Voci e volti della nonviolenza. 121



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 221 del 29 agosto 2008

In questo numero:
1. Alcuni estratti da "La nuova barbarie" di Juan-Ramon Capella
2. Et coetera

1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "LA NUOVA BARBARIE" DI JUAN-RAMON CAPELLA
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Juan-Ramon Capella, La nuova barbarie. La globalizzazione come
controrivoluzione conservatrice, Dedalo, Bari 2008 (ed. originale: Entrada
en la barbarie, 2007)]

Indice del libro
Parte prima. Capitolo primo. Tempo di progresso: Gramsci: Introduzione; Lo
sfondo storico; "Rivoluzione passiva"; Americanismo e rivoluzione passiva;
La "demografia razionale"; Salari e finanziamento dell'industria; lo stato;
I lavoratori: taylorismo e moralita'; Gramsci, tra due socialismi; Il patto
sociale storico; Un corollario; Capitolo secondo. Il tempo messianico.
L'ultimo Benjamin: Introduzione; Le Tesi; La difficolta' della proposta; Il
punto di vista emancipatore di Benjamin; La concezione del tempo del
progresso in Benjamin; Il tempo del Messia; Progresso e storia; Concezione
"progressista" della cultura e barbarie; La tecnica e il progresso; Il
progressismo nel movimentio operaio; Tempo-adesso; L'Angelo volge le spalle
al futuro; Il presente bloccato; Capitolo terzo. Tempo di sradicamento:
Simone Weil: Introduzione; La sacralita' dell'essere umano; Democrazia e
legittimita'; Il primato dei doveri; Capitolo quarto. Il tempo del consumo:
Pasolini: Introduzione; Gli intellettuali; Pasolini come intellettuale;
Fuori dal Palazzo; Il marxismo di Pasolini; Il "mutamento antropologico"; La
reificazione aggravata; Il Potere e l'autonomia personale; Parte seconda.
Capitolo quinto. Tempo di "prima della rivoluzione: Introduzione; Le
eredita' del XIX secolo: Rivoluzione, Progressismo, Escatologia; La matassa
dell'Ottobre Rosso; Il socialismo nel dopoguerra; "Guerra di posizione"
durante la guerra fredda; Il doppio fallimento del 1968; I nuovi problemi;
Eurocomunismo; Capitolo sesto. Tempo di controrivoluzione: La Grande
Restaurazione; La terza rivoluzione industriale; Il rinnovamento
organizzativo imprenditoriale; La controrivoluzione politica; La sovranita'
diffusa sovrastatale; Il progetto globalizzatore; Materializzazione del
progetto; Il progetto restauratore consolidato; Capitolo settimo. Tempo di
barbarie: Socialismo o barbarie; Urgenze; Nella caverna mediatica; Rovine
sociali; Imbarbarimento della produzione; Paralisi delle istituzioni
pubbliche; Militarizzazione; L'imbarbarimento del Nomos della Terra; Alla
luce del giorno; Capitolo ottavo. Tempo di resistenza: Resistenza alla
barbarie; Dall'esterno; La situazione dell'avanguardia; Sulla ripugnanza
verso la politica; Digressione sulla politica e il potere; Politica e
politica di palazzo; Il terreno di gioco della politica di palazzo; Potere
economico e potere sovrastatale; Internazionalismo e conquista dei poteri;
Principi; Nota dell'autore; Indice dei nomi.
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Da pagina 9
Tempo di progresso: Gramsci
A chi legge Gramsci oggi, le pagine di Americanismo e fordismo creano, senza
dubbio, alcune difficolta'. Si tratta di uno dei testi di Gramsci piu' in
anticipo sui tempi e, proprio per questo, siamo in grado di leggerlo
soltanto oggi, quando sembra essersi esaurito il processo che egli e' stato
in grado di prevedere. Che significato puo' assumere, quindi, una lettura ex
post?
La mia pretesa nel concentrarmi su questo topos, che costituisce ormai un
classico del pensiero emancipatore, e' quella di far luce sui problemi del
passato affinche' possiamo, attraverso la loro comprensione, contrastare
efficacemente i problemi del presente e quelli che ci riserva il futuro.
Innanzi tutto la collocazione storica. Nei primi anni '30 del secolo XX, con
il trionfo del fascismo e l'ascesa del nazismo che ponevano un freno al
movimento operaio - tempi difficili, quindi - Gramsci aveva compreso
qualcosa che espresse con metafore militari, tratte dalla tragedia della
Grande Guerra, la prima guerra mondiale: l'epoca degli "attacchi a sorpresa"
del movimento emancipatore, come la stessa Rivoluzione d'Ottobre e
anteriormente la Comune di Parigi, era terminata. Ora il capitale era
disposto a ricorrere ai peggiori regimi politici immaginabili per impedire
qualsiasi successo politico significativo del movimento emancipatore
moderno. Si entrava in un'epoca presumibilmente lunga di "guerra di
posizione", nella quale il movimento avrebbe dovuto tener duro, raggiungendo
e difendendo conquiste sociali parziali in un lungo scontro "di trincea".
Questo periodo avrebbe potuto cedere il passo a un'epoca diversa, con classi
lavoratrici diverse e con l'egemonia delle idee socialiste - vere e proprie
soluzioni per i problemi della vita - non solo tra i lavoratori
dell'industria ma, in maniera molto piu' incisiva, nella maggior parte della
societa'.
In Americanismo e fordismo Gramsci avrebbe analizzato con precisione i
tratti caratteristici di un periodo del secolo XX - il periodo della citata
"guerra di posizione" - proprio nel momento in cui tale periodo si stava
aprendo. La nostra lettura contemporanea guarda ad esso come a un fenomeno
apparentemente concluso. Anticipiamo i tre gruppi di avvenimenti che posero
fine a quel mondo. In primo luogo, la crisi dell'interventismo, delle
politiche economiche keynesiane e dello "stato del benessere" (chiamato con
il nome che riusci' a imporre l'apologetica capitalista), che si
giustapponevano in maniera insufficiente alle rinnovate domande sociali,
sebbene ne' quello stato ne' il capitale le potessero soddisfare. In secondo
luogo una grande controrivoluzione politico-sociale che, attraverso
l'adozione delle cosiddette politiche "neoliberiste", ha risolto la crisi
dell'interventismo. Il che ci conduce al terzo gruppo di cambiamenti, cioe'
a una nuova rivoluzione industriale, che ha posto fine al periodo rendendo
possibile la controrivoluzione.
Questo amalgama unico di rivoluzione tecnologica e controrivoluzione
politica avrebbe potuto costituire di per se' una "fine dei tempi". Poi
pero' si e' aggiunta la manifestazione di un'ulteriore crisi, benche' di
altra natura: la crisi ecologica, ossia l'incompatibilita' di fondo della
civilizzazione industriale cosi' come la conosciamo con i fondamenti
biologici della vita della specie sul pianeta Terra. Una crisi non risolta
che, pero', nei primi anni del secolo XXI ha gia' originato tragedie - le
guerre per il petrolio - che venticinque anni prima, nel momento iniziale
della grande controrivoluzione, erano solo cattivi auspici.
Ma torniamo a Gramsci, incarcerato a Turi, in un altro dei momenti di grave
sconfitta del movimento emancipatore moderno. Una mente che osserva e
ragiona. Che ancora poteva credere nel progresso.
"Americanismo e fordismo" e' costituito da un insieme di testi fra i piu'
rappresentativi del suo modo di pensare e delle sue speranze. Tuttavia
balzano agli occhi non poche oscillazioni del punto di vista a partire dal
quale sono stati scritti. Cio' e' dovuto solo in parte alla discontinuita'
della loro redazione, realizzata sulla scia di letture diverse e rielaborata
in momenti successivi, e al fatto di affrontare problemi le cui soluzioni
risentono necessariamente delle "condizioni contraddittorie della societa'
moderna", per dirlo con le sue stesse parole. Nonostante tutto, pero',
questa spiegazione e' insufficiente. A mio modo di vedere, e' l'autocensura
della scrittura carceraria a impedire la manifestazione nitida delle diverse
preoccupazioni dell'autore, che di conseguenza sembrano quasi scomparse,
sebbene siano la causa principale delle variazioni del suo punto di vista.
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Da pagina 151
Tempo di controrivoluzione
La Grande Restaurazione
Nell'ultimo ventennio del XX secolo si e' consolidato un processo di
cambiamento sociale autentico che ha poi finito per interessare il mondo
intero e che costituisce una vera e propria "fine del mondo": una
controrivoluzione totalizzante, riferita a numerosi aspetti dell'esistenza
sociale, di dimensioni non meramente nazionali ma piuttosto internazionali e
in non piccola misura "globali". Si tratta di un processo di restaurazione
del capitalismo che ha posto le basi per una rinnovata espansione. Questo
processo sara' chiamato qui la Grande Restaurazione. Ha inizio un tempo
rivoluzionario di controrivoluzione.
La Grande Restaurazione capitalista e' vista spesso come un processo di
globalizzazione o di mondializzazione delle relazioni sociali e non e' poco
cio' che sinora si e' scritto a proposito di essa partendo proprio da questa
prospettiva. Tuttavia tale prospettiva, che ha fatto fortuna a partire da
una descrizione in larga misura indiretta dovuta a sociologi ed economisti
anglosassoni - cominciando col suo piu' efficace propagandista, Giddens -
tende a lasciare in ombra aspetti fondamentali del medesimo processo o a
considerare la parte per il tutto, privilegiandone solo il lato economico o,
meglio ancora, soltanto alcuni dei fattori che lo contraddistinguono.
Inoltre, nell'accostarsi ai temi della Grande Restaurazione, intendendola
come semplice "globalizzazione" spontanea, si tende a includervi processi
sociali paralleli che presentano una genesi e una logica proprie, modellate
soltanto in modo laterale dal fenomeno principale, come nel caso
dell'irrompere del femminismo e del movimento antipatriarcale
internazionale, che Giddens aggiunge al suo modello presentandolo come il
volto amabile della "globalizzazione".
Il punto di vista globalista, soprattutto, trascura la genesi causale della
Grande Restaurazione e la svincola da fenomeni di potere, cioe' prescinde
dal suo lato politico.
Qui si sosterra' che la Grande Restaurazione e' il risultato di due grandi
processi di diversa natura, uno dei quali ha reso possibile l'altro, e che
hanno finito per fondersi. La Grande Restaurazione del capitalismo e' stata
possibile grazie alla concomitanza di una rivoluzione industriale, cioe' di
un rinnovamento profondo delle tecniche e dell'organizzazione dell'attivita'
produttiva, e di una controrivoluzione politica internazionale, mirante a
liberare da vincoli e limiti di qualsiasi tipo il capitale - i capitali - e
ad ampliare gli ambiti della vita in societa' capaci di generare occasioni
di lucro privato. La fusione di entrambi i processi, orientandoli verso una
medesima direzione strategica, ha dato luogo a una logica sociale
neoliberale che sembra autoconvalidarsi o, come diceva Bourdieu,
autoverificarsi.
Il carattere internazionale della Grande Restaurazione ne rende difficile
una descrizione dettagliata: la stessa diversita' delle societa'
interessate - dalle societa' opulente o "centrali" ai paesi piu' poveri -,
l'asincronia della messa in moto dei processi di cambiamento e le loro
differenti velocita', cosi' come la stessa interdipendenza di molti dei suoi
fattori, ne rendono praticamente impossibile una descrizione analitica
dettagliata in uno spazio limitato. Non puo' neanche ritenersi facile
valutare l'importanza dei dati quantitativi quando questi non derivano da
fonti piu' attendibili (le organizzazioni internazionali pubbliche, alcuni
"osservatori" non governativi), o quando le categorie analitiche che servono
per catalogarli risultano piu' che dubbie. Quindi la descrizione della
Grande Restaurazione sara' qui inevitabilmente qualitativa, sebbene non per
questo indifferente all'interrelazione dei processi sociali di cui porra' in
rilievo le linee di tendenza.
*
La terza rivoluzione industriale
La base tecnologica della Grande Restaurazione e' la cosiddetta terza
rivoluzione industriale, vale a dire un cambiamento qualitativo importante
nei processi produttivi.
La seconda rivoluzione industriale creo' la fabbrica fordista, che
concentrava il lavoro simultaneo di migliaia di operai, faceva uso di
tecniche tayloriste di scomposizione analitica delle attivita' produttive e
ne assegnava gli elementi parcellizzati a lavoratori diversi. In tal modo si
riusci' a elevare notevolmente la produttivita' del lavoro e si ottenne, per
via delle continue innovazioni tecnologiche, un incremento non soltanto dei
benefici imprenditoriali ma anche della massa dei beni-salario e dei salari
indiretti. Svolse un ruolo essenziale il patto sociale tra lo stato,
l'imprenditoria e le istituzioni dei lavoratori, finalizzato a garantire le
condizioni necessarie alla realizzazione di quell'enorme processo di
crescita economica, che per decenni rese possibile l'avvicinamento al pieno
impiego e la crescita e concentrazione delle imprese in grandi entita'
multinazionali. Tuttavia a meta' degli anni '70 del secolo XX questo modello
si era esaurito: non era piu' capace di soddisfare la nuove richieste dei
lavoratori ne' di mantenere i tassi di guadagno imprenditoriali.
Tuttavia durante il decennio precedente si erano messe a punto nuove
tecnologie, che in via di principio risultava possibile introdurre nel
processo produttivo, sebbene quest'ultimo esigesse grandi e nuovi
investimenti in mezzi di produzione nonche' una trasformazione delle
proporzioni dei capitali assegnati ai differenti fattori produttivi.
Queste tecnologie erano l'informatica, la chimica industriale e la
biotecnologia - per l'ottenimento di nuovi materiali - e innanzi tutto la
pubblicita' di massa. A tutto cio' si aggiunga un esperto e rinnovato sapere
organizzativo che si sarebbe rivelato decisivo per l'innovazione tecnologica
e politica.
E' necessario ricordare che i cambiamenti tecnologici non sono mai puramente
tecnici, dato che alla base tecnologica bisogna sempre aggiungere una
strumentazione politica piu' o meno efficace, affinche' il cambiamento gia'
verificatosi nell'universo delle idee tecno-scientifiche si concretizzi
nella realta'. Per questo motivo, nella descrizione delle nuove tecnologie,
s'imporranno inevitabilmente riferimenti meta-tecnologici.
Esamineremo propedeuticamente i cambiamenti tecnologici in maniera piu'
dettagliata. Il rinnovamento organizzativo imprenditoriale meritera'
tuttavia una trattazione a parte, poiche' da un lato dipende dalle
possibilita' aperte dall'informatica, ma dall'altro e' un effetto della
stessa controrivoluzione politica. Si tratta, insomma, del cambiamento o
dell'insieme di cambiamenti piu' strettamente connesso a fattori
propriamente politici. Il sapere organizzativo in senso stretto e' soltanto
una delle sue componenti. Il rinnovamento organizzativo imprenditoriale
sara' esaminato con speciale attenzione, giacche' spesso, nelle
considerazioni abituali sul cambiamento tecnologico e sulla
"globalizzazione", la sua importanza passa inosservata. Qui invece si
sosterra' che si tratta di una componente essenziale della Grande
Restaurazione.
*
Da pagina 170
Meno garanzie per i lavoratori
Il senso generale della politica del lavoro neoconservatrice e' consistito
nel trasferire sulle spalle dei lavoratori una serie di oneri che sino ad
allora avevano sopportato gli imprenditori.
Fu ridotto il costo dei licenziamenti mediante norme che diminuivano il
valore degli indennizzi ai lavoratori e moltiplicavano le condizioni perche'
si potesse ricorrere a tale mezzo. Furono modificate le condizioni della
contrattazione del lavoro, per ammettere e generalizzare il lavoro a tempo
parziale, il lavoro discontinuo, il lavoro stagionale e il lavoro in periodo
di prova; fu ammessa la sub-assunzione dei lavoratori (che precedentemente
era arrivata ad essere configurata come reato), furono accettate e
incentivate forme speciali di assunzione con minori garanzie legali per i
giovani (contratti a tempo, salari bassi) e furono sovvenzionate le imprese
che vi facevano ricorso. Inoltre venne ridotta la durata dei sussidi di
disoccupazione, furono ristrette le condizioni per acquisire il diritto alla
pensione di anzianita', il cui ammontare fu conteggiato con criteri meno
vantaggiosi per i lavoratori. Il costo pubblico dei farmaci inizio' a
trasferirsi parzialmente sugli utenti; le prestazioni mediche a carico del
sistema sanitario pubblico conservarono le limitazioni gia' esistenti e ne
acquisirono di nuove, mentre in alcuni paesi il sistema sanitario pubblico
fu eliminato e subentrarono assicurazioni mediche private. Numerosi
lavoratori videro vanificare il proprio diritto al lavoro con l'abbassamento
dell'eta' del pensionamento obbligatorio e mediante pensionamenti
anticipati. Il diritto all'abitazione si trasformo' in carta straccia per
l'assenza di interventi pubblici idonei a renderlo effettivo.
Lo stesso diritto di sciopero dei lavoratori risulto' vanificato in varia
misura per il concorso di diversi fattori. La diminuzione del numero di
lavoratori per impresa e la loro parcellizzazione contrattuale, la
possibilita' di delocalizzare le imprese, e perfino il controllo a distanza
dei centri di lavoro da parte di imprese multinazionali distanti: tutto cio'
rese in molti casi opachi e irraggiungibili i centri decisionali. Gli
scioperi operai sempre piu' spesso cessarono di avere come destinatario
diretto il padronato e si convertirono poco a poco in azioni di boicottaggio
pubblico, principalmente delle comunicazioni, al fine di ricercare la
mediazione delle autorita' politiche nei conflitti, nonostante l'accresciuto
disordine della vita quotidiana.
Si incentivo' la figura del "lavoratore autonomo", che realizza in regime di
mercato determinate opere o servizi prima prestati in regime di lavoro
subordinato. Questa tendenza, mentre crea le condizioni politiche per
l'esternalizzazione dei costi imprenditoriali, contribuisce a cancellare o
sfumare la coscienza di classe dei lavoratori.
Una simile politica del lavoro comporta in fin dei conti l'indebolimento
indotto delle stesse istituzioni dei lavoratori, sindacati e partiti (calo
del tasso di affiliazione sindacale, sfiducia e divisione, mancanza di
militanza e alla fine rifiuto elettorale).
Gli indici di disoccupazione salirono vertiginosamente agli inizi degli anni
'80 del secolo passato. Negli ultimi venticinque anni sono scesi di qualche
punto percentuale nonostante la propaganda costante sulla "creazione di
posti di lavoro" (ma si tratta in realta' del rinnovo di contratti a
termine).
In Spagna le politiche sul lavoro neoliberali furono introdotte dal primo
governo del Partito socialista dopo la morte di Franco, facilitate dai
"Patti della Moncloa", sottoscritti negli anni precedenti, e confermati dai
successivi governi.
Si incentivo' persino l'uso ufficiale di un linguaggio nuovo per indicare le
relazioni di lavoro: la disoccupazione comincio' ad essere chiamata "non
impiego"; i sussidi divennero "prestazioni"; il personale di fabbrica
"risorse umane"; i contratti-spazzatura "incentivi alla contrattazione";
facilitare i licenziamenti si dice "flessibilizzare"; la perdita di potere
di acquisto del salario, "moderazione salariale"; la subcontrattazione
organizzata si trasforma in "imprese di lavoro temporale", e via dicendo.
La diminuzione numerica dei lavoratori, la loro frammentazione in categorie
mercantili differenziate, la loro perdita di forza negoziatrice e di
prestigio sociale, mostrata dall'incremento delle differenze di reddito, e'
la base dell'"autoconvalida" dei postulati del neoliberalismo.
*
Da pagina 177
La deregulation
Le politiche di deregulation hanno come obiettivo quello di liberare il
capitale da obblighi e vincoli. "Deregolamentare" significa eliminare
pregiudizialmente i doveri del padronato, al fine di ottenere un
funzionamento "spontaneo" del mercato. Da un altro punto di vista,
deregulation significa togliere protezioni e garanzie alle persone nel loro
status di cittadini, di utenti o di lavoratori. L'assenza di
regolamentazione e' in realta' la regolamentazione di un'assenza.
Le politiche di deregulation significano in pratica il funzionamento senza
alcun ostacolo dell'attivita' imprenditoriale. Si completano
nell'indebolimento, quando non nella paralisi, dei servizi pubblici di
ispezione, che teoricamente vegliano per la corretta applicazione delle
regole che ancora resistono (sul piano della sicurezza nel lavoro, della
somministrazione di energia e comunicazioni, dell'urbanismo e la
costruzione, dell'istruzione, della salute, ecc.). La deregulation, come si
vedra' piu' avanti, e' fondamentale per descrivere l'aspetto internazionale
della Grande Restaurazione.
*
Ricapitolazione
La controrivoluzione politica si aggiunge quindi al cambiamento tecnologico,
per produrre una vera e propria "fine del mondo". Il radicamento del
progetto di restaurazione capitalista fu facilitato dall'azione capillare,
in tutti gli aspetti dell'attivita' produttiva tondamentale, del cambiamento
tecnologico. Il suo elemento essenziale e' l'offensiva politica contro i
lavoratori come classe sociale, che in pochi anni dilui' la loro coscienza
politica di classe e ne indeboli' le maggiori istituzioni rappresentative.
Tale offensiva fu portata avanti per mezzo della precarizzazione e
dell'insicurezza generalizzate del lavoro esistente. Il capitale e' riuscito
a stabilire un'alleanza oggettiva con le "classi medie" delle societa'
opulente, mediante l'incitamento a consumare del nuovo megameccanismo
pubblicitario. Le ideologie nazionaliste hanno contribuito al black out
politico, la spoliticizzazione effettiva, preconizzata dalla Commissione
Trilaterale. Sul piano sociale la novita' piu' rilevante nei paesi opulenti
e' la formazione di un nuovo proletariato o sottoproletariato rappresentato
da migranti, che devono abbandonare in massa i propri paesi di origine come
conseguenza del versante internazionale della Grande Restaurazione.
Gli stati hanno trasferito al mercato tutti i beni e i servizi che hanno
potuto, per ampliare il campo delle attivita' lucrative imprenditoriali, che
sono state liberate dai vincoli mediante le politiche di deregolamentazione
fiscale e sociale. Lo stato, come altre istituzioni pubbliche, si e'
ristretto nella sua attivita' economica, senza cessare di essere forte sul
piano burocratico, militare e poliziesco, giacche' deve amministrare
costantemente la deregulation e l'adattamento sociale al cambiamento.
Queste, tuttavia, non sono tutte le trasformazioni operate dalla Grande
Restaurazione: ancora non si e' fatto riferimento al suo progetto
internazionale globalizzatore ne' alle nuove istituzioni di potere sorte o
all'adattamento del funzionamento di quelle preesistenti, necessario per la
realizzazione di tale progetto. Vediamo prima queste ultime, giacche' questo
facilitera' la comprensione di quella che suole essere chiamata "la
globalizzazione".
*
La sovranita' diffusa sovrastatale
Gli "stati-nazione", queste entita' "sovrane" che costituiscono le
istituzioni politiche caratteristiche della modernita', sono diventate, con
la Grande Trasformazione, porose: oltre a perdere porzioni o aspetti
importanti della loro antica sovranita', ammettono di essere penetrate e
determinate nelle loro politiche da un potere superiore.
La cessione di porzioni di sovranita' e la porosita' o recettivita'
adattativa degli stati al potere superiore ha luogo in forme diverse, tra le
quali forse l'associazione di stati e' la meno importante, benche' possa
diventare molto diffusa e penetrante. L'Unione Europea ne e' un esempio
emblematico attraverso l'istituzione di un superpotere che determina molte
delle politiche pubbliche degli stati associati, senza che i loro cittadini
riescano a influenzare la volonta' degli apparati istituzionali comuni. Il
potere effettivamente normativo di questa risiede in istanze come i consigli
dei capi di stato e di governo, formati da enti carenti di potere
legislativo negli stati membri, essendo l'istituzione parlamentare
dell'Unione poco piu' che un'assemblea consultiva e decorativa, con scarse
competenze legislative nonostante la sua denominazione. Nel caso della
politica monetaria, la sovranita' degli stati e' stata ceduta a
un'istituzione qualificata come "indipendente", la Banca Centrale Europea,
che resta al margine di ogni controllo politico formale. Non esistono ancora
vie di accesso perche' la volonta' popolare penetri significativamente nelle
istituzioni europee. C'e' di piu': quando le popolazioni di alcuni stati
hanno espresso un voto negativo in occasioni significative, come il
referendum sulla cosiddetta "costituzione" europea, i poteri sono riusciti a
ricondurre le popolazioni all'obbedienza.
La cessione di sovranita' degli stati si e' realizzata anche in modi meno
formali, ma molto piu' efficaci, a beneficio di istituzioni internazionali
pubbliche diverse, con enorme influenza sulle politiche economiche: la Banca
Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) e l'Organizzazione Mondiale del
Commercio. Altre istituzioni internazionali, come il Gruppo dei Paesi piu'
industrializzati, possiedono un potere determinante, praticamente
irresistibile per gli stati singoli, per cio' che riguarda le politiche
economiche e industriali, le quali condizionano a loro volta molte altre
politiche.
Ci sono altri due ambiti nei quali la maggior parte degli stati hanno
cessato di essere enti non superiores recognoscentes, per fare riferimento
al principale tratto della sovranita' secondo Althusius. Uno e' l'ambito
militare: l'esistenza di un potere militare imperiale, le forze armate degli
Stati Uniti d'America, con basi in tutti i continenti e alleanze
multilaterali e complesse. Si tratta di un potere militare superiore a
qualsiasi altro, stanziato in tutto il globo. Questo potere mette in
discussione la stessa idea di sovranita' degli stati ma ha garantito come
ultima ratio la Grande Restaurazione e lo spiegamento internazionale delle
sue politiche. Il secondo ambito nel quale gli stati, o le associazioni di
stati come l'Unione Europea, si mostrano permeabili a un potere superiore,
e' quello costituito dal potere delle grandi compagnie multinazionali e dei
conglomerati finanziari. I loro accordi strategici, la loro lex mercatoria
privata e opaca, la loro pressione capillare sulle rimanenti istanze di
potere, informa il contenuto delle politiche pubbliche.
Per questo si puo' parlare, accanto alla porosita' o penetrabilita' delle
istanze statali, di un sovrano sovrastatale diffuso e policentrico che
rappresenta la novita' politica piu' rilevante della Grande Restaurazione.
Un sovrano diffuso e policentrico, formato dalle nuove istituzioni
sovrastatali, la lex delle imprese multinazionali e dei conglomerati
finanziari, le istituzioni economiche internazionali penetrate da questi
ultimi e sensibili alle politiche delle grandi potenze, e il potere militare
e politico nordamericano.
Il sovrano sovrastatale diffuso mal si definisce in termini di "impero",
come hanno preteso alcuni autori, ai quali sfuggono le caratteristiche
specifiche, soprattutto quelle culturali, del nuovo sistema di potere: si
tratta piuttosto di una serie di istanze istituzionali, formali e informali,
nelle quali si definiscono e articolano le politiche "globalizzatrici" o
generalizzanti della Grande Restaurazione.
L'enfasi retorica con cui si celebra la bonta' del sistema rappresentativo
finisce solo per rafforzare il governo tecnocratico del mondo. In realta',
le operazioni che effettivamente lo governano, vale a dire le decisioni del
sovrano sovrastatale diffuso, sono costituite - che si tratti
dell'amministrazione delle grandi industrie, della manipolazione
dell'opinione pubblica, o piu' in generale della determinazione degli
assetti economici, politici e militari - dal complesso militar-industriale,
dai dirigenti delle grandi multinazionali e dagli esperti nel trattamento
dei capitali finanziari.
Un'altra tecnocrazia imprenditoriale, militare e politica finisce per
svolgere nel governo di una Repubblica che si vuole globalizzata, il ruolo
che Platone aveva attribuito al Re filosofo e al suo Consiglio notturno.
Questo nuovo potere non e' democratico. Cerca legittimazione non tanto nel
consenso formale del demos quanto in una efficacia i cui parametri
autodefinisce e pubblicizza esso stesso.
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Da pagina 206
Persino la scuola e' un'appendice di questa cultura mediatica, poiche'
l'istruzione informale tende a imporsi su quella formale e a corromperla. La
scuola non inculca altri valori che quelli del conformismo. Gli insegnanti
sono privi dell'aura sacra che circonda le icone televisive; piu' che
insegnare - la perdita di contenuti intellettuali dell'insegnamento va di
pari passo con la moltiplicazione delle discipline - cercano di intrattenere
quelli che non sono piu' i loro discepoli. I cosiddetti "libri di testo"
contengono sempre meno informazioni e sempre piu' illustrazioni, ma
continuano a interessare meno dei videogiochi. Nei paesi opulenti non vi e'
mai stata cosi' tanta gente scolarizzata come oggi e mai l'istruzione
scolastica e' stata tanto povera e impotente, in corrispondenza con la
crescita esponenziale dell'impiego con basso livello di qualificazione a
partire dal 1990, quando le politiche neoliberiste si sono consolidate. La
perdita di priorita' delle politiche pubbliche e' parte essenziale della
controrivoluzione conservatrice. Per questo l'istruzione tende a cessare di
essere un bene pubblico e a trasformarsi in un servizio commercializzabile,
in un prodotto lucrativo. Forse un esempio paradigmatico dei cambiamenti in
atto e' stato in Spagna l'espansione del cosiddetto insegnamento
"concertato", grazie al quale una parte della massa salariale del personale
docente delle scuole private e' finanziata pubblicamente, mentre i centri
pubblici vivacchiano in condizioni di scarsita' di mezzi economici.
Ma l'imbarbarimento si puo' constatare anche nelle universita' pubbliche.
Queste istituzioni erano state create come uno spazio libero di ricerca, di
trasmissione di conoscenze avanzate e loro diffusione nella societa';
percio' e' necessario distinguerle nettamente dai centri di insegnamento
superiore privati, chiamati solo impropriamente "universita'", poiche' in
essi non c'e' traccia di attivita' di ricerca ne' di socializzazione dei
suoi risultati, componenti tipiche di un'universita'. Le universita' sono
entrate in una crisi sempre piu' grave da quando il sovrano sovrastatale,
nella persona della Banca Mondiale, ha deciso che i servizi di istruzione e
ricerca sono una merce come qualsiasi altra, e sostiene politiche
indirizzate a inserire la produzione delle universita' nel mercato mondiale
dei servizi. Tali politiche cercano di adattare l'insegnamento superiore
alla volatile domanda di personale qualificato da parte del mercato, e la
ricerca o la generazione di pensiero nuovo alle richieste imprenditoriali;
si prescinde dalla funzione sociale di diffusione. Gli accordi sugli
obiettivi da raggiungere nel mercato della conoscenza sono negoziati
nell'ambito dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il criterio di base
e' l'applicazione delle conoscenze, non il modo in cui si ottengono, e i
criteri secondo cui vengono giudicati rilevanti i progetti di ricerca devono
risultare da un compromesso tra ricercatori e utenti, chiamando con questo
nome, nell'ambito delle politiche neoliberiste, gli enti del mondo
imprenditoriale.
Naturalmente, l'istituzione universitaria, da istituzione classista qual
era, non mancava di difetti, i piu' gravi dei quali erano senz'altro
l'accessibilita' socialmente selettiva e la burocratizzazione e
irresponsabilita' del suo funzionamento. Adesso il primo si e' aggravato,
giacche' si tende alla commercializzazione integrale di servizi per gli
studenti universitari, abbassandone il livello ed escludendo l'attivita' di
diffusione delle conoscenze. La docenza si trasforma in un "profilo" formale
dove la vendita ai diplomati di servizi commerciali, la partecipazione a
congressi e il pubblicare per pubblicare sono considerati meriti che
soppiantano il vero lavoro di ricerca e di trasmissione della conoscenza. Lo
spazio di relativa liberta' e di elaborazione critica che erano le
universita' tende a scomparire, e l'universita' come tale finira' per
trasformarsi in un'azienda, se non riesce a creare una linea di resistenza
agli sconquassi neoliberisti mediante l'adattamento della sua attivita' alla
risoluzione dei problemi globali.
La barbarie ha generato una nuova religione nei paesi opulenti: la religione
del Denaro, del Successo e della Fama.
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Da pagina 219
Militarizzazione
I credenti (non c'e' un altro modo per qualificarli) nel "libero mercato"
dovrebbero chiedersi se la militarizzazione del mondo e' una realta'. E se
lo e', che funzione svolge, poiche' come e' risaputo il mercato esclude
tutto cio' che non e' prestazione o controprestazione. La configurazione
politica di alcuni mercati, determinata dalle regole del sovrano
sovrastatale, e' risultata insufficiente senza il prolungamento di questo
appoggio politico con mezzi militari.
Il XX secolo ha assistito a due guerre di dimensioni mondiali nelle quali
trovarono una regolamentazione manu militari gli interessi coloniali ed
egemonici delle potenze piu' industrializzate, cioe', l'appoggio politico di
cui necessitavano gli interessi dei loro rispettivi capitali, ancora chiusi
dentro i confini nazionali, soprattutto in materia di accesso alle materie
prime. In seguito il capitale ha saputo internazionalizzarsi alle condizioni
dettate dalle potenze vincitrici. Ma anche cosi' si entro' in una "guerra
fredda", in una corsa agli armamenti segnata da diversi conflitti locali,
tra il mondo del capitalismo privato e quello del capitalismo burocratico di
stato.
Le due grandi guerre del XX secolo apportarono cambiamenti fondamentali
nella natura della guerra. La prima guerra mondiale fu essenzialmente uno
scontro di trincea - in realta' la prima guerra senza movimento dall'epoca
di Napoleone Bonaparte - nella quale furono sacrificati milioni di soldati
coscritti; ma fu anche una guerra industriale, con l'apparizione delle armi
aeree, dei blindati, dell'artiglieria pesante e dei gas tossici. La seconda
guerra mondiale fu sin dal principio una guerra industrializzata grazie alla
corsa al riarmo che la precedette, nella quale i centri industriali si
trasformarono in obiettivi militari. Ma fu anche una guerra dove ando'
perduta la distinzione tra combattenti e popolazione civile: i bombardamenti
di Londra e di Coventry, di Amburgo, Dresda e moltissime altre citta'
tedesche, avevano come oggetto la distruzione dello spirito di resistenza
delle popolazioni. Tale politica militare culmino' nei bombardamenti atomici
di Hiroshima e Nagasaki, e nel bombardamento intensivo di Tokyo quando ormai
il governo nipponico aveva offerto la resa incondizionata. Da questo momento
in poi la popolazione civile diventa un obiettivo militare; venti anni dopo,
in Vietnam, i paesi di campagna saranno bombardati con il napalm, un
prodotto della chimica industriale.
La "guerra fredda" non fu solo uno scontro politico: fu anche una tappa
dell'"accumulazione militare-industriale". Datano proprio dagli anni della
"guerra fredda" la produzione e l'immagazzinamento di bombe nucleari e
termonucleari capaci di distruggere la vita in tutto il pianeta varie volte,
come se una non bastasse; lo sviluppo dapprima di proiettili balistici
intercontinentali per scaricare tali armi sui loro obiettivi e, dopo, di
armi nucleari chiamate "pulite", per operare in quelle che gli strateghi
hanno chiamato "guerre di teatro", localizzate in uno "scenario" limitato
(quello europeo) ma non mondializzate, oltre a svariati armamenti "minori"
(gas tossici, bombe chimiche e biologiche, navi da guerra, forze aeree,
missili a corto o medio raggio, ecc.). Il potere degli interessi
militar-industriali era tale che gia' alla fine degli anni '50 del secolo
passato il presidente nordamericano Eisenhower, nel discorso finale della
sua presidenza, mise in guardia contro gli "interessi del complesso
militar-industriale" che minacciavano la liberta' di decisione del governo
degli Stati Uniti. Cinquant'anni dopo il complesso militar-industriale
costituisce l'autentico governo-ombra che da' continuita' alla politica
nordamericana. Progetti militari sono sottintesi allo sviluppo
dell'industria spaziale, elettronica e informatica, cosi' come Internet, una
rete multicentrica creata originariamente per conservare la possibilita' di
mantenere i collegamenti anche nel caso di distruzione del principale centro
di comando o di comunicazione militare. La potenza dell'industria militare
e' tale che ha prodotto molti benefici civili indiretti, stimolando
determinate produzioni a margine delle domande del mercato, attraverso una
domanda a carico del bilancio pubblico. Gli Stati Uniti scatenarono la
"guerra fredda", nella quale ebbero sempre l'iniziativa: per questo la loro
"accumulazione militare" fu sempre superiore, e la "guerra fredda" ebbe
termine con la resa dell'Urss in questa escalation; un peso terribile per la
sua economia poco versatile, quando il presidente nordamericano Reagan
progetto' di condurla nello spazio, con il collocamento di bombe nucleari
nell'orbita terrestre e la creazione di uno "scudo missilistico" per gli
Stati Uniti.
La fine della "guerra fredda" doveva comportare la fine della storia secondo
la propaganda nordamericana. Ma il disarmo non si realizzo', sebbene gli
armamenti e le installazioni obsolete fossero smantellati. L'industria
militare e' rimasta relativamente al riparo dalle politiche neoliberiste. I
dati sono incontestabili: le spese militari, scomparsa la "guerra fredda",
sono aumentate del 34% nel breve arco di tempo che va dal 1995 al 2005. A
questa data la spesa militare mondiale ammontava a 885.700.000 euro, ossia a
un miliardo e centoventi milioni di dollari. Il 48% di tale spesa si deve
agli Stati Uniti. La spesa militare mondiale equivale a 137 euro per ciascun
abitante del pianeta. La tecnologia militare nordamericana include oggi,
oltre a numerose varieta' di bombe nucleari, "bombe intelligenti" e aerei
teleguidati, capaci di colpire l'obiettivo con precisione millimetrica e di
trasportare qualsiasi tipo di carica esplosiva; bombe a penetrazione, che
distruggono i bunker sotterranei profondi; sistemi di vigilanza orbitale che
arrivano a leggere con nitidezza la targa di un autoveicolo e sistemi di
intercettazione di ogni tipo di comunicazione. Si suppone che ci siano anche
armi chimiche e biologiche, poiche' furono fornite dagli Stati Uniti al
dittatore iracheno Saddam Hussein in occasione della guerra contro l'Iran.
Alla spesa militare diretta bisogna aggiungere la ricerca civile orientata
militarmente.
La finalita' di questo insensato dispiegamento di mezzi di distruzione,
oltre a garantire la supremazia militare nordamericana su qualsiasi altro
stato militarista, consiste nell'assicurare il controllo dei grandi
giacimenti di petrolio e gas e delle rotte di rifornimento. Questo comporta
che il Medio Oriente, dove sono situate le maggiori riserve, e il Caucaso,
con i suoi oleodotti, siano zone speciali permanentemente sede di conflitti
(e se non lo sono, devono esserlo per giustificare la presenza dei militari
americani e delle loro basi militari).
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E' prevedibile che il mantenimento delle politiche militariste allarghi le
dimensioni delle guerre del XXI secolo rafforzando alleanze e generando
complicita': questo rientra nella logica dell'asimmetria. Ma la guerra
industriale e tecnologica sembra radicarsi fermamente nel mondo, come anche
l'indistinzione tra obiettivi civili e militari. E' parte della nostra
barbarie.
L'etologo Eibl-Eibesfeldt descrisse anni fa come si presentavano le guerre
endemiche tra le popolazioni arcaiche, studiando alcune societa'
tradizionali africane: erano guerre molto ritualizzate, simili a
rappresentazioni, nelle quali gli uomini si avvicinavano al campo di
battaglia e si insultavano lungamente, da lontano; quindi, si sceglieva un
combattente, che brandiva delle armi primitive, e incontrava un avversario
parimenti eletto: alla prima goccia di sangue o al primo colpo serio, il
ferito si ritirava con i suoi mentre i combattenti riprendevano posizione,
ancora tra gli insulti reciproci, per il giorno seguente. La guerra
terminava se ci scappava il morto: i perdenti recuperavano il corpo
masticando odio, per preparare con il tempo la vendetta; i vincitori si
ritiravano costernati di fronte alla prospettiva degli scontri futuri.
Questa scoperta antropologica ci fornisce la misura esatta del percorso
storico che porta allo sterminio di massa.

2. ET COETERA

Juan-Ramon Capella e' professore all'Universita' di Barcellona, dove dirige
l'Istituto di Filosofia del diritto. Ha pubblicato numerosi libri di
filosofia politica e di filosofia del diritto, tra i quali: Grandes
esperanzas (1996); Los ciudadanos siervos (2005); Fruta prohibida (2006);
Elementos de analisis juridico (2006).

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 221 del 29 agosto 2008

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