Minime. 718



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 718 del primo febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Gruppo donne e politica: Sessismo. La violenza che tutti evitano di
nominare
2. A Osvaldo Ercoli, in occasione del suo genetliaco
3. Yasmeen Hassan: La guerra contro le scolare
4. Il 6 febbraio un convegno a Vignanello
5. Paola Desai: Colera
6. Franco Giustolisi: Una commissione parlamentare sulle stragi nazifasciste
7. Enzo Mazzi: La violenza nel monoteismo
8. Enrica Rigo: Alcune considerazioni a partire da un saggio di W.E.B. Du
Bois
9. Alberto Trevisan: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
10. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. APPELLI. GRUPPO DONNE E POLITICA: SESSISMO. LA VIOLENZA CHE TUTTI EVITANO
DI NOMINARE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente appello]

In Italia, la recrudescenza degli stupri eccita i pubblici poteri a mettere
in campo il  riflesso condizionato dello stato emergenziale, da contrastare
attraverso la militarizzazione del territorio anche finalizzata al
respingimento dei migranti.
Lo stato di emergenza e le misure di ordine pubblico usati come cortina
fumogena destinata a nascondere il fatto che e' la famiglia - luogo
privilegiato della disparita' fra donna e uomo - il contesto in cui
prevalentemente si origina e si coltiva la violenza sessista contro le
donne.
Contro questa violenza quotidianamente riservata alle donne (italiane e
straniere) da uomini (italiani e stranieri), mancano sia un'adeguata analisi
critica sia misure preventive minimamente efficaci.
*
L'analisi critica
Lo svantaggio sociale femminile cristallizzato nella famiglia tradizionale,
e' all'origine della violenza sessista che alligna nel privato e si espande
nel pubblico anche grazie alla mercificazione mediatica del corpo femminile,
usato come elemento eccitante di promozione vendite in senso lato.
Lo svantaggio politico percepibile in una democrazia a-partecipata e
monosessuata determina il quadro e lo completa.
Ecco perche' la violenza sessista, anche domestica, non puo' mai essere un
fatto privato, ma e' un'indecenza pubblica che le istituzioni non possono
ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell'utilizzo del diritto
criminale come risposta esclusiva o preponderante.
A ben altri livelli occorre agire per sradicare questo grumo di violenza
ancestrale, sedimentato nell'immaginario maschile, che va contrastato a
partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla
scuola e dalla societa'.
*
Le misure efficaci
Le misure suggerite dall'esperienza ben piu' seriamente strutturata in altri
Paesi europei partono appunto da un piano di acculturamento e
sensibilizzazione fin dalla prima infanzia per il cambiamento delle
relazioni fra donne e uomini, in ogni contesto del vivere associato.
Si sviluppano attraverso una legislazione onnicomprensiva che evidenzia
l'origine sessista e discriminatoria della violenza contro le donne e la
previene attivamente, contrastando esclusioni e pregiudizi.
Si concretano attraverso una vigilanza costante e un monitoraggio dei
risultati, attivando interventi correttivi e provvidenze pubbliche adeguate.
Prevedono, oltre alla visibilita' del problema, ritenuto di interesse
generale, ruoli attivi delle istituzioni pubbliche centrali e locali,
gravate delle connesse responsabilita'.
*
Proposte iniziali
In concreto, sull'esempio di cio' che si fa in altri Paesi, pensiamo si
debba promuovere un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della
violenza di genere, incentrato su specifiche iniziative, tra cui qui
citiamo:
- un programma di educazione/formazione sull'esercizio di diritti e obblighi
uguali fra maschi e femmine nell'ambito sia privato che pubblico;
- il lancio di campagne pubbliche di sensibilizzazione contro gli stereotipi
dei ruoli familiari femminili;
- la promozione di azioni positive per la eguaglianza di genere in tutti i
campi del vivere associato (politico, economico, culturale), da rispettare
rigorosamente (e la cui inosservanza venga sanzionata);
- il reintegro dei fondi incredibilmente sottratti ai Centri antiviolenza e
alle Case delle donne maltrattate, mentre, al contrario, sarebbero necessari
interventi anche economici per l'acquisizione e il sostegno di equipes a
professionalita' integrata;
- l'istituzione di un Osservatorio indipendente di monitoraggio sui diritti
delle donne e di vigilanza sui mezzi di informazione e pubblicita', a
garanzia di un trattamento conforme ai valori costituzionali e alla dignita'
personale delle donne.
Riteniamo dovere principale di tutti gli schieramenti politici e dei singoli
che si candidano per ruoli istituzionali in Italia e in Europa
l'elaborazione e il perseguimento concreto di un piano integrato per la
soluzione di questa incancrenita piaga sociale. Ma quel che ci preme di piu'
e' la presa di responsabilita' da parte di tutte le donne impegnate in un
ruolo istituzionale: a loro chiediamo esplicitamente di proporre, seguire e
curare a ogni livello le misure necessarie a questa improrogabile svolta di
civilta'.
Anche su questa base, che intendiamo verificare nelle fasi di ideazione e di
realizzazione, si decideranno le nostre scelte politiche future.
*
Gruppo Donne e Politica (Associazione per una Libera Universita' delle
Donne), Maria Grazia Campari, Floriana Lipparini, Lea Melandri, Elena
Cianci, Liliana Moro, Daniela Pastor, Nicoletta Buonapace, Laura Di
Silvestro, Costanza Panella, Manuela Pennasilico, Anita Sonego, Maria
Nadotti, Manuela Maldini, Paola Redaelli, Chiara Redaelli, Anna Novellini,
Anna Spartano, Cece' Damiani, Letizia Olivari, Andrea Cattania, Lidia
Campagnano, Grazia De Benedetti, Pinuccia Virgilio, Barbara Spinelli,
Annamaria Medri, Rachele Motta, Cristina Tronchetti, Sabrina Pascetti, Maria
Pia Pieri, Leila Sogiu, Maria Grazia Negrini, Tavola delle donne sulla
violenza e sulla sicurezza nella citta' di Bologna, Miranda Ragazzoni, Paola
Serasini, Anna Picciolini, Gianna Baldoni, Patrizia Pontello, Giovanna
Romualdi, Danila Torreggiani, Francesca Amoni, Milena Mottalini, Elena
Paciotti, Paola Lovati, Letizia Olivari, Maria Ricciardi Giannoni.
*
Chiediamo a tutte coloro che si riconoscono in questo appello di
sottoscriverlo inviando una e-mail a: universitadonne at tiscali.it

2. AMICIZIE. A OSVALDO ERCOLI, IN OCCASIONE DEL SUO GENETLIACO

Qui vedi un uomo buono, il cui rigore
morale e logico con gran vigore
si oppone ad ogni errore ed ogni orrore
e dona a tutti verita' ed amore.

Di matematiche buon professore
e di onesta' maestro ancor migliore
contrasta ogni torpore e ogni timore
recando aiuto ovunque sia dolore.

In questa breve vita la cui danza
sovente pare folle, e d'incostanza
e d'ignoranza e tracotanza e' stanza,

di Osvaldo Ercoli la vicinanza,
la vigilanza, la testimonianza
e' fonte di conforto e di speranza.

3. MONDO. YASMEEN HASSAN: LA GUERRA CONTRO LE SCOLARE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Yasmeen Hassan, (avvocata pakistana, vicedirettrice di Equality Now, un'ong
internazionale che lavora per i diritti delle donne) apparso sul "Washington
Post" del 26 gennaio 2009 col titolo "La guerra contro le scolare"]

Ho ricordi d'infanzia bellissimi delle mie vacanze estive nella valle di
Swat, nella provincia pakistana del nord-ovest, un luogo rinomato fra i
pakistani per i suoi splendidi paesaggi, il clima fresco d'estate e i
frutteti rigogliosi. Oggi pero' la valle di Swat sta subendo pressioni
terribili, giacche' gli attacchi talebani vi si susseguono con sconcertante
regolarita': fra le altre atrocita', essi hanno imposto un bando
sull'istruzione delle bambine.
Gia' prima che il bando fosse reso noto il 15 gennaio, piu' di 100 scuole
femminili nella valle di Swat, e piu' di 150 nella piu' vasta Area
federativa amministrata dalle tribu' (Afat), erano state chiuse dopo essere
state fatte esplodere con bombe o bruciate. Gli annunci radiofonici avvisano
le bambine che saranno attaccate con l'acido se oseranno andare a scuola, e
le insegnanti sono minacciate e uccise. Lunedi' scorso, altre cinque scuole
sono saltate in aria.
Le aggressioni e le minacce non sono limitate alle scolare. Alle donne e
alle ragazze e' stato ordinato di velarsi completamente. Le direttive
emanate richiedono che le donne siano accompagnate da un parente maschio nei
luoghi pubblici, e proibiscono alle donne di portare addosso le loro carte
d'identita' (che in realta' e' obbligatorio avere in Pakistan) perche' sui
documenti ci sono le loro fotografie. Si spara alle donne che effettuano
"attivita' immorali", come e' accaduto a Bakht Zeba, un'assistente sociale
di 45 anni impegnata nel favorire l'istruzione delle bambine.
La zona sembra essere in competizione con l'Afghanistan su chi otterra' il
peggior punteggio rispetto ai diritti delle donne. I governi pakistano ed
afgano hanno risposto in modo simile alla propensione dei talebani a
terrorizzare le popolazioni. Alcuni mesi fa, l'Afghanistan ha cercato di
negoziare con i talebani, promettendo l'imposizione della "sharia" (legge
islamica) come precondizione ai negoziati stessi. Nel mentre questi colloqui
non stanno procedendo affatto, ai pakistani dei territori dell'Afat la
sharia viene imposta comunque. Nella valle di Swat sono gia' operativi piu'
di settanta tribunali talebani, il primo passo verso l'implementazione della
loro interpretazione della legge islamica. Che il governo sia disposto a
negoziare su questa istanza dimostra che non ha interesse per cio' che una
mossa simile significhera' per le donne pakistane.
Le vite delle donne e delle bambine afgane restano precarie. Le scolare
afgane continuano ad essere aggredite. Le donne afgane che rivestono cariche
pubbliche sono minacciate o assassinate. Malalai Joya, una leader politica
ingiustamente sospesa dal Parlamento e' stata forzata alla clandestinita' a
causa delle continue minacce subite. Solo pochi mesi fa, Malalai Kakar, la
piu' anziana ufficiale di polizia afgana e' stata uccisa a colpi di arma da
fuoco. Il Pakistan non deve diventare un altro Afghanistan.
Il disastro che si sta verificando in Pakistan richiede risposte immediate
sia dal governo pakistano sia dalla comunita' internazionale. Il Pakistan
deve accettare la propria responsabilita' nell'effettuare azioni urgenti per
proteggere i diritti delle donne e per fermare la "talebanizzazione" del
paese. Ogni intervento deve basarsi sul mantenere gli impegni sui diritti
umani presi a livello costituzionale e nei documenti internazionali che il
Pakistan ha sottoscritto. I diversi organi dello stato, il potere
legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, devono lavorare insieme per
risolvere la situazione.
La scorsa settimana, il governo pakistano ha annunciato che le scuole delle
aree del nord saranno riaperte in marzo, ma poiche' gran parte di quei
territori e' sotto il controllo talebano la promessa appare di difficile
realizzazione. Il 20 gennaio, il parlamento pakistano ha votato
all'unanimita' il rigetto del bando talebano sulla chiusura delle scuole.
Ora il governo dovrebbe annunciare immediatamente il suo impegno a formulare
un piano che assicuri l'accesso all'istruzione a tutte le bambine, e che
protegga la loro sicurezza anche fuori di scuola. Le conseguenze
dell'inazione o di azioni inadeguate saranno devastanti.

4. INCONTRI. IL 6 FEBBRAIO UN CONVEGNO A VIGNANELLO

Il Centro studi e ricerche "Santa Giacinta Marescotti" presso il Castello
Ruspoli di Vignanello (Vt) venerdi' 6 febbraio 2009 alle ore 17 ospita un
convegno sul tema: "Arte, storia, cultura, ambiente e salute: le ragioni
dell'opposizione all'aeroporto a Viterbo".
Partecipano la dottoressa Antonella Litta, la scrittrice Marinella Correggia
e il professor Alessandro Pizzi.
*
Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito:
www.coipiediperterra.org, per contattare direttamente la portavoce del
comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail:
antonella.litta at libero.it

5. MONDO. PAOLA DESAI: COLERA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2009 col titolo "Lo Zimbabwe
ha il colera"]

Una soglia e' superata: in Zimbabwe il colera ha ucciso oltre tremila
persone dallo scorso dicembre, ha annunciato ieri l'Organizzazione mondiale
della sanita'. Per la precisione, a ieri si contavano 3.028 morti e oltre
57.700 persone infettate, e cio' che fa impressione e' che le ultime mille
vittime sono morte tutte nelle ultime due settimane. Tanto che l'Oms
dichiara di prepararsi per lo "scenario peggiore", quando anche la soglia
delle sessantamila persone infettate sara' raggiunta (non sembra che manchi
molto...). E' una malattia banale, il colera. Curarlo non e' difficile,
ancor piu' facile e' prevenirne la diffusione: e' una infezione
gastroenterica causata da un batterio - il "vibrio cholerae", o vibrione,
che si diffonde attraverso le feci e l'acqua. Buoni sistemi fognari e di
distribuzione dell'acqua potabile sono l'unico vero modo per prevenire
un'epidemia, insieme a un po' di educazione sanitaria.
Insomma, il colera e' una malattia da poverta', nel senso di abbandono dei
sistemi sanitari pubblici. Ed e' appunto il caso dello Zimbabwe, dove anni
di incuria e disinvestimento pubblico hanno fatto collassare sia
l'infrastruttura urbana di sistemi idrici e fognature, sia il sistema
sanitario. Il fatto e' che con gennaio siamo entrati nella stagione delle
piogge, che durera' fino a marzo, e questo peggiora tutto: dove le fogne
perdono, o scorrono a cielo aperto, con le piogge straboccano, e il rischio
di contatto con acque contaminate aumenta.
L'epidemia (l'Oms usa il termine outbreak, "scoppio") di colera in Zimbabwe
e' cominciata nelle aree urbane, anche se ora si diffonde nelle aree rurali.
"The Herald", giornale quotidiano di Harare (governativo), il 26 gennaio ha
scritto che il colera sta declinando nella capitale, anche se avverte che
"e' ancora presente nei suburbi sud-occidentali", e che "non bisogna
abbassare la guardia". Circa meta' dei casi in effetti sono stati registrati
finora a Budiriro, sovraffollata citta' satellite ai margini occidentali
della capitale Harare; altre concentrazioni sono segnalate nelle aree urbane
di Beitbridge, al confine con il Sudafrica, e Mudzi al confine con il
Mozambico. In effetti la malattia si e' gia' diffusa: di sicuro nei due
paesi confinanti - in Sudafrica il ministero della sanita' segnala quasi
seimila casi (e 36 morti) - ma non solo; l'Ocha, ufficio del'Onu per gli
affari umanitari, dice che nove paesi dell'Africa australe hanno riportato
finora casi di colera, e che la malattia sta diventando endemica.
Curare il colera non implica certo alta tecnologia medica, ma buona
organizazione sanitaria si'. La cura principale in effetti e' una terapia di
reidratazione orale, in casi estremi intravenosa; alcuni antibiotici possono
accelerare la fine del batterio, e in tal caso bisogna individuare il ceppo
del vibrione e verificare a quali antibiotici sia vulnerabile/resistente. Ma
la reidratazione resta il "salvavita" essenziale (in una piccola clinica del
Bangladesh abbiamo visto fare miracoli con una terapie di acqua della
bollitura del riso mescolata a sali e succo di limone...), insieme a
interventi d'emergenza per sterilizzare, depurare, evitare contagi.
Il punto e' che in Zimbabwe il sistema sanitario e' al collasso. Tra l'altro
e' in corso un'ondata di scioperi tra i medici (e nel pubblico impiego), che
vogliono essere pagati in dollari - si capisce, con la moneta nazionale non
si compra nulla. C'e' poi il risvolto politico: il presidente Robert Mugabe
qualche settimana fa ha dichiarato che la malattia e' stata contenuta e sono
le potenze occidentali che parlano di colera per attaccarlo. Cosi' la
sottovalutazione continua.

6. MEMORIA. FRANCO GIUSTOLISI: UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE SULLE STRAGI
NAZIFASCISTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 novembre 2008 col titolo "Stragi
naziste. L'Anpi: inchiesta del Parlamento"]

Verra' proposta una nuova Commissione parlamentare sulle stragi
nazifasciste. Lo hanno chiesto all'unanimita' tutti i rappresentanti dei
partiti d'opposizione presenti sabato scorso al convegno indetto dall'Anpi
di Roma sul tema "a 65 anni di distanza dalle stragi nazifasciste".
Dall'estrema sinistra del Prc e del Pdci, passando per i Ds e i socialisti,
sino all'Idv e all'Udc, e' stata corale l'affermazione che non si puo'
attendere ancora nel dare risposte essenziali alla storia e alla memoria che
attendono da 65 anni. Quante sono le vittime delle stragi? 10, 20, 30.000? E
chi decise di "sotterrare" insieme ai cadaveri dei massacrati, civili
senz'armi e militari che avevano alzato bandiera bianca, anche i fascicoli,
completi dei nomi degli assassini, che descrivevano quegli eccidi? La
vecchia commissione parlamentare, in piedi dal 2004 al 2006, ha
abbondantemente glissato, e questa e' stata la reale vergogna, non tanto
quella operata da un governo di centrodestra nell'imporre ai magistrati
militari di occultare quelle carte. Chi prese e impose quella decisione agi'
per ragion di Stato, discutibile fin che si vuole (la Germania doveva
riarmarsi in funzione Nato), ma animata da un criterio politico. L'altro
aspetto che influi' (non estradare i generali italiani che nei territori
aggrediti per ordine di Mussolini avevano gareggiato in ferocia con le Ss e
di cui stanno emergendo le tremende responsabilita', come ha anticipato "Il
manifesto"), e' sicuramente da respingere. Ma questo avveniva 65 anni fa,
appunto, sul delta di una guerra assurda che poi ci riporto' alla rinascita
grazie ai partigiani. Combattevano, soffrivano, morivano, con una speranza
vaga che poi si concretizzera' nella Costituzione. Ma non aver cercato
quelle risposte, io dico non aver voluto, no non aver potuto, ai giorni
nostri diventa una vergogna al quadrato. Se non al cubo.
Prima Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione si e' trovato in pieno
accordo con il relatore - chi scrive - e con le parole di Massimo Rendina ed
Ernesto Nassi, presidente e segretario dell'Anpi. Cosi' Roberto Morassut,
parlamentare Ds, Stefano Pedica senatore Idv, Luciano Ciocchetti, deputato
dell'Udc, Gerardo Labbellarte del Psi e Paola Pellegrini del Pdci.
Presenteranno, in tempi che ci si augura rapidi, le proposte per una nuova
commissione che dovra' essere aperta, secondo Morassut, anche a coloro che
pur non essendo stati eletti alla Camera e al Senato, potranno dare un
contributo di chiarezza e di conoscenza.
L'altro tema essenziale e' stato quello che qualcuno ha definito la
"rinascita dell'antifascismo". Oggi, si e' detto, sopravvive a sprazzi e
solo per dare risposte, e neanche sempre, al fascismo che non ha mai
abbassato la testa. Un triste fenomeno che sopravvive perche' della
maggioranza fan parte gli eredi di quell'esecrando passato e grazie ad un
presidente del Consiglio che nei suoi vari mandati non ha mai celebrato il
25 aprile. E su questi aspetti i politici di cui sopra si sono impegnati ad
aprire confronti, a proporre mozioni, a convocare dibattiti. Come quello
essenziale sulla schiavitu' dell'informazione nostrana. E'
coccodrillescamente di destra o di sinistra, come se proteggere la propria
parte serva alla democrazia. Se i giornalisti statunitensi fossero come
quelli che allignano nel nostro paese, Barack Obama non sarebbe stato
eletto.
E si e' accennato ad altri due temi. Bene che i ragazzi e i giovani vadano
ad Auschwitz per capire chi furono i nazisti. Ma perche', sindaco Alemanno,
non li porti anche a Stazzema, a Fivizzano, a Marzabotto per mostrargli di
cosa furono capaci i tuoi avi politici, cioe' i fascisti?
L'altro tema: Cefalonia. E' rimasto in vita l'ultimo dei fucilatori degli
uomini della divisione Acqui. Ha 88 anni. La "giustizia" militare italiana
ancora non ha deciso se incriminarlo o meno. Vogliono fargli avere la
cartuccella di fine indagini sulla pietra tombale? Sessantacinque anni fa...

7. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: LA VIOLENZA NEL MONOTEISMO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2009 col titolo "Le radici
dell'aggressivita' umana"]

Ritengo che abbiano piena ragione i rabbini quando denunciano l'offesa
diretta e frontale fatta alla memoria della Shoah e al mondo ebraico dalla
riabilitazione dei vescovi lefebvriani decisa da papa Ratzinger. Colpisce
che tale riabilitazione sia avvenuta alla vigilia sia dell'anniversario del
Concilio sia del Giorno della memoria e che tra i vescovi riabilitati ce ne
sia uno che neghi apertamente e spudoratamente la realta' dell'Olocausto. La
coincidenza ha un significato apertamente simbolico. Al di la' delle scuse a
posteriori e delle prese di distanza dal negazionismo, in se' doverose e
benvenute, la coincidenza stessa richiama obiettivamente un ritorno al
pre-concilio quando gli ebrei erano considerati "perfidi" responsabili della
uccisione di Gesu' e bisognosi di conversione. Hanno ragione i rabbini nei
confronti del Vaticano. Ma come la mettiamo quando gli stessi rabbini
autorizzano l'esercito israeliano a violare il sabato per compiere il
massacro allo scopo di redimere i palestinesi dal fondamentalismo violento
di Hamas? Lo stato di Israele infatti ha cominciato la sua nuova guerra
contro i palestinesi denominata "Piombo fuso" in giorno di sabato, nella
festa delle luci di Hanukkah. Poiche' si trattava di violare il Sabato, il
governo e le forze armate israeliane hanno chiesto e ottenuto dai rabbini
l'autorizzazione a tale violazione. Due fondamentalismi, quello del Vaticano
e quello dei rabbini, si specchiano reciprocamente, e si scontrano
rovinosamente. Come d'altra parte si specchiano e si scontrano il
fondamentalismo d'Israele e quello di Hamas. Ritengo che il fondamentalismo
sia una delle radici piu' profonde della violenza che insanguina la terra di
Palestina, cosi' come molte altre parti del mondo. Se non si scoprono e non
si sciolgono questi nodi strutturali che sono all'origine della ricorrente
tragedia di Palestina, la tregua sara' fragilissima e la guerra continuera'
col suo carico di vittime specialmente civili e con le sue immani
distruzioni. Definisco "nodi strutturali" i fondamentalismi in mancanza di
una espressione piu' adeguata per definire problemi di fondo che vengono
prima e vanno al di la' delle scelte politiche contingenti. Una connotazione
fondamentalista, radicata nel profondo di tutte le religioni cosiddette "del
libro", cioe' la cristiana, la ebraica e la musulmana, che raramente si ha
il coraggio di guardare e tanto meno di snidare, ritengo che possa essere la
violenza insita nel monoteismo dogmatico.
*
E' illuminante in proposito uno studio fondamentale di Erik Peterson uscito
in Germania nel 1935: Il monoteismo come problema politico, pubblicato in
Italia nel 1983 dalla Queriniana. Erik Peterson, dotto teologo, e' un
oppositore del nazismo e scrive il libro proprio in funzione antiregime.
Egli conclude criticando il monoteismo come degenerazione pericolosa anche
per il suo tempo, il tempo della dittatura nazista, e dimostrando con rigore
scientifico che proprio nel monoteismo si annida la radice della dittatura,
della violenza e della guerra. Il monoteismo e' sistema di guerra che si
ammanta di pace e cosi' riesce a abbassare le difese etiche e psicologiche e
a farsi accettare come bene supremo. E' una guerra vinta nelle coscienze
prima ancora di essere combattuta. Il padre scolopio fiorentino Ernesto
Balducci, teologo e saggista, riusci' a sintetizzare tutto questo con una
affermazione forte ma quanto mai vera: "Il Dio unico e' la cifra assoluta
dell'aggressivita' umana. Non si esce dalla cultura di guerra se non si esce
dalla cultura del monoteismo sacrale". In Palestina due fondamentalismi,
quello ebraico e quello islamico, si alimentano reciprocamente, e rendono
devastante il mito della violenza sovrana. Lo stato di Israele si proclama
"Stato ebraico". Ne ha tutto il diritto. E' il diritto che gli viene da una
storia di discriminazioni, oppressioni e violenze inaudite che non puo'
essere negata. Ma cio' pone alcune questioni su cui bisogna interrogarsi per
alimentare con razionalita' critica il nostro impegno concreto per la fine
del massacro e per la pacificazione. Noi che riconosciamo, con assoluta
decisione, il diritto d'Israele di esistere e di essere uno stato ebraico
sentiamo il bisogno di essere aiutati a rispettare e far rispettare tale
diritto col riconoscimento da parte degli israeliani stessi che l'ebraicita'
dello stato, non lo stato in se', e' una contraddizione storica da
comprendere ma da superare, un fondamentalismo strutturale generatore di
discriminazione e di violenza che non puo' durare in eterno. I modi e i
tempi per superarlo dovranno essere trovati con pazienza, con diplomazia,
con gradualita', ma il problema va posto. La situazione di Hamas e'
speculare. La societa' palestinese, che era una delle realta' piu' laiche
nel panorama del mondo islamico, rischia di cadere sotto il dominio del
fondamentalismo di cui Hamas e' espressione, fondamentalismo che richiama e
fomenta lo scontro di civilta'. I due fondamentalismi, quello ebraico e
quello islamico si alimentano reciprocamente, cosi' come il mito della
violenza sovrana. In Occidente non siamo estranei a una simile tendenza.
Sappiamo quanto le nostre societa' siano influenzate se non dominate da
correnti fondamentaliste, sia nel campo religioso che in quello politico. Di
fronte al baratro di violenza fondamentalista che insanguina il Medioriente
non possiamo non interrogarci sulla nostra corresponsabilita' e sugli
scenari futuri di scontro di civilta' che ci riguardano direttamente. Sia
l'ebraismo sia l'islamismo sia il cristianesimo non basta che parlino di
pace e che si dedichino a curare le ferite delle guerre. Solo se daranno
spazio al pluralismo al proprio interno e si apriranno a una fede laica,
rispettosa della molteplicita' religiosa e etica, purificata dai dogmatismi,
disponibile a intrecciarsi con tutte le religioni e le culture su un piano
di parita', saranno capaci di favorire il superamento della spirale della
violenza e il raggiungimento della pace.

8. RIFLESSIONE. ENRICA RIGO: ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DA UN SAGGIO DI
W.E.B. DU BOIS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "Lezioni di
razza. Discriminati a tempo indeterminato" e il sommario "Alcune
considerazioni sulla proposte di riforma dell'universita' e della scuola
primaria a partire da un saggio dello studioso W.E.B Du Bois recentemente
pubblicato"]

In un saggio del 1903 sul ruolo dell'educazione per il riscatto della "razza
Negra" W.E.B. Du Bois scriveva: "Formeremo uomini solo se assumiamo a
oggetto del lavoro nelle scuole la condizione stessa degli esseri umani -
l'intelligenza, la sostanziale solidarieta', la conoscenza del mondo e le
relazioni che gli uomini intrattengono con esso - e' questo il curricolo di
quell'Alta Formazione su cui si devono costruire le fondamenta di una vita
reale" (The Talented Tenth, in The Negro Problem, New York 1903). La presa
di posizione dell'intellettuale e leader afroamericano e' accompagnata da
un'instancabile polemica contro qualunque ruolo salvifico del lavoro,
implicito nell'opposta visione impersonificata dall'altro leader nero a lui
contemporaneo, Booker T. Washington, secondo la quale agli studenti dovrebbe
essere insegnato "come guadagnarsi da vivere" (da Up to Slavery pubblicato
originariamente da Washington nel 1901). Per nulla invecchiata, la
riflessione di Du Bois e' anzi profondamente in sintonia con l'onda del
movimento che dalla scuola all'universita' ha investito, tra settembre e
dicembre, l'intero sistema formativo italiano criticando proprio quel nesso
tra formazione e mondo del lavoro che piu' di un decennio di riforme ha
tentato di far passare come desiderabile, oltre che come ineluttabile
necessita'.
*
Diritti transitori
Prendere come spunto di riflessione la polemica tra Du Bois e Washington
consente di tematizzare entro uno schema coerente anche un'altra proposta
che ha impegnato le cronache durante le ultime settimane, ovvero quella di
istituire classi "ponte" per i bambini immigrati nelle scuole primarie, e di
discuterla entro la questione piu' generale dell'accesso degli stranieri ai
diritti di cittadinanza e, in particolare, all'istruzione. Nella mozione
approvata in parlamento su proposta della Lega Nord - e ingannevolmente
ammantata di ragionevolezza politica da una relazione introduttiva imbottita
di dati - salta agli occhi la definizione della misura quale politica di
"discriminazione transitoria positiva". Senza approfondire nel merito
l'abuso con il quale viene utilizzata l'espressione discriminazione positiva
(che pur con delle ambivalenze affonda le sue radici nella storia del
movimento per i diritti civili americano e nella tradizione della Critical
Race Theory) e' proprio l'aggettivo "transitoria" che appare paradigmatico e
inquietante. A essere considerata transitoria non e' infatti la
discriminazione, che se fosse introdotta perdurerebbe ovviamente a lungo, ma
una condizione intrinseca alle migrazioni stesse per cui i migranti sono
sempre visti come titolari di diritti pro tempore.
Nel caso specifico, l'introduzione di un canale di accesso parallelo e
subalterno all'istruzione pubblica sarebbe addirittura giustificata da una
duplice condizione transitoria: quella di essere immigrati e per giunta
bambini. Questa transitorieta' "destinata a protrarsi indefinitamente" - per
utilizzare la bella espressione del sociologo algerino Abdelmalek Sayad - e'
carica di conseguenze sul piano politico, dal momento che cio' di cui si e'
espropriati quando si viene inchiodati alla contingenza presente e'
esattamente la possibilita' di scegliere il proprio futuro, come non a caso
denuncia anche uno degli slogan del movimento dei mesi scorsi.
*
Stanziali per legge
Questo approccio alle migrazioni acquisisce un significato ulteriore se si
considerano alcune linee di tendenza che emergono dalle piu' recenti
politiche europee e che puntano a realizzare un modello che la Commissione
definisce come circular migration (una serie di articoli sull'argomento sono
reperibili nel sito www.carim.org/circularmigration). Non si tratta piu'
della "transitorieta'" con la quale e' stata gestita in molti paesi europei
la manodopera immigrata nel dopoguerra, per cui i "lavoratori ospiti" erano
incentivati a rientrare nei paesi di provenienza una volta soddisfatto il
fabbisogno di forza lavoro; tanto meno siamo di fronte a una transitorieta'
che conduce virtuosamente verso la cittadinanza. Una delle specificita' del
sistema della Blue card che la Commissione europea vorrebbe introdurre per
gestire a livello comunitario la manodopera immigrata "altamente
qualificata", e che la differenzia, per esempio, dalla Green card
statunitense, e' esattamente quella di non dare accesso alla cittadinanza
ne', almeno in prima battuta, alla residenza permanente.
A ben guardare, e' proprio in questo dispositivo, pensato per attrarre
tecnici e ingegneri formati in paesi di economie emergenti come quelle di
Cina o India, che si possono scorgere caratteristiche specifiche e esiti
politici di una formazione improntata a "rispondere in modo effettivo e
puntuale alla domanda fluttuante di lavoratori immigrati altamente
qualificati (ed a compensare le carenze di competenze attuali e future)" (si
vedano la relazione alla proposta di direttiva comunitaria e i lavori della
High Level Conference on Legal Immigration tenutasi a Lisbona nel settembre
2007). Il "premio" che i lavoratori altamente qualificati ottengono con la
Blue card e' costituito, infatti, da un alto grado di flessibilita' e
mobilita' fisica nello spazio europeo, coniugata all'immobilita' del proprio
status giuridico - e quindi sociale - di fronte ai diritti di cittadinanza.
In altre parole, l'artificiosa temporalita' imposta dall'ordinamento
giuridico alle migrazioni acquisisce, in questo contesto, il significato di
gestione duratura del transito e della circolazione di manodopera attraverso
un dispositivo che differenzia permanentemente l'accesso dei migranti ai
diritti. Nessuno stupore, quindi, che tra gli obbrobri giuridici gia'
sperimentati dal sistema possa essere concepita anche una "discriminazione
transitoria positiva" di cui i bambini dei migranti porteranno addosso i
segni in permanenza.
Prima di tornare alle splendide pagine di Du Bois sull'eccellenza che sola
puo' salvare e far progredire "le razze", e' opportuno introdurre un
ulteriore elemento di riflessione. Per ottenere la Blue card, oltre a una
formazione altamente qualificata testimoniata da un diploma riconosciuto,
sara' necessario presentare un contratto di lavoro con una retribuzione
prevista di almeno tre volte superiore al salario minimo. Ma che cosa
accadrebbe se un illuminato liberale, convinto assertore dell'autonomia
contrattuale, decidesse di assumere come badante un'astrofisica laureatasi
in un'universita' dell'Unione Sovietica o come giardiniere un raffinato
linguista formatosi in qualche paese del Medio Oriente e di pagarli il
triplo del salario minimo? Simili casi non sono certo previsti dalla
direttiva che, prevedendo accessi separati alla mobilita', si illude di
poter ignorare e liquidare come una massa indifferenziata di cittadini
"illegali" i migranti che vivono e lavorano qui ricevendo anche meno del
salario minimo.
*
Adulatori della mediocrita'
La domanda e' certo posta in modo provocatorio, ma e' contro l'incapacita'
di vedere l'eccellenza che Du Bois dirige il suo sarcasmo piu' feroce:
ovvero, contro "i ciechi adulatori della Mediocrita' che gridano allarmati:
queste sono eccezioni, guardate qui morte, disastri e crimine - sono loro la
regola compiaciuta!". Ed e' sempre l'autore del classico manifesto nero The
Souls of Black Folk (New York 1903) a ribattere che e' stata proprio la
stupidita' di una nazione che ha sistematicamente umiliato i talenti ad
avere fatto della mediocrita' la regola. Una stupidita' simile a quella per
cui nelle universita' italiane il numero di stranieri iscritti e' pari al
2,2%, contro una media Ocse superiore al 7,5% e che in paesi come
Inghilterra e Germania raggiunge punte percentuali a due cifre. Un dato,
questo, senza dubbio da imputare alle incredibili difficolta' delle
procedure per ottenere un visto per studio o per convertire un permesso di
soggiorno per studio in lavoro, ma specchio, altresi', dell'inadeguatezza di
un'offerta formativa che pur blaterando di flussi di capitale si ostina a
chiudere gli occhi di fronte a quelli umani. E ancora, la stessa stupidita'
che mentre e' intenta a proporre accessi subalterni all'istruzione primaria
non si accorge che le occupazioni e le mobilitazioni nelle scuole hanno
coinvolto istituti dove l'incidenza dei bambini stranieri e' altissima, e
dove le loro famiglie sono impegnate, accanto alle altre, in difesa della
scuola pubblica. Perche', scrive ancora Du Bois: "Non abbiamo diritto a
stare in disparte in silenzio mentre si gettano i semi di un raccolto di
disastro per i nostri bambini, neri e bianchi".
*
Postilla biobibliografica. Una intensa pratica culturale sulla linea del
colore. Du Bois, dal dottorato ad Harvard alla sviluppo di un autonomo
movimento dei blacks
Il saggio sull'educazione a cui si fa riferimento nell'articolo e' ora stato
tradotto in un'antologia di scritti di William Edward Burghardt Du Bois dal
titolo Negri per sempre. L'identita' nera tra costruzione della sociologia e
"linea di colore", pubblicata da Armando Editore nel 2008. La traduzione
italiana di The Souls of Black Folk e' stata invece proposta con il titolo
Le anime del popolo nero (Le Lettere, 2007), mentre all'inizio dell'anno la
piccola casa editrice Kurumuny ha pubblicato, con una introduzione di
Raffaele Rauty, il piccolo saggio Il problema dei negri. Pochi titoli che
non rendono omaggio a uno studioso poliedro come e' stato W.E.B. Du Bois
(una riflessione critica sulla sua opera e' stata fatta su un numero della
rivista "Studi culturali" edita da Il Mulino nel 2004).
Nato nel 1868 a Great Barrington nello stato del Massachusetts, consegui' il
diploma universitario presso la Fisk University, un noto e prestigioso
college per neri a Nashville (Tennessee). Fu inoltre il primo afroamericano
che consegui' il dottorato alla Harvard University. Ma e' dopo aver
conseguito un incarico alla Philadelphia University che Du Bois comincia a
lavorare a Philadelphia Negro, un libro a meta' strada tra un lavoro
d'inchiesta e un'autobiografia, a cui segui' The Soul of Black Folk. Una
delle sue opere piu' importanti fu The Black Recostruction, scritta nel
1935.
Intellettuale di spicco della comunita' afroamericana, Du Bois fondo'
inoltre la rivista "The Crisis", il periodico della "National Association
for the Advancement of Colored People". Ed e' proprio nella sua attivita' di
editorialista che mise a punto i temi culturali e politici portanti delle
rivendicazioni dei neri statunitensi. Ed e' sempre in questo ambito che
inizia il dialogo a distanza, costellato da aspre discussioni, con Marcus
Garvey, altra figura importante della cultura politica black. Oggetto delle
loro discussioni e scontri e' appunto il "che fare?" per lo sviluppo di una
autonoma presenza politica dei neri nello scenario statunitense. Le loro
divergenze si manifestarono soprattutto sul rapporto dei neri statunitensi
con i nascenti movimenti anticolonialisti africani. E' in questo ambito che
matura la cosiddetta svolta panafricana di Du Bois. Nel 1937 fonda assieme
ad altri l'International Commitee on African Affairs, mentre si avvicina
alle posizioni del Partito comunista americano. Una vicinanza che attiro'
l'attenzione dell'Fbi e, dopo la fine della seconda guerra mondiale, del
Comitato contro le attivita' antiamericane.
Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, Du Bois alterna l'insegnamento
all'attivita' politica. Si impegna affinche' gli Stati Uniti e le nascenti
Nazioni Unite appoggino i movimenti di indipendenza nazionale, arrivando a
scrivere un testo (Diritti umani per tutte le minoranze) che si presenta
come un grande affresco storico sui movimenti di autodeterminazione politica
e culturale e che influenzera' un'intera generazione di studiosi. Nel 1961
si trasferisce in Ghana, dove muore due anni dopo.

9. VOCI. ALBERTO TREVISAN: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Alberto Trevisan (per contatti: trevisanalberto at libero.it) per
questo intervento]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' sento di non farne piu' a meno per
continuare con metodo l'approfondimento dei temi della nonviolenza e della
pace.
Sapere che da quarant'anni, per merito del compianto Aldo Capitini, questa
rivista e' ancora punto di riferimento di molte persone in maniera
trasversale attraverso la sobrieta' e la ricerca continua della nonviolenza
in cammino, mi motiva ad andare avanti.
"Spes contra spem", la speranza malgrado tutto, ripeteva Giorgio La Pira,
costituente, messaggero di pace e sindaco della povera gente. Sperare e'
necessario, ma come diceva padre Ernesto Balducci, forse il primo ad avere
immaginato l'"uomo planetario", la speranza non scendera' piu' come la
manna, ma deve essere organizzata.
Con queste sobrie riflessioni invito tante persone ad abbonarsi ad "Azione
nonviolenta".

10. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 718 del primo febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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