi
milioni di individui. Per quanto mi riguarda, invece, la lettura rappresenta
il pane quotidiano, in senso letterale e metaforico. Ovvero, considerato il
mio mestiere, se non leggessi sarei veramente in pericolo di vita, o
perlomeno rischierei di rimanere a digiuno.
PP: Per arrivare fino a 94 anni in piena forma deve aver letto moltissimo.
Quali sono stati i libri o gli autori che l'hanno stimolata maggiormente
nella sua attivita' di critico d'arte contemporanea, di professore
d'estetica, di studioso del design e dell'architettura, di semiologo, di
socio-antropologo e di critico del gusto? Partiamo dalla saggistica.
GD: Sono molti e voglio evitare di annoiarla con un lungo elenco di nomi e
di libri. Non posso non fare, pero', i nomi di tre autori per me
fondamentali: Meyer Shapiro, Rudolf Arnheim ed Ernst Gombrich.
PP: E per la narrativa?
GD: E' difficile rispondere senza apparire pedanti. E poi di quale lingua
stiamo parlando?
PP: Quella che preferisce.
GD: Facendo un notevole sforzo di sintesi, posso citarle Der Prozess di
Franz Kafka ed Effi Briest di Theodor Fontane per la lingua tedesca e A' la
recherche du temps perdu di Marcel Proust per il francese. Per l'inglese
direi The Four Quartets di Thomas S. Eliot, anche se si tratta di un poema,
mentre scelgo, sempre per rimanere tra i classici, Don Quijote di Cervantes
per la lingua spagnola. In italiano la mia preferenza va a Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda. Se devo pensare, invece, a
qualcosa di piu' contemporaneo mi vengono in mente lo spagnolo Manana en la
batalla piensa en mi' di Javier Marias, l'opera della scrittrice
ucraino-brasiliana Clarice Lispector e i romanzi dell'inglese Ian McEwan.
PP: Immagino che anche in poesia abbia le sue preferenze.
GD: Certamente, ma non vorrei dilungarmi su questi temi. A prezzo di feroci
esclusioni mi limito a indicare Eliot, Eugenio Montale, Rainer Maria Rilke e
Aleksandr S. Puskin. Ognuno nella propria lingua.
*
Da pagina 30
Lo stato dell'arte
PP: L'arte oggi va cercata solamente tra gli anfratti della moda, del
design, della televisione, del cinema, oppure risiede ancora nelle forme
espressive classiche come la pittura o la scultura?
GD: Pittura e scultura, in alcuni casi, possono ancora rappresentare gli
strumenti attraverso i quali esprimere un'autentica volonta' creativa. La
loro posizione, pero', non e' piu' dominante. In ambito strettamente
artistico, l'affermazione, soprattutto tra i giovani, di forme espressive
come la fotografia, il video, la performance e l'installazione ha mutato
radicalmente lo scenario di riferimento: le tecniche e le modalita' con cui
fare arte sono cresciute, si sono differenziate. Sui risultati, poi, si puo'
discutere. In ogni caso, e' probabile che fra quaranta o cinquant'anni la
pittura e la scultura ritornino ad avere un ruolo primario.
PP: Sono molti gli studiosi, da Roger Caillois a Jean Baudrillard, da Gilles
Lipovetsky a Enrico Baj e Paul Virilio, che hanno criticato la deriva
dell'arte contemporanea. Lei e' stato, fin dagli anni Cinquanta, un attento
studioso delle avanguardie e uno strenuo difensore delle espressioni
artistiche piu' anticonvenzionali. Come si pone nei confronti delle tendenze
odierne?
GD: Le tendenze odierne girano a vuoto. Lo si e' visto alle ultime Biennali
di Venezia, alle edizioni piu' recenti di Documenta, cosi' come in altre
importanti rassegne internazionali. Tutte deludenti. Una desolazione cosi'
estesa del panorama artistico contemporaneo rappresenta probabilmente la
coda, la fase terminale di uno slancio creativo straordinario, durato quasi
un secolo. Il Novecento e' stato uno dei secoli piu' fiorenti di tutta la
storia dell'arte, ha registrato in meno di cent'anni un miracoloso
avvicendamento di manifestazioni d'avanguardia. In un elenco parziale si
possono citare Cubismo, Futurismo, Astrattismo, Costruttivismo russo,
Metafisica, Dada, Surrealismo, Informale, Pop art e Iperrealismo.
PP: Un'alternanza di scuole e correnti sconosciuta in passato, o almeno non
cosi' concentrata nel tempo.
GD: Infatti. Nei secoli precedenti, la comparsa e il mutamento degli stili
avveniva con meno generosita', molto piu' lentamente: basti pensare a quanto
tempo e' durata la successione ordinata di Gotico, Rinascimento, Manierismo,
Barocco, Neoclassicismo e Romanticismo. La fantasia e la fecondita' del
Novecento dovevano pur spegnersi, esaurirsi. L'arte odierna, dunque, si
trova in una fase di fisiologico esaurimento creativo: una fase ciclica, che
e' destinata a essere superata da momenti piu' floridi. Dietro agli
sperimentalismi degli ultimi anni, un viavai di installazioni e bizzarrie
concettuali, non troviamo quasi mai l'arte, ma solo ginnastica mentale. Nel
migliore dei casi si esprime il tentativo di tracciare un punto di partenza,
il principio di una palingenesi futura.
PP: Al di la' di un eventuale esaurimento fisiologico dell'arte, la crisi
della pittura si puo' spiegare anche con l'affermazione di nuove modalita'
espressive che, dal punto di vista visivo, hanno moltiplicato i campi
d'azione.
GD: Certamente. Il fatto che la visualita', oggi, si esprima in forme
molteplici ha come effetto diretto la perdita del primato della pittura,
anche di quella piu' astratta. Il quadro, la tela, come strumento
privilegiato dell'azione artistica perde centralita' in un ambito che
riorganizza la creativita', disseminandola nei vari rivoli del design, della
moda, del cinema, della fotografia, del video, delle installazioni, della
grafica digitale. Rispetto all'arte pittorica, queste forme possono essere
meno dense di significati, ma conservano, nei casi migliori, una forte
radice creativa. Il problema e' che questa creativita' diffusa e' andata a
detrimento dell'espressione artistica piu' profonda e meditata. Per questo
si fa fatica a vedere qualcosa di veramente buono nelle esposizioni di arte
contemporanea.
PP: Gli esiti a cui si e' giunti, attraverso questa pluralita' espressiva,
sono dunque molto diversi, per esempio, dagli effetti che l'avvento della
fotografia aveva prodotto nella seconda meta' dell'Ottocento?
GD: Si', per il momento si tratta di esiti molto differenti. Come sappiamo,
la possibilita' di riprodurre la realta' attraverso il mezzo fotografico
aveva gettato le basi, in pittura, di un processo in cui la rappresentazione
naturalistica veniva progressivamente azzerata o quasi: dall'esperienza
impressionista, che sfaldava i contorni scossi dalla luce, si giungeva,
passando per le scomposizioni cubiste, all'Astrattismo. Diversamente, il
mutamento di prospettiva che ha caratterizzato la seconda meta' del
Novecento non sembra aver determinato un'evoluzione di quella portata. Detto
in altro modo, la proliferazione dei codici visivi che, con crescente
sviluppo, ha contraddistinto gli ultimi decenni del secolo scorso e' stata
benefica, se vogliamo, per l'orizzonte estetico quotidiano, ma non ha
favorito, o forse ha impedito, rinnovamenti di linguaggio radicali come
quelli concepiti da Picasso o da Kandinskij. Almeno per il momento. In
futuro, chissa', potrebbe accadere qualcosa.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 806 del 30 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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