[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 427
- Subject: Minime. 427
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 16 Apr 2008 00:37:04 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 427 del 16 aprile 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Una fotografia 2. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 3. Gabriella Gagliardo presenta "Oltre il velo" di Leila Ahmed 4. Maria Antonietta Saracino presenta "Il filo e l'aquilone" di Anna Paini 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA FOTOGRAFIA [Peppe Sini, gia' consigliere comunale e provinciale, e' stato dagli anni '70 uno dei principali animatori del movimento che si opponeva alle servitu' energetiche e militari nell'Alto Lazio, e il principale animatore del movimento che si oppose al devastante progetto autostradale della cosiddetta "Supercassia"; nel 1979 ha fondato il Comitato democratico contro l'emarginazione che ha condotto rilevanti campagne di solidarieta'; ha promosso e presieduto il primo convegno nazionale di studi sulla figura e l'opera di Primo Levi; nel 1987 ha coordinato per l'Italia la campagna di solidarieta' con Nelson Mandela allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano; nel 1999 ha ideato, promosso e realizzato l'esperienza delle "mongolfiere della pace" con cui ostacolare i decolli dei bombardieri che dalla base di Aviano recavano strage in Jugoslavia; nel 2001 e' stato l'animatore dell'iniziativa che - dopo la tragedia di Genova - ha portato alla presentazione in parlamento di una proposta di legge per la formazione delle forze dell'ordine alla nonviolenza; e' stato dagli anni '80 il principale animatore dell'attivita' di denuncia e opposizione alla penetrazione dei poteri criminali nell'Alto Lazio - e negli anni '90 ha presieduto la Commissione d'inchiesta ad hoc istituita dal Consiglio Provinciale di Viterbo -; dal 2000 e' direttore del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Una sua lettera aperta del 3 luglio 2007 ha dato avvio al movimento che si oppone al devastante progetto del mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo] "Ecco gli elmi dei vinti, abbandonati in piedi, di traverso o capovolti. E il giorno amaro in cui voi siete stati vinti non e' quando ve li hanno tolti, ma fu quel primo giorno in cui ve li siete infilati senza altri commenti, quando vi siete messi sull'attenti e avete cominciato a dire si'" (Bertolt Brecht, naturalmente) Il risultato elettorale del 13-14 aprile 2008 segna la sconfitta non della sinistra, ma delle camarille - e dei complici loro - che abusivamente pretendevano di rappresentarla, e forti del loro potere nel palazzo avevano attuato una politica di guerra e razzista, una politica che di sinistra nulla piu' aveva. Di quelle camarille il risultato elettorale segna la sconfitta, e di quanti ad esse lungo questi ultimi due anni si sono prostituiti, fino a quei grotteschi sedicenti "nonviolenti" che si sono fatti sostenitori del massacro degli afgani e dei migranti purche' certi partiti e certi politicanti amici e/o benefattori loro potessero restare aggrinfiati a qualche scranno parlamentare, a qualche poltrona di ministro e di sottosegretario (e di li' - aggiungiamolo - elargire un po' di fondi pubblici a mo' di clientela, favorire qualche carriera nepotista). E cosi' via - direbbe Kilgore Trout. La sinistra, invece, era stata sconfitta prima: quando i gruppi dirigenti di quel che restava delle sue storiche organizzazioni politiche italiane avevano scelto la guerra e il razzismo, e la piu' gran parte delle persone oppresse e oneste, che la sinistra sono, avevano lasciato fare, per corruzione, per rassegnazione, per pusillanimita'. * Ma era quella di palazzo la sola sinistra? Io credo di no, c'era anche un'altra sinistra, la nostra. Dico di piu': quella era solo la ex-sinistra corrotta e quindi arresa, o arresa e quindi c orrotta. La sua catastrofe non e' la catastrofe della nostra sinistra, che in questa tremenda situazione resta l'unica resistenza nitida e intransigente a partire da cui ricostruire il fronte della lotta per la democrazia. E questa nostra sinistra, che e' stata la nuova sinistra negli anni '70, che ha creato la nuova ecologia, che si e' messa alla scuola del femminismo, che ha animato la lotta antimafia, che non ha mai avuto esitazioni nel collocarsi dalla parte delle oppresse e degli oppressi, da decenni e' consapevole che un passaggio decisivo si pone alla sinistra per il suo presente e per il suo futuro: la scelta della nonviolenza. * E quando dico la scelta della nonviolenza intendo non la rigatteria museale o cattedratica di certi personaggi che in questo biennio si sono da se stessi squalificati per sempre; e neppure quel coacervo di banalita' e piccinerie che viene abusivamente chiamato educazione alla nonviolenza, formazione alla nonviolenza, et similia, e che novantanove volte su cento maschera la piu' profonda ignoranza di intere epoche e tradizioni della cultura umana; e neanche i soliti cialtroni che senza mai un minuto di esame di coscienza passano di slogan in slogan tutti consumisticamente trangugiandoli e risputandoli ogni cosa che toccano corrompendo. No. Dico la scelta della nonviolenza presa sul serio, come politica, come lotta politica, come proposta politica, come progetto politico, come movimento politico; poiche' questo furono Gandhi, King e tante e tanti altri come loro: organizzatori politici di movimenti politici per lotte politiche con obiettivi politici: non meri operatori sociali, non meri predicatori compassionevoli, ma militanti politici, militanti rivoluzionari di quell'unica rivoluzione che invera la promessa scritta nei codici giuridici e nelle aspirazioni morali e materiali dell'umanita' intera che i potenti ogni giorno violano: la rivoluzione nonviolenta. * Questa scelta della nonviolenza e' oggi dirimente: non si da' piu' una sinistra senza scelta della nonviolenza, e non si da' piu' azione nonviolenta se non come concreta lotta politica che alla violenza cristallizzata e occulta come alla violenza flagrante e dispiegata parimenti si oppone, in difesa e a promozione dei diritti e della dignita' di tutti gli esseri umani. Ne sono talmente convinto che da antico dirigente della sinistra, da pubblico amministratore del secolo scorso, da militante politico che all'impegno politico tutto se stesso ha dedicato, ebbene, ho gettato in questa prospettiva per intero gli ultimi dieci anni della mia vita, rinunciando a molte altre cose che pure mi appassionavano, per fare questo foglio che mi divora tutto il tempo che altri dedica alla vita, ed il cui unico significato e' questo: contribuire a costruire una politica della nonviolenza, far uscire la nonviolenza in Italia dallo stato di minorita' ad una piena autocoscienza, promuovere l'incontro e il riconoscimento tra le grandi tradizioni politiche con la scelta della nonviolenza componibili e che vi possono agevolmente convergere ma che sovente si ignorano e mistificano reciprocamente per ignoranza e paura e vilta'; ed a tal fine raccogliere e proporre una cultura politica adeguata alla bisogna: questo foglio dall'estate del 2000 ad oggi lungo oltre duemila fascicoli e' stato anche la costruzione di un'enciclopedia della nonviolenza come cultura politica complessa, plurale, aperta. Che ne valesse la pena e ve ne fosse l'urgenza ne sono talmente convinto che vi ho bruciato dieci anni di vita (che per chi e' giunto alla mia eta' sono una cosa enorme: i ventenni, i trentenni, i quarantenni, pensano di avere di fronte a loro un tempo infinito, io so di essere a un punto della vita in cui personalmente non si puo' piu' far conto su un cospicuo tempo futuro). E sapendo che questa scelta avrebbe implicato dover tornare a perdere tempo ancora una volta con una infinita' di presuntuosi e di imbecilli, quando non di mascalzoni, che sono legione ovunque, e tra essi tanti dei nomi insensatamente riveriti da chi delle lotte politiche e sociali in Italia, e della cultura politica - della preziosa e gloriosa cultura politica - della sinistra italiana ed internazionale, conosce solo le idiozie e le infamie dell'oggi, ed i laidi buffoni che compaiono in televisione - e tutti coloro che compaiono oggi in televisione, per come la televisione e' oggi fatta in Italia, per questo stesso fatto accettano di fare i buffoni. * Ho sempre avuto chiaro che occorreva portare la tradizione del movimento operaio all'incontro con il femminismo e con la nuova ecologia, e questi tre filoni decisivi per una teoria e una prassi della liberazione recarli all'incontro con la tradizione liberale di lotta per le liberta' civili e politiche e della codificazione giuridica dello stato di diritto e del diritto internazionale; con la tradizione delle istituzioni democratiche, del costituzionalismo moderno, del pensiero etico e giuridico contemporaneo. E fare di tutti questi filoni storici ed esperienze teoriche e pratiche sostanza della scelta nonviolenta, appunto la scelta nonviolenta intendendo non come un'alterita' ma come un illimpidimento ed approfondimento dialogico e dialettico, complesso ed aperto, di prassi politiche storicamente vive e vitali, un illimpidimento ed approfondimento che valorizzi e intrecci tanta preziosa ricchezza di lotte e di pensiero per la liberazione umana, per l'umana solidarieta', per difendere e promuovere la civilta' umana, la difesa della biosfera, l'internazionale futura umanita'. * Detto in breve, e' tutto qui. E adesso al lavoro. Che c'e' da sgombrare le macerie, organizzare la resistenza, costruire la sinistra necessaria. La sinistra della nonviolenza. L'incontro del 19 aprile a Bologna, se non sara' la solita pagliacciata esibizionista, piagnona e reducista (il rischio infatti vi e' sempre), ma sapra' essere coerente con l'ispirazione dell'appello emerso dall'incontro bolognese del 2 marzo scorso promosso da Michele Boato, Maria G. Di Rienzo e Mao Valpiana, potrebbe dare un segnale in questa direzione. Vorrei sperarlo. Ma indipendentemente dagli esiti di quello o di altri analoghi prossimi consessi, ciascuno faccia la sua parte, che ve ne e' davvero bisogno. 2. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 3. LIBRI. GABRIELLA GAGLIARDO PRESENTA "OLTRE IL VELO" DI LEILA AHMED [Dal sito http://isole.ecn.org/reds/donne/culturadonne.html riprendiamo la seguente recensione del settembre 2003. Gabriella Gagliardo, insegnante, impegnata nella Flc-Cgil, nell'associazione Iemanja' ed in altre esperienze di impegno civile, e' particolarmente attiva nella solidarieta' con le donne afgane, e in molte iniziative di solidarieta' e per i diritti. Leila Ahmed dirige il programma di studi sulle donne nel Vicino Oriente presso l'Universita' del Massachusetts ad Amherst, ed insegna anche ad Harvard al Centro Studi sul Medio Oriente. Opere di Leila Ahmed, Oltre il velo, La nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1995. Per ulteriori informazioni e materiali cfr. la pagina web www.hds.harvard.edu/faculty/ahmed.cfm] Leila Ahmed, Oltre il velo. La donna nell'Islam da Maometto agli ayatollah, La nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1995. * Docente in un paio di universita' americane, l'autrice ha un nome inconfondibilmente arabo e una preoccupazione: arginare l'ondata di razzismo antislamico che utilizza il discorso femminista e l'alibi della lotta all'oppressione femminile per giustificare l'aggressione ai paesi islamici. Questione di genere, questione nazionale anticoloniale e lotta di classe risultano inestricabilmente intrecciate in questa accurata ricostruzione storica, circoscritta all'Egitto, alla penisola arabica e ai paesi del Medio Oriente, a partire dalle civilta' mesopotamiche preislamiche, all'epoca in cui Maometto elaboro' il nucleo della nuova religione, fino ai nostri giorni. Leila Ahmed intende dimostrare che la societa' islamica non fosse alle origini piu' misogina e oppressiva di quelle limitrofe, e che il suo sviluppo in senso negativo per le donne fu influenzato dall'assimilazione di tratti delle culture dei popoli via via conquistati, secondo dinamiche dovute alla lotta per il potere a cui una configurazione piu' androcentrica del patriarcato risultava funzionale. Fin dalle origini alcune donne che accolgono il messaggio spirituale dell'islam svolgono un ruolo attivo e lottano contro la segregazione e le norme discriminatorie che successivamente l'elite al potere tenta di imporre alle donne. L'autrice rintraccia la testimonianza della resistenza delle donne fin dai testi sacri del Corano e degli hadith, racconti-testimonianze su Maometto tramandati dopo la sua morte da varie fonti, spesso dalle sue stesse mogli, e poi trasmessi oralmente prevalentemente da donne, fino alla loro selezione e trascrizione scritta in epoche successive in un canone "ufficiale". Diverse personalita' femminili, sfruttando la propria posizione di classe, riescono ad imporre individualmente clausole nei contratti matrimoniali che le garantiscono dal rischio della poligamia e dei divorzi facili concessi ai mariti; altre proseguono nella tradizione antica di alcune tribu' partecipando attivamente alla guerra o capeggiando rivolte armate contro fazioni islamiche nemiche. Tuttavia l'autrice rileva il progressivo affermarsi dei meccanismi di segregazione delle donne, della poligamia e delle disposizioni giuridiche (contratti matrimoniali, diritto di famiglia, diritti economici e civili) sempre piu' oppressive e ingiuste, mentre altre consuetudini piu' favorevoli alle donne, sia nelle culture delle diverse tribu' arabe tra cui opera Maometto e i suoi immediati discendenti, sia nelle culture dei popoli limitrofi via via conquistati, non vengono applicate, e i valori soggiacenti di uguaglianza, giustizia, pari dignita' umana, sono relegati alla sfera spirituale. L'autrice giudica "sorprendente" la rapidita' con cui i tratti culturali (idee e pratiche) misogini si siano diffusi e affermati da una cultura all'altra, mentre i tratti favorevoli alle donne siano stati soffocati. Esula dalla sua indagine la spiegazione di questo fenomeno che e' una delle questioni chiave della ricerca storica. Le preme semplicemente dimostrare che questa evoluzione non e' connaturata all'Islam, come non lo e' alle altre culture. I sistemi vigenti nel momento in cui si afferma l'Islam sono tutti sistemi patriarcali, e la loro evoluzione avrebbe potuto sviluppare l'implicito egualitarismo radicale presente nel giudaismo come nel cristianesimo, e infine nell'Islam, oppure le tendenze piu' androcentriche. Nei secoli precedenti la nascita dell'Islam una feroce misoginia ha prevalso nella cultura mediterranea, giudaica, greca, romana e cristiana: l'Islam l'ha incorporata, benche' la sua concezione etica sia "irriducibilmente egualitaria anche nei riguardi dei sessi". La sconfitta storica delle donne e' innegabile. Nell'evoluzione in senso fortemente misogino delle societa' islamiche, infine, negli ultimi secoli hanno svolto un ruolo determinante il colonialismo europeo e lo sfruttamento imperialista. A questo proposito e' ben documentata la politica inglese nei confronti dell'Egitto, e gli effetti delle scelte che hanno fortemente penalizzato l'istruzione e l'accesso al lavoro per tutti, e in modo particolarmente drammatico per le donne, proprio mentre a parole il governo inglese proclamava la necessita' dell'emancipazione femminile dal giogo della cultura maschilista locale, allo scopo di giustificare l'oppressione dei movimenti nazionali di liberazione. Screditare la cultura locale e l'identita' nazionale della popolazione e presentarsi come i paladini della democrazia, dei valori liberali e della liberazione della donna: un gioco gia' sperimentato dalla fine dell'Ottocento a cui l'Europa e l'Occidente ricorrono con successo fino ad oggi. Il discorso dei colonizzatori fa breccia anche tra i suoi detrattori e influenza il dibattito sulla questione femminile e le diverse correnti di pensiero, sia maschili sia specificamente femministe. Lo riconosciamo persino nei movimenti femministi in Medio Oriente, attivi fin dalla fine dell'Ottocento con posizioni talvolta filoccidentali, talvolta radicalmente anticoloniali e ancorati alla tradizione culturale nazionale. E persino nei contemporanei movimenti integralisti che esercitano un notevole fascino sulle giovanissime studentesse, pronte a riappropriarsi del velo in citta' moderne e dinamiche, come il Cairo, dove esso era stato ormai bandito da decenni. * I capitoli sui femminismi in Medio Oriente sono forse tra i piu' avvincenti perche' aprono una finestra su un mondo largamente ignorato nel nostro Paese. L'autrice indaga quasi esclusivamente sull'Egitto, e ricostruisce la storia del femminismo in tre fasce cronologiche: 1900-1930, 1950-1970, dagli anni '70 agli anni '80. All'inizio del '900 in Egitto sorsero diverse riviste femminili e numerose organizzazioni di donne intellettuali, che promuovevano cicli di conferenze all'Universita' e attivita' di beneficienza in campo sanitario. Le donne, aristocratiche, studentesse, dei settori popolari urbani e rurali, a partire dagli anni '10 e soprattutto durante la prima guerra mondiale, parteciparono a lotte politiche, scioperi e sommosse contro la dominazione britannica. E in seguito raggiunsero visibilita' le mogli degli esiliati delle classi alte, in grado di organizzare marce di protesta di centinaia di donne: le esponenti delle classi elevate apparivano in pubblico velate, le prostitute a volto scoperto, come da tradizione. Fu in questi primi decenni che si delinearono le due correnti principali del femminismo. La predominante, era espressione delle classi elevate, occidentalizzante e laica. L'altra "cercava una via per affermare una specifica soggettivita' femminile all'interno di un discorso islamico, autoctono, e precisamente nei termini di un generale rinnovamento sociale, culturale e religioso, inteso come un processo rigeneratore per l'intera societa', e non solo per le donne, i cui diritti non apparivano, pertanto, come l'unico e neppure l'obiettivo primario dellla riforma, ma come uno fra i tanti". La principale esponente della prima corrente fu Sha'rawi che fondo' l'Unione Femminista Egiziana e partecipo' al congresso dell'Alleanza Mondiale Femminile a Roma nel maggio 1923. Nello stesso anno l'Egitto aveva ottenuto una sorta di "indipendenza" dagli inglesi, i quali avevano mantenuto pero' il diritto di controllo assoluto in alcuni campi, tra cui la difesa nazionale e la protezione degli interessi stranieri. L'Unione Femminista Egiziana lotto' per il suffragio femminile e per riforme relative alle leggi sul matrimonio e sull'istruzione, ottenendo alcuni successi legislativi. Organizzo' una scuola elementare femminile con tasse minime o nulle, formazione professionale per ragazze povere, e invio' giovani a studiare in universita' europee con borse di studio. Gesti' un dispensario sanitario che si occupava di disturbi ginecologici e della gravidanza, oltre che di malattie intestinali e oculari. Cio' dimostra che, malgrado l'origine di classe delle promotrici dell'organizzazione, la sensibilita' nei confronti delle masse era notevole. Sha'rawi tenne sempre stretti rapporti con le femministe occidentali ed utilizzo' la sua esperienza per promuovere il femminismo arabo, a difesa della causa palestinese in particolare. Nel 1944 fu la prima presidente dell'Unione Femminista Araba, che riuniva donne di diversi paesi arabi. Sha'rawi era politicamente nazionalista e impegnata contro la dominazione britannica, aveva una visione laica dello stato e un orientamento culturale filoccidentale. A tredici anni aveva rotto il suo matrimonio, in aperta sfida al marito e alla famiglia. Leila Ahmed critica pero' la sua scarsa appartenenza alla cultura araba, al punto da non saper parlare e scrivere correntemente nella propria lingua, essendosi formata sui testi francesi. La principale esponente della corrente allora minoritaria, fu Nassef (1886-1918). Era contraria all'abbandono del velo, che avrebbe esposto le donne ad aggressioni nelle strade: gli uomini egiziani erano troppo "corrotti" e le donne troppo "ignoranti" per un simile cambiamento. Nassef era infastidita dai discorsi sul velo degli uomini "con la loro pretesa di dettare alle donne come comportarsi" e dava priorita' a questioni quali l'istruzione e le leggi sul matrimonio. A cavallo tra le due meta' del secolo, Leila Ahmed segnala l'attivita' politica delle donne identificandole in tre correnti: conservatrici radicali, nazionaliste e femministe islamiche; nazionaliste impegnate a favore dei diritti delle donne e per l'indipendenza; intellettuali di sinistra e comuniste. Nell'analisi delle posizioni e dell'opera delle due principali esponenti del femminismo anni '50, Zeinab al-Ghazali e Doria Shafik, Leila Ahmed utilizza lo schema gia' prospettato per il primo periodo: la prima rappresenta la corrente islamica, la seconda quella filoccidentale, che ora e' diventata minoritaria. La valutazione delle loro rispettive posizioni risulta molto controversa. Al-Ghazali e' molto vicina ai Fratelli Musulmani, che avrebbero anzi voluto inglobare la sua organizzazione, l'Associazione delle Donne Musulmane. Sul ruolo della donna ha posizioni, ai nostri occhi, molto conservatrici e Leila Ahmed rileva diverse contraddizioni, anche se apprezza la sua capacita' di far valere i diritti delle donne all'interno della tradizione islamica che conosce approfonditamente. D'altro canto Shafik, che fondo' nel 1948 l'Unione delle Figlie del Nilo, utilizzo' forme di lotta drammatiche come gli scioperi della fame a oltranza, e assunse posizioni "rigide" criticando anche Nasser come un dittatore, senza tener conto del consenso popolare di cui godeva. Fini' denunciata pubblicamente come traditrice dalle sue stesse compagne e subi' gli arresti domiciliari e diversi esaurimenti nervosi, fino a morire suicida nel 1976. Leila Ahmed cita poi, quali esponenti femministe degli anni '50, '60 e '70, diverse scrittrici di romanzi, che affrontano argomenti tabu' come la contraccezione e la clitoridectomia. Negli anni '70 e '80 inizia a diffondersi l'uso del velo: le prime avvisaglie dell'integralismo islamico vengono fatte risalire dagli studiosi al 1967, l'anno della sconfitta dell'Egitto da parte di Israele e del declinio di Nasser, della sua ideologia laica e del suo programma "socialista". Egli mori' nel 1969 e i gruppi integralisti si rafforzarono sotto il regime di Sadat. Su quest'ultimo periodo, in cui le giovanissime universitarie vengono attratte nell'orbita dei movimenti integralisti, Leila Ahmed fornisce diverse osservazioni illuminanti per comprendere gli aspetti psicologici e sociali di questo fenomeno. Le studentesse che aderiscono a queste organizzazioni provengono in grande parte dalle campagne e il livello di istruzione dei genitori, specialmente della madre, e' basso. In citta' moderne e disgregate come Il Cairo, esse vivono sensi di inferiorita' rispetto alle "cittadine" e rischiano l'isolamento. L'abbigliamento "islamico", che in realta' non recupera una reale tradizione ma reinventa una nuova "uniforme" in parte mutuata dagli abiti locali, in parte da quelli occidentali, le identifica subito come ragazze rispettabili, intellettuali, con un'identita' culturale solida: i valori della famiglia d'origine, invece di essere fonte di vergogna, sono esibiti quale garanzia di appartenenza nazionale, mentre la loro origine di classe viene occultata dall'uniforme a buon mercato. E' proprio la protezione del velo che consente loro di circolare liberamente in ambienti altrimenti "pericolosi", di mostrarsi in pubblico a passeggiare e conversare con persone dell'altro sesso senza venire giudicate ragazze facili, e di trovarsi cosi' da sole anche un marito, ora che non sono piu' le famiglie a provvedere alla scelta dello sposo. Gli uomini che le avvicinano non sono autorizzati a farsi illusioni sul loro conto: sanno che dovranno vedersela con intellettuali impegnate che discutono alla pari, e che magari sono disponibili per un matrimonio, non per facili relazioni. Queste ragazze realizzano in questo modo la propria emancipazione e possono permettersi di costruire rapporti camerateschi con i loro compagni. Dalle indagini - poche purtroppo - riportate dall'autrice, risulta che sia esse che gli studenti maschi delle stesse organizzazioni, ignorano quasi completamente le norme legali misogine che i loro movimenti vorrebbero riportare in vigore in Egitto e proclamano un'ingenua fiducia nei principi spirituali egualitari dell'Islam. * Per un pubblico occidentale, la lettura dello studio di Ahmed ha l'effetto di produrre un certo senso di straniamento di fronte a procedimenti intellettuali molto simili a quelli applicati da intellettuali occidentali nell'identico intento di individuare possibili piste evolutive all'interno della propria cultura, in modo da superarne gli aspetti piu' odiosi e deleteri, e valorizzarne gli elementi progressivi. Ricorda soprattutto la preoccupazione delle tendenze cristiane femministe impegnate a dimostrare quanto la misoginia non sia connaturata al cristianesimo, ma sia da circoscrivere a una sua interpretazione teologica discutibile e da contestare, e sia il frutto di una evoluzione storica complessiva da analizzare con gli strumenti della moderna storiografia. Osservazioni senz'altro legittime e intellettualmente corrette, ma che pongono immediatamente una sequenza di altri problemi - a cominciare dalla questione del potere all'interno delle istituzioni religiose, alla questione della laicita' dello stato e della radicale separazione della sfera religiosa da quella politica - che non possono essere ignorati, a meno di non rassegnarsi a fare il gioco di coloro che si vogliono contrastare. Leila Ahmed prospetta quindi la possibilita' di riformare dall'interno la cultura islamica affermando non solo nell'etica quanto nella politica e sul piano psico-sociale i diritti umani delle donne, cosi' come accade nei paesi occidentali, in cui comunque vige tuttora un sistema patriarcale e asimmetrico nella relazione tra i sessi, sebbene la cultura dominante e i sistemi socio-politici abbiano dovuto accogliere almeno in parte le istanze delle donne. In Occidente le donne hanno combattuto e combattono il patriarcato, ma nessuno ha mai chiesto loro di rinunciare per questo alla loro cultura nazionale e di sostituirla con un'altra. Le donne occidentali hanno saputo sfruttare le idee e le istituzioni democratiche, prodotte dai maschi non certo in funzione delle donne. Grazie a questo la cultura occidentale appare oggi meno androcentrica, anche se "le idee e i diritti politici e civili sono altra cosa dai codici psicologici e culturali che regolano la vita di una societa'". Al contrario, il modello del femminismo europeo e' stato posto come un'alternativa globale alla cultura d'origine per le donne dei paesi islamici, attraverso una propaganda deliberata in tal senso da parte delle potenze coloniali (il caso dell'Egitto colonia britannica ne e' un chiaro esempio), influenzando alcune correnti femministe arabe guidate da intellettuali che avevano studiato all'estero, proprio mentre cresceva la coscienza anticoloniale e si organizzavano lotte per la liberazione nazionale. Il dibattito e' stato posto nei termini che le potenze coloniali hanno stabilito, e ad esempio la questione del velo ha assunto il valore simbolico che le e' stato conferito dal discorso dei dominatori e in questa trappola sono caduti tutti, sia coloro che lo rifiutavano come emblema della segregazione femminile, sia coloro che lo invocavano quale simbolo di una presunta tradizione islamica da contrapporre all'imposizione culturale dei dominatori occidentali. Paradossalmente, anche i detrattori del velo ne hanno proposto l'abrogazione per legge, con l'identica logica che ignora il diritto alla libera scelta individuale di ogni donna. Un limite che ci sembra di riconoscere nel discorso di Leila Ahmed e' insito nel suo moderatismo. L'insistenza sulla gradualita' delle riforme, la cautela nel proporre innovazioni rispettose del grado di coscienza acquisito dalle masse, se da un lato sono giustificate come attenzione e rispetto nei confronti delle classi inferiori e del mondo contadino, dall'altra parte circoscrivono i limiti del contestabile. Perche', ad esempio, presupporre che la cultura araba mediorientale debba evolvere all'interno di una visione religiosa islamica? Non puo' essa appropriarsi di altri tratti culturali, come la laicita' dello stato e il rispetto di determinati diritti umani che attualmente non riconosce come propri, integrandoli nel proprio sistema, come ha sempre fatto nella storia integrando i tratti che di volta in volta le servivano? Il rispetto di determinati diritti umani, sia chiaro a scanso di equivoci, non e' affatto dato neanche in Occidente, dove l'integralismo e' sempre in agguato, disparita' sociale e violenza permangono, e dove si pianificano sistematicamente atroci misfatti ai danni degli altri popoli del mondo. Gli integralisti islamici, osserva acutamente Leila Ahmed, non sono affatto impermeabili ad alcuni valori dell'Occidente, solo che scelgono quelli che fanno loro comodo: la tecnologia e la mentalita' capitalista. Le donne di qualsiasi area del mondo potrebbero scegliere i valori che, nel villaggio globale, riconoscono come i piu' validi per loro, senza per questo dover rinunciare in toto alla propria cultura di origine. La stessa Leila Ahmed cita Virginia Woolf, che affermava che l'Inghilterra apparteneva agli uomini, mentre le inglesi non avevano alcuna patria. La cita a proposito di un'altra femminista egiziana del '900, Ziyada, che mori' "pazza" e suicida nel 1976 dopo una vita difficile di esilio interiore, per aver oltrepassato, come altre intellettuali, i limiti consentiti alle donne. I conflitti interiori, le crisi di identita', sono inevitabili per chi e' oppresso all'interno della propria cultura che pure si vorrebbe affrancare dalla soggezione ad altre forze - la dominazione coloniale straniera, nel caso del mondo islamico; ma anche l'androcentrismo, componente cardine di tutte le culture attualmente note. Queste crisi fanno parte del conflitto da agire. Un'adesione piena alla propria cultura nazionale, alla propria religione, ai valori della propria classe sociale, come potrebbe essere compatibile con un femminismo che non si accontenti di emendare gli eccessi dell'organizzazione androcentrica, ma pretenda di distruggerla radicalmente? Non e' un problema delle femministe arabe, ma di ogni femminismo. Le comuniste, le cristiane, le militanti di organizzazioni miste (in cui sono presenti uomini e donne), le donne con diverse appartenenze, in una parola tutte, devono fare i conti con questo, e il confronto tra chi si muove in contesti molto diversi non puo' che aiutare ad aprire gli occhi. 4. LIBRI. MARIA ANTONIETTA SARACINO PRESENTA "IL FILO E L'AQUILONE" DI ANNA PAINI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2008, col titolo "Lontano dall'occidente" e il sommario "Nuovi percorsi della differenza attraverso le voci delle donne kanak. Antropologia: per Le Nuove Muse Il filo e l'aquilone di Anna Paini. Martedi' a Verona la presentazione". Maria Antonietta Saracino, anglista, insegna all'Universita' di Roma "La Sapienza"; si occupa di letterature anglofone di Africa, Caraibi, India e di multiculturalismo. Ha curato numerosi testi, tra cui Altri lati del mondo (Roma, 1994), ha tradotto e curato testi di Bessie Head (Sudafrica), Miriam Makeba (Sudafrica), la narrativa africana di Doris Lessing e Joseph Conrad, testi di Edward Said, di poeti africani contemporanei, di Aphra Behn; ha curato Africapoesia, all'interno del festival Romapoesia del 1999; ha pubblicato saggi sulle principali aree delle letterature post-coloniali anglofone, collabora regolarmente con le pagine culturali de "Il manifesto" e con i programmi culturali di Radio3. Anna Paini insegna antropologia culturale all'Universita' di Verona. Dopo la laurea in storia moderna all'Universita' degli Studi di Bologna ha vinto una borsa di studio Fulbright che le ha permesso di conseguire un M. A. in Antropologia Culturale alla University of Oregon, Eugene; ha poi conseguito il Ph. D. in Antropologia Culturale presso l'Australian National University, Canberra. Le sue prime esperienze etnografiche sono state tra i Navajo (anni Ottanta). Dal 1989 e' impegnata in ricerche antropologiche fra i kanak di Lifou (Nuova Caledonia), secondo un percorso che, privilegiando aspetti del mondo delle donne, ha sempre teso a unire ricerca sul campo, riflessione teorica e pratica politica. Opere di Anna Paini: (con Alice Bellagamba), Costruire il passato. Il dibattito sulle tradizioni in Africa e Oceania, Paravia Scriptorium, 1999); (con Lorenzo Brutti) La Terra dei miei sogni. Esperienze di ricerca sul campo in Oceania, Meltemi, 2002; Il filo e l'aquilone. I confini della differenza in una societa' kanak della Nuova Caledonia, Le Nuove Muse, 2008] Chi si inoltrasse nei meandri della rete alla ricerca di informazioni sulla Nuova Caledonia verrebbe catturato da decine di siti tutti uguali, traboccanti immagini di mari azzurri, spiagge bianchissime, copiosi palmizi ma rari esseri umani, perlopiu' donne giovani e sorridenti, in pareo e corone di fiori in testa pronte a dare il benvenuto ai turisti: contemporaneo stereotipo di un esotismo che non fa distinzione tra luoghi, culture e individui, questi ultimi - ove presenti - essendo intesi come mero supporto ad attivita' turistico-alberghiere del tutto identiche in vaste aree del pianeta e particolarmente in questa parte dell'Oceano Pacifico. Chi guarda avverte quindi un progressivo scollamento tra i luoghi e le comunita' che li abitano, esito finale di quella costruzione del concetto di esotico che la cultura occidentale e' andata precisando nel corso degli ultimi tre secoli e a smantellare il quale si sono adoperati negli ultimi decenni studiosi di varie discipline, da Edward Said, cui si deve, con Orientalismo, la prima seminale riflessione sul tema, a Stephen Greenblatt, attento ai linguaggi che questo immaginario hanno modellato, fino a James Clifford, che tali stereotipi decodifica inserendoli nella piu' generale storia intellettuale della modernita' che i cosiddetti "popoli marginali" si e' adoperata a espungere o "contenere". Cosicche', scrive Clifford, "ogni qualvolta i popoli marginali fanno il loro ingresso in uno spazio storico o etnografico definito dall'immaginario occidentale... le loro storie particolari si dissolvono rapidamente. Trascinati in un destino dominato dall'Occidente capitalista e da vari socialismi tecnologicamente avanzati, questi popoli, tutt'a un tratto 'arretrati', non inventano piu' futuri locali" (I frutti puri impazziscono, Bollati Boringhieri). Da qui l'enfasi sulla necessita' di un recupero vero di quel passato, di un ascolto reale, sul campo, di voci cui raramente, in passato, veniva data la parola. Anche - e non e' cosa da poco - per la impossibilita' di una comunicazione diretta, non mediata da interpreti, nel caso di lingue minori, in molti casi non scritte. Ascolto e recupero che invece fa, e con esiti di grande interesse, l'antropologa Anna Paini nel saggio Il filo e l'aquilone. I confini della differenza in una societa' kanak della Nuova Caledonia (Le Nuove Muse, pp. 388, euro 30). Lungo un percorso che, privilegiando la cultura femminile declinata sotto diversi aspetti, le consente di unire ricerca sul campo, riflessione teorica e pratica politica, Paini ha scelto come ambito di ricerca l'isola di Lifou, del gruppo delle isole della Lealta', nell'arcipelago della Nuova Caledonia, che dal 1853, dopo una contesa con la Gran Bretagna, e' possedimento francese (attualmente con lo status di "collettivita' sui generis", che ha sostituito quello precedente di "territorio d'Oltremare"). Nel corso di oltre dieci anni, a partire dal 1989, l'autrice ha trascorso lunghi periodi a Drueulu, insieme alla figlia, che ha frequentato la scuola elementare del villaggio. Ha cosi' partecipato ai momenti sociali della comunita', cerimonie nuziali, funebri, di cura, kermesse scolastiche e di villaggio, attivita' dei gruppi di donne e altri eventi collettivi, come la costruzione delle capanne, al tempo stesso praticando metodologie antropologiche, quali la raccolta di genealogie, le interviste-conversazioni e l'osservazione partecipante. E' cosi' cominciata una ricognizione dell'universo sociale, politico, ma anche umano, affettivo, della comunita' dell'isola, da parte della studiosa, che di questo universo si e' fatta parte integrante. Nel volume Paini si interroga sulla "fluidita' nel tempo dei confini della differenza, prendendo le distanze dalla contrapposizione Occidente/Altrove". Una differenza che da' visibilita' alle donne kanak in un orizzonte di inter-soggettivita' attiva, senza riportare il discorso - come sarebbe possibile, data la storia di dominazione coloniale di queste isole - al confronto tra cultura locale e culture europee. Sono le donne, dunque, al centro di questa ricerca. Donne che vengono seguite nella quotidianita', nelle interazioni sociali, nelle forme della sessualita', nelle modalita' di scambio e nelle ideologie. Da qui, anche, il titolo del volume (corredato da un glossario, da una sezione iconografica e da un'ampia bibliografia), ricavato da una immagine usata dal grand chef Pierre Zeula nel rivolgersi a un'assemblea di donne kanak riunite a Drueulu: la donna e' "il canestro, quella che porta il bambino in grembo, quella che porta l'aquilone (l'uomo). Se il filo si rompe, l'aquilone vola via... l'origine della vita siete sempre voi". 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 427 del 16 aprile 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Voci e volti della nonviolenza. 168
- Next by Date: Coi piedi per terra. 88
- Previous by thread: Voci e volti della nonviolenza. 168
- Next by thread: Coi piedi per terra. 88
- Indice: