Voci e volti della nonviolenza. 204



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 204 del 23 luglio 2008

In questo numero:
Alberto L'Abate: Un progetto di ricerca-intervento

ALBERTO L'ABATE: UN PROGETTO DI RICERCA-INTERVENTO
[Riceviamo e volenteri diffondiamo.
Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario di
sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, promotore del corso di
laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti"
dell'Universita' di Firenze, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella
Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle
attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; amico e
collaboratore di Aldo Capitini, ha collaborato alle iniziative di Danilo
Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e
programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del
Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso
e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, e si e'
impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione";
e' portavoce dei "Berretti Bianchi" e promotore dei Corpi civili di pace.
Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla
nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento
sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana,
Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999;
Giovani e pace, Pangea, Torino 2001; Per un futuro senza guerre, Liguori,
Napoli 2008]

Un progetto di ricerca-intervento contro la cultura alla base della violenza
nel nostro paese con particolare riferimento al possibile sviluppo di
interventi civili nonviolenti
1. Una premessa sulla "barbarie" nella nostra societa'
I fatti recenti riportati dalle cronache dei giornali di un ragazzo ucciso a
botte, solo, sostanzialmente, perche' considerato diverso (per i suoi
capelli a codino), od i frequenti fenomeni di bullismo nelle scuole, con
bruciature di capelli a ragazzi o ragazze individuati come deboli e  vittime
sacrificali, o altri simili fenomeni di prevaricazione verso persone che
diventano cosi'capri espiatori del diffuso malessere della popolazione
italiana, soprattutto dei piu' poveri ma anche, in particolare, dei giovani,
richiede una attenta riflessione, ed impone lo studio, e poi l'applicazione,
di risposte adeguate a superare questo problema. Molti di questi episodi
sono collegati ad un rinascere di posizioni che si richiamano all'ideologia
nazista, della "supremazia del piu' forte", allo sviluppo di quella
"barbarie" di cui ha parlato in un suo importante libro, L'antibarbarie, uno
dei piu' profondi studiosi italiani  del pensiero e del lavoro di Gandhi e
della nonviolenza, Giuliano Pontara (2004).
Ma questi fatti non fanno che far riemergere una cultura profonda, molto
diffusa anche nel nostro paese, di esaltazione della forza per imporre le
proprie posizioni ed i propri interessi, ed una profonda sfiducia negli
altri esseri umani, anche delle persone a noi piu' vicine, che fa venire in
mente, come uno dei principali sostenitori di queste posizioni, tuttora
molto influente nel pensiero occidentale, la tesi di Hobbes dell'"homo
homini lupus". La diffusione di una cultura profonda di questo genere
emergeva gia' anni fa dalle nostre ricerche sui giovani e la pace, ed anche
da quelle di Alessandro Cavalli e dei suoi collaboratori, nelle loro
periodiche ricerche sul modo di pensare e di comportarsi dei giovani
italiani.
Le nostre ricerche (L'Abate, 1989, 2001), gia' verso la fine degli anni '80,
mostravano come una grande maggioranza dei giovani intervistati si sentivano
alienati oggettivamente, e cioe' incapaci di modificare l'ambiente intorno a
loro che sentivano intriso di individualismo, dove ognuno pensava a se
stesso, e non agli interessi comuni (2001, p. 22). Ma questa sensazione di
alienazione e di impotenza non era legato alla loro stessa volonta' (c'era
infatti, da parte loro, il desiderio di uscirne), ma al fatto di sentirsi
emarginati da parte della societa' che li circondava, che li escludeva dai
processi decisionali, e dava loro poche speranze per un futuro che vedevano
sempre piu' nero, in particolare per le scarse possibilita' di un lavoro
dignitoso e corrispondente agli studi da loro fatti. E dalle ricerche
emergeva anche come i giovani si sentivano isolati, per la scarsa
comunicazione ed attenzione da parte delle loro famiglie, ma anche spesso
della stessa scuola e dei loro compagni. Da li' la loro ricerca di cricche
chiuse, e talvolta anche segrete (il cosiddetto "branco"), con cui
condividere la loro ricerca di essere vivi e di sentirsi protagonisti, anche
attraverso azioni spettacolari e spesso rischiose (ad esempio lancio di
sassi dai cavalcavia delle autostrade, oppure la pratica del lancio, con una
corda, dei loro corpi da ponti sui fiumi). Come esempio del primo tipo di
azione si legga, nel mio libro del 2001, le confessioni di uno di questi
lanciatori di sassi  (pp. 20-21).
Ma anche le ricerche curate da A. Cavalli (1984, 1988, 1993) e da Buzzi
(1997, 1999) sono molto significative per sottolineare questa cultura
profonda di scetticismo e di alienazione dei giovani italiani, ed anche di
quelli toscani, studiati, in particolare, dall'ultima ricerca curata da
Buzzi. Scrive la Sartori, che ha redatto uno dei capitoli della ricerca di
Buzzi sui giovani toscani: "Circa nove ragazzi su dieci rilevano infatti
scarsa solidarieta' e disponibilita' da parte della gente, considerata
propensa ad agire solo in funzione del proprio tornaconto... Rappresentano
circa i 3/5 del campione coloro che hanno un atteggiamento difensivo e
sospettoso perche' convinti che gli altri siano pronti ad approfittare di
loro" (Buzzi,1999, p. 57). Questo atteggiamento di chiusura  e di bassa
tolleranza la Sartori lo trova in particolare verso gli immigrati
extracomunitari (p. 227). Ma avendo rilevato dati simili anche dalle loro
ricerche a livello nazionale scrive la studiosa succitata: "possiamo
concludere che scetticismo e diffidenza siano ormai tratti caratteristici
dell'evoluzione della nostra societa', che tende a salvaguardare l'individuo
rispetto alla collettivita'... costringendolo a stare sempre all'erta per
evitare che qualcuno approfitti della sua buona fede" (ibid., p.57).
Ma sondaggi fatti, alcuni anni fa, anche sulla popolazione adulta italiana
facevano emergere che questo atteggiamento non era solo limitato ai giovani
ma che si estendeva anche alla popolazione adulta. In una indagine Demos del
2002 su un campione di adulti italiani risultava infatti che il 70% degli
intervistati era convinto che la gente "guardasse solo al proprio
interesse". Da questa stessa indagine emergeva che il 93% degli intervistati
metteva la propria famiglia al primo posto tra i soggetti di cui fidarsi. Da
queste analisi sembrava confermato che la moralita' e la solidarieta' si
chiudessero all'interno della famiglia e che fosse ancor vivo, dopo circa 40
anni da quelle prime ricerche, quello che Banfield aveva trovato in una
comunita' del Sud Italia ed era stato da lui definito come "familismo
amorale", ma che questo  non era limitato al nostro Mezzogiorno ma che si
estendeva ormai a tutto il territorio nazionale.
Le recentissime ricerche curate dalla Demos e riferite da Ilvo Diamanti ("La
Repubblica", 9 giugno 2008) non fanno che confermare questi elementi, anzi
mostrano un peggioramento anche sensibile tanto da fare intitolare
l'articolo "Un paese da incubo". Scrive Diamanti: "Il mondo intorno a noi...
ci appare affollato da estranei e stranieri. Estranei: due italiani su tre
ritengono che 'gli altri, se gli si presentasse l'occasione,
approfitterebbero della mia (loro) buona fede'. Per cui guardano con
sospetto crescente chiunque esca dalla loro cerchia piu' stretta, famiglia,
localita', categoria professionale". Prosegue Diamanti: "Ma soprattutto
temiamo gli stranieri. Siamo diventati, stiamo diventando xenofobi. Gli
stranieri ci sembrano tanti. Troppi. D'altronde quasi un italiano su due
guarda con malcelata inquietudine gli immigrati. Regolari, irregolari o
clandestini. Non c'e' grande differenza nel sentire comune... Gli stranieri
piu' stranieri di tutti, pero', sono gli zingari... mendicanti, ladri di
bambini. Ladri e basta... Da cancellare, semplicemente. Per cui  oltre il
75% degli italiani chiede di sgomberare campi nomadi e quartieri
illegalmente occupati da stranieri. In buona parte senza preoccuparsi di
trovare altre sistemazioni". In effetti questo sentimento denunciato da
Diamanti dalle sue ricerche  ha portato, a Napoli ed a Genova, ad appiccare
il fuoco a campi di cosiddetti nomadi senza che questo abbia provocato una
indignazione della popolazione, ma anzi quasi un apprezzamento per questi
gesti. Questi sentimenti verso gli stranieri, ed in particolare verso i
cosiddetti "nomadi" (che spesso non  sono affatto tali), e questa
sensazione, anche se contraddetta dai dati, di 9 italiani su 10 (sempre
dalla ricerca di Diamanti), che la criminalita' in Italia stia aumentando,
non fa che rendere la paura una esperienza quotidiana, e generalmente
sentita da piu' della meta' della nostra popolazione. Che questi sentimenti
siano stati alla base della netta vittoria delle destre nelle recenti
elezioni, e della sparizione di buona parte della  sinistra (di quella
cosiddetta radicale) dallo stesso parlamento italiano, emerge dalla stessa
ricerca dove risulta che la maggiore domanda di ordine e di polizia viene
appunto dagli elettori di destra. Ma l'elemento nuovo che emerge da questa
stessa indagine e' il fatto che sono attualmente le regioni "rosse" quelle
in cui l'allarme sicurezza raggiunge i livelli piu' alti.
E le soluzioni richieste dalla popolazione a questi problemi sono tutte di
controllo e repressione. Infatti alla domanda "Bisognerebbe aumentare la
presenza di polizia nelle strade e nei quartieri per garantire la sicurezza"
quasi il 91% si dichiara molto o moltissimo d'accordo. E si pensa, come
soluzione (il 63%), oltre all'incremento dei poliziotti, anche  alla
diffusione delle ronde di volontari gia' in atto in molte citta' d'Italia,
anche gestite da amministrazioni di sinistra, con l'assurdo che il capo di
una di queste iniziative, a Roma,  sia proprio la persona che aveva
distrutto alcuni dei negozi gestiti da extracomunitari, e con il rischio,
gia' anche questo in atto, che i gruppi presi di mira come "potenziali
criminali" organizzino anche essi le loro ronde per difendersi, e che, se
queste diverse ronde si incontrato, molto probabilmente il risultato sara'
di ulteriori scontri ed altri feriti e, speriamo di no, anche di morti.
*
2. Alcuni esempi di interventi civili nonviolenti come alternativa a questa
"barbarie"
Non c'e' proprio alcuna alternativa a questo andazzo? Non ci sono soluzioni
a questi problemi piu' degne di un paese civile non inquinato dalla cultura
della sfiducia e della sopraffazione, e da quella "barbarie" di cui parla
Pontara? Esperienze alternative in realta' ci sono, anche se spesso non sono
conosciute e sono nascoste dalla stessa stampa benpensante che tende a dare
notizia piu' degli aspetti negativi della convivenza che di quelli positivi,
probabilmente proprio perche' quella stessa cultura su citata rende piu'
vendibili i giornali quando si danno le cattive notizie che quando si danno
quelle buone.
L'ipotesi  di fondo  di questa ricerca-intervento, che vorremmo porre ad una
verifica sperimentale, e' quella che alla base dei comportamenti violenti
che stanno avvenendo e si stanno  intensificando nel nostro paese, ed anche
della richiesta di interventi basati principalmente sulla repressione, sia
quella cultura profonda di pessimismo antropologico (l'homo hominis lupus di
Hobbes, 1976) che fa sostenere ad una grande maggioranza di nostri cittadini
che non bisogna fidarsi degli altri, e che l'unico metodo valido per
difendersi dalla criminalita' sia il controllo ed il contrasto dall'alto di
comportamenti di questo tipo.
La nostra e' una ipotesi congruente con le piu' valide ricerche sulla
violenza e la nonviolenza. Johan Galtung, uno dei piu' noti ricercatori
internazionali di questi fenomeni, che ha dato vita ad uno dei piu'
importanti istituti specializzati nello studio sugli armamenti e sulla pace,
come il Sipri, e ad associazioni che mettono insieme i piu' noti ricercatori
internazionali di questi fenomeni come l'Ipra (International Peace Research
Association) e Transcend, e collabora anche con le Nazioni Unite, ponendosi
infatti la domanda: "Dato il crescente fallimento della violenza e della
guerra come istituzioni, con la moderna tecnologia che certamente non
nobilita il vincitore o la vittima ma li degrada entrambi, e dati i
significativi risultati ottenuti con mezzi nonviolenti [in precedenza aveva
parlato di dieci lotte nonviolente  nel mondo che avevano avuto pieno
successo] perche' questi ultimi non vengono usati di piu'?" (Galtung, 2000,
p. 219). E la risposta che egli da' a questo quesito e' quella che queste
ragioni vadano ricercate nella nostra cultura profonda. Questa, infatti,
esalta, attraverso una spesso non corretta interpretazione di Darwin, il
conflitto come base del progresso umano, dimenticando invece del tutto
l'insegnamento di Kropotkin (1970) che sostiene invece essere la
solidarieta' tra gli esseri animali ed umani alla base dello sviluppo
sociale. Conclude Galtung: "L'Occidente e' eccessivamente individualista e
attento alla verticalita'. Alla radice c'e' la percezione della societa'
come un insieme di individui che lottano per farsi strada. Ma la societa' e'
anche una struttura, una rete che collega le persone attraverso miliardi di
interazioni" (ibid., p. 220).
Ma per mettere a fuoco maggiormente il centro di questo progetto che si
propone di dimostrare concretamente l'importanza di interventi civili
nonviolenti per contrastare questa cultura violenta e mostrarne la fallacia
e la possibilita' di valide alternative, accennero' ad alcune  esperienze
significative di interventi di questi tipo che hanno affrontato problemi
interni  del nostro o di altri paesi. Tralascio invece di approfondire
interventi di questo tipo - spesso denominati come Corpi Civili o
Nonviolenti di Pace - all'estero, perche' su questi sono usciti gia' vari
lavori, ed altri stanno per essere pubblicati, dove questo tipo di
intervento e' analizzato anche approfonditamente (J.M. Muller, 1999;  M.
Cereghini, 2000; M. Pignatti Morano, 2006; A. L'Abate, 2008; A. L'Abate,
L.Porta, 2008; M. Cereghini, S. Saltarelli, 2008).
Uno dei grossi problemi di criminalita' nel nostro paese, che gli attacchi
ai Rom o ad altri stranieri, come i rumeni, presi come "capri espiatori",
cercano di far dimenticare e mettere in secondo piano, e' sicuramente la
criminalita' organizzata del nostro Mezzogiorno, che si chiami mafia,
camorra, o 'ndrangheta. Per contrastare queste organizzazioni si sono spese
e si stanno spendendo cifre enormi, spesso mobilitando anche l'esercito,
intensificando le azioni di polizia, ed il lavoro giudiziario. Qualche
risultato, in particolare nei tempi recenti, si e' avuto con l'arresto di
alcuni dei loro capi. Ma queste organizzazioni, malgrado questi interventi,
sono ben lungi dall'essere sconfitte, anche, spesso, grazie a loro forti
collusioni con la politica. Il nostro Mezzogiorno e' pieno di cattedrali nel
deserto, capannoni industriali vuoti e  inutilizzati, strade incompiute,
ospedali mai completati, e tutto questo e' costato allo stato cifre immense,
molte delle quali pero' andate ad impinguare le casse di questi gruppi
criminali. In particolare in Sicilia sono state fatte alcune dighe, in
particolare ho visitato a suo tempo quella di Mazara del Vallo, alle quali
mancano del tutto le canalizzazioni per portare l'acqua nei campi: queste
erano state costruite ma distrutte dalla  mafia che controlla cosi' la
raccolta e la vendita delle acque a prezzi esorbitanti, che permettono solo
a ricchi proprietari terrieri di acquistarle per coltivare i loro campi.
L'esempio piu' chiaro di quanto sia molto piu' produttivo e valido, ed anche
molto meno costoso, un intervento nonviolento di pace e' nel lavoro di
Danilo Dolci e dei suoi collaboratori (tra i quali, per quasi due anni,
anche il sottoscritto). Danilo e' partito dal presupposto che i "banditi"
siciliani, per sconfiggere i quali si ricorreva all'esercito, alla polizia
ed ai giudici, con spese ingentissime, erano di fatto "banditi" in quanto
emarginati  dalla societa' che non spendeva quasi nulla per aiutare le
persone nella loro condizione ad uscire dal loro stato di emarginazione. E
senza aiuti da parte dello stato (che anzi l'ha messo in carcere per un
digiuno e uno "sciopero alla rovescia" - l'aggiustatura volontaria di una
strada vicinale in pessime condizioni per rivendicare, per gli abitanti
della zona, che partecipavano con lui all'azione, il diritto al lavoro
riconosciuto dalla nostra Costituzione), ma con l'aiuto di molti volontari e
di gruppi esterni che hanno finanziato il suo lavoro (compreso un premio
Lenin per la Pace), e' riuscito a cambiare totalmente la situazione
economica e sociale di quella zona grazie alla costruzione di una diga
(fiume Iato) - questa si' pagata dallo Stato ma ottenuta con circa nove anni
di lotte e manifestazioni della popolazione stessa -, diga dove viene
raccolta l'acqua che e' l'unica in Sicilia non gestita dalla mafia, dato che
i contadini della zona, che avevano lanciato essi stessi la proposta di
farla, si sono organizzati e gestiscono essi stessi l'uso agricolo delle
acque che da questa si possono trarre. Ma questo pone il problema della
necessita' di dar vita, per migliorare realmente la situazione del nostro
Mezzogiorno, ad interventi di programmazione dal basso e partecipata, come
quella messa in atto da Dolci e collaboratori, che pero' non richiede
interventi repressivi e centralizzati, ma operatori di base civili, ben
preparati all'azione  nonviolenta, che aiutino la popolazione a prendere
coscienza della propria situazione (in termini tecnici un lavoro di
coscientizzazione), ed aiutarli a cercare essi stessi la soluzione ai loro
problemi, anche, naturalmente, con l'aiuto di tecnici esperti, come quelli
che Danilo aveva stimolato a venire in zona e dare una mano alla risoluzione
dei problemi (ad esempio  Sylos Labini, o alcuni esperti agronomi), ma che
si ponevano al servizio della stessa popolazione, e non a dare a questa le
proprie direttive. Gli operatori di base erano anche impegnati ad aiutare la
popolazione ad organizzarsi, un lavoro non facile in un paese in cui
l'organizzazione per eccellenza e' la mafia, e nel quale tutte le
cooperative fatte in precedenza erano fallite spesso a causa della
corruzione degli amministratori.
Un altro tipo di lavoro utile, all'interno di un paese, per il superamento
degli scontri tra gruppi etnici diversi che in varie occasioni avevano
portato a molti morti da ambedue le parti in conflitto, e' stato quello
fatto in India dalle Shanti Sena, Corpi Nonviolenti di Pace  voluti da
Gandhi e realizzati dai suoi due collaboratori Vinoba Bhave e J.P. Narayan.
Oltre una ventina sono stati gli interventi di questi corpi in situazioni di
scontri tra indu' e mussulmani. Uno di questi e' avvenuto  ad  Ahmedabad,
una citta' dello stato del Gujarat, da cui era partita la famosa marcia del
sale di Gandhi. Ecco come Narayan Desai, che degli Shanti Sena e' stato il
principale organizzatore, racconta questa azione: "Gli scontri fra musulmani
ed indu' scoppiarono nel settembre del 1969 e furono tra i piu' violenti mai
visti: i morti furono piu' di duemila e la citta' apparve presto come un
immenso campo di battaglia distrutto dal fuoco. I problemi fra le due
comunita' religiose erano nati prima dell'indipendenza indiana, ma la morte
nel 1965 del Primo Ministro indu' del Gujarat, erroneamente attribuita ai
musulmani, aveva contribuito a far innalzare la tensione... Ci furono
innumerevoli manifestazioni, in quei giorni, nelle strade di Ahmedabad che
si concludevano inevitabilmente con insulti all'altra religione e ai suoi
libri sacri. Tutto questo aumento' l'odio e le incomprensioni. Quando i
disordini violenti scoppiarono, apparvero a tutti inevitabili. Presto si
diffusero voci di musulmani che uccidevano mucche sacre per odio verso gli
indu', e di asceti induisti scherniti e picchiati. Queste voci, sebbene non
fossero, inizialmente, state credute da tutti, si moltiplicarono e furono
enormemente ingigantite. Dall'altro lato si sparse la voce che molte donne
musulmane erano state violentate ed uccise. Una radio indu' lascio'
trapelare la notizia che i musulmani avessero avvelenato il latte che
vendevano, voce non solo infondata, ma anche decisamente improbabile dato
che i venditori di latte della citta' erano tutti induisti. Il governo
stesso si rese responsabile non solo di non aver provveduto a smentire
questi fatti, ma di ufficializzarli, ignorando quali erano veri e quali no,
e non comprendendo i possibili scenari futuri. La violenza dilago' nella
citta' in tre ondate successive: nella prima molti negozi furono distrutti,
e rasi al suolo dalle fiamme, nella seconda vennero distrutti i negozi che
ancora erano scampati allo scempio, ed alcune abitazioni. Soprattutto in
questa seconda fase furono le zone abitate da musulmani ad essere colpite.
Il Governo chiese l'intervento di un corpo della polizia, le Riserve
Speciali, che non riuscirono, pero', a disperdere la folla nelle strade. La
terza ondata di violenza fu la piu' drammatica: gli omicidi e gli atti di
violenza furono migliaia. Il Governo decise, a questo punto, di chiedere
l'intervento dellíesercito. L'indecisione di quei giorni, nello stabilire se
il governo della citta' avrebbe dovuto essere affidato all'esercito, o
rimanere nelle mani delle autorita' civili, causo' un incremento della
violenza, ed una totale anarchia. Nella citta' non vi era una organizzazione
formale di Shanti Sena e i pochi volontari che vi erano iniziarono a
lavorare individualmente, ma solo alcuni giorni piu' tardi fu possibile
organizzare un piano di intervento, quando altri volontari degli Shanti Sena
giunsero dalle citta' vicine. Gli Shanti Sena iniziarono visitando le zone
maggiormente colpite, in modo da capire i problemi e da comprendere la
situazione. Scoprirono che la maggior parte della popolazione, vittima dei
piu' feroci attacchi, erano poveri, che vivevano in sobborghi, e che, a
seguito dei primi scontri, erano fuggiti dalle loro case. I proprietari dei
terreni dove loro vivevano non avevano nessun intenzione di farli tornare,
nella speranza di poter affittare le terre a prezzi maggiori. Oltre ai primi
interventi di rimozione dei  cadaveri, che giacevano per le strade, gli
Shanti Sena iniziarono a parlare con le persone per convincerle a tornare
alle loro case, in modo da non cedere ai proprietari terrieri, che
sfruttando una situazione di confusione totale, avevano spinto i poveri
fuori dalle loro case. Si organizzarono degli incontri pubblici e delle
funzioni religiose per incoraggiare il loro ritorno. All'inizio dell'inverno
distribuirono delle coperte: questo, che a prima vista appare come un gesto
umanitario, si trasformo', presto, in un gesto di educazione politica e
sociale: gli Shanti Sena volevano che coloro che si offrivano di donare i
soldi per comprare le coperte fossero convinti della necessita' di una
pacifica convivenza fra le comunita' religiose, e che tale armonia fosse
vista come la base su cui ricostruire il loro futuro. Uno dei lavori piu'
difficili che si trovarono ad affrontare fu la riabilitazione delle donne.
Il numero delle vedove era cresciuto considerevolmente a causa degli
scontri, ma il problema maggiore era che molte donne musulmane erano state
vittime di violenze sessuali e di omicidi. Gli Shanti Sena organizzarono una
loro unita' di sole donne per affrontare il problema, dato che le vittime
donne erano piu' propense a parlare e farsi aiutare da altre donne,
indipendentemente dalla loro religione. Gli Shanti Sena riuscirono dove
tutti i partiti politici avevano fallito, dato che questi piu' che
concentrarsi sugli aiuti possibili, si impegnavano nel distruggere e
denigrare a vicenda il lavoro degli altri partiti. Essendo fuori da
qualsiasi logica di partito e non appoggiandone nessuno, gli Shanti Sena
ottennero la cooperazione e la simpatia di tutta la popolazione.
Pubblicarono un bisettimanale, intitolato "Insan", essere umano in hindi, il
cui scopo era quello di dar voce a tutti e di cercare di dare risposte agli
abitanti di Ahmedabad. Il periodico ottenne un successo strepitoso, tanto
che diversi giornali in tutta l'India ripubblicarono molti dei suoi
articoli. Gli Shanti Sena ritenevano che si sarebbe dovuto organizzare una
festa per celebrare la pace ristabilita, cui avrebbe dovuto prendere parte
tutta la citta'. I politici osteggiarono apertamente questa proposta, in
parte perche' preoccupati che potesse trasformarsi in una nuova carneficina,
in parte perche' legati ai grandi proprietari terrieri che non volevano che
i fuggiaschi potessero far ritorno alle loro case. Ma la persuasione degli
Shanti Sena ebbe la meglio, dopo che si furono recati a parlare numerose
volte con il Governatore della citta', che, inizialmente, li aveva quasi
ignorati e sbeffeggiati. La festa fu organizzata il 24 dicembre e tutta la
citta' vi prese parte. Divenne l'"Insan Biradiri Day". Anche dal punto di
vista economico, le condizioni delle vittime degli scontri erano
preoccupanti. Lo Shanti Sena contatto' una banca locale e la convinse a
concedere dei microcrediti con condizioni vantaggiose, e con scadenze a
lunghissimo termine. Il lavoro si considero' completato il 30 gennaio,
quattro mesi dal primo scoppio di violenza. Il giorno prima che i volontari
degli Shanti Sena di altre citta' lasciassero Ahmedabad, migliaia di
abitanti della citta' chiesero di potersi unire agli Shanti Sena" (N. Desai,
in L'Abate, Porta, 2008).
Come si vede da questo racconto il lavoro degli Shanti Sena, che e'
riuscito, in quattro mesi,  a superare gli scontri, mentre la polizia e
l'esercito non c'erano affatto riusciti, si e' sviluppato per prima cosa
cercando di capire le ragione delle due parti, poi lavorando, anche
attraverso un proprio strumento di comunicazione, per superare le voci
ingigantite e spesso erronee che tendevano ad accrescere gli odi reciproci,
aiutando a risolvere concretamente problemi di fondo della comunita'
(rimozione dei cadaveri dalle strade, rientro delle persone fuggite nelle
loro case, aiuto concreto alle vittime - coperte e microcrediti), ed
organizzando  una festa finale della riappacificazione. Tutti lavori che
solo persone civili preparate alla nonviolenza, in particolare da notare il
grande ruolo delle donne, possono portare avanti. Anche se gli scenari
indiani sono molto piu' estremi di quelli del nostro paese possono aiutarci
a non andare avanti con risposte (tipo le ronde) che possono farci arrivare
anche noi a situazioni simili a quelle indiane. Se si pensa alle voci
distorte riguardo ai Rom, di cui parla Diamanti nel suo resoconto della
recente indagine Demos, o anche verso i rumeni, molti dei quali lavorano
seriamente, e che spesso, come anche gli immigrati di altri paesi, sono
pagati poco, lavorano in nero, e sono molte volte tra le vittime dei tanti
incidenti, anche mortali, nei luoghi di lavoro, ed all'importanza  di un
lavoro di base per superare le voci distorte, che tendono ad incrementare
l'odio, e di aiuto all'organizzazione dei gruppi marginali, per aiutarli
anche a liberarsi dai loro capoccia che spesso sono quelli che fomentano gli
odi reciproci e sono, talvolta, i veri criminali, tutto questo mostra
l'importanza di un lavoro di questo tipo, la sua necessita' e
l'indispensabilita' di dedicarci  risorse anche economiche che attualmente
sono tutte messe nella polizia e nell'esercito ed, in parte, nella
magistratura.
Un altro esempio dell'importanza di un lavoro civile per l'organizzazione
della base, e l'inclusione nei processi decisionali degli immigrati, che ha
portato al superamento della corruzione e della criminalita', ci viene da
una esperienza in una cittadina degli Stati Uniti (Chelsea). Una operatrice
sociale, specializzata nella soluzione di dispute pubbliche, attraverso un
lavoro di poco piu' di un anno con il metodo del consenso (un metodo
tradizionale dei processi decisionali nonviolenti - L'Abate, 2001)
finalizzato a far partecipare al processo  di presa delle decisioni
importanti della citta' tutti gli abitanti - compresi i tanti immigrati che
erano del tutto esclusi in precedenza da questo processo - e' riuscita a
trasformare una cittadina corrotta, in cui erano frequentissimi gli episodi
di criminalita', e  nella quale la corruzione era diffusissima anche tra gli
amministratori e la polizia, in una cittadina diventata modello di
convivenza e di democrazia (Podziba, 2006).
Ma un tipo diverso di intervento civile, ormai sperimentato con risultati
notevolmente  positivi in vari paesi del mondo (tra gli altri, in Guatemala,
Argentina, Kossovo, Shri Lanka), ma anche nel nostro stesso paese, e'
l'accompagnamento da parte di civili di persone a rischio.  Questo tipo di
intervento e' stato portato avanti, principalmente, dalle Pbi (Peace
Brigades International) in situazioni di conflitto. Questa organizzazione,
che opera, con gli strumenti della nonviolenza, ormai da moltissimi anni in
molti paesi del mondo nei quali la conflittualita' e' altissima, aiuta la
popolazione a prendere coscienza dei diritti umani che la legislazione
internazionale riconosce ai singoli cittadini, aiuta le vittime ad
organizzarsi (ad esempio le donne i cui mariti e altri parenti erano stati
presi dalla polizia e non si avevano piu' notizie di loro - i famosi
"desparecidos"), ed accompagna, giorno e notte, del tutto disarmati, le
persone minacciate dagli "squadroni della morte". Ma questo accompagnamento
viene appoggiato da gruppi di sostegno diffusi in tutti i paesi del mondo
che - con telegrammi, e-mail, ed altri strumenti - chiedono, nei momenti
critici, l'intervento delle autorita' della zona. Se il lavoro di sostegno
negli altri paesi e' fatto bene e riesce a colpire l'opinione pubblica del
proprio paese (con comunicati stampa, azioni simboliche, manifestazioni
pubbliche, ed altro), le autorita' del paese in cui questi episodi avvengono
(spesso portati avanti da squadre, ufficialmente esterne alle organizzazioni
ufficiali - polizia, esercito -, ma di fatto a queste strettamente
collegate) si danno da fare anche perche' spesso hanno bisogno di aiuto,
anche economico, dagli altri paesi, e perche' cercano di farsi considerare
come "democratiche".   Anche il premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchu',
in  Guatemala, e' stata salvata in questo modo, ed ha dichiarato
pubblicamente la sua gratitudine a questa associazione. Ma questo tipo di
lavoro e' stato portato avanti anche in Italia da una delle associazioni
affiliate all'Ipri-Rete Ccp (Corpi Civili di Pace), il Centro Studi Sereno
Regis di Torino. Con il progetto "presenza amica", in un quartiere di Torino
nel quale la sera le persone di sesso femminile non avevano il coraggio di
uscire perche' rischiavano di essere molestate, la disponibilita' di
obbiettori di coscienza, o volontari e volontarie in servizio civile, per
accompagnarle ha permesso di superare questo problema, ed, a poco a poco, di
eliminare del tutto il problema da quel quartiere. Gli operatori hanno
svolto un lavoro di informazione, formazione e sensibilizzazione,
accompagnamento ed aiuto alle persone di sesso femminile, che ha fatto si',
ad esempio, che giardini prima frequentati da spacciatori e
tossicodipendenti abbiano potuto diventare nuovamente luoghi di svago per
mamme e bambini.
Come si vede questo tipo di lavoro tende a dare sicurezza, a rinforzare i
soggetti deboli, a restituire la fiducia ai cittadini, a liberarli dalla
paura degli "altri", dei diversi. Ma lo fa senza militarizzare il
territorio, e senza ricorso alle ronde che spesso hanno il carattere  di
sfida ai gruppi considerati "pericolosi", stimolando in questi il desiderio
di risposta, che, come gia' accennato, puo' portare ad incrementare i
conflitti e, in fin dei conti, all'incremento dell'insicurezza del semplice
cittadino, e non a superarla. Ma se si fa una ricerca approfondita, anche
nel nostro paese, gli esempi di questo tipo si moltiplicherebbero a
dismisura (si pensi, ad esempio, al lavoro delle "comunita' libere" in
Calabria) e confermerebbero che la criminalita' si combatte meglio, ed a
costi sicuramente minori, attraverso un lavoro positivo di prevenzione che
utilizzi operatori di base non armati ed educati all'azione nonviolenta che
facciano, in gruppo, un lavoro tipo quello fatto da Dolci in Sicilia, che,
se fatto bene ed in modo continuato e non improvvisato (ma ci vorrebbero
molti piu' operatori di base di quei pochissimi che fanno attualmente,
pagati, un lavoro di questo tipo), puo' riuscire ad  eliminare le cause di
fondo dalle quali proviene la criminalita' e la violenza, e di cui queste si
nutrono, piuttosto che attraverso interventi puramente repressivi  che
tendono spesso a mischiare i veri criminali con le loro vittime (che sono
anche quelle che, per sopravvivere, sono costrette a subire le loro
imposizioni e diventano gli strumenti della stessa criminalita').
*
3. Una proposta di un seminario di lavoro per stimolare e mettere a punto
progetti di ricerca-intervento per contrastare la violenza attraverso
interventi civili di pace
Non e' qui il caso di approfondire ora ulteriormente i vari aspetti di
questo lavoro, di cui avevo gia' scritto in una comunicazione all'assemblea
del Movimento Nonviolento, ma credo sia arrivato il momento di mettere
maggiormente a fuoco la proposta di ricerca-intervento accennata nel titolo.
Il progetto prevede di mettere insieme, sia attraverso l'Ipri-Rete Ccp e le
organizzazioni che a questa associazione aderiscono, sia quelle, molte di
piu', che fanno parte del tavolo degli interventi civili di pace che era
stato promosso dalla ex ministra degli esteri Patrizia Sentinelli, e che ha
portato all'approvazione del progetto Infoeas (Informazione ed Educazione
allo Sviluppo), con un lavoro di approfondimento di quegli studiosi
universitari italiani che non si sono limitati a studiare questi problemi ma
che hanno anche partecipato ad esperienze concrete in questo campo (che sono
molti di piu' di quanto normalmente si pensa). Il progetto Infoeas gia'
approvato prevede di lavorare in otto regioni italiane (Piemonte, Friuli
Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Calabria)
per informare i giovani degli ultimi tre anni delle scuole secondarie, gli
studenti universitari (anche grazie a due convegni promossi all'interno
delle universita'), e le popolazioni stesse, su cosa sono ed a cosa possono
servire gli interventi civili di pace (detti  anche Corpi Civili di Pace), e
su come questi devono lavorare per poter ottenere i risultati sperati, ed
anche come possono essere implementati. Una parte importante del progetto
prevede l'elaborazione di materiale informativo per le scuole, ed anche la
formazione, sia di primo che di secondo livello, di un certo numero di
persone interessate ad intervenire in progetti di questo tipo, sia in Italia
che all'estero. L'organizzazione concreta del lavoro, e la divisione dei
compiti e degli incarichi tra le varie organizzazioni che hanno proposto il
progetto, e' attualmente in fase di definizione.
Quanto detto prima dimostra la necessita' che le organizzazioni che gia'
operano in questo campo, e le universita', soprattutto quelle che hanno
aperto corsi di laurea per preparare operatori di pace, cui si collega
strettamente anche la ricerca di metodi per uno sviluppo umano e
sostenibile, si uniscano per lottare contro quella cultura profonda che e'
alla base, come abbiamo cercato di dimostrare, e come dimostrano le
ricerche, sia della crescente xenofobia, sia della richiesta di metodi
autoritari e repressivi per superare l'attuale insicurezza in cui vive la
popolazione italiana. Con le universita' toscane, e con alcuni colleghi di
queste, abbiamo gia' organizzato due convegni di studio, cui hanno
partecipato molti studiosi ed operatori di varie parti d'Italia, dai quali
sono emersi utili approfondimenti di come lavorare per migliorare la nostra
situazione, e di come lottare contro questa cultura violenta (si vedano i
due libri: E. Cheli, a cura di, La comunicazione come antidoto al conflitto,
Punto di Fuga Editore, Cagliari 2003; E. Cheli, G. Bechelloni, a cura di,
Comunicazione e nonviolenza, E-book, Mediascape Edit., Firenze 2004). Dato
che anche l'Infoeas approvato prevede l'organizzazione di due convegni
nazionali a livello universitario, e dato che, secondo la mia opinione, il
problema dei corpi civili di pace va inquadrato in un piu' vasto lavoro
contro la violenza in generale, se il coordinamento nazionale dell'Infoeas,
appena costituito, conferma la decisione gia' presa dall'assemblea
dell'Ipri-Rete Ccp, ed   approva questa proposta, sentirei gli stessi
colleghi succitati, la Presidente del nostro corso di laurea, il dottorato
di ricerca per la pace della Regione Toscana, e l'istituto regionale
toscano di ricerche in questo settore (il Cirpac, cui partecipano tutte le
universita' della Toscana), se sono disponibili a lanciare, insieme con noi,
un seminario di studio e di proposta  su questo tema. Il  titolo di massima
potrebbe essere: "Contro la violenza: comunicazione, progettazione e
partecipazione per una Italia meno violenta: come contribuire a ridurre
l'insicurezza dei cittadini senza ricorrere a mezzi repressivi". A questo
seminario di studio e di ricerca dovrebbero essere invitati a partecipare
tutti gli studiosi e tutte le esperienze concrete che stanno lavorando
positivamente in questo campo, nel nostro paese, con l'obbiettivo di farne
emergere indicazioni precise su come raggiungere un decremento e, se
possibile, anche una sconfitta, della cultura violenta attualmente
imperante. Il seminario si potrebbe anche dare l'obbiettivo di contribuire
alla messa in atto di un reale coordinamento tra tutte queste esperienze, e
lavorare ad una possibile strategia comune che punti al raggiungimento di
questo obbiettivo, anche attraverso progetti concreti di ricerca-intervento
che verrebbero poi proposti ad organismi nazionali (come ad esempio il
Comitato nazionale consultivo per la difesa nonarmata e nonviolenta, cui
partecipano alcuni dei nostri rappresentanti) o alle varie Regioni, o  Enti
locali, interessati a queste tematiche ed al raggiungimento di questo
obbiettivo.
Come nei due seminari precedenti prima citati una gran parte del lavoro
dovrebbe essere portata avanti nei gruppi di lavoro specifici che devono
approfondire gli aspetti del lavoro necessario a raggiungere l'obbiettivo
nei vari settori. I gruppi di lavoro, ognuno dei quali dovrebbe cercare di
mettere a punto, o promuoverli nel caso esistano di gia', uno o piu'
progetti sperimentali per ridurre o superare la violenza nei rispettivi
campi, potrebbero affrontare almeno alcuni dei seguenti temi: 1) come
ridurre la violenza interna ad ogni essere umano; 2) come ridurre la
violenza nelle scuole; 3) nei luoghi di lavoro; 4) nei quartieri; 5) della
criminalita' organizzata; 6) negli stadi e negli ambienti sportivi; 7) delle
forze dell'ordine; 8) dell'attuale modello di sviluppo; 9) delle banche; 10)
della guerra; 11) contro la natura e l'ambiente; 12) verso le donne; 13)
verso gli immigrati. Come i due seminari di studio precedenti il seminario
dovrebbe durare due giorni e mezzo. Il primo verrebbe dedicato, la mattina
alle relazioni introduttive generali, il pomeriggio alle introduzioni dei
vari gruppi di lavoro. La seconda giornata sarebbe tutta dedicata al lavoro
dei singoli sottogruppi. La mattina del giorno conclusivo alle presentazioni
delle relazioni dei singoli sottogruppi, ad una discussione generale, ed
alle conclusioni. Per stimolare una piu' valida ed approfondita
partecipazione sarebbe importante che le relazioni introduttive, sia
generali che dei sottogruppi, fossero pronte con un notevole anticipo in
modo da poterle inviare, via e-mail, a tutte le persone interessate a
partecipare, ed a presentare delle loro relazioni nei singoli sottogruppi,
per evitare ripetizioni ed aspetti ridondanti, e per stimolare la
riflessione, in anticipo, sulle possibili proposte operative e sui
progetti-intervento meritevoli di essere portati avanti.
*
Bibliografia
- G. Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il
XXI secolo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006 (riedito, nel 2008, n
supplemento al giornale "l'Unita'").
- A. L'Abate (a cura di), Ricerca per la pace: educazione ed alternative
alla difesa armata, Cappelli, Bologna 1989.
- A. L'Abate (a cura di), Giovani  e pace. Ricerche e formazione per un
futuro meno violento. Pangea, Torino, 2001.
- A. Cavalli, ed altri, Giovani oggi, Il Mulino, Bologna 1984.
- A. Cavalli, A. De Lillo, Giovani anni '80, Il Mulino, Bologna 1988.
- A. Cavalli, A. De Lillo, Giovani anni '90, Il Mulino, Bologna 1993.
- C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Giovani verso il Duemila, Il Mulino,
Bologna 1997.
- C. Buzzi (a cura di), La condizione giovanile in Toscana, Giunti, Firenze
1999.
- J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000.
- T. Hobbes, Leviatano, La Nuova Italia, Firenze 1976.
- P. A. Kropotkin, Il mutuo appoggio, Salerno, Roma 1982.
- J. M. Muller, Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999.
- M. Cereghini, "Gli scolari della nonviolenza. Gli operatori di diplomazia
popolare nei conflitti internazionali", in Tugnoli C. (a cura di), Maestri e
scolari di nonviolenza, Angeli, Milano 2000.
- M. Pignatti Morano (a cura di), Il peacekeeping nonarmato, Quaderni
Satyagraha, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2005 (mancano purtroppo in
questo importante contributo alcune esperienze italiane significative per
l'Iraq, ed il Kossovo).
- A. L'Abate, Per un futuro senza guerre, Liguori, Napoli 2008.
- A. L'Abate, L. Porta (a cura di), L'Europa e i conflitti armati.
Prevenzione, difesa nonviolenta e Corpi Civili di Pace, Firenze University
Press, in corso di stampa.
- M. Cereghini, S. Saltarelli (a cura di), Giornate di studio e iniziativa
su interventi e corpi civili di pace, Bolzano-Bologna, 29 novembre - primo
dicembre, atti in corso di sistemazione e pubblicazione.
- S. Podziba, Chelsea Story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la
sua democrazia, a cura di M. Sclavi, Bruno Mondatori, Milano 2006.
*
Il presidente nazionale dell'Associazione Ipri - Rete Ccp Alberto L'Abate
*
Associazione Ipri - Rete Ccp (Associazione istituto ricerca per la pace
italiano - Rete Corpi Civili di Pace), via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel.
011532824, fax: 0115158000, e-mail: info at serenoregis.org, sito:
www.reteccp.org
Associazioni aderenti all'Associazione Ipri - Rete Ccp (International peace
research institute - Italian Branch): Associazione "Aiutiamoli a vivere",
Associazione per la Pace, Associazione Locale Obiezione e Nonviolenza
Forli'-Cesena (Alon Fc), Berretti Bianchi Onlus, Centro Studi Difesa Civile,
Centro Studi Sereno Regis, Fondazione A. Langer, Gavci, Lega Obiettori di
Coscienza, Lega Disarmo Unilaterale, Movimento Internazionale della
Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Pax Cristi-Italia, Servizio Civile
Internazionale, Societa' Italiana di Scienze Psicosociali per la pace.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 204 del 23 luglio 2008

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