Minime. 446



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 446 del 5 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Rosa Luxemburg: Quando
2. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
3. Giulio Vittorangeli: Le invasioni barbariche
4. Vittorio Amela intervista Spojmai Zariab (2001)
5. Maria Serena Palieri intervista Angela Davis (2003)
6. Sergio Buonadonna intervista Tzvetav Todorov (2005)
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: QUANDO
[Da Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 517.
Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento
dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo.
Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi
dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano
cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa
dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno
spedita nell'aldila'"; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace
sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei
lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, /
Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno
due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi,
Torino 1975, 1976; Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976 (con
una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa
Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori,
Milano 1977; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987; P. J.
Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore 1970; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e
la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia, Milano 1974; AA. VV., Rosa Luxemburg
e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta, Milano 1977]

Non esiste una nazione libera quando la sua esistenza come Stato riposa
sulla schiavitu' di altri popoli.

2. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per
molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per
la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del
commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di'
chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LE INVASIONI BARBARICHE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

I libri di storia narrano che quando l'Impero romano, nella sua espansione
in Africa e Asia, entrava in contatti con altri popoli come Egizi e Persiani
(rappresentanti di antichi imperi e grandi civilta'), questi venivano
definiti come "barbari". I Romani riprendevano cosi', per indicare i popoli
con abitudini, costumi, lingue e culture distanti dalle proprie,
l'espressione coniata dai Greci per designare coloro di cui non
comprendevano la lingua. Il rapporto di Roma con i "barbari" era spesso
caratterizzato dall'approccio tipico del dominatore con il sottomesso, come
ricorda gran parte dell'iconografia imperiale romana.
Con la successiva apparizione dei popoli provenienti dall'Europa del Nord
(Germani, Celti delle Isole) e dall'Europa dell'Est (Sarmati, Alani e Goti)
o ancora dai confini con l'Asia (Unni, Avari) si iniziava a parlare di
"invasioni barbariche".
Sono passati tanti secoli, ma non sembra sia cambiato proprio nulla.
*
Ieri come oggi siamo alle "invasioni barbariche"; alla logica del dominatore
e del sottomesso.
I "nuovi barbari" sono gli immigrati ed i clandestini; parole "magiche"
dietro le quali non ci sono piu' esseri umani, donne, uomini e bambini, ma
solo strane entita' aliene e pericolosissime. Conseguentemente, qualsiasi
problema e' attribuito alla mancanza di sicurezza, dovuta alla presenza
eccessiva di "extracomunitari", sinonimo di scansafatiche, fuorilegge,
violenti, ubriaconi, che arrivano qui non per reali necessita'. Si
riaffaccia l'istinto persecutorio verso minoranze etniche indiziate, come
tali, di pericolosita' sociale.
Percio', il sindaco leghista di Treviso ha istituito le "ronde" per la
sicurezza privata; mentre quello di Torino (del Partito Democratico) in una
recente intervista ha sostituito i termini di solidarieta' e uguaglianza con
il termine sicurezza. Insomma, c'e' una pericolosa tendenza bipartisan a
confondere marginalita' e criminalita' e a militarizzare la societa' contro
la cosiddetta devianza. Non e' un fenomeno nuovo, basta guardare gli Stati
Uniti d'America, dove la poderosa militarizzazione non ha certo fatto
diminuire, ma semmai ha moltiplicato criminalita', insicurezza ed
esclusione, che hanno altrove le proprie origini e le proprie radici.
Intanto la sconfitta elettorale viene (non casualmente) spiegata con "la
parola sicurezza che si e' usata troppo poco". Eppure non dovrebbe essere
difficile comprendere che se si fa (o si subisce) una campagna elettorale
sui temi cari alla destra, e' inevitabile che a vincere sia la destra. E'
una scelta suicida quella di inseguire la destra sul piano della
repressione: loro stanno sempre un po' piu' in la', un po' oltre. Piu'
parliamo il loro linguaggio, piu' facciamo propaganda alle loro idee, piu'
gli prepariamo la rivincita. Non a caso, violenza, degrado, rapporto con i
rom e con i rumeni sono stati gli argomenti forti della campagna del sindaco
Alemanno.
In questa societa', che va facendosi ogni giorno piu' oppressiva ed
escludente, ci dicono che il problema e' la presenza disturbante di
graffitari, lavavetri, venditori e parcheggiatori abusivi, mendicanti e,
subito dopo in un inquietante crescendo qualitativo, di migranti, di rumeni,
con particolare accanimento se rom. Allo stesso tempo non rientrano nella
contabilita' del crimine: la corruzione, il falso in bilancio, la frode
fiscale, i fondi neri, il riciclaggio di denaro sporco, la devastazione
ambientale, gli attentati alla salute, le adulterazioni alimentari,
l'inquinamento, la riduzione in schiavitu', il lavoro servile, lo
sfruttamento di manodopera clandestina, gli infortuni sul lavoro, ecc.
Proviamo a fare nostre le sagge e preoccupate parole di Stefano Rodota':
"Serve davvero con 'necessita' e urgenza', un'altra forma di tolleranza
zero. Quella contro chi parla di 'bestie' o invoca metodi nazisti. Non e'
questione di norme. Bisogna chiudere la 'fabbrica della paura'. E' il
compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui
e' sempre piu' arduo ritrovare le tracce".
*
In conclusione, ritornando alla storia di Roma e ai "barbari", vale la pena
ricordare come dalla fusione (non facile, ma allo stesso tempo affascinante
e complessa) tra tradizione romana e culture dei popoli esterni avrebbe
preso avvio la nascita di un nuovo mondo, le radici dell'Europa odierna.

4. TESTIMONIANZE. VITTORIO AMELA INTERVISTA SPOJMAI ZARIAB (2001)
[Dal "Corriere del Ticino" del 12 dicembre 2001, col titolo "Intervista alla
scrittrice afghana Spojmai Zariab esule a Parigi", e il sottotitolo:
"Tornera' un tempo in cui leggeremo poesie".
Spojmai Zariab, scrittrice afgana, nata a Kabul nel 1949, esule in Francia
dal 1990. Tra le opere di Spojmai Zariab: Ces murs qui nous ecoutent,
L'Inventaire, 2000; La plaine de Cain, L'Aube, 2001; Dessine-moi un coq,
l'Aube, 2003]

Spojmai Zariab e' vestita di nero. Questa scrittrice afghana di etnia
tagika, che si definisce "di sinistra e musulmana per tradizione, ma non
praticante", ha lasciato Kabul nel 1991 e adesso vive a Montpellier, nel Sud
della Francia. Le sue opere, scritte in persiano, ritraggono il dramma di un
Paese sconvolto da vent'anni di guerra; due di esse, Le plain de Cain e Ces
murs qui nous ecoutent, sono state tradotte e pubblicate in Francia dalle
case editrici Souffles e L'Inventaire. Zariab appartiene a una famiglia
della media borghesia afghana, benestante e istruita; da bambina il padre,
commerciante, la sera le leggeva poesie.
"A quel tempo in Afghanistan non avevamo la televisione, per nostra
fortuna - commenta Zariab, che adesso ha cinquantadue anni e tre figlie -.
Questo non significa che io approvi i Talebani che hanno distrutto i
televisori: i miei principi democratici me lo impediscono. Ma quello che
voglio dire e' che la televisione occidentale e' violenta e dannosa per i
bambini". Le chiedo di raccontarmi come comincio' il dramma afghano.
"Non potro' mai dimenticare quella fredda mattina d'inverno quando uscii di
casa, salii in macchina e vidi ad ogni angolo di strada carri armati guidati
da soldati stranieri. Sembravano degli extraterrestri... Era il 1979".
*
- Vittorio Amela: Era cominciata l'invasione sovietica...
- Spojmai Zariab: Gia'. E' cosi' che ebbe inizio la catastrofe che non si e'
ancora conclusa.
*
- Vittorio Amela: Com'era la vita in Afghanistan prima di allora?
- Spojmai Zariab: Negli anni Cinquanta e Sessanta era piuttosto tranquilla.
E sicura: io andavo a scuola da sola ogni giorno. Tutti i bambini, maschi e
femmine, frequentavano le scuole.
*
- Vittorio Amela: I Talebani, poi, lo proibirono...
- Spojmai Zariab: Gli studenti coranici venuti dalle madrase del Pakistan
hanno condannato un'intera generazione all'ignoranza. Io, come quasi tutte
le altre bambine, frequentavo una scuola pubblica, dove imparai il francese.
E oltre la meta' degli insegnanti erano donne.
*
- Vittorio Amela: Chi governava l'Afghanistan allora?
- Spojmai Zariab: Il re Mohamed Zahir, che nel 1964 istitui' una monarchia
parlamentare. Fu approvata una Costituzione propria di uno Stato laico: la
religione, allora, faceva parte della sfera intima, personale. Io sono
musulmana per educazione e tradizione, come tutti gli afghani, ma credo che
lo Stato abbia il compito di offrire una serie di servizi ai cittadini, non
quello di immischiarsi nella loro vita spirituale.
*
- Vittorio Amela: Mi stava parlando di un tempo in cui vi si poteva vivere
serenamente...
- Spojmai Zariab: Si'. Un tempo in cui le donne avevano il diritto di voto.
Fu un periodo breve, pero': duro' solo dieci anni. Nel 1973 il re Zahir
ando' a Roma per curarsi. E il suo Primo ministro Mohamed Daud ne
approfitto' per proclamare la repubblica.
*
- Vittorio Amela: Come reagi' il popolo?
- Spojmai Zariab: La gente credette che il passaggio da una monarchia a una
repubblica avrebbe significato una maggiore democrazia. Ma non fu cosi',
Daud si rivelo' un cattivo governante, e per di piu' non poteva contare sul
sostegno popolare di cui aveva goduto il re. Percio' cerco' l'appoggio del
partito comunista: una formazione politica minoritaria, ma assetata di
potere. Un'alleanza che nel 1978 fini' con un colpo di stato organizzato da
quel pugno di comunisti, i quali assassinarono Daud con tutta la sua
famiglia: moglie, figli, fratelli...
*
- Vittorio Amela: Mentre accadeva tutto cio', lei che cosa faceva?
- Spojmai Zariab: Studiavo. Mi laureai in Lettere all'Universita' di Kabul e
cominciai a lavorare all'ambasciata francese come traduttrice. Intanto i
comunisti ci governavano con Nur Mohamed Taraki. Fu quello l'inizio della
nostra tragedia. Era impossibile, infatti, che un regime comunista -
livellatore, autoritario, ateo, estraneo - fosse amato in Afghanistan, un
Paese tradizionalista, religioso, amante della sua cultura. Anzi, delle sue
culture, perche' ne ha molte, e tutte ricche e antichissime.
*
- Vittorio Amela: Il popolo, infatti, si ribello'.
- Spojmai Zariab: Per spegnere qualunque focolaio di ribellione, il governo
ricorse al terrore: molte persone furono imprigionate o assassinate, altre
furono giustiziate senza processo, altre ancora sparirono nel nulla. Anche
mio marito fu arrestato.
*
- Vittorio Amela: Un terrorismo di Stato, insomma.
- Spojmai Zariab: Taraki, in un discorso, dichiaro': "Mi basta un milione di
persone per ricostruire l'Afghanistan". Il che voleva dire che non avrebbe
avuto remore ad uccidere i restanti diciannove milioni... Taraki controllava
le citta', ma molti di coloro che vivevano nelle campagne fuggivano in Iran
e in Pakistan. Allora Taraki decise di chiedere aiuto all'Unione Sovietica.
*
- Vittorio Amela: Cosi' ritorniamo a quella mattina in cui lei s'imbatte'
nei carri armati sovietici.
- Spojmai Zariab: Si'. I guerriglieri lottarono per dieci anni contro i
comunisti. E intanto il Paese franava nella miseria e nella disperazione. E
il resto del mondo assisteva indifferente.
*
- Vittorio Amela: In definitiva, gli afghani vinsero quella guerra.
- Spojmai Zariab: Si', ma la rivalita' fra le diverse fazioni precipito' il
Paese in un'altra catastrofe. Ci furono scontri in ogni citta', in ogni
quartiere, famiglie che fuggivano lasciando insepolti i loro morti, case
abbandonate...
*
- Vittorio Amela: Lei che cosa fece?
- Spojmai Zariab: Avevo due figlie di 11 e 7 anni e le scuole erano state
chiuse. Decisi percio' di trasferirmi in Francia finche' tutto non fosse
tornato alla normalita'. Invece i Talebani presero il potere in qualita' di
rappresentanti del re in esilio e promettendo di farsi garanti della pace.
La gente, stanca della guerra, ci credette. Ma come sappiamo, mentivano.

5. RIFLESSIONE. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA ANGELA DAVIS (2003)
[Dal quotidiano "L'Unita'" dell'8 settembre 2003, col titolo "Musica, eros e
civilta'".
Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su
"L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di
narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con
diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente
di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale
lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista
con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro
edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante.
Angela Davis (Birmingham, Alabama, 1944), pensatrice, militante, docente
universitaria, saggista, insegna attualmente "Storia della coscienza"
all'Universita' della California di Santa Cruz, e vi dirige il Women
Institute. Ha studiato filosofia con Marcuse e con Adorno, in varie
universita' americane, a Parigi, a  Francoforte. Attivista e teorica
marxista, femminista, antirazzista, e' stata duramente perseguitata;
continua tuttora la sua lotta e la sua attivita' di insegnamento, di
studiosa, di militante. Opere di Angela Davis: a) in italiano: Autobiografia
di una rivoluzionaria, Garzanti 1975, Minimum fax, 2007; Bianche e nere,
Editori Riuniti, 1985; Lady day, lady night, Greco & Greco, 2004; b) in
inglese: Angela Davis: An Autobiography, 1974, 1989; Women, Race and Class,
1981; Women, Culture and Politics, 1989; The Prison Industrial Complex,
2000; Are Prisons Obsolete?, 2003]

Poco piu' di trent'anni fa, per alcune settimane tra agosto e ottobre del
1970, negli Stati Uniti sulle finestre di molti appartamenti in cui vivevano
cittadini di sinistra comparve una scritta: "Angela, sister, you are welcome
in this house", Angela, sorella, in questa casa sei la benvenuta. Poi,
durante sedici mesi, le piazze degli Stati Uniti e delle metropoli europee
si riempirono di frequente di gente - per lo piu' ragazze e ragazzi - che
scandivano lo slogan "Angela Davis libera". Angela Yvonne Davis, nata il 26
gennaio 1944 a Birmingham, Alabama, da una coppia di insegnanti, laureata
con lode in filosofia alla Brandeis University, specializzata a Francoforte
e a Parigi e all'universita' californiana di San Diego, allieva di Adorno e
Marcuse, era infatti finita nella lista dei dieci principali ricercati
dall'Fbi e, dopo una fuga durata due settimane, catturata in un piccolo
albergo del Greenwich Village, avrebbe trascorso un anno e quattro mesi in
carcere con l'accusa di assassinio, sequestro di persona e cospirazione:
rischiava la camera a gas. L'imputazione era di aver partecipato al
sanguinoso tentativo di far evadere dal penitenziario l'attivista nero
George Jackson. Due anni prima di finire nella lista dei ricercati, nel
1968, Angela Davis era stata costretta a lasciare l'insegnamento
universitario di filosofia a San Diego perche' esso era stato considerato
incompatibile con la sua militanza nel Pc americano e nella Pantere nere.
Dal processo la filosofa afroamericana ventiseienne, che le fotografie sui
giornali ci consegnavano bellissima, il fisico longilineo sovrastato da
un'inedita e tutta sua chioma corvina "a nuvola", usci' assolta con formula
piena. La storia dice che, se fu rimessa in liberta', c'entro' la vigilanza
dell'opinione pubblica internazionale su un processo che fu durissimo e
astioso.
Angela Davis, ieri a Mantova, per parlare di qualcosa che puo' sembrare
sideralmente distante dal suo radicalismo di trent'anni fa: di un mito della
vocalita' novecentesca, Billie Holiday, morta quarantacinquenne nel 1959 e
diventata oggi l'emblema femminile della musica nera. Tanto che la sua voce
e' un jingle cui ricorrono spesso gli spot pubblicitario di vestiti e
automobili.
In questi tre decenni in Italia di Angela Davis avevamo perso le tracce,
fatta salva l'uscita nel 1975 dell'Autobiografia di una rivoluzionaria per
Garzanti e, nel 1985, di un titolo dal successo ormai molto meno clamoroso,
Bianche e nere per gli Editori Riuniti. Tra chi, allora, visse la Davis
comunista, pantera nera e protofemminista come un'icona, era lecito che
corresse un brivido di curiosita' diffidente: qual e' stato poi il suo
percorso umano e intellettuale? Tranquilli. Billie Holiday, la "Lady Day"
del jazz e' co-protagonista, con Gertrude "Ma" Rainey e Bessie Smith, del
libro che Angela Davis ha pubblicato nel '98 con Pantheon House: titolo
eloquente, Blue Legacy and Black Feminism. Un saggio nel quale conia per le
tre signore della musica nera un neologismo: "foremothers", le
"capostipiti". (E due capitoli del libro compaiono ora in un piccolo,
singolare saggio a piu' voci, Lady Day Lady Night. Interpretare Billie
Holiday che, curato da Giorgio Rimondi, uscira' a breve per le edizioni
milanesi Greco & Greco). Angela Davis ricostruisce e analizza arte e
repertorio di Billie Holiday in modo fascinoso, e non disdegnando strumenti
che altri nel frattempo hanno chiuso nel ripostiglio, per esempio quel
vecchio binomio eros & civilta'. Oggi, a 59 anni, insegna Storia delle
minoranze all'universita' di San Francisco e si batte per la chiusura delle
carceri. Se dal movimento dei comunisti afroamericani di fine anni Sessanta
uscirono molti destini (specie quelli dei leader e dei militanti maschi)
conclusi nella tragedia o nella tragica banalita', sparatorie ma anche
overdose, Angela Davis e' viva e lotta molto piu' sapientemente di noi. E'
una bella e simpatica donna, dai capelli - sorpresa - sempre "a nuvola" ma
biondi.
*
- Maria Serena Palieri: Come e' nato il suo interesse scientifico per il
blues, per il jazz e in particolare per l'arte di Billie Holiday?
- Angela Davis: Il blues e' una musica di liberta' nata in tempi di
oppressione. A fine Ottocento, dopo l'abolizione della schiavitu', gli
afroamericani avevano conquistato la liberta' economica, ma non quella
politica. La loro prima vera liberta' consisteva nel poter viaggiare e nel
poter esercitare la sessualita' senza le costrizioni subite in precedenza:
in regime di schiavitu' la sessualita' era spesso vincolata alla
procreazione e quindi alla volonta' del padrone e alle leggi di mercato.
Percio' il blues agli inizi canta di viaggi e di sesso. Di sessualita'
femminile, anche, come liberta' di scegliersi piu' di un partner. Le
cantanti blues si esibivano in modo sfrontato di fronte al pubblico nero,
perche' era a questo che alludevano. Billie Holiday e' figlia di cantanti
come Gertrude "Ma" Rainey e Bessie Smith che avevano gia' femminilizzato il
repertorio. Ma si differenzia da loro perche' realizzo' la maggior parte
delle sue performance al nord, di fronte a un pubblico bianco o
multirazziale. E questo la costrinse a tenere conto delle ideologie
dominanti di razza e di genere. Billie Holiday cantava in club in cui poi le
era vietato consumare un drink, in alberghi dove era ammessa solo negli
ascensori destinati ai fornitori. E si esibiva per un pubblico che concepiva
la sessualita' femminile in modo tutto diverso da come la concepivano i
neri.
*
- Maria Serena Palieri: Nell'immaginario e' scolpita piuttosto l'immagine
fragile di una donna vissuta tra tossicodipendenze e naufragi sentimentali.
Dov'e', in senso femminile, la sua autorevolezza?
- Angela Davis: Comunemente si collega la sua grandezza alla sua
disperazione. Io propongo di rileggere la sua arte. Di fronte al pubblico
bianco minimizzo' movimenti e sfoggio di erotismo. Perche' perseguiva quello
che era il suo vero progetto artistico: portare la voce femminile a pari
dignita' degli strumenti musicali che l'accompagnavano, sassofoni e trombe.
E cosi' cavalco' la cresta che portava dal blues al jazz. Molto del suo
repertorio e' stato di canzoni popolari, che parlavano di ruoli classici, di
subordinazione al maschio, all'amante, all'uomo. Ma come le cantava: come
cantava, mettiamo, My man. Con perfezione formale, con distacco, ne
sovvertiva il senso. E la sua predilezione per un testo come Strange Fruit,
clou del suo repertorio per anni, dice molto sulla sua consapevolezza
politica. Billie Holiday ha creato il collegamento tra musica e movimenti
libertari.
*
- Maria Serena Palieri: Parliamo dell'altro interesse che lei ha coltivato
in questi anni, ha raccontato, dopo la sua stessa detenzione: lei propugna
l'"abolizionismo" in campo carcerario. Cosa intende?
- Angela Davis: Uso la parola con intenzione. L'abolizione, amo dire, ha
liberato tutti i neri, tranne quelli in prigione. Il sistema carcerario, in
America, e' un complesso industriale: chi lucra, chi, privato, gestisce
carceri, chi guadagna sull'indotto, e le multinazionali che si servono della
manodopera a prezzo stracciato dei reclusi. Intanto, invece, si tagliano i
fondi del Welfare e cresce, nelle prigioni, la percentuale di donne-madri
private di sussidi. Su due milioni di carcerati, negli Stati Uniti, quasi la
meta' sono afroamericani e, se li uniamo ai latinos, gli amerindi e gli
asio-americani, arriviamo a una maggioranza schiacciante della popolazione.
Ma la situazione va diventando analoga su scala mondiale: in Italia su
56.000 carcerati non sono forse stranieri 16.000? Dunque, la figura del
criminale assume una colorazione etnica. E questo prepara il terreno a farci
percepire la figura del terrorista con una colorazione razziale. Sempre piu'
si afferma una gestione penitenziale dell'immigrazione. Col mio movimento,
mi oppongo al principio della punizione che produce guadagno.
*
- Maria Serena Palieri: L'ultima iniziativa di massa afroamericana di cui
abbiamo letto e' la marcia del milione di maschi neri organizzata nel '95 da
Louis Farrakhan. Mentre nella nostra mente spiccano piuttosto i visi di due
potenti membri dell'amministrazione Bush, Colin Powell e Condoleeza Rice.
Che fine ha fatto il grande movimento dei neri?
- Angela Davis: Col tempo i movimenti cambiano, le sfide sono diverse. Io
ero contro la marcia di Farrakhan perche' ritenevo inaccettabile il suo
separatismo maschile. Dai tempi di Martin Luther King pero' e' cambiato il
ruolo degli afroamericani nella societa'. Si tratta di coniugare, oggi
ormai, la questione razziale con quella di classe.
*
- Maria Serena Palieri: Pensa che la candidatura di una donna, Hillary
Clinton, alle presidenziali possa costituire una novita' radicale?
- Angela Davis: Si', ma se e' frutto di un progetto politico. Da un pezzo ho
smesso di avere fiducia nei singoli nomi: preferisco l'uomo, bianco,
progressista, alla donna, nera, conservatrice.
*
- Maria Serena Palieri: Lei nei primi anni Settanta e' stata un'icona. Per
una generazione di ragazzi i capelli neri e ricciuti "alla Angela Davis"
sono stati un segnale di rivolta. Come mai oggi e' bionda?
- Angela Davis: Capisco il senso della domanda. All'epoca io non immaginavo
minimamente che sarei diventata un simbolo: hanno scritto persino un piccolo
saggio semiologico su quella mia chioma. Le rivelo che quel taglio l'avevo
copiato ad altre e quel nero era frutto di una tintura. Allora mi tingevo di
nero, oggi mi tingo di biondo.

6. RIFLESSIONE. SERGIO BUONADONNA INTERVISTA TZVETAN TODOROV (2005)
[Dal sito www.mentelocale.it riprendiamo la seguente intervista del 19
settembre 2005, dal titolo "Todorov: la bellezza e' amore", il sommario "Il
pupillo di Roland Barthes a Sanremo. L'autore di Memoria del male ai Grandi
incontri giovedi' 22. L'intervista di Sergio Buonadonna", e la nota
introduttiva "Tzvetan Todorov a Sanremo, un appuntamento eccezionale per i
Grandi incontri condotti dal giornalista Sergio Buonadonna e organizzati
dall'Assessorato alla Cultura guidato da Daniela Cassini. L'incontro con il
grande storico bulgaro-francese, allievo prediletto di Roland Barthes,
avverra' giovedi' 22 settembre alle ore 17 al Teatro Ariston Ritz. Grande e'
l'attesa di ascoltare dal vivo l'autore di Memoria del male, tentazione del
bene, il saggio del 2001 sulle tragedie del Novecento provocate dalla follia
nazifascista e dall'utopia comunista, dopo il recente intervento del
filosofo e analista politico sulle "Nuove tentazioni del potere" apparso nei
principali quotidiani europei e pubblicato in Italia da "La Stampa".
Attualmente Todorov, che dirige il Centre National de Recherche Scientifique
di Parigi, sta sviluppando il suo lavoro in direzione della bellezza nei
secoli come sinonimo d'amore, unica via possibile per salvare il mondo dalla
crudelta' del tempo presente. Il curatore dei Grandi incontri, Sergio
Buonadonna, ha realizzato con Todorov una lunga intervista di cui
mentelocale.it anticipa (per gentile concessione dell'autore) la parte
iniziale".
Sergio Buonadonna, giornalista culturale e saggista, vive a Genova, ha
curato varie pubblicazioni, tra cui: Finestra sul Mediterraneo, trenta
racconti da Consolo a Ben Jelloun (Il melangolo); Liguria svelata, viaggio
d'autori sul territorio "nascosto"; I fiori raccontano, il viaggio di un
folletto nel giardino Liguria.
Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi
linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi
antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali.
Riportiamo anche il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov
nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi
lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi,
l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina
che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in
generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del
'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale
dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto
interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed
ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una
ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui
appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua
lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si
trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale
umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Tra le opere di
Tzvetan Todorov: (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e
del metodo critico, Einaudi, Torino 1968, 1977; (a cura di, con Oswald
Ducrot), Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, Isedi,
Milano 1972; La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977, 1981; Teorie
del simbolo, Garzanti, Milano 1984; La conquista dell'America. Il problema
dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Critica della critica, Einaudi,
Torino 1986; Simbolismo e interpretazione, Guida, Napoli 1986; Una fragile
felicita'. Saggio su Rousseau, Il Mulino, Bologna 1987, Se, Milano 2002;
(con Georges Baudot), Racconti aztechi della conquista, Einaudi, Torino
1988; Poetica della prosa, Theoria, Roma-Napoli 1989, Bompiani, Milano 1995;
Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; La deviazione
dei lumi, Tempi moderni, Napoli 1990; Noi e gli altri. La riflessione
francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte
all'estremo, Garzanti, Milano 1992 (ma cfr. la seconda edizione francese,
Seuil,  Paris 1994); I generi del discorso, La Nuova Italia, Scandicci
(Firenze) 1993; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti,
Milano 1995; Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995; Gli abusi della
memoria, Ipermedium, Napoli 1996; L'uomo spaesato. I percorsi
dell'appartenenza, Donzelli, Roma 1997; La vita comune, Pratiche, Milano
1998; Le jardin imparfait, Grasset, 1998; Elogio del quotidiano. Saggio
sulla pittura olandese del Seicento, Apeiron, 2000; Elogio dell'individuo.
Saggio sulla pittura fiamminga del Rinascimento, Apeiron, 2001; Memoria del
male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001; Il nuovo disordine
mondiale, Garzanti, Milano 2003; Benjamin Constant. La passione democratica,
Donzelli, Roma 2003; Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007 (tra
esse segnaliamo particolarmente Memoria del male, tentazione del bene,
Garzanti, Milano 2001: un'opera che ci sembra fondamentale)]

- Sergio Buonadonna: Professor Todorov, dopo avere raccontato le tenebre del
male sull'individuo, le minacce, i rischi e le conseguenze dei
totalitarismi, lei si e' soffermato sul destino politico dell'individuo
attraverso il valore della bellezza e del bene. E lo ha fatto partendo dalla
pittura fiamminga del XV secolo quando figurativamente l'immagine
dell'individuo assume un ruolo ed un significato piu' definiti. Perche' ha
fatto questa scelta e quale percorso vuole indicare?
- Tzvetav Todorov: In ogni tempo gli uomini hanno avvertito il bisogno di
instaurare un rapporto con l'assoluto. Per molti secoli, lo hanno
identificato con gli dei, vivendo questa esperienza nei confini dell'ambito
religioso. Nel secolo dei lumi, si e' voluto far discendere l'assoluto in
terra e definirlo in termini puramente umani. Si e' creduto di trovarlo in
entita' collettive: la Nazione, poi la Classe operaia o la Razza ariana, o
ancora in un processo come la Rivoluzione. I risultati di questi tentativi,
che in Europa hanno occupato gli ultimi due secoli, sono stati disastrosi.
Ma esiste una terza via, che oggi e' particolarmente attuale, ed e' quella
che consiste nel cercare l'assoluto nell'esperienza individuale: rendere
quindi la propria esistenza quotidiana ricca d'amore, di senso, di bellezza.
Questa scelta non ci dispensa dal partecipare alla vita pubblica e politica
del nostro paese, ma ci mette in guardia da aspettative eccessive: nessun
regime politico puo' assicurare la compiutezza interiore della persona.
*
- Sergio Buonadonna: "La bellezza salvera' il mondo" e' il titolo della sua
conferenza a Sanremo, unica sua presenza in Italia nella seconda meta' del
2005, non a caso lei si e' appassionato ed ha scritto nelle sue ultime opere
di personaggi che hanno vissuto il fuoco della vita come la poetessa russa
Marina Cvetaeva, lo scrittore irlandese Oscar Wilde. Quali sono gli uomini e
le donne che in questo momento della storia rappresentano la via della
bellezza?
- Tzvetav Todorov: "La bellezza salvera' il mondo" e' una frase che, come e'
noto, figura nel romanzo L'idiota di Dostoevskij. Fuori dal suo contesto, si
puo' interpretarla in un senso estetizzante: circondarsi di begli oggetti,
contemplare la natura e le opere d'arte, consacrarsi alla creazione
artistica. Ma Dostoevskij dava tutt'altro significato al termine "bellezza":
quello dell'amore, cosi' come era incarnato nel Cristo. E' una via che e'
aperta a tutti, non solo ai creatori di genio, come Wilde, Rilke o Cvetaeva.
Per dare un esempio tratto dall'attualita': nel mese d'agosto del 2005, il
musicista Daniel Barenboim ha organizzato un concerto a Ramallah, in
Palestina, quello dell'orchestra "le Diwan occidental-oriental" che ha
fondato con Edward Said e che riunisce musicisti israeliani, egiziani,
siriani, giordani, palestinesi. E' una goccia nel mare, non risolvera' il
conflitto israelo-palestinese, ma e' un atto ammirevole che partecipa dello
spirito che animava Dostoevskij quando scriveva che la bellezza salvera' il
mondo.
*
- Sergio Buonadonna: Lei ha raccontato l'indivisibilita' del bene e del
male, lancia la sfida della bellezza, fa l'elogio dell'imperfezione. Quale
lezione trarre dal Novecento, il secolo tragico dei totalitarismi: un
cattivo uso del bene e un buon uso del male?
- Tzvetav Todorov: Una delle lezioni della storia del XX secolo in Europa
consiste proprio nel prendere atto del pericolo delle utopie politiche
quando vogliono realizzarsi sulla terra: il comunismo, come anche il
fascismo e il nazismo, hanno causato milioni di morti e innumerevoli
sofferenze. Un male che non e' stato compiuto da figure diaboliche ma da
capi politici animati dalla tentazione del bene, un bene che volevano
imporre con la forza ai loro concittadini, ovvero al mondo intero.
*
- Sergio Buonadonna: E oggi come ha cambiato faccia il totalitarismo: quali
rischi corre la democrazia?
- Tzvetav Todorov: Il totalitarismo, nelle sue forme trascorse, non e' piu'
un pericolo per noi, e' vero. Ma non per questo la democrazia puo' dormire
tranquilla. E' minacciata, innanzitutto, da forze che le si contrappongono
direttamente, quelle di un militantismo nazionalista o di un fanatismo
religioso. Deve poi combattere la sua deriva moralizzatrice, quella che la
spinge a praticare il "politicamente corretto" a domicilio e a imporre con
la forza il suo modello all'esterno. Infine, o forse soprattutto, deve fare
attenzione a non soccombere a quella che chiamero' "la sacralizzazione dei
mezzi" e "l'oblio dei fini": il culto dello sviluppo per lo sviluppo, del
potere per il potere, della performance tecnologica fine a se stessa.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 446 del 5 maggio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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