Minime. 621



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 621 del 27 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Per la giornata del dialogo
2. Oggi la VII Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
3. Il 4 novembre in memoria delle vittime
4. Renate Siebert: Il movimento del Sessantotto in Germania (la mia
esperienza)
5. Lorenzo Porta: Come una lettera ad Aldo Capitini
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE: PER LA GIORNATA DEL DIALOGO

Da questo si potrebbe cominciare:
cessar le guerre, smettere di uccidere.

2. INIZIATIVE: OGGI LA VII GIORNATA ECUMENICA DEL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO

Si celebra oggi con numerose iniziative in tutta Italia - ed altre
seguiranno nei prossimi giorni - la VII Giornata ecumenica del dialogo
cristiano-islamico.
Informazioni sulle iniziative e materiali di riflessione sono nel sito
www.ildialogo.org

3. EDITORIALE. IL 4 NOVEMBRE IN MEMORIA DELLE VITTIME

Delle vittime della guerra il 4 novembre si faccia memoria.
E serva quella memoria all'azione contro la guerra.
Non e' un giorno di festa, ma di lutto. Di lutto e d'impegno a impedire
nuove stragi.
La guerra e' nemica dell'umanita'.
Abolire le armi e gli eserciti occorre.

4. RIFLESSIONE. RENATE SIEBERT: IL MOVIMENTO DEL SESSANTOTTO IN GERMANIA (LA
MIA ESPERIENZA)
[Dal sito del Centro Impastato di Palermo (www.centroimpastato.it)
riprendiamo la relazione svolta da Renate Siebert al forum sui movimenti
antagonisti dal '68 ad oggi, svoltosi a Cinisi l'11 maggio 2008, durante le
iniziative per il trentesimo anniversario dell'omicidio di Peppino
Impastato]

Il cosiddetto '68 e' stato indubbiamente un decennio di movimenti a
carattere internazionale. Tuttavia, mi pare molto importante cogliere di
volta in volta le specificita' locali e nazionali legate alla storia
particolare dei vari paesi. Inoltre, le particolarita' dei diversi sistemi
politici del '900 - dalle democrazie borghesi ai totalitarismi nazi-fascisti
e comunisti - hanno avuto ripercussioni sui rapporti intergenerazionali e
come tali hanno inciso sul carattere pii' o meno antiautoritario dei
movimenti di protesta del secondo dopoguerra e del Sessantotto in
particolare. La mia esperienza e' legata alla storia tedesca, all'eredita'
nazista allora poco elaborata, all'esistenza delle due Germanie e alle
vicende delle lotte antiautoritarie degli anni '60 nella Repubblica
Federale. La Ddr, la Repubblica Democratica Tedesca (non riconosciuta come
tale dalla Germania Federale) appariva silente, dopo le rivolte degli anni
'50 soffocate nel sangue, e dopo la costruzione del muro di Berlino.
Quest'altra Germania, sorella povera, brutto anatroccolo, per noi era
territorio vietato per eccellenza, una sorta di tabu', un territorio
rimosso, demonizzato dalla propaganda anticomunista, quasi onirico nella sua
irrealta'.
*
Vorrei iniziare con una citazione di Adorno nella quale echeggiano i due
poli di una tensione che ha fortemente caratterizzato la mia generazione -
in modi a volte drammatici e infelici, ma anche fecondi - e che ha molto a
che fare, a mio avviso, con il Sessantotto in Germania: "L'esperienza
sarebbe l'unione fra tradizione e aperta nostalgia di cio' che e' straniero,
estraneo". Esperienza, tradizione, nostalgia dell'altro e di cio' che e'
altro... L'esperienza richiede un rapporto elaborato col passato che
consente una proiezione verso il futuro - entrambi aspetti altamente confusi
e inquietanti per i giovani tedeschi negli anni '50, per gli allora giovani
della mia generazione. Un passato minaccioso e cupo, affogato dentro un
silenzio impenetrabile circa il recente nazismo e la Shoah. Un futuro vago
dal sapore grigio entro relazioni familiari e intergenerazionali strette e
opprimenti. Il clamore assordante della guerra fredda, delle tensioni per il
riarmo (atomico?) della Repubblica Federale e dell'ipocrita propaganda
anticomunista tesa a "salvare i fratelli e le sorelle" della "Germania
dell'Est". Un contesto di vita quotidiana, quello degli anni '50, in cui
vivere e crescere da adolescenti era un'impresa altamente contraddittoria,
se e' vero, come annota Adorno in una lettera scritta nel 1950 a Leo
Loewenthal, poco dopo il suo rientro dall'esilio negli Stati Uniti, che i
giovani di questa prima generazione post-nazista erano particolarmente,
ferocemente affamati di verita': "Il mio seminario assomiglia ad una scuola
talmudica... sembrerebbe come se gli spiriti degli intellettuali ebrei
assassinati fossero transitati negli studenti tedeschi. Silenziosi,
conturbanti (unheimlich). Ma proprio per cio', nel vero senso freudiano,
anche proprio infinitamente accoglienti (anheimelnd)" (1). Un passato tutto
da conquistare attraverso un lavoro del lutto - il sogno e l'utopia di un
futuro radicalmente "altro" - e un presente segnato da un grande bisogno di
chiarezza. Nel presente degli anni '50 - indubbiamente periodo di
incubazione dei movimenti del '68 - le elite autoritarie che dal nazismo
erano transitate al dopoguerra apparivano come coloro che maggiormente
bloccavano l'utopia di un futuro riconciliato. Giustamente Uwe Timm,
scrittore (e compagno di generazione) che racconta la vita breve dello
studente Benno Ohnesorg ucciso dalla polizia durante una manifestazione
contro lo scia' di Persia il 2 giugno del 1967 a Berlino, paragona questa
elite ad una forza di occupazione: "Contro quella elite, contro
l'establishment che la mia generazione avverti' come una forza di
occupazione, si indirizzo' la rivolta, all'inizio come protesta emotiva,
come rivolta individuale, estetico-morale" (2). Personalmente, ad esempio,
ricordo molto bene quanta importanza ebbe per la mia formazione esistenziale
e politica la prima mostra d'arte contemporanea, la "Documenta" a Kassel, la
mia citta'. Si svolse alla fine degli anni '50 e ci fece conoscere "l'arte
degenerata", messa al bando dal regime nazista: l'impressionismo,
l'espressionismo e le prime istallazioni dell'arte contemporanea. Con un
gruppo di amici del liceo - senza alcuna guida adulta - ci davamo ogni
giorno appuntamento nelle sale della mostra, conoscevamo e riscoprivamo
giorno per giorno ogni quadro e, direi senza alcuna pretesa di tipo
specialistico-estetica, ci aggiravamo tra queste tele sentendoci finalmente
un po' di piu' "a casa".
*
Io sono nata a Kassel nel 1942, faccio quindi parte di quella generazione
del dopoguerra che negli anni '50, negli anni dell'adolescenza, ha subito il
trauma di vedere crollare ogni riferimento, ogni autorita' adulta credibile:
ci sentivamo "orfani", in mezzo ad adulti devastati dal nazismo, colpevoli e
silenziosi. Un silenzio conturbante ci avvolgeva, un'angoscia muta della
guerra e delle distruzioni attraversava le relazioni, il tabu' dei campi di
sterminio - il grande "non detto" di quegli anni - pesava come un macigno. E
noi volevamo sapere, conoscere la verita'. Ricordo scontri violentissimi con
gli adulti, genitori, parenti, insegnanti... niente. Loro rimanevano muti,
tutt'al piu' negavano. Ci sentivamo colpevoli, eravamo colpevoli. Mi
vergognavo per loro, ci vergognavamo senza avere risposte. Solo arrivata
all'universita' - il passaggio dalla scuola e dalla famiglia a Kassel
all'Istituto a Francoforte - finalmente orfana tra orfani (in senso
metaforico) si intravvedevano nuovi riferimenti, nuovi "padri", nuovo
orizzonti. Nel mio caso erano maestri al di sopra di ogni sospetto, gli
intellettuali della Scuola di Francoforte come Horkheimer, Adorno, Marcuse e
altri, in gran parte ebrei perseguitati ed esuli durante il regime nazista e
ritornati in Germania per rifondare un sapere critico sulla societa'.
Simili incontri hanno dato alla mia generazione di orfani una dimensione del
presente capace di nutrirsi di uno sguardo meno sperso, ci hanno dato
speranza, una possibilita' di futuro. Una possibilita' di futuro, tuttavia,
che doveva attraversare il trauma del nazismo e del genocidio degli ebrei,
dello sterminio dei "diversi" come gli zingari, gli omosessuali, i testimoni
di Geova e gli handicappati. Tale conquista del passato richiedeva in un
certo senso un viaggio agli inferi.
*
Il clima ideologico degli anni della guerra fredda - melenso, ipocrita ed
estremamente aggressivo - ha indubbiamente contribuito a rinforzare la
nostra durezza nei confronti della generazione dei nostri padri e delle
nostre madri. Voglio dare ancora voce a Uwe Timm: "Noi, la mia generazione
eravamo cresciuti quasi tutti nell'opposizione ai padri, educati invece
all'obbedienza e a conquistare il mondo e che avevano perso la guerra, i
padri coinvolti consapevolmente, o ben determinati a non voler saperne
nulla, nell'uccisione in massa di ebrei, sinti e rom, e i quali in seguito,
sia che avessero combattuto con audacia sia che avessero lavorato zelanti
nell'industria degli armamenti, dopo la guerra avevano dovuto accettare
controvoglia di farsi rieducare, mantenendo tuttavia con tenacia il loro
stile di vita avvezzo agli ordini che imponevano ostinatamente nelle
famiglie, nelle associazioni, nei partiti, pretendendo obbedienza, loro
erano stati insegnanti, giudici, pubblici ministeri, ufficiali, che avevano
continuato a prestare servizio, erano stati membri del partito e ora, sotto
la pressione delle potenze vincitrici in Occidente, si convertivano alla
democrazia. Quanto era fuori tempo la pretesa di essere successori
dell'Impero tedesco, una Ddr che non doveva esistere, una frontiera che
arrivava alla Memel, quanto era meschina la lingua, ottusa la musica, gli
Heimatfilme, i film ad ambientazione regionale, l'unico genere originale
dell'epoca, Rudolf Prack e Sonja Ziemann che con il cane da caccia, al quale
era stata mozzata la coda, scomparivano dal quadro inoltrandosi nella
brughiera" (3). La radicalita' e a volte l'estremismo della componente
antiautoritaria nel panorama complessivo del '68 tedesco rimarrebbero
incomprensibili senza la conoscenza di tale background culturale e
generazionale.
*
Personalmente ho vissuto quegli anni a Francoforte, studiando presso
l'Istituto per la ricerca sociale (in Italia piu' noto come "Scuola di
Francoforte"), militando nelle file dell'Sds (Sozialistischer Deutscher
Studentenbund), protagonista principale delle proteste e delle attivita'
politiche extraparlamentari di quegli anni. L'Sds, nato nel dopoguerra come
organizzazione giovanile dell'Spd (Sozialdemokratische Partei Deutschlands),
presto diventa espressione delle forze piu' radicali, tanto che all'inizio
degli anni '60 il partito stabilisce l'incompatibilita' tra l'essere membro
del partito e membro dell'Sds. Uno dei punti cardine delle controversie era
rappresentato dal tipo di atteggiamento da tenere verso le autorita' della
Germania comunista, e in particolare verso il partito comunista Kpd
(Kommunistische Partei Deutschlands), al potere in Ddr col nome Sed e
clandestino nella Repubblica Federale. La politica dell'Sds e' sempre stata
quella di un formale divieto di appartenenza al partito comunista, ma di una
sostanziale politica di dialogo e di relazioni con singoli individui e parti
delle istituzioni della Ddr, soprattutto per quanto riguarda la lotta contro
i residui nazisti nella societa' tedesca del dopoguerra. Significativo a tal
proposito e' l'episodio della mostra "Ungesuehnte Nazijustiz" (1959),
organizzata dall'Sds e rifiutata, interdetta dalle autorita' federali, non
perche' esponesse documenti falsi, ma perche' si serviva di fotocopie di
documenti provenienti dalla Ddr (esistenti anche negli archivi della
Germania Federale, ma secretati). Il regime di Adenauer, col pretesto che si
trattasse di simpatie illecite per il regime comunista, bloccava molte
iniziative volte a far luce sulle connivenze delle istituzioni attuali e del
suo governo con numerosi ex-nazisti tuttora in posizioni centrali
nell'amministrazione dello stato, nei tribunali, nell'esercito, la scuola,
l'universita' eccetera. La battaglia dell'Sds contro tali connivenze
antidemocratiche fu radicale e durissima, tanto da portare al gia'
menzionato divieto da parte del partito della membership contemporanea nel
partito socialdemocratico e nell'Sds, con conseguente sospensione di
finanziamenti ecc.
In sintesi si puo' dire che l'Sds, attraverso tutti gli anni '50 e '60 (e
ben prima dell'esplosione di massa del movimento del '68), fu il maggior
protagonista di una tessitura di proteste e di resistenza contro le tendenze
antidemocratiche rappresentate dal governo Adenauer e progressivamente fatte
proprie dal partito socialdemocratico di opposizione, l'Spd: lotta contro il
riarmo atomico ('58); contro la "svolta di Bad Godesberg" del partito
socialdemocratico; contro la demonizzazione dei rapporti con l'altra
Germania; contro i nazisti ancora e di nuovo in posizioni di potere e di
prestigio; contro la proposta, nel 1960, di una modifica in senso
restrittivo della Costituzione (i "Notstandsgesetze"); contro nuove tendenze
antisemite nella societa'; contro la riforma universitaria che prevedeva il
numero chiuso; contro la prospettiva di una Grande Coalizione tra Cdu/Csu e
Spd. E contro tutte le tendenze coloniali e neocoloniali dell'Occidente,
vedi la guerra in Algeria, la guerra del Vietnam, la visita dello scia' di
Persia in Germania, i rapporti con il regime dei colonnelli in Grecia,
l'uccisione di Lumumba e le conseguenze per i rapporti di potere in Africa,
la lotta all'apartheid in Sud Africa. E contro il monopolio della stampa di
Springer, manipolativa, anticomunista e razzista. L'attentato contro Rudi
Dutschke a Berlino (delle conseguenze del quale questo leader della rivolta
mori' una decina di anni dopo) era direttamente riconducibile ad una odiosa
campagna di stampa della "Bildzeitung" contro di lui, e le manifestazioni
che ne seguirono furono tra quelle piu' violente di quegli anni.
*
Francoforte e Berlino, per la mia esperienza, erano i luoghi centrali della
protesta, ma il movimento si sviluppava ugualmente in tutte le altre
universita' e via via anche nelle scuole superiori. Durante tutti gli anni
'60 si puo' osservare una costante crescita di partecipazione al movimento:
da gruppi minoritari di studenti, sindacalisti e simpatizzanti vari -
prevalentemente impegnati nel dibattito pubblico e nello studio dei testi
classici del marxismo in chiave critica, ma anche in azioni di protesta
volte a contrastare le tendenze autoritarie della societa' tedesca, da una
parte, e a lottare per azioni di solidarieta' con i movimenti anticoloniali
e antitotalitari sul piano internazionale, dall'altra - la seconda meta'
degli anni '60 vede uno sviluppo di massa con nuove forme di protesta. Gli
stimoli per sviluppare campagne di mobilitazione non tradizionali arrivarono
innanzitutto dalle lotte studentesche e per i diritti civili negli Stati
Uniti, come i sit-in, le assemblee permanenti, le occupazioni e le
manifestazioni davanti a edifici di forte valenza simbolica, come teatri,
consolati, ambasciate, basi militari ecc.
La mia esperienza personale e' legata innanzitutto alla lotta contro il
razzismo - un nostro modo di elaborare il fanatismo antisemita dei nostri
genitori - sia attraverso svariate attivita' con gli immigrati italiani e
greci, allora la maggioranza dei "Gastarbeiter" nella Repubblica Federale,
sia attraverso rapporti di solidarieta' e lavoro clandestino con i vari
movimenti di resistenza anticoloniale e anti-apartheid che erano presenti
nella Repubblica Federale. Nella seconda meta' degli anni '60, nel contesto
della lotta contro la guerra nel Vietnam, inoltre, eravamo in rapporto con i
principali leader delle Pantere nere che venivano clandestinamente a
Francoforte per incitare i soldati afroamericani delle basi in Germania a
disertare. Il congresso sul Vietnam "La liberazione della coscienza e della
conoscenza" a Francoforte nel 1966, con la partecipazione di Herbert
Marcuse, segna una tappa in tal senso, l'anticamera per le grosse
manifestazioni successive a Berlino.
*
All'interno dell'Sds esisteva un gruppo di lavoro anticoloniale del quale
fui per un certo periodo responsabile. Nasce in questi anni il mio interesse
per l'opera di Frantz Fanon, alla quale ho dedicato un lungo lavoro, prima
di ricerca in Algeria, poi di tesi e di pubblicazione di un libro (4).
Rileggendo oggi - a distanza di quasi quarant'anni - questo testo, mi sembra
di poter enucleare tre ambiti, o temi presenti nell'opera di Fanon, che per
me rappresentano, allora come ora, l'importanza eccezionale del suo
pensiero, e che allora, nei nostri gruppi di discussione politica e di
studio, furono di importanza centrale. Si tratta della sua analisi del
razzismo, del suo approccio alla politica e del suo modo di intendere i
nessi tra individuo, societa' ed esperienza, ovvero tra psiche, relazioni
interpersonali e relazioni sociali e politiche.
Per Fanon un processo politico di liberazione non era tale se non si compiva
contemporaneamente anche come emancipazione soggettiva. "La liberazione
dell'individuo non avviene dopo la liberazione nazionale. Una liberazione
nazionale autentica si realizza solo nella misura in cui l'individuo ha
iniziato un irreversibile processo di liberazione. E' impossibile opporre un
rifiuto al colonialismo senza rifiutare al tempo stesso l'idea che il
colonizzato si e' fatto di se' attraverso il filtro della cultura
colonialista" (5). Il tanto dibattuto concetto fanoniano di umanesimo -
oltre a quello dell'alienazione - ben sintetizza tutto cio'.
La questione del razzismo e' centrale, a mio avviso, per comprendere
l'intera opera di Fanon. La sua esperienza di nero in un mondo segnato dal
dominio bianco appare la leva che ha via via sempre di piu' acuito la sua
sensibilita' per i meccanismi del potere e del dominio. La sofferenza
vissuta sulla propria pelle gli e' servita da lente di ingrandimento per le
dimensioni collettive e sistematiche del contesto coloniale. Nella sua
analisi il razzismo non e' un fenomeno sovrastrutturale, bensi' un collante
basilare per garantire la coesione della societa' coloniale, societa'
fondata su rapporti brutali di dominio e di violenza. Il manicheismo della
situazione coloniale, spesso evocato, impedisce la creazione di relazioni
sociali di scambio tra le parti antagoniste. L'ideologia e la prassi del
razzismo forniscono una struttura ferrea che configura un sistema. Ed e' la
forza di tali elementi strutturali, economici, sociali e politici informati
al razzismo, che lascia la sua impronta sulle menti. L'alienazione prodotta
dal misconoscimento ha un carattere di necessita', non e' pensabile
rimanerne incontaminati.
Non per ultimo, sono tali analisi che suggeriscono un'idea di politica
legata strettamente ai mutamenti del rapporto dell'individuo con il contesto
socio-politico, oltre che con i legami di potere nazionali e internazionali.
Fare politica, per Fanon, significa innanzitutto modificare il quotidiano in
modo sempre piu' consapevole, diventare protagonisti della propria storia.
Le analisi in L'An V de la revolution algerienne mettono in scena questo
tipo di sensibilita'. In tal senso cultura e politica vengono a coincidere.
Inoltre vorrei mettere in rilievo l'importanza della dimensione psicologica
e psicoanalitica nell'intelligenza politica, nella passione e nell'impegno
di Fanon. Adorno ha scritto: "Ogni pensare e' esagerazione, nella misura in
cui il pensiero che e' tale si proietta oltre il suo riscontro nei fatti
dati" (6). La sensibilita' di Fanon per le ferite, per la sofferenza estrema
che si esprime nel disagio psichico gli suggerisce di indagare sui nessi
profondi fra la violenza sociale e la reazione soggettiva a tale violenza.
In tal senso credo che si possa dire che "l'esagerazione" che si esprime nel
sintomo puo' essere letta come un elemento di verita' sia rispetto alla
persona sofferente, sia rispetto al contesto. Fanon e' un innovatore della
psichiatria - in Italia, ad esempio, Franco Basaglia era molto interessato
ai suoi lavori in campo psichiatrico - ma non ha nessuna predilezione per
l'antipsichiatria. Non assegna alcun valore rivoluzionario all'esistenza
della follia. L'alienazione del paziente psichiatrico, nel contesto
coloniale, ingrandisce ed esaspera l'alienazione che condiziona tutti.
Credo che cio' che allora, da studentessa, mi aveva cosi' tanto attratto
negli scritti di Fanon era infatti la centralita' dell'alienazione nella sua
duplice veste, come allontanamento da se stessi attraverso le violenti
imposizioni del dominio coloniale, da una parte, e, dall'altra, come grido,
come espressione estrema della sofferenza e dell'insofferenza per le
condizioni date che si rifugia nel disagio psichico. In tal senso gli
scritti di Fanon mi parevano assolutamente compatibili con cio' che imparavo
dai miei maestri della scuola di Francoforte, vale a dire la necessita' di
far interagire il sapere sulla societa' con il sapere sulla psiche degli
individui, pena la non comprensione del presente, particolarmente quando i
conflitti sono segnati da violenze apparentemente incomprensibili. Questo
Adorno e Horkheimer avevano scoperto e sviluppato negli anni della nascita
del nazismo in Germania, questa sembrava la via da percorrere negli anni
'60, anni di grande effervescenza collettiva. Tuttavia, come si sarebbe
capito non molto dopo, anche anni gia' gravidi di nuove sciagure sul piano
internazionale. A tal proposito l'acuta analisi di Fanon dei pericoli insiti
all'interno degli stessi paesi in via di liberazione e, innanzitutto, la sua
messa in guardia di fronte allo sviluppo delle varie borghesie nazionali,
appaiono oggi piu' che mai preveggenti. L'Algeria stessa ne fornisce un
triste esempio.
*
Ma vorrei ancora tornare agli anni del '68. Complessivamente mi sembra di
poter dire che il "mio" Sessantotto si era sviluppato in modo crescente e
via via piu' articolato attraverso tutti gli anni '60 mediante molteplici
canali, molteplici iniziative e molteplici componenti politiche che in un
modo o nell'altro - visti a posteriori - miravano tutti ad una sorta di
"seconda fondazione" della Repubblica Federale Tedesca, un paese veramente
democratico, non piu' segnato dalle deformazioni antidemocratiche legate
alla non-elaborazione del recente passato nazista e alla soffocante
polarizzazione Est/Ovest della Guerra Fredda, non piu' succube di vecchie
forme di educazione e di relazioni intergenerazionali e interpersonali
autoritarie, non piu' ammuffito e parafascista sul piano della cultura e
dell'arte. Un paese libero sul serio, sia sul piano politico, istituzionale
e giurisdizionale, sia sul piano relazionale. Rispetto a quest'ultimo
aspetto va ricordata ancora la forte componente antiautoritaria delle nostre
battaglie, legata alla dimensione individuale dell'esperienza. Non
dimentichiamo che all'inizio degli anni Sessanta la morale sessuale era
alquanto repressiva, contraccezione e aborto erano illegali e tabu',
l'omosessualita' era vietata per legge e perseguita come durante il nazismo.
Contro tutto cio' il movimento inventava nuovi tipi di convivenza come le
Comuni, proclamava "l'amore libero", l'educazione sessuale antiautoritaria,
gli asili antiautoritari per l'infanzia, i "Kinderlaeden", e molto altro
ancora. In un certo senso la successiva parola d'ordine del femminismo, "il
personale e' politico", permeava gia' quelle battaglie, spesso ricondotte
alle esperienze della "liberazione sessuale" praticata come prassi politica
da certe frange del Partito comunista negli anni prenazisti della Repubblica
di Weimar. Wilhelm Reich, ad esempio, era materia di studio nei circoli
dell'Sds, al pari di Marx e di altri teorici del marxismo.
Gli anni Sessanta, e in particolar modo le seconda meta', sono quindi
attraversati da tendenze multidimensionali di protesta: una crescente
sinistra extraparlamentare ampia; gruppi minoritari del Partito comunista
clandestino; circoli anarchici e situazionisti con il movimento delle comuni
che prende piede a partire dalla fondazione, nel 1967, della "Comune 1" di
Berlino; gruppi a sostegno delle lotte di liberazione nel "Terzo Mondo"; una
sinistra sindacale molto attiva, in particolare dei metalmeccanici; e vari
tentativi di fondazione di un nuovo partito di sinistra sul modello del Psu
in Francia e del Psiup in Italia. Lelio Basso, in quegli anni, venne
frequentemente a Francoforte per discutere a tale proposito con i leader
dell'Sds. L'apice di tali mobilitazioni si raggiunge nel '68-'69, quando la
scintilla unisce i movimenti sul piano nazionale con quelli internazionali.
Ricordo nitidamente la grande emozione collettiva quando, nel maggio '68,
durante il comizio conclusivo di una marcia di protesta di molti chilometri,
e di una manifestazione di massa a Bad Godesberg contro le leggi eccezionali
(Notstandsgesetze) preparate dal parlamento, un rappresentante dell'Sds
prende improvvisamente il microfono gridando: "Compagni, stanotte a
Parigi...". In questo momento la lotta contro le tendenze repressive sul
piano interno, la lotta contro la guerra del Vietnam sul piano
internazionale, le mobilitazioni contro il razzismo e a favore delle Pantere
Nere, la campagna contro la stampa Springer eccetera eccetera tutto cio'
diventa un tutt'uno. Siamo contro.
Tuttavia, lavorando e lottando contro queste tendenze restrittive,
antidemocratiche, abbiamo concretamente cercato di costruire relazioni
private e pubbliche di tipo nuovo:
- nel contesto relazionale, familiare, parentale;
- nel rapporto con individui, continenti, paesi e culture diverse dalla
nostra;
- nella solidarieta' con rifugiati politici di sistemi repressivi o
totalitari, come algerini, francesi pro-algerini, africani, americani neri e
bianchi, greci...
- nella solidarieta' con gli immigrati "Gastarbeiter", allora soprattutto
italiani e greci.
*
Visto a partire da oggi direi anche che il movimento, e in modo particolare
l'esperienza dell'Sds, abbia avuto un grande respiro storico. Innanzitutto
nella lotta accanita per la denazificazione della societa' tedesca del
dopoguerra e nel lavoro del lutto al fine di elaborare il passato e nello
sforzo del "non dimenticare". Ma anche nella consapevolezza che un tale
lavoro dovesse partire dal recupero delle tendenze liberatorie presenti gia'
nella (purtroppo debole) democrazia della Repubblica di Weimar. Solo oggi,
forse, comprendo appieno il perche' dei nostri gruppi di studio sulla
rivoluzione fallita del 1919, su Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, sul
movimento "Spartakus", sugli errori politici del Partito socialdemocratico,
sulle esperienze antiautoritarie, sulla nascita e lo sviluppo della
psicoanalisi, sulla letteratura e l'arte "degenerata". Per anni scoprivamo,
leggevamo e studiavamo dichiaratamente tutti i libri, gli autori, gli
artisti che i falo' nazisti avevano pubblicamente bruciato. Noi, da
quell'esperienza fallita di democrazia siamo partiti per progettare "altro",
attraverso la memoria, attraverso il lutto per coloro che non c'erano piu' a
sostenerci: un attraversamento teorico e sentimentale del totalitarismo
nazista.
A tratti tutto cio' era una festa, una scoperta mozzafiato, una grande
"promessa di felicita'", una inimmaginabile trasgressione - spesso, pero',
anche un grande dolore.
*
Per concludere due parole soltanto sugli sviluppi degli anni '70 (che
personalmente non ho piu' vissuto in Germania). Credo di poter individuare
quattro filoni significativi che presto si dividono, anche se si tessono
nuovi contatti politici fra alcuni di loro:
- iniziative dal basso, a partire dalla societa' civile (le
"Buergerinitiative"); azioni concrete dei cittadini, la politica dei
"verdi";
- attivita' nel campo dell'educazione, asili antiautoritari, forme nuove di
convivenza, psicoanalisi, sessualita', multiculturalita';
- il femminismo, prendere la parola, l'autocoscienza, realizzare alcune
delle promesse (non mantenute) del '68: non la "liberazione sessuale", ma la
liberazione dall'oppressione sessuale patriarcale;
- il terrorismo, gli attentati mortali, la Raf.
*
Per me, per molti versi il '68 e' stato un duro lavoro, la scoperta di un
mondo e di altri mondi possibili e di me stessa in tali contesti. Ma anche
una grande festa, insieme drammatica e felice e, non per ultimo, il contatto
con l'altro, con lo straniero. Gli anni del '68 per compagni e amici della
mia generazione hanno sicuramente rappresentato l'antitesi alla muffa
totalitaria, al pantano sanguinario e angoscioso del nazismo.
Sto male e mi arrabbio quando sento che oggi va di moda identificare il
Sessantotto col terrorismo. E' innegabile che molti dei militanti confluiti
nella Raf (Rote Armee Fraktion) provenivano dal nostro grande movimento di
massa del '68; alcuni dei leader, come ad esempio la stessa Ulrike Meinhof,
erano stati vicini all'Sds alla fine degli anni '50 (ma gia' allora erano
stati espulsi dall'organizzazione: ricordo a tal proposito la presa di
distanza ufficiale dell'Sds, nel 1959, dalla rivista berlinese "Konkret"
della quale la stessa Meinhof era redattrice). Tali militanti, a mio avviso
e per la mia esperienza, avevano innanzitutto due caratteristiche: da un
lato, almeno alcune e alcuni, erano animati da un rifiuto e odio per il
passato nazista dei padri senza soluzioni elaborabili in modo costruttivo,
erano percio' distruttivi e autodistruttivi fino alla ricerca della morte,
propria e altrui (anche se il famigerato "suicidio collettivo" nella
prigione di Stammheim e' tuttora materia di discussione e contestazione);
dall'altro lato, mi sembra che la scelta "militare" sia stata quella
facilmente piu' consona a persone particolarmente inclini ad un'attitudine
di ragionare in modo ideologico, affermativo, senza spazi fecondi per il
dubbio e una distanza critica anche dai propri convincimenti. Voler
confondere, a posteriori, tali posizioni e azioni con il grande movimento
del '68 e' segno di malafede o di ignoranza. Si tratta davvero di una grave,
pericolosa e interessata mistificazione.
*
Note
1. Cit. in Detlev Claussen, Theodor W. Adorno. Ein letztes Genie, S.
Fischer, Frankfurt am Main 2003, p. 242.
2. Uwe Timm, L'amico e lo straniero, Mondadori, Milano 2007, p. 91.
3. Ivi, p. 90. Per una mia riflessione autobiografica vedi Renate Siebert,
Don't forget - Fragments of a Negative Tradition, in "International Yearbook
of Oral History", Volume I, Memory and Totalitarianism, Oxford University
Press, Oxford 1992, e Renate Siebert, Una generazione di orfani, in
Donatella Barazzetti e Carmen Leccardi (a cura di), Responsabilita' e
memoria, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997.
4. Renate Zahar (Siebert), Kolonialismus und Entfremdung - zur politischen
Theorie Frantz Fanons, Europaeische Verlagsanstalt, Frankfurt am Main 1969
(successive traduzioni: Il pensiero di Frantz Fanon e la teoria dei rapporti
tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano 1970. L'oeuvre de Frantz
Fanon, Maspero, Paris 1970. Colonialismo y enajenacion, Siglo XXI Editores,
Mexico, Argentina, Espana, 1970. Frantz Fanon: Colonialism and Alienation,
Monthly Review Press, New York and London 1974).
5. Frantz Fanon, Scritti politici. Per la rivoluzione africana, volume I,
Deriveapprodi, Roma 2007, p. 112.
6. Theodor W. Adorno, Meinung, Wahn, Gesellschaft, in Id., Eingriffe,
Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1966, p. 152.

5. RIFLESSIONE. LORENZO PORTA: COME UNA LETTERA AD ALDO CAPITINI
[Ringraziamo Lorenzo Porta (per contatti: porta.l at email.it) per questo
intervento]

Caro Aldo,
non ti ho incontrato in vita, nel '68 avevo tredici anni e non ti conoscevo.
Sei scomparso fisicamente in una fase di grande trasformazione del mondo,
quando molti giovani dei diversi angoli della terra hanno mostrato la
determinazione di dare profondita' ad una democrazia che stava rinsecchendo,
oppure di lottare contro dittature tremende, sia nei paesi dell'est europeo
divisi dal muro, sia contro i regimi fascisti ancora in piedi nel sud
dell'Europa, in Sudamerica e altrove.
Ti sei dedicato a porre le basi della democrazia diretta fondata su centri
della societa' civile organizzata, che spronassero i partiti a non sentirsi
i soli rappresentanti delle volonta' di trasformazione.
Hai avuto modo nell'ultimo anno della tua vita di commentare e valutare il
movimento mondiale che stava scoppiando e sulla rivista da te fondata ti
preoccupavi che i giovani riuscissero a mantenere unite la spinta alla
partecipazione attiva e il desiderio di preparazione al di la' delle
manipolazioni ideologiche. Infatti per un movimento spontaneo non e' facile
mantenere a lungo nel tempo un'autonomia organizzativa e di elaborazione,
che possa resistere agli apparati costituiti e portare un'aggiunta
trasformativa continua. Quel desiderio di partecipare, di capire, di
contare, di conoscere la propria sessualita' era riuscito a produrre una
contro-cultura: musica, poesie, libri, nuovi costumi, e tu gia' segnalavi
che le lotte dei giovani statunitensi del gruppo Students for a democratic
society (Sds), che avevano dato vita alle proteste a Berkeley,  avevano una
forte impronta nonviolenta che si intrecciava con il lavoro che Martin
Luther King aveva compiuto a partire dal sud degli Stati Uniti.
Quella matrice di nonviolenza attiva in Europa ha assunto connotati
diversificati. Ti ricordi di Rudi Dutschke, il leader del movimento
studentesco tedesco, persona che sommava in se' un raro acume politico ad
una forte tensione etico-religiosa? Proprio in quell'anno fu colpito alla
testa da un neonazista come esito di una campagna di stampa condotta anche
dai giornali della Springer Presse, tra cui figura il noto quotidiano
"popolare" "Bildzeitung". Egli perdera' la memoria e dovra' riprendere ad
imparare a leggere e scrivere. Mi ricordo che nel 1972 si presento'
all'universita' di Cambridge per un dottorato, ma le autorita' gli
preclusero la partecipazione. Nel 1958 Rudi si era rifiutato di fare il
servizio militare per motivi etico-religiosi nella Ddr e per questo gli fu
precluso l'acceso all'universita'. Fu cosi' che si trasferi' a Berlino
Ovest. Un esempio di giovane protagonista del '68 che aveva piena coscienza
dei pesanti limiti sia del capitalismo occidentale che delle dittature del
comunismo reale, inviso a entrambi.
Anche tu fin dagli anni della guerra sei stato vicino alle posizioni
federaliste europee e successivamente hai dato vita al movimento
liberalsocialista. La spaccatura dell'Europa significava in qualche modo
occludere l'emergere di una verita': ogni opposizione che nasceva nei due
campi opposti era vista come strumentale all'altro.
Pensa che ancora oggi a quarant'anni dal '68 si cerca di accreditare la tesi
che quel movimento fosse l'anticamera del terrorismo.
Non sei mai stato comunista, perche' la liberta' e la ricerca del valore a
partire dai singoli e non dagli apparati e' il tuo tratto distintivo. Piu'
che al movimento dialettico tu ti riferisci all'aggiunta etico-religiosa
come tensione tra la realta' e il valore da affermare.
Mi sono imbattuto per la prima volta in un tuo scritto nel 1978 quando
dovevo scegliere tra servizio militare e servizio civile. Me lo ricordo quel
librettino color panna, un "Quaderno di Azione nonviolenta": Teoria della
nonviolenza. Me lo ero portato in treno una notte in viaggio verso Roma: mi
aveva convocato la commissione giudicatrice del servizio civile. Leggevo il
testo e mi veniva spontaneo riprodurre interiormente il tono che avrei usato
se l'avessi letto ad alta voce. Capita con alcuni scritti di dare
un'intonazione muta al testo che sentiamo solo noi, come una musica che
sorge dall'intimo. E ad un certo punto ho associato quel tono alla voce di
una persona che avevo recentemente incontrato e che poi mi e' diventata
amica: Anna Luisa Leonardi, che tu hai conosciuto e con la quale hai
collaborato.
"La nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalita' altrui, e' anche un
potenziamento del tu, e dell'interesse a che l'altro viva e si svolga, e
come un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perche' l'altro esiste, un
appassionamento alla radice".
Quel primo incontro con te attraverso i tuoi scritti e i loro riverberi mi
e' rimasto sempre nel cuore. Ogni tanto lo sento lontano perche' coperto dal
frastuono delle dispute quotidiane, ogni tanto torna in prima piano e mi
accompagna nei momenti lieti e duri, anche oggi, con i miei figli piccoli e
mia moglie.
E' quella attenzione al tu, quell'apertura al singolo e alla sua
insostituibilita' che mi ha sempre dato speranza: "Penso che sempre nei
riguardi di un essere umano debbo richiamarmi ad un punto interno in cui io
mi sento madre di lui: che debbo abituarmi a costituire costantemente questo
atteggiamento nel mio intimo; che, insomma, almeno per una volta, esaurite e
sfogate, se si vuole, tutte le altre possibilita', debba domandarmi: 'ma mi
sono considerato anche per un istante madre di costui'?" (p. 10
dell'opuscolo citato).
Nella mia ricerca di tesi di dottorato dedicata alle pratiche di maieutica
reciproca e ricerca-azione ho rilevato dallo studio delle carte che tu sei
stato il silenzioso tessitore dei rapporti tra Danilo Dolci e gli esponenti
piu' acuti dell'azionismo socialista. Fosti tu a parlare di Dolci a Piero
Calamandrei e lui ne prese le difese nel processo per lo sciopero alla
rovescia per affermare il diritto al lavoro come dice la nostra
Costituzione. Era il 30 marzo 1956. Fu un processo che fece discutere
quell'Italia divisa ideologicamente, con un sindacato spaccato. Fu la prima
volta che si dispiego' una campagna organizzata di lotta nonviolenta
attraverso la disobbedienza civile.
Pensa che i giovani studenti che oggi si mobilitano per difendere la scuola
pubblica assieme alla parte migliore dei docenti, dall'universita' alle
elementari, hanno riscoperto uno scritto di Piero in cui egli si immagina
che un partito voglia far deperire la scuola laica di Stato per finanziare e
far crescere scuole private senza controllo pubblico (discorso pronunciato
al III congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, 1950).
Allora per voi la Carta costituzionale era la bussola con cui orientare gli
sforzi per democratizzare il paese e disincrostarlo dai codici fascisti
ancora vigenti. Tu, don Milani, Dolci, eravate accomunati da questo intento.
Oggi all'interno del processo di integrazione europea il patriottismo
costituzionale dovrebbe essere un elemento internazionalmente unificante, ma
ad esso viene sostituita una "costituzione materiale" che trasforma il
parlamento in una societa' per azioni dove il confronto democratico e'
atrofizzato dalle procedure rapide di approvazione dei decreti a colpi di
fiducia.
Di fronte alle molteplici sfide provenienti dalla recessione economica,
dalla polverizzazione sociale dovuta alla precarizzazione del lavoro, dalla
crisi delle risorse energetiche e dalla caccia forsennata alle risorse
vitali le risposte sono inadeguate e deboli. La sfida e' globale e richiede
risposte coordinate internazionalmente. Le lotte per la difesa del servizio
pubblico dell'istruzione oggi avvengono in diversi paesi: Francia e Messico
per esempio.
Cosa fanno i nonviolenti, cosa e' lecito aspettarsi da loro: una lotta
coerente contro il dissesto della pubblica istruzione, la denuncia di una
pratica corrente nelle universita' fondata sulla cooptazione e la
corruzione, che fa strame di regole e non fa che sminuire l'istruzione
pubblica. La messa a punto di un progetto praticabile che discuta la
sottrazione di risorse all'istruzione e alla sanita' pubbliche per "rifare
l'Alitalia", ad esempio, mentre le spese militari sono in costante aumento.
Ti chiedo: come si fa a non essere nani sulle spalle di giganti e trovare
vie efficaci e nuove  per invertire questa rotta?

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 621 del 27 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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