Minime. 575



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 575 dell'11 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La guerra e i massacri che non commuovono i pacifisti
2. "Peacereporter": I soliti massacri che non fanno notizia
3. Tutto si tiene
4. I conti senza l'oste
5. Peppe Sini: Una lettera aperta al sindaco del Comune di Tarquinia
6. Isde di Viterbo: Un impegno per la prevenzione
7. Franco Brevini presenta "Tutte le poesie e tutte le prose" e lo
"Zibaldone" di Giacomo Leopardi
8. Peppe Dell'Acqua presenta "L'uomo che restitui' la parola ai matti" di
Nico Pitrelli
9. Marina Forti presenta "Indiana " di Mariella Gramaglia
10. Franco Loi presenta le "Poesie" di Carlo Porta
11. Ferruccio Parazzoli presenta "La nave per Kobe" di Dacia Maraini
12. Silvia Tomasi presenta il "Teatro" di Friedrich Duerrenmatt
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA GUERRA E I MASSACRI CHE NON COMMUOVONO I PACIFISTI

La guerra e i massacri che non commuovono i sedicenti pacifisti italiani
sono la guerra e i massacri che avvengono in Afghanistan, la guerra
terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria, cui
prende parte anche l'Italia in violazione del diritto internazionale e della
legalita' costituzionale.
Cosicche' i sedicenti pecifisti italiani sono affaccendati a ciarlare di
tutto tranne che di questa semplice, tremenda realta': che l'Italia e' in
guerra, che quelle stragi ci riguardano e ne siamo corresponsabili, che
nessuno difendera' la legalita' costituzionale e la civile convivenza nel
nostro stesso paese se nessuno difende l'articolo 11 della Costituzione che
quella guerra proibisce.
La guerra e i massacri in Afghanistan, che ci rivelano quanto profonda e
quanto estesa sia la complicita' col terrorismo di stato, col fascismo
planetario che tutti ci travolge, con l'orrore dispiegato.
La guerra e i massacri in Afghanistan, che non commuovono i sedicenti
pacifisti italiani al servizio di sua maesta'.
La guerra e i massacri in Afghanistan.
*
Cessi la partecipazione italiana alla guerra.
Cessi la violazione della legalita' costituzionale e del diritto
internazionale.
Cessino le stragi.
Si impegni l'Italia contro la guerra, per la pace con mezzi di pace, per il
disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per salvare le umane vite.
Vi e' una sola umanita'.
Solo la nonviolenza e' adeguata ai compiti dell'ora.
La nonviolenza e' l'unica politica possibile e ragionevole per l'umanita'
nella presente distretta.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": I SOLITI MASSACRI CHE NON FANNO NOTIZIA
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 9 settembre 2008 col titolo "Attacco aereo nel sud, 50
'talebani' uccisi o feriti"]

Militari afgani e forze militari della coalizione a guida Usa in Afghanistan
hanno ucciso o ferito 50 "sospetti talebani", durante un attacco aereo nella
provincia meridionale di Uruzgan. A renderlo noto e' il capo dei servizi
segreti nella provincia, identificato con il nome Gulab. Le forze Nato e
l'esercito Usa hanno detto di non avere informazioni in merito. "Abbiamo
avuto un'informazione sul fatto che gli insorti si radunavano in un
villaggio, cosi' abbiamo chiesto aiuto alle forze Nato. Come risultato
dell'attacco aereo, 50 ribelli sono stati uccisi o feriti" ha spiegato
Gulab.
Forze afgane e occidentali hanno ucciso oggi altri 23 talebani durante varie
operazioni nel sud e nell'ovest del Paese.

3. EDITORIALE. TUTTO SI TIENE

Con frequenza sempre maggiore le notti viterbesi sono funestate da
aggressioni e pestaggi realizzati da squadracce di giovani neonazisti.
Mentre sindaci e ministri fanno a gara a proclamare la bonta' del fascismo.
*
Sindaci irresponsabili e scellerati emettono ordinanze contro le persone in
condizioni di bisogno e diffondono un'ideologia secondo cui chi e' povero
merita di essere perseguitato.
Le squadracce fanno il resto. A Viterbo come altrove.
*
A questo punto e' la notte.
Resistere occorre. In questo paese non si salvera' la democrazia, lo stato
di diritto, la civilta', se tu non resisti a tanta violenza, se tu non
difendi i diritti di tutti, se tu non contrasti i criminali e i loro
complici.

4. DIRITTI. I CONTI SENZA L'OSTE
[Riportiamo il seguente comunicato del 10 settembre 2008 del "Centro di
ricerca per la pace" di Viterbo]

La notizia dell'accordo tra il gatto Enac (Ente nazionale per l'aviazione
civile) e la volpe Adr (societa' Aeroporti di Roma) per realizzare un
devastante mega-aeroporto per voli low cost a Viterbo, far continuare a
Ciampino la devastante attivita' di Ryan Air, incrementare ulteriormente il
trasporto aereo (voragine di sperpero e di ruberie di soldi pubblici,
nonche' magna pars nel provocare il surriscaldamento del clima globale che
e' la principale catastrofe planetaria che l'umanita' deve urgentemente
fronteggiare) conferma l'irresponsabilita', il delirio e la protervia di
certi potentati che gia' tanti disastri hanno provocato.
*
Ma lorsignori fanno i conti senza l'oste.
E l'oste sono le leggi italiane ed europee; l'oste sono i cittadini
determinati a far rispettare quelle leggi perche' determinati a difendere la
salute, l'ambiente, il territorio, i diritti di tutti; l'oste e' la forza
del diritto e della democrazia.
*
Enac e Adr e tutta l'ingorda e vandalica lobby politico-affaristica che li
fiancheggia saranno sconfitti in questo ennesima scandalosa operazione
nociva e distruttiva, in questo ennesimo squallido imbroglio ai danni della
popolazione.
A Viterbo il devastante mega-aeroporto non puo' e non deve essere
realizzato, ne' adesso ne' mai.
A Ciampino la catastrofe sanitaria e sociale provocata dall'esorbitante
attivita' aeroportuale deve essere fermata, subito.
E' davvero l'ora che prevalgano i diritti delle persone, il pubblico
interesse, il bene comune.
E' davvero l'ora che prevalgano le leggi dello stato.
*
Li fermeremo.
Con la forza della verita'. Con la forza della legalita'. Con la forza della
democrazia.

5. EPISTOLARI. PEPPE SINI: UNA LETTERA APERTA AL SINDACO DI TARQUINIA

Una lettera aperta al Sindaco del Comune di Tarquinia
per chiedergli che insieme ai suoi colleghi ritiri la denuncia
nei confronti di alcuni suoi concittadini
*
"A un gentiluomo, in una discussione teologica o letteraria, venne gettato
sul viso un bicchere di vino. L'aggredito non si scompose e disse
all'offensore: Questo, signore, e' una digressione; attendo il suo
argomento"
(Jorge Luis Borges, Arte di ingiuriare, 1933)
*
Egregio sindaco,
ho esitato a scriverle questa lettera, attendendo che altri le facessero la
richiesta che con essa intendo porle, una richiesta che mi sembra cosi'
ovvia che ad essa confido lei vorra' dare una positiva risposta.
Ho appreso dai mezzi d'informazione che lei ed altri amministratori del
Comune di Tarquinia avreste denunciato alcuni cittadini che in occasione di
una recente seduta del consiglio comunale avrebbero espresso con grevi
espressioni un vivace dissenso rispetto ad alcune decisioni
dell'amministrazione (non ero presente, e non so cosa sia realmente
accaduto, ma non faticherei a credere che in quella circostanza possano
anche essere state dette parole non meditate, come puo' accadere e sovente
accade).
La richiesta che le pongo e' la seguente: che lei ed i suoi colleghi
ritiriate la denuncia nei confronti di quelle persone.
*
Molte ragioni motivano questa richiesta, ma due mi sembrano decisive.
La prima, di metodo: in quanto pubblici amministratori si deve saper
accogliere ed interpretare la critica al proprio operato, anche quando essa
sia espressa in forme verbali non adeguate o finanche ingiuriose; in quanto
pubblici amministratori si deve saper favorire l'espressione delle opinioni
dei cittadini anche quando essa si dia in forme verbali non condivise o
addirittura offensive; in quanto pubblici amministratori si deve comunque
voler promuovere il confronto delle posizioni e la partecipazione
democratica, piuttosto che mettere a tacere il dissenso anche quando esso
sia espresso in forme verbali non accettabili.
La seconda, di merito: il pericolo per la popolazione altolaziale costituito
dall'entrata in funzione della centrale di Tor Valdaliga Nord riconvertita a
carbone. E' un pericolo di cui tutti siamo consci. Si possono avere opinioni
diverse sul "quid agendum" (personalmente credo che si debba operare, in
applicazione delle leggi vigenti, per impedire tout court l'avvio della
centrale), ma e' consapevolezza comune che occorre impegnarsi in difesa
della salute dei cittadini e della salubrita' dell'ambiente. Di questo
occorre occuparsi, evitando distrazioni e confusioni.
*
Egregio sindaco,
le scrivo questa lettera a titolo del tutto personale e senza entrare nel
merito dei fatti oggetto della vicenda che mi ha mosso a scriverle.
Credo che lei sappia che nel secolo scorso sono stato anch'io un pubblico
amministratore e che dagli anni Settanta sono stato uno degli animatori
dell'opposizione alle nocive e distruttive servitu' energetiche imposte
all'Alto Lazio.
La prego di voler accogliere, lei ed i suoi colleghi, questa richiesta di
ritiro della denuncia nei confronti di cittadini anch'essi impegnati per il
bene comune. E qualora lei accogliesse questa richiesta ovviamente prego
anche quei cittadini di accettare sic et simpliciter la remissione di
querela.
Facciamo prevalere la civilta', facciamo prevalere il confronto democratico,
facciamo prevalere l'impegno in difesa della vita, della salute e della
sicurezza delle persone, facciamo prevalere l'impegno per la difesa della
biosfera, l'unica casa comune che abbiamo.
Cordialmente,
Peppe Sini
Viterbo, 9 settembre 2008

6. INTERVENTI. ISDE DI VITERBO: UN IMPEGNO PER LA PREVENZIONE
[Riportiamo il seguente comunicato del 10 settembre 2008 dell'Isde di
Viterbo (per contatti: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it,
sito: www.coipiediperterra.org (dalla home page cliccare su "Isde di
Viterbo") dal titolo completo "L'Associazione italiana medici per l'ambiente
chiede alla Asl di Viterbo un impegno per la prevenzione in relazione ai
fattori di rischio ambientale"]

Il 9 settembre a Viterbo si e' svolta una riunione della Asl per presentare
ai medici di medicina generale un progetto aziendale riguardante la gestione
di nuove attivita' ambulatoriali.
Nel corso della riunione e' intervenuta nel dibattito anche la dottoressa
Antonella Litta, referente per Viterbo dell'Isde (Associazione italiana
medici per l'ambiente - International Society of Doctors for the Environment
Italia) che ha posto all'attenzione dei presenti alcune importanti emergenze
ambientali che riguardano il territorio viterbese.
In particolare la dottoressa Litta ha illustrato il grave impatto che avra'
su ambiente e salute la minacciata messa in funzione della centrale
riconvertita a carbone di Tor Valdaliga Nord a Civitavecchia, ed ha fatto
rilevare, anche in considerazione delle sempre minori disponibilita'
finanziarie della sanita' regionale, la necessita' di dare priorita'
assoluta a progetti di monitoraggio e studio dello stato di salute delle
popolazioni e della situazione dell'ambiente.
Il territorio viterbese e i suoi abitanti infatti continuano a subire
aggressioni ambientali: dalle servitu' energetiche col loro carico
inquinante alle discariche abusive, alla presenza di metalli pesanti nelle
acque potabili - in particolare dell'arsenico - e ai processi di
eutrofizzazione dei laghi che favoriscono la presenza e lo sviluppo di alghe
in grado di produrre tossine estremamente dannose per la salute. In tale
contesto occorre non disperdere risorse ed energie, e promuovere invece la
prevenzione con adeguate iniziative che coinvolgano tutte le istituzioni in
difesa della salute di tutte le persone.

7. LIBRI. FRANCO BREVINI PRESENTA "TUTTE LE POESIE E TUTTE LE PROSE" E LO
"ZIBALDONE" DI GIACOMO LEOPARDI
[Dal mensile "Letture", n. 546, aprile 1998, col titolo "Leopardi. In soli
due grossi volumi l'edizione integrale delle opere"]

Leopardi scrisse nello Zibaldone che quella degli anniversari e' "una bella
illusione". Lo ricorda Lucio Felici presentando le oltre 2.500 pagine che
riuniscono il solo tutto Leopardi oggi disponibile e per di piu' a meno di
trentamila lire (Giacomo Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose;
Zibaldone, Newton Compton, 1997, 2 voll., pp. 1467 + 1196, lire 29.800).
Dopo le classiche edizioni Binni-Ghidetti (Sansoni) e Flora (Mondadori), non
ci poteva essere modo migliore di una nuova edizione integrale per tutte le
tasche per celebrare il secondo centenario della nascita. Nei "Meridiani"
non e' infatti disponibile che un'antologia dei versi e delle prose, mentre
lo Zibaldone, ottimamente curato da Damiani, e' articolato in tre costosi
volumi della prestigiosa collana mondadoriana.
Felici e' un leopardista di prim'ordine e gia' il suo commento dei Canti e'
apprezzato e adottato in molte universita'. Alle sue cure sono affidate le
poesie, mentre delle prose si occupa Emanuele Trevi. Nelle due sezioni sono
presentate dapprima le opere canoniche, che per i versi sono i Canti, i
Paralipomeni e le Poesie varie e per le prose le Operette morali e i
Pensieri. Per le altre pagine leopardiane e' stato deciso di seguire il
percorso del laboratorio di scrittura del recanatese. E cosi', sempre
accompagnati da ricchi cappelli introduttivi, si succedono i Versi puerili,
le Traduzioni poetiche e, per ultimo, il non-finito Argomenti e abbozzi di
poesie. Lo stesso accade con le prose: si comincia con le Prose puerili, per
continuare con le Dissertazioni filosofiche, i Saggi e discorsi, i
Volgarizzamenti in prosa, le Memorie e i Disegni letterari e l'Epistolario.
Per quest'ultimo, in attesa della monumentale edizione corredata dalle
lettere dei corrispondenti curata da Franco Brioschi e in uscita da
Bollati-Boringhieri, e' stato predisposto un indice degli interlocutori di
Leopardi e un indice dei nomi. In tutti i casi si e' tenuto conto dei piu'
recenti apporti della filologia leopardiana e, ad esempio, proprio
l'epistolario viene incrementato di sei lettere, finora apparse su riviste
scientifiche. Scorrendo le note, si osserva che si fanno piu' fitte a
seconda della qualita' dei testi e della fruizione che normalmente se ne fa
nelle scuole: dunque risultano ampie ai Canti e ai Paralipomeni, piu' sobrie
altrove. Un'ultima menzione meritano gli indici dello Zibaldone curati da
Marco Dondero, che si appresta a pubblicare in edizione controllata
sull'autografo il Discorso sopra lo stato presente dei costumi
degl'Italiani. Si tratta di due imponenti indici, l'uno filologico, l'altro
tematico e analitico, che, grazie alla ricchezza dei lemmi e alla loro
articolazione, consentono di muoversi come finora non era possibile entro
l'immenso pelago dello Zibaldone.
Intanto, mentre il calendario delle manifestazioni del bicentenario si fa
ogni giorno piu' ricco e variegato, Leopardi conosce una nuova fortuna anche
all'estero. Recente la sua riscoperta in Francia, dove si sta facendo strada
l'idea che la poesia moderna non cominci con Charles Baudelaire, ma qualche
decennio prima.

8. LIBRI. PEPPE DELL'ACQUA PRESENTA "L'UOMO CHE RESTITUI' LA PAROLA AI
MATTI" DI NICO PITRELLI
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 12 maggio 2008 col titolo "Basaglia, la
dignita' e il riscatto della follia" e il sommario "Domani con 'L'Unita'' a
trent'anni dalla legge che porta il nome del grande psichiatra, il libro di
Nico Pitrelli dedicato all'esperienza che condusse alla chiusura dei
manicomi e alla biografia del suo ispiratore. Ne anticipiamo la prefazione
[con alcuni tagli e minime varianti - ndr]. Il punto cruciale era dare
finalmente voce alla sofferenza mentale e farla parlare contro i ghetti
della psichiatria"]

Era il giugno 2002, e in un'affollatissima sala della Stazione Marittima di
Trieste, stavamo presentando il libro Franco Basaglia di Mario Colucci e
Pierangelo Di Vittorio. A un certo punto, dal pubblico si alza un giovane
che chiede la parola. Conclude il suo intervento con passione: "Vorrei dire
solo questo: quanto, a noi giovani oggi, manca un Basaglia". Questo giovane
era Nico Pitrelli, l'autore del libro L'uomo che restitui' la parola ai
matti, che domani i lettori troveranno in edicola con "l'Unita'". Mi sono
chiesto e molti di noi presenti a quell'incontro l'avranno fatto, che cos'e'
che fa dire a un giovane, per giunta laureato in fisica: "Ci manca un
Basaglia...".
Ho conosciuto Franco Basaglia che Gorizia era gia' finita; lavorava da
qualche anno a Colorno ed era nell'aria "l'inizio dell'avventura triestina".
Era la primavera del 1971. L'occasione fu l'incontro Cus Parma - Cus Napoli.
Siamo andati a trovarlo a Colorno, io e alcuni compagni, tutti laureandi in
medicina, interni all'Istituto di Malattie Nervose e Mentali e giocatori
della squadra di rugby dell'Universita'. A Napoli, negli anni caldi, avevamo
letto L'istituzione negata. Stavamo gia' ereditando dal Sessantotto
interrogativi e problemi sulla professione che ci apprestavamo a
intraprendere: il rapporto tra la nostra professione e gli apparati del
potere e del consenso, il ruolo del medico a essi subalterno...
Era per tutti noi la prima volta che entravamo in un manicomio e non
nascondo il senso di disgusto, di nausea, di panico che quel primo impatto
mi provoco'. Franco Basaglia ci accolse con familiarita', ci mise a nostro
agio, ci parlava dandoci del tu. Oggi puo' sembrare strano, ma in clinica le
gerarchie erano rispettate e noi studenti eravamo sempre all'ultimo posto
della coda dei camici bianchi che si formava dietro al direttore, il quale
mai si rivolgeva a noi direttamente...
Franco Basaglia ci disse che sarebbe andato a lavorare a Trieste e che
cercava medici giovani. Avrebbe fatto di tutto per formare un gruppo di
giovani psichiatri. Piu' semplice - diceva - formare nuovi psichiatri in una
pratica nuova, piuttosto che cambiare testa e cultura a psichiatri vecchi e
gia' formati. Il rapporto con noi fu affettuoso, attento, duro.
Appena arrivati a Trieste, nel novembre del 1971 ci invio' subito "al
fronte", nei reparti, con le nostre insicurezze, a contatto immediato con i
problemi: la responsabilita', la gestione del reparto, l'assemblea, i
rapporti con le gerarchie degli infermieri. Passavamo giornate intere nei
padiglioni di San Giovanni. A sera, in riunioni quotidiane difficili e
spesso frustranti, affrontavamo i problemi della giornata, i nuovi programmi
terapeutici, le storie degli internati che riemergevano. Di fronte
all'impasse, ai vicoli ciechi in cui ci cacciavamo, Franco Basaglia riusciva
sempre a spostare i termini del problema, a farci guardare da un altro punto
di vista, a capovolgere le situazioni.
Riusci' a spostare, a capovolgere, anche la nostra vita. Con Basaglia, senza
accorgercene, abbiamo trovato la nostra strada, senza separazioni, senza
dissociazioni: e' la "lunga marcia attraverso le istituzioni" che ci ha
indicato con il lavoro quotidiano, instancabile. Accettare la sfida del
lavoro istituzionale: trasformare, creare nuovi spazi per agire, determinare
momenti di vita e di creativita'...
Un giorno di molti anni dopo, chiesi ad Antonio Facchin, infermiere gia'
alla fine degli anni Sessanta, che ha vissuto e partecipato al cambiamento,
di organizzare una riunione con gli infermieri, gli ispettori, i capisala
oggi ultrasettantenni. Vogliamo salvare la memoria del manicomio, dissi. E'
cosi' che insieme ad altri ho rivisto il vecchio signor Facchin, il padre di
Antonio. Il vecchio Facchin ha cominciato a lavorare a San Giovanni nel
1947. E' andato in pensione 25 anni dopo, nel '72. Proprio mentre cominciava
il lavoro di Franco Basaglia. Ha detto con rammarico: "Per 25 anni avevo
sempre desiderato parlare con i medici, con i superiori; desideravo parlare
dei malati, di quello che mi dicevano. Era vietato. Quando finalmente sono
cominciate le riunioni, le assemblee e le porte aperte e perfino Basaglia
una volta ha chiesto il mio parere, io sono andato in pensione".
Ora, a distanza di tanti anni, un giovane, fisico, che si e' avvicinato alla
storia del grande cambiamento del manicomio nell'ambito di un Progetto di
ricerca tra la Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) e
il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, sulla comunicazione della
"follia" e della storia delle istituzioni in psichiatria, ritrova il bisogno
di raccontarci Basaglia e in lui e con lui, l'importanza del comunicare,
dello sforzo di stare nelle cose e di aiutare chi forse fa piu' fatica degli
altri, a starci. Restituire, come dice il titolo del libro, la parola ai
matti. Che sono, prima di tutto, persone, uomini e donne, con il medesimo,
taciuto, urlato, disperato, inconfessato bisogno di riconoscersi e di essere
riconosciuti come soggetti della propria esistenza, del proprio qui e ora.
Stare nelle contraddizioni, anche la contraddizione di essere "diversi",
"malati" e nel contempo con gli stessi sentimenti, le medesime pulsioni, i
desideri di tutti. Gli "uguali", i "sani". Questa capacita' dialettica che
tuttora manca ovunque, e senza la quale e' difficile, se non impossibile,
avere e riprodurre direzione, senso, spessore, umanita'.
Comunicare questo, a se stessi, al mondo, a chi ci sta curando o dovrebbe
farlo, e' Basaglia, il suo lascito, il suo insegnamento. Il libro di Nico
Pitrelli coglie sicuramente questa attenzione, questa urgenza che Basaglia
ha posto nel rompere le barriere comunicative all'interno dell'istituzione
manicomiale - il luogo della negazione assoluta della comunicazione.
L'altro aspetto che il libro certamente sottolinea e' quello della capacita'
di sviluppare una comunicazione al di fuori del campo cosiddetto
psichiatrico. L'Ospedale psichiatrico cosi' come nasce e si costruisce - e
Nico lo spiega bene nella parte storica del suo libro - e' la frattura di
questa comunicazione: le mura dell'ospedale chiudono un discorso e da quel
momento in poi si tende sempre piu' a far prevalere la ragione sulla follia,
e la ragione diventa sempre piu' "pulita", eliminando sistematicamente tutte
le contraddizioni. Il discorso diventa sempre piu' asettico, fino a
rimandarci la freddezza, l'igienicita' delle macellerie, delle camere
mortuarie, dei tavoli di marmo, dove ogni cosa e' al suo posto, in "ordine".
Questo modo di comunicare intorno alla follia, alle persone che ne soffrono,
e' ancora oggi impregnato di questa logica, perche' tutto viene comunicato a
partire dalla negazione della persona. E tutto cio' che ha a che vedere con
l'umano viene cancellato, non ha piu' senso vedere che cosa le persone
mangiano, come si lavano, come vestono, dove vivono, che rapporti hanno.
Tutto nasce e viene riportato a una diagnosi. Se si leggono, oggi, i lavori
"scientifici" della psichiatria si coglie la scomparsa dei luoghi, delle
istituzioni, delle persone. Della sofferenza, delle urla, dell'opposizione
muta e sorda. Degli ambienti miseri, sporchi, vuoti. Delle porte chiuse,
delle persone legate, dei corpi violati. Tutto viene restituito in
quell'asettico linguaggio dove la singolarita' scompare e ogni cosa viene
riportata a medie, numeri, definizioni evidenti e indiscutibili.
Quando Basaglia si interroga su che cos'e' la psichiatria e tenta di
rispondervi, apre in realta' gli armadi, fa venire fuori gli scheletri, e
nel momento in cui si denuncia, si svela, ecco che si apre anche il campo
della comunicazione. Senza questo svelamento, Basaglia non avrebbe nulla da
comunicare se non la piatta riproduzione della psichiatria stessa. Altri
sguardi, altre orecchie, altre bocche possono finalmente giocare ora in
questo campo comunicativo. L'apertura ai media, agli amministratori, ai
politici, ai filosofi, agli artisti, agli architetti, diventa possibile
perche' finalmente questo terreno conquistato dalla psichiatria e difeso da
muri alti e impenetrabili tanto concreti quanto simbolici e' un terreno che
mostra tutta la sua inconsistenza e tutta la sua violenza...
Basaglia fa la prima grande campagna contro il pregiudizio e lo stigma,
senza mai dichiararlo. Da quel momento, e nel libro cio' appare chiaro, il
pregiudizio non ha piu' niente a che vedere con quello che la gente pensa ma
piuttosto con quanto i poteri e la scienza psichiatrica producono e
riproducono instancabilmente, in termini di fratture, esclusioni,
sottrazioni. Che cosa fa la psichiatria, e' la domanda da farsi. In questo
senso la chiusura dell'Ospedale psichiatrico assume il significato
dell'unico intervento oggi possibile per far fronte allo stigma.
Il libro mi sembra utile a partire da due considerazioni. La prima, molto
generale e che pero' mi colpisce continuamente, e' che i giovani dell'eta'
di Nico sanno poco e i giovani che io incontro ogni anno al mio corso di
psicologia sono desiderosi, sono proprio come terre secche che hanno voglia
e bisogno di sapere...
L'impegno che Nico si e' preso dicendo "quanto ci manca un Basaglia" lo ha
mantenuto in questo libro, cercando di offrire ai giovani, ai suoi coetanei
e molti altri, uno strumento piu' che necessario. Credo che dicendo che ci
manca un Basaglia, Nico voglia dire che ci manca uno sguardo obliquo,
trasversale, dinamico, uno sguardo dialettico insomma. Oggi la spinta
all'omologazione e' irresistibile e nulla veramente mette in discussione un
impianto di pensiero dominante; e' difficile trovare uno spiraglio, un filo,
una posizione dislocata per contrapporsi. La seconda considerazione e' che
questo libro mi tranquillizza rispetto al futuro. Ho avuto e ce l'ho
tuttora, l'ansia che tutto vada dissipato, che la memoria di questa vicenda,
di cui io penso non bisogna perdere nulla, vada invece perduta.
Il libro di Nico contribuisce, assieme ad altri che mi auguro continueranno
a venire, a costruire mattone su mattone una disponibilita' di conoscenza
utilissima alle generazioni del presente e a quelle future. Oggi tutti i
percorsi di formazione in medicina, in psichiatria, in psicologia, in
scienze infermieristiche sono percorsi che di nuovo hanno trovato il loro
specialismo, la loro separatezza, la loro assoluta incapacita' di
rapportarsi a radici, di costruire continuita', coerenza, ponti, campi di
tensione, possibilita' di opposizione.

9. LIBRI. MARINA FORTI PRESENTA "INDIANA" DI MARIELLA GRAMAGLIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 giugno 2008 col titolo "Democrazia al
curry" e il sommario "Donne, caste, crescita senza welfare, religione.
L'India raccontata da Mariella Gramaglia"]

Dall'India rimbalzano domande universali. Questo viene da pensare leggendo
Indiana, libro che narra i percorsi intrecciati di diverse donne. Quello
dell'autrice, in primo luogo: Mariella Gramaglia, che qualche tempo fa ha
deciso di "prendere un periodo sabbatico dalla politica italiana", come dice
lei, e lasciare l'incarico di assessore nell'amministrazione comunale di
Roma ("vedevo il mio futuro conficcato in un notabilato", spiega). Cosi',
dopo aver praticato a lungo "il lavoro artigianale di dare senso" alla
democrazia, e' approdata in India, "nel cuore della democrazia piu'
complicata del mondo". La' ha lavorato per Progetto Sviluppo,
l'organizzazione di cooperazione della Cgil, incrociando i percorsi di altre
donne: coraggiose, determinate, per molti versi eccezionali - come la
fondatrice dell'unico sindacato autonomo di donne al mondo, o le sigaraie
che si uniscono per affermare una dignita' collettiva, la levatrice in una
capanna spartana... Di loro parla Gramaglia in Indiana (Donzelli editore,
2008, 216 pagine, 16 euro), e attraverso loro parla dell'India, con
capacita' di ascoltare e di stupirsi ma anche con "occhi resi piu' precisi
dalla distanza".
Quale India, pero'? Le descrizioni di questo paese grande come un
continente, con 1,2 miliardi di abitanti distribuiti tra le pendici
dell'Himalaya e l'equatore, oscillano spesso tra due estremi: la "potenza
economica emergente" cantata dalla stampa finanziaria mondiale, con
imprenditori capaci di scalare le classifiche di "Fortune" e un'elite urbana
capace di fare tendenza - oppure l'inferno di miseria e rivolte, di banditi
e guerriglieri (si legga la duplice critica dell'autrice a Federico Rampini,
divulgatore della prima immagine, e ad Arundhati Roy, appassionata
scrittrice di un paese sull'orlo della guerra civile). Ma l'India sfugge
alle semplificazioni. Paese rurale al 70%, ma a urbanizzazione accelerata;
dove le fabbriche ricordano "l'inferno del lavoro industriale e la nascita
della classe operaia inglese", mentre gli indicatori sociali restano
drammaticamente bassi nonostante la crescita sul 9% annuo; dove "la
dimensione mondo" irrompe con i media e con un'ampia diaspora. "Una
democrazia politica piena e universale da 60 anni", dove pero' si respira
"un neoliberismo senza welfare". Un'India, infine, dove la religione svolge
un ruolo fondamentale: in bene e in male, perche' la storia recente e'
percorsa da violenze intercomunitarie fondate sull'identita' religiosa (o
etnica, o di casta). Nel mondo hindu e' difficile parlare di
"fondamentalismo", nota Gramaglia, dato che non c'e' "il libro" ma molte
antiche scritture: esiste pero' una corrente sciovinista chiamata Hindutva
che vuole la cultura hindu prevalente su ogni altra componente di questo
subcontinente stratificato. Ramificata in organizzazioni politiche, sociali,
paramilitari, culturali, l'ideologia della supremazia hindu e' "il maggior
pericolo per il futuro democratico del paese".
La qualita' di questa "piena e universale" democrazia sta in esperienze come
quella di Sewa, "Self-employed women association", il sindacato delle donne
fondato trent'anni fa a Ahmedabad, nel nordoccidentale Gujarat, la citta'
del Mahatma Gandhi. E' un sindacato in senso proprio, benche' le sue
aderenti non siano operaie ma lavoratrici informali (come il 93% delle donne
indiane). Ma e' anche un movimento di massa con un milione di iscritte, e
"come tutti i movimenti femministi e' consapevole che il lavoro non e' tutto
nella vita delle donne e non e' neppure la chiave della liberazione", scrive
Gramaglia: Sewa lavora per la salute e l'istruzione, crea esperienze di
mutuo soccorso, ha fondato una banca di microcredito (ben prima della
celebre Grameen Bank bengalese), conduce una continua "pedagogia della
dignita'" (e mantiene "un pudico silenzio intorno al discorso sessuale").
"Femminismo per me significa credere nella profonda uguaglianza della
differenza", dice all'autrice Ela Bhatt, la donna che ha dato inizio a Sewa
e poi si e' fatta da parte, lasciando il campo a una nuova leadership di
attiviste: donne - scrive Gramaglia - "spesso giovani, sottili, piu'
energiche di noi come accade spesso nelle persone determinate dei paesi
poveri. Eppure a me viene naturale pensarle come sorelle maggiori".
Sullo sfondo, considerazioni sulla religione atea dei jain, sull'attualita'
del buddhismo, sulla classe dirigente indiana e l'italiana che si e' trovata
alla guida della famiglia piu' potente del paese. E sul corpo delle donne,
"una foresta di simboli": l'abito "lo orna, lo copre, lo disegna
socialmente, ne codifica il pudore, ma non lo umilia".
Da quest'India lontana rimbalzano domande vicine. Sul ruolo della religione
nella costruzione sociale: l'autrice qui cita il laicissimo Amartya Sen,
secondo cui e' "indispensabile riportare la religione sulla scena pubblica,
non per farne instrumentum regni ma al contrario per sottrarla dalle ombre
cupe e difensive che accompagnano le paure post-moderne". Oppure sul ruolo
delle quote: anche in India il dibattito sulla rappresentanza femminile e'
aperto, ma "dal punto di vista teorico e' piu' semplice: le quote sono un
problema di potere e opportunita', non di principio". L'India anzi "e' la
patria delle quote", perche' la politica di discriminazioni positive risale
all'indipendenza: e' mirata a caste basse, fuoricasta (dalit, una volta
chiamati intoccabili) e nativi (adivasi, "tribali"), i gruppi "svantaggiati"
a cui sono riservati posti nell'amministrazione pubblica e nell'istruzione.
Oggi pero' "infuriano le battaglie per essere inclusi nella preziosa lista
dei 'classificati', in una curiosa assimilazione verso il basso", nota
Gramaglia: l'idea delle quota e' cambiata, "non si tratta piu' di superare
le caste, ma di rappresentarle". Che sia il futuro delle societa'
"multiculturali"?
Un'ultima considerazione sorge a Mumbai (Bombay) davanti al Gateway of
India, arco di trionfo del colonialismo britannico a cui da qualche tempo si
contrappone una statua a cavallo di Shivaji, eroico condottiero che
combatte' nel '600 contro gli invasori musulmani e ora da' nome a un partito
di estrema destra, xenofobo e sciovinista: "Temo la forza dei simboli
arcaici, di destra, quelli del sangue e del suolo, nel mondo post-moderno".
Parla dell'India, e di noi.

10. LIBRI. FRANCO LOI PRESENTA LE "POESIE" DI CARLO PORTA
[Dal mensile "Letture", n. 571, novembre 2000, col titolo "Il Porta, un
grande da rileggere"]

Carlo Porta, Poesie, Mondadori, 2000, pp. 1160, lire 85.000.
*
Rileggere Carlo Porta e' estremamente importante per comprendere la storia e
le contraddizioni della coscienza civile. Tornano alla mente gli analoghi
atteggiamenti di Giacomo Noventa nei confronti della cultura italiana, del
clericalismo, degli equivoci tra fascismo e antifascismo, e, ancora, di
lingua e dialetto, che in Porta si riassumono nella polemica tra neoclassici
e romantici, tra religione e corruzione clericale e nella delusione degli
ideali illuministi.
Molto importante e' anche il raffronto che Dante Isella, in questa sua nuova
edizione critica della poesia del Porta accresciuta da una sezione inedita
di "Abbozzi e frammenti", fa tra l'opera del Manzoni e e quella del Porta,
giungendo a concludere: "Meno incline a dilatare, sui suggerimenti di una
cultura e di una diversa educazione spirituale, i contorni della realta'
effettuale, il Porta arriva cosi' anch'egli, per altra via, a cogliere nel
'particulare' i valori eterni della vita, denunciando in una mortificata
immagine dell'uomo, in una sostanziale carenza di vera religio la causa
prima dei mali della societa'".
Precisazione importante sia per capire il senso riposto della decadenza
umana, sia per inquadrare il significato sostanziale della poesia. E, a
questo proposito, a chiarire la stretta connessione tra societa', carenza di
religio e poesia, andrebbero letti nelle scuole, ai giovani, i bellissimi
versi di "Romanticismo" che cominciano con "al temp di Gregh correven in
l'arenna / Perfina i re per acquistass onor" e chiudono con veemenza: "Al
di' d'incoeu, madamm, la sa anca lee / De che razza hin sti eroj che menna i
bigh, / Fior de rabott che corr per pocch danee / Che de l'onor non ghe
n'importa un figh, / Tant che ai poetta, ai prenzep, ai scultur / Patt e
pagaa ghe importa un figh de lor". Un'invettiva che il Tessa, 115 anni dopo,
confermera' con quei disperati versi: "Andemm su l'onda de la merda che
monta, / e poeu, se la ven fada, andemmin bionda/ e femegh su na biccerada".

11. LIBRI. FERRUCCIO PARAZZOLI PRESENTA "LA NAVE PER KOBE" DI DACIA MARAINI
[Dal mensile "Letture", n. 584, febbraio 2002, col titolo "Viene dal
Giappone una Maraini di lusso"]

Dacia Maraini, La nave per Kobe, Rizzoli, 2001, pp. 260, euro 15,49.
*
"Diari giapponesi di mia madre" porta come sottotitolo questo inaspettato
libro di Dacia Maraini, un libro "nato per caso, dalla scoperta degli
straordinari quaderni di mia madre. A cui io avrei dovuto solo anteporre una
prefazione. Ma quando ho cominciato a scrivere, la mano e' partita da sola e
non si e' piu' fermata", come confessa Dacia, preoccupata di venire accusata
di narcisismo. Ritrovati nella casa fiorentina dal padre Fosco, noto
etnologo e autore di appassionanti relazioni di viaggio trasformate in libri
di successo, tanto da perdere il premio Strega per un solo punto, i diari
giapponesi di Topazia Alliata Maraini sono riprodotti, in ottanta pagine
color salmone, dove brevi testi scritti a mano accompagnano le foto
familiari, a chiusura del libro di Dacia.
E' la felice occasione per la popolare autrice di Marianna Ucria di
ricordare con grazia, seguendo gli appunti materni, gli anni dell'infanzia
in Giappone, al seguito del padre avventuroso, negli anni dal 1938 al 1941;
ma anche di commentare quella vita e quelle immagini con gli occhi e con lo
spirito di chi, ormai piu' che adulto, vede i propri cari scomparire e
fuggire sempre piu' lontano: "Diventano sempre piu' giovani mentre noi
diventiamo sempre piu' vecchi. Piano piano ci trasformiamo nelle loro madri
e poi nelle loro nonne. Ma perche' non si voltano mai?".
Come si puo' capire da questi brevi accenni, Dacia Maraini, proprio
sfuggendo, come sempre piu' spesso accade, agli obblighi delle trame
romanzate, ormai spappolato retaggio delle fiction televisive, costruisce
uno dei suoi libri piu' freschi e godibili con affettuosa partecipazione.

12. LIBRI. SILVIA TOMASI PRESENTA IL "TEATRO" DI FRIEDRICH DUERRENMATT
[Dal mensile "Letture", n. 592, dicembre 2002, col titolo "Le tragiche
commedie di Duerrenmatt"]

Friedrich Duerrenmatt, Teatro, Einaudi, 2002, pp. 1316, euro 70.
*
Il teatro di Duerrenmatt istiga, sfida, provoca, divertendo. A un mondo
dominato dal disinteresse, dove colpa e responsabilita' sono state abolite,
"si addice solo la commedia. [...] La tragedia si avventa contro il mondo e
ci si rompe le corna", scrive Duerrenmatt nel saggio Congedo dal teatro, "la
commedia rimbalza all'indietro, cade sul sedere e prorompe in una risata".
Se l'epoca della tragedia e' finita, il mondo da commedia che ci spetta non
prevede per noi lieti fini o conclusioni consolatorie. Ci dimostrano il
contrario le pieces teatrali del grande scrittore svizzero scomparso nel
1990, ripubblicate ora nella "Pleiade" di Einaudi a cura di Eugenio
Bernardi. Duerrenmatt terremota la sua quieta patria rendendola protagonista
delle scene teatrali europee fin dagli anni Cinquanta, e non di rado proprio
la Svizzera diventa l'oggetto d'una satira impietosa. Le sue commedie sono
percorse da orribili inquietudini, instillano il dubbio, affossano ogni
integralismo.
Ridendo castigat mores: la sentenza latina si attaglia ancora al teatro di
Duerrenmatt, ma in realta' il riso si e' trasformato nel ghigno, anzi nel
Grand Guignol del grottesco. Il meccanismo delle commedie duerrenmattiane e'
apparentemente semplice: la scena si apre su una situazione immaginaria, con
figure del nostro tempo, ma i personaggi sono emblematici, prototipi
universali: nel Complice ad esempio, Doc, un intellettuale che rinnega se
stesso tre volte, e' la versione odierna dell'apostolo Pietro. Cosi', nella
Visita della vecchia signora, Claire Zachanassian, sedotta e abbandonata in
gioventu', costretta alla prostituzione per sopravvivere, ritorna da anziana
miliardaria al suo paesino natio caduto in completa rovina. Tutti sperano in
un lascito e la ricchissima Claire, divenuta una specie di mostro con una
mano d'avorio e un arto sintetico, chiara metafora della sua mostruosita'
d'animo, promette un miliardo per risollevare le sorti del vecchio borgo,
fissando pero' in cambio una condizione: la vita del suo antico seduttore.
Il peggiore dei mondi possibili si fa strada nei Fisici, dove la follia non
si annida nei tre studiosi rinchiusi in manicomio, ma in Mathilde von Zahnd,
la psicanalista che riesce a impadronirsi delle formule di Moebius, il
grande fisico rifugiatosi falsamente nella follia per salvaguardare la sua
liberta'. Le situazioni diventano estreme, ogni utopia e' smentita e un
universo di fanatici impone un'unica direzione all'umanita'. Chi non vede
ancora la modernita' di questo teatro?

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 575 dell'11 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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