Nonviolenza. Femminile plurale. 139



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 139 del 15 novembre 2007

In questo numero:
1. "Usciamo dal silenzio": Non toccate la nostra liberta'
2. Lea Melandri: L'esperienza del corpo
3. Delaram Ali: Una lettera aperta
4. Emily Wax incontra Asma Jahangir
5. Anna Puglisi e Umberto Santino ricordano Tomoko Takahashi
6. Benedetto Vecchi intervista Naomi Klein

1. RIFLESSIONE. "USCIAMO DAL SILENZIO": NON TOCCATE LA NOSTRA LIBERTA'
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.univeritadelledonne.it) riprendiamo il seguente documento di "Usciamo
dal silenzio" redatto dall'assemblea del 7 novembre 2007 a Milano]

14 milioni di donne tra i 15 e i 60 anni hanno subito, nel corso della loro
vita, una qualche forma di violenza: sessuale, fisica, psicologica.
Soltanto il 18,2 per cento di loro ha saputo vedere quella violenza e
riconoscerla come un reato.
Il 95 per cento delle violenze non e' mai stato denunciato.
La maggior parte delle violenze avviene in casa o per mano di un uomo
conosciuto.
Il 69,7 per cento degli stupri e' ad opera del partner. Partner ed ex sono
responsabili della maggior parte delle violenze fisiche.
57 donne sono state uccise in Italia nei primi sei mesi del 2007.
La violenza contro le donne ci riguarda tutte, ci minaccia, non ci riconosce
libere.
La violenza contro le donne non e' un destino per nessuna. Ne' in casa, ne'
fuori.
La violenza contro le donne non e' cronaca nera, ma e' figlia del rapporto
di potere tra gli uomini e le donne, sia nella loro relazione intima che
sulla scena pubblica.
La violenza contro le donne non e' un fatto privato, ma una misura
dell'assenza di democrazia.
La violenza contro le donne esige parola pubblica e parola di donne e
uomini.
La violenza contro le donne non ha passaporto, non puo' essere
strumentalizzata addebitandola alla presenza degli stranieri in Italia,
dando cosi' vita a un clima da allarmante xenofobia.
*
Andiamo in piazza il 24 novembre a Roma per:
- ribadire che la violabilita' storica del corpo delle donne e' l'origine
della violenza e riaffermare che la liberta' delle donne e' alla base della
convivenza tra le persone;
- rifiutare ogni scorciatoia che iscrive ad una questione di sicurezza
urbana il tema della violenza e che la lega al fenomeno migratorio;
- spezzare il silenzio che, in particolare, copre la violenza che avviene
tra le mura domestiche;
- rompere la solitudine delle donne che subiscono violenza - fisica,
psicologica, economica - e che devono trovare sostegno e condivisione
nell'uscirne.
*
Il 24 novembre chiederemo ancora una volta parola pubblica in tema di
violenza e assunzione di responsabilita' da parte di chi governa.
La questione della violenza deve trovare nell'agenda politica, come in altri
paesi e' successo, la stessa centralita' che ha nella vita delle donne.
Vogliamo l'approvazione rapida delle misure che i centri antiviolenza
sollecitano quali quelle contro lo stalking (persecuzione continuativa),
perche' va a colpire il prologo di violenza dei troppi omicidi di donne nel
nostro Paese, e l'estensione della legge Mancino contro l'omofobia
sollecitata dal movimento glbt.
*
Vogliamo una legge che sia per le donne e non per la famiglia.
Una legge che sostenga la loro liberta' di scelta e il loro bisogno di
riprendere in autonomia il filo della propria vita.
Una legge che affronti la radice culturale della violenza come sintomo
dell'ineguaglianza, che investa i poteri pubblici della responsabilita' di
prevenirla, individuarla e combatterla in sinergia tra loro e usando delle
competenze della rete dei centri antiviolenza e del movimento delle donne.
Una legge che, attraverso campagne di educazione al rispetto e la
sensibilizzazione di media e pubblicita' contro gli stereotipi sul corpo
femminile e sui ruoli, si dia intera l'ambizione di contribuire a un nuovo
disegno di convivenza civile tra tutte le donne e tutti gli uomini che
abitano il nostro Paese.

2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: L'ESPERIENZA DEL CORPO
[Da "Una citta'", n. 151, 2007 riprendiamo il seguente intervento
(disponibile anche nel sito: www.unacitta.it).
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997;
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa
del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby
Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le
passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

La violenza contro le donne c'e' da sempre, quotidiana, apparentemente
inarrestabile. Il dibattito sul tema si e' riacceso a partire da quella che
nell'estate 2006 e' stata presentata dai mass media come un'emergenza,
ovvero una serie ripetuta di violenze nelle citta', in particolare a Milano.
Il problema tuttavia non nasce oggi, ne' riguarda - come alcuni
preferirebbero, e come e' stato scritto sui giornali - l'immigrazione, cioe'
la presenza di culture che appaiono arretrate rispetto alla condizione
femminile. I dati che cominciano da alcuni anni a circolare, nei rapporti
internazionali, segnalano una verita' scomoda e inquietante, da cui
preferiremmo distogliere gli occhi, cioe' che la violenza avviene
soprattutto nelle case, il che significa che entra nei rapporti piu' intimi
e va a confondersi con l'amore.
La riflessione che ne consegue, ma che raramente emerge, e' che l'uomo si
accanisce contro il corpo cui deve la nascita, le prime cure, le prime
sollecitazioni sessuali. Mi domando il motivo di questo silenzio, perche'
ritengo che, al contrario, sia importante esprimersi sulla confusione tra
violenza e amore, tanto piu' che, probabilmente, e' proprio questo tragico
annodamento che impedisce alle donne di riconoscere la violenza. Se non la
denunciano, spesso non e' per paura, bensi' per il fatto che non la sanno
ancora distinguere dall'amore.
Serve percio' una riflessione su cosa rappresenti questo corpo femminile che
l'uomo incontra nel momento della sua maggiore dipendenza, in una condizione
di estrema inermita', ma che e' anche il corpo che incontra nella vita
amorosa adulta e con cui sogna di ristabilire un'appartenenza intima, di
rivivere in qualche modo l'originale fusione con il corpo della madre.
E' un percorso che purtroppo non si esaurisce con l'infanzia: l'estrema
dipendenza, l'indispensabilita' reciproca si prolungano ben oltre i bisogni
di un bambino. Confinando la donna nel ruolo di madre, l'uomo ha costretto
anche se stesso a restare in qualche modo figlio.
*
La famiglia e' un altro tema che il femminismo non ha sviluppato
adeguatamente negli anni '70, che e' rimasto sospeso, e che meriterebbe
davvero di essere oggetto delle nostre riflessioni. La famiglia
istituzionalizza l'infanzia, cioe' conserva rapporti di dipendenza e di
indispensabilita' reciproca ben oltre il bisogno. Sappiamo come gli uomini
riescano a trasformare in madre una moglie, un'amante, ma anche una figlia o
una sorella, ed e' la persistenza del ruolo materno che crea delle forti
pulsioni aggressive all'interno di questi legami, come se l'uomo scoprisse
la dipendenza nel momento in cui la donna compie un leggero spostamento,
quando non e' piu' a disposizione, non rappresenta piu' il corpo che l'uomo
ha creduto di possedere. Gran parte degli omicidi avviene oggi perche' le
donne si sono separate, si sono allontanate. Cio' significa che l'uomo tende
a non prendere atto della sua dipendenza, non si accorge che puo' godere di
liberta' nella vita pubblica solo perche' esiste una condizione di base che
gliela assicura.
Se le donne non garantissero la cura dei bambini e degli anziani, l'uomo non
avrebbe la liberta' di muoversi nel mondo, di adempiere il suo ruolo
pubblico. Quando l'aggressore non ha il volto dello sconosciuto incontrato
in strada, ma quello di colui che mangia alla tua tavola, dorme nel tuo
letto, l'offesa perde ovviamente i suoi contorni, e ne conseguono tentativi
di comprensione, di adattamento. Se oggi le donne sono piu' disposte a
denunciare la violenza, forse e' perche' cominciano a riconoscerla, a
distinguerla dall'amore, e mi auguro anche perche' percepiscono solidarieta'
e forza da parte delle altre donne.
Non dobbiamo dimenticare che la legge che punisce la violenza sessuale come
reato contro la persona e' nata dall'impegno del movimento femminista.
*
Altro punto importante e' il rapporto con la vita pubblica. L'amore e' cosi'
contiguo alla violenza non per una bizzarria della natura, che avrebbe
mescolato le pulsioni di vita e di morte, ma perche' si colloca nel cuore
del dominio storico di un sesso sull'altro, da cui non puo' essere
disgiunto, aspetto questo che costituisce anche la particolarita'
dell'oppressione e del dominio maschile. Dobbiamo dunque affermare
chiaramente che quanto accade all'interno delle case e' strettamente legato
a quanto avviene nella vita pubblica, da cui le donne sono state escluse e
in cui, nonostante leggi di pari opportunita', stentano ancora ad entrare.
La donna e' stata identificata con il corpo, un corpo che l'uomo ha ritenuto
sua proprieta', che ha considerato una risorsa. Spesso si sente usare questa
definizione, anche dai politici: le donne sono "una risorsa". Viene da
pensare che si tratti di una risorsa come l'acqua, il petrolio, che gli
uomini hanno sfruttato a proprio vantaggio. Si tratta di un corpo che hanno
controllato e controllano all'eccesso, basti pensare al problema
dell'aborto, alla legge 40, agli esempi che abbiamo dinanzi.
E' vero che lo stupro e l'omicidio sono le forme estreme della violenza
contro la donna, ma sarebbe un errore considerarli isolatamente, tanto piu'
che esiste una legge che li punisce. Non si tratta di fatti isolati; devono
essere collocati in linea di continuita' con una cultura che ha cancellato
la donna come persona, e che continua ad identificarla con il corpo.
Purtroppo anche nel modo con cui le donne pensano a se stesse, la donna
viene identificata essenzialmente con la funzione sessuale e biologica, con
la continuita' della specie, come testimonia l'accanimento con cui si
discute del problema della denatalita', quasi essa rappresentasse l'unico
aspetto preoccupante della questione del rapporto tra i sessi.
*
La cittadinanza delle donne, che pure e' ancora incompleta, continua a
convivere con l'idea di un "corpo vile", tanto che esse vengono
continuamente collocate nella schiera dei soggetti bisognosi. Dagli anni '70
in poi, l'elenco in cui di volta in volta vengono inserite e' sempre lo
stesso, con qualche variante legata al mutato contesto storico: prima con
gli studenti lavoratori o gli operai, adesso coi disabili, i precari, gli
anziani. Sono sempre, come tutti i "soggetti deboli", bisognose di controllo
e tutela. Questo fa si' che gli effetti storici del rapporto uomo-donna
continuino a restare celati dietro la "questione femminile", ovvero che gli
uomini parlino delle donne come fossero estranei alle problematiche
trattate. Ritengo che la violenza contro le donne, cosi' drammaticamente
presente all'interno delle famiglie, nasca in gran parte dalla vita
pubblica, come conseguenza del modo in cui e' nata la polis, con
l'esclusione delle donne, la loro riduzione a corpo che genera figli, e
garantisce il piacere sessuale, "corpo vile" su cui si poteva esercitare un
potere sovrano di vita e di morte.
Affermare questo significa esigere una radicale rivoluzione culturale. Il
problema va preso alla radice, rappresentata, per il versante privato, dal
modo in cui vengono educati i figli. La donna ha rappresentato finora un
corpo molto particolare, un corpo a cui si chiede di accudire altri corpi,
come quelli dei bambini, degli anziani e dei malati.
Un vero paradosso: un soggetto dichiarato debole viene gravato dei problemi
che la societa' non risolve.
*
Penso che gli uomini debbano cominciare ad occuparsi dei corpi, a partire
dai bambini. Vorrei vederli negli asili nido, vorrei che sapessero cosa
significa la fatica ma anche il piacere di crescere la vita, assistere un
anziano, curare la malattia. Finche' gli uomini non faranno questa
esperienza del corpo, continueranno a dare la morte con molta facilita'. La
necessita' di una rivoluzione culturale deriva dal fatto che il dominio
maschile, purtroppo, si identifica con una serie di convinzioni, di
pregiudizi, di luoghi comuni e anche di leggi, che si sono incuneate ormai
da millenni nelle istituzioni della vita pubblica, nella religione, nelle
norme morali, tanto che la divisione dei ruoli, di femminilita' e
maschilita', si puo' dire che la respiriamo fin dall'infanzia. Sono habitus
mentali che vanno sradicati.
Come abbiamo scritto nella lettera approvata dall'assemblea "Usciamo dal
silenzio" di Milano, gia' nel novembre scorso, e inviata a tutte le massime
autorita' dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica,
chiediamo una responsabilizzazione su questo, un'affermazione pubblica, che
prenda come occasione il 25 novembre, giornata dedicata alla violenza contro
le donne per dichiarare, possibilmente a reti unificate, che questo problema
riguarda gli uomini in quanto tali, perche' ritengo che uno degli strumenti
di potere piu' violenti sia rappresentato dalla "neutralita'" dietro la
quale gli uomini continuano a trincerarsi.

3. IRAN. DELARAM ALI: UNA LETTERA APERTA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente lettera aperta
di Delaram Ali del 2 novembre 2007.
Delaram Ali, attivista per i diritti umani delle donne, ha ricevuto una
sentenza a due anni e mezzo di prigione per aver partecipato ad una
manifestazione pacifica di protesta nel giugno 2006, dispersa con violenza
della polizia, durante la quale alla giovane donna e' stato spezzato un
braccio; assistente sociale, ha ventiquattro anni ed e' una delle
organizzatrici della campagna "Un milione di firme" che chiede uguaglianza
per le donne iraniane di fronte alla legge; il 10 novembre 2007 e' stata
condotta alla notoria prigione di Evin, a Teheran. Ne chiedono il rilascio
Amnesty International, Equality Now, la Federazione Internazionale per i
Diritti Umani, Front Line, Human Rights First, Women Living Under Muslim
Laws e líOrganizzazione mondiale contro la tortura]

In questi giorni sembra che i nostri scritti si siano trasformati in
lamentazioni, all'interno di un'elegia funebre che e' stata creata apposta
per noi. Lamentazioni per Zeinab, Nahid, Mahboubeh, Bahareh, Amir e ora
Ronak. Cosa ci avete fatto? Come siete riusciti a trasformare lo squillo del
telefono in un segnale di allarme? Cosa avete fatto per mutare il suono del
campanello nel terrore della ripetizione degli incubi del passato?
Fratello mio, lo sai che in questi giorni sogno? Sogno che un po' di noi
fanno gruppo in un piccolo parco, non so bene dove, e ci impegniamo in
conversazioni con i passanti, cosi' forse li convinceremo a firmare la
nostra petizione. Il guardiano del parco si avvicina, e quando ci raggiunge
ci offre del te'. Quando mi sveglio le lamentazioni restano, ma si sono
trasformate in un sogno. La verita' e' che questa volta una giovane donna e'
stata imprigionata, vive in un'altra citta', le sue parole sono calde, e
dolci, e senza vergogna, ed il suo accento e' colorato di resistenza.
Sua madre dice che siete arrivati in massa a mettere a soqquadro la casa, a
perquisirla. Dice che in questi giorni non fai che insultarla, che vi siete
portati via le firme che sua figlia Ronak aveva raccolto. Grazie. Spero che
riceverete la ricompensa adeguata per i vostri sforzi. La ricompensa
dev'essere grande, fratello, ricorda di non dar via nulla per meno del
giusto valore: dietro ogni firma che avete sequestrato molta energia e'
stata spesa. Dai quindici ai trenta minuti per ogni firma. Fa' i conti, non
vogliamo sentirci in debito con te. Nel frattempo, prima di consegnarle a
chi di dovere, date a quelle firme uno sguardo. Forse nel mezzo della lista
troverete il nome di vostra moglie, di vostra sorella, di vostra madre o di
vostra figlia. Vedi, fratello mio, e' in questo modo che la consapevolezza
si diffonde. Ora puoi andare ad arrestare tua figlia, confinare in casa tua
moglie, castigare madre e sorelle.
Fratello mio, noi ci siamo mosse oltre questo scenario, i semi sono stati
piantati, e non v'e' dubbio che daranno frutti, la cui dolcezza gusteremo
negli anni a venire.
Fratello mio, questa volta, quando torni nel tuo ufficio guarda attraverso
quelle firme, per capire quali nomi resteranno scritti nelle pagine della
storia. Credimi, la storia non reca traccia del cassetto della tua
scrivania, ne' cessa di esistere con esso, e neppure con i pezzi di carta su
cui scrivete accuse contro di noi.

4. PAKISTAN. EMILY WAX INCONTRA ASMA JAHANGIR
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it9 per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo
apparso sul "Washington Post" del 10 novembre 2007 dal titolo "Una
campionessa dei diritti umani".
Emily Wax e' una prestigiosa giornalista del "Washington Post", autrice di
molti importanti reportages.
Asma Jahangir, pakistana, e' avvocata, attivista per i diritti umani,
attualmente agli arresti domiciliari per il suo impegno]

Lahore, Pakistan. La donna guardia carceraria siede nel salotto di Asma
Jahangir, colmo di opere d'arte, e la guarda mentre sorseggia il te', fuma
una sigaretta e parla di quanto e' fiera di essere pakistana.
Jahangir, un'avvocata che dirige la Commissione per i diritti umani del
Pakistan, e' stata posta agli arresti domiciliari da sabato scorso, e da
allora il governo ha trasformato la sua casa a due piani in una prigione.
Piu' di venti guardie, alcune dotate di mitragliatori, stazionano nel suo
giardino e ufficiali in borghese spiano dalle finestre.
Il suo paese e' ora in subbuglio, dopo la dichiarazione dello stato di
emergenza da parte del presidente Pervez Musharraf, che ha incluso il
licenziamento della Corte Suprema e la detenzione di centinaia di leader
dell'opposizione, avvocati ed attivisti per i diritti umani. Ma Jahangir
rimane provocante e di buon umore: saluta con la mano i vicini di casa e
continua a lavorare su documenti che spiegano come ripristinare il primato
della legge, avere un sistema giudiziario indipendente e dare stabilita' al
Pakistan.
La vita sotto arresto e' stata "piacevole, e non mi ha urtata", mi ha detto
Jahangir, cinquantacinquenne e madre di tre figli, durante l'intervista che
le ho fatto in casa sua venerdi'. "Sono molto orgogliosa dei pakistani, e in
special modo dei nostri avvocati, che hanno parlato ed hanno avuto le teste
rotte per un Pakistan migliore. Siamo un popolo molto resistente. Io ho il
massimo rispetto per la dignita' ed il coraggio dei pakistani e vorrei che
il mondo riconoscesse questo lato del paese, un paese dove anche i
professionisti chiedono democrazia. E' uno spirito che non puo' essere
spezzato".
Il governo ha accusato Jahangir di terrorismo, ed ha ordinato il suo confino
nella sua propria casa per novanta giorni. Non puo' piu' recarsi al suo
ufficio, ma neppure sedere in giardino. Tuttavia, questo ha solo fatto
crescere la sua popolarita', e i media in Pakistan e all'estero la stanno
paragonando ad un'altra icona dei diritti umani, la birmana Aung San Suu
Kyi. I pakistani che vivono all'estero la stanno inondando di e-mail di
sostegno, dice Jahangir.
"Quando pensi ai diritti umani in Pakistan, pensi ad Asma Jahangir",
racconta Maria Hasan, di recente laureatasi all'Universita' per le scienze
del management di Lahore, uno dei teatri delle dimostrazioni contro lo stato
d'emergenza, "Lei e' la nostra eroina nazionale. Rischia molto e noi,
specialmente le donne, la ammiriamo davvero per questo".
Grazie alla pressione diplomatica, settanta leader della societa' civile,
inclusi docenti, poeti e medici, sono stati rilasciati dalle prigioni o
dagli arresti domiciliari domenica, allo scopo di partecipare ad una
riunione della Commissione per i diritti umani. Ma a Jahangir non e' stato
permesso lasciare la propria casa.
"C'e' un limite alla sopportazione della forza bruta da parte della gente",
dice, "Io ne sono preoccupata, il sangue versato non mi piace e non voglio
vedere questo nel mio paese". Quando le guardie carcerarie tentano di
ascoltare la nostra conversazione, Jahangir chiede loro gentilmente e
fermamente di andarsene: "Per favore, andate nell'atrio. Prendete una sedia
e rilassatevi. Non ascolterete l'intervista". E le guardie escono dalla
stanza.
Musharraf ha dichiarato che lo stato di emergenza era necessario per
combattere l'estremismo. Ma i critici fanno notare che in realta' ha preso
di mira l'opposizione politica e membri della societa' civile che egli vede
come una minaccia alla sua presa sul potere. Musharraf ha una volta invitato
Jahangir a far parte del governo, lei mi racconta, ma la donna ha rifiutato.
Piu' tardi il presidente l'ha accusata di anti-patriottismo per aver
espresso critiche a quella che lui chiama "la cultura pakistana".
*
Asma Jahangir, sua sorella ed altre donne fondarono il primo studio legale
completamente femminile in Pakistan. Alle loro prime uscite, i casi piu'
pubblicizzati riguardavano donne accusate di adulterio, che in Pakistan e'
un reato punibile con dieci anni di prigione e fustigazioni pubbliche. Dopo
anni di derisione e insulti, dicono le attiviste, Jahangir si e' guadagnata
come avvocata il rispetto persino dei suoi oppositori, grazie al duro
lavoro, alla capacita' di empatia ed all'aver vinto moltissimi processi.
Jahangir ha inoltre ricevuto numerosi premi internazionale per il suo lavoro
con le donne che cercano di divorziare da mariti violenti, con le
adolescenti minacciate di morte, e per i suoi sforzi contro l'estremismo.
Dice di sentirsi ispirata dalle tante e tante prigioniere che ha incontrato.
Ad esempio, e' diventata intima amica di una donna cieca, che era stata
accusata di adulterio dopo aver subito uno stupro di gruppo. Jahangir si
occupo' del caso, e mando' questa storia in giro per il mondo. La donna
venne rilasciata.
"Asma Jahangir e' una leader straordinaria, amatissima in un luogo in cui
gli eroi sono ben pochi", dice Ali Dayan Hasan, ricercatore nell'Asia del
sud per Human Rights Watch, "E Musharraf vuole ridurre al silenzio chiunque
metta in questione il suo dominio".
Jahangir, che ha ricevuto minacce di morte, dice di trovare le accuse contro
di lei del tutto ridicole, specialmente quelle che concernono il terrorismo.
"Musharraf crede veramente che io sia una terrorista?", ride addentando una
tartina di pomodori e spezie, "Una hooligan, una che va in giro a metter
bombe e a razziare e a creare terrore?".
Il suo orgoglio viene da una lunga storia familiare di attivismo. Suo padre
era un impiegato statale, che si licenzio' per protesta dopo il primo colpo
di stato militare in Pakistan. Era un idealista, dice Jahangir, che entro'
ed usci' di prigione durante tutta la sua infanzia. "Ogni volta in cui
venivano a prenderlo mi diceva: Faccio questo perche' tu possa vivere in un
paese piu' libero. Ora stiamo attraversando queste terribili doglie, nel
nostro paese. I soprusi devono essere fermati. Non si possono tollerare le
dittature. Ci sono troppi pakistani che subiscono violenza solo perche'
protestano. Ci sono le mogli degli avvocati che si sono vendute gli anelli
di nozze perche' i loro mariti non guadagnano piu' nulla o sono in galera.
Guarda in giro per il mondo, quanta sofferenza c'e'... Essere agli arresti
domiciliari e' il piu' piccolo dei sacrifici, il minimo che io posso fare".

5. LUTTI. ANNA PUGLISI E UMBERTO SANTINO RICORDANO TOMOKO TAKAHASHI
[Dal sito del Centro Impastato (per contatti: e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente ricordo di Tomoko Takahashi
dal titolo "Tomoko Takahashi. La mafia e il genere. Il movimento antimafia a
Palermo".
Anna Puglisi, prestigiosa studiosa e militante antimafia, e' impegnata
nell'esperienza del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato"
di cui e' una delle fondatrici. Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto
Santino (a cura di), La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta
Impastato, La Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio (a cura di), Con e
contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Centro
siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1988; Sole contro la
mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia, Centro Impastato,
Palermo 1998, Di Girolamo, Trapani 2005; con Umberto Santino (a cura di),
Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005.
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934.
Tomoko Takahashi, studiosa giapponese, socia del Centro Impastato, impegnata
nel movimento antimafia, e' recentemente deceduta]

Il 31 ottobre scorso ci ha lasciati Tomoko Takahashi, studiosa giapponese,
dal 1995 socia del Centro. Doveva venire a Palermo a settembre ma in una
lettera annunciava che stava male. Non pensavamo che fosse cosi' grave.
Tomoko aveva pubblicato degli studi di storia sociale, tra cui Il
Rinascimento dei trovatelli. Il brefotrofio, la citta' e le campagne nella
Toscana del XV secolo. Seguiva le attivita' del Centro con partecipe
interesse e recentemente aveva pubblicato un saggio sul ruolo delle donne
nel movimento antimafia. Aveva anche curato la traduzione di un testo per il
volumetto La mafia spiegata ai turisti, in corso di stampa.
Tomoko e' venuta a trovarci piu' volte e i suoi soggiorni a Palermo sono
stati sempre brevi ma intensi. Purtroppo due anni fa ha vissuto l'esperienza
di uno scippo violento e siamo stati al suo fianco anche nelle traversie
alla Questura e al Palazzo di Giustizia. Malgrado cio', il suo rapporto con
Palermo e' stato sempre positivo, a volte gioioso (ricordiamo i
pellegrinaggi nel centro storico alla ricerca di un edificio restaurato, tra
le macerie della guerra).
Cara Tomoko, ti ricordiamo con rammarico per non aver potuto farti sentire
la nostra amicizia nei tuoi ultimi giorni e con grande tristezza per non
averti piu' tra noi.
Anna e Umberto
*
In attesa di una traduzione integrale, pubblichiamo una traduzione del
Summary in inglese del suo saggio apparso sulla rivista "Women's Studies
Forum" nel marzo del 2007.
Tomoko Takahashi, La mafia e il genere. Il movimento antimafia a Palermo
La mafia siciliana, un gruppo organizzato di criminali simile alla Yakuza
giapponese, non e' pienamente conosciuta neppure in Italia. Storicamente,
essa ha sviluppato una stretta relazione con il potere politico. Per gli
anni piu' recenti, e' difficile analizzare le attivita' mafiose, poiche' si
camuffano come imprese di costruzione e grandi societa' industriali.
I segreti della mafia siciliana, originariamente un'associazione solo
maschile, sono stati impenetrabili. Ma dopo gli anni '80, le autorita'
giudiziarie hanno condotto delle importanti inchieste sul quadro completo
dell'organizzazione segreta. E negli anni '90 articoli intitolati, per
esempio, "Un movimento delle donne nella mafia?" sono apparsi sulla stampa
italiana.
Il saggio e' basato sulle ricerche svolte dal Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" che e' il primo centro studi sulla mafia
sorto in Italia. Ricostruiremo il passato e il presente della mafia e
condurremo un'analisi di genere di un'organizzazione maschile. Il saggio
esamina anche i rapporti tra le donne e la mafia, parlando di parecchie
donne che sostengono l'organizzazione criminale o vivono in stretto rapporto
con la mafia. Infine, parleremo delle attivita' di Giuseppe Impastato,
ucciso nel 1978 per le sue denunce della mafia, a cui e' stato dedicato un
film del 2000. Seguiremo le lotte giudiziarie per salvare la sua memoria
svolte dalla sua famiglia e dai suoi compagni per piu' di venti anni, le
attivita' dell'"Associazione delle donne siciliane per la lotta contro la
mafia" e le recenti attivita' antimafia dei giovani di Palermo.
Speriamo che il saggio porti nuova luce sui mutamenti della societa'
siciliana e sui rapporti tra le donne e la mafia.

6. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA NAOMI KLEIN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2007 col titolo "Naomi Klein:
il mondo alla rovescia del libero mercato" e il sommario "Non c'e' stata
nessuna rivolta delle elite, ma una vera e propria controrivoluzione.
Intervista con l'autrice di 'Shock economy', in Italia per presentare il suo
libro. La privatizzazione dei beni comuni e dei servizi sociali sara' piu'
graduale che in passato, mentre maggiore attenzione sara' dedicata al
conflitto di interessi. Ma e' consolatorio affermare che stiamo assistendo
al declino del neoliberismo".
Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il
manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita'
a Zygmunt Bauman.
Naomi Klein, giornalista e saggista, e' l'autrice di No logo (un libro
giornalistico-saggistico che ha avuto una circolazione e un'influenza assai
ampia), ed e' vivace militante, testimone e studiosa del "movimento dei
movimenti" che si batte contro guerra e ingiustizie globali; nel 2004 ha
realizzato, con il regista Avi Lewis, The Take - La presa, un documentario
presentato a Venezia e premiato al festival dell'American Film Institute di
Los Angeles. Opere di Naomi Klein: Mo logo, Baldini & Castoldi, Milano 2001,
2007; Recinti e finestre, Baldini & Castoldi, Milano 2003; Shock economy,
Rizzoli, Milano 2007]

L'uscita di Shock economy (Rizzoli, pp. 620, euro 20,50) ha avuto una
critica stizzita del premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, che ha
riconosciuto a Naomi Klein il merito di denunciare l'"estremismo" dei
neo-con. Allo stesso tempo, pero', Stiglitz ha sostenuto, sul "New York
Times" del 30 settembre, che quelle dell'attuale amministrazione
statunitense sono solo degenerazioni, perche' l'economia di mercato e' il
migliore strumento, se usato bene, per promuovere il benessere collettivo.
Dunque, per Stiglitz, il problema non e' il modello sociale ed economico che
il neoliberismo propone, quanto le persone che lo realizzano. "Non credo -
afferma Naomi Klein - che il problema siano gli errori umani. Il
neoliberismo e' stata una vera e propria controrivoluzione.
Possono pure cambiare gli uomini, ma gli obiettivi rimangono sempre gli
stessi: muovere una guerra di classe contro i lavoratori e privatizzare i
servizi sociali".
L'intervista che segue e' avvenuta a Roma, lasciando all'intervistatore
l'amaro in bocca. Tante le domande da fare, poco il tempo a disposizione.
*
- Benedetto Vecchi: Nel tuo libro descrivi l'ascesa e l'affermazione del
neoliberismo come un prodotto da laboratorio. Da una parte, la scuola di
Chicago con Milton Friedman che "dava la linea". Dall'altra alcuni
esperimenti pilota per poi applicare quelle dottrine nel Nord America, in
Europa...
- Naomi Klein: Negli anni Cinquanta e Sessanta Milton Friedman era
considerato un nostalgico di un'economia di mercato che non esisteva piu'.
Il pensiero economico dominante era di tipo keynesiano. Le tesi della scuola
di Chicago erano considerate l'espressione di un estremismo ideologico a
favore del libero mercato fuori dalla realta'. L'economia statunitense era
prospera grazie all'intervento statale e alla "collaborazione" tra sindacati
e imprese. Tutto sembrava andare in un'altra direzione da quello che
sosteneva Friedman. Certo la sua apologia del libero mercato era sicuramente
piu' aderente agli interessi delle grandi corporation, ma nessun manager
sarebbe intervenuto per sostenerlo. Allo stesso tempo, pero', Friedman ha
ricevuto ingenti finanziamenti da fondazioni prestigiose, nonche' dal
governo per continuare le sue ricerche. Le teorie economiche della scuola di
Chicago non erano solo espressione di un'ideologia, ma anche di precisi
interessi economici, quelli del big business. Molti studiosi o analisti
spesso descrivono il neoliberismo come una rivolta delle elite per sottrarsi
al controllo dello stato. Non sono d'accordo, perche' la storia della scuola
di Chicago puo' essere considerata la cover story di una controrivoluzione,
di una guerra di classe contro i sindacati e i diritti sociali dei
lavoratori.
*
- Benedetto Vecchi: Tu sottolinei che l'insicurezza e i disastri ambientali
sono usati come grimaldello per imporre politiche neoliberiste. Non credi,
pero', che proprio l'insicurezza possa diventare la spinta per un
rafforzamento del welfare state? In fondo, lo stato sociale nasce anche per
risolvere lo "shock collettivo" che aveva colpito gli Stati Uniti e l'Europa
negli anni Trenta e Quaranta.
- Naomi Klein: Gli shock collettivi possono essere usati per introdurre
politiche neoliberiste se gli uomini e le donne sono disorientati, soli, se
cioe' sentono la loro condizione come precaria. In Italia, sono all'opera
movimenti sociali che si battono contro la precarieta' dei rapporti di
lavoro, per i diritti dei migranti, contro la guerra. Il problema e' se
riescono a dare continuita' alla loro azione, perche' solo un loro
rafforzamento puo' aiutare nella resistenza alle politiche neoliberiste.
Prendiamo Vicenza: il progetto di ampliare la base militare statunitense ha
incontrato l'opposizione di gruppi, associazione, centri sociali. A Vicenza
sono state evocate pessime prospettive per il suo sviluppo se i lavori
saranno bloccati. Finora, la presenza dei movimenti sociali ha creato le
condizioni affinche' il ricatto sia stato rifiutato da parte della
popolazione. Prendiamo la precarieta' dei rapporti di lavoro. Ci sono
movimenti che si battono contro di essa e per estendere anche ai precari i
diritti del lavoro. Finora sono riusciti ad organizzare una parte del lavoro
precario. Il passo successivo e' di coinvolgere sempre piu' uomini e donne,
riuscendo a depotenziare il ricatto a cui sono sottoposti molti lavoratori e
lavoratrici. Credo, cioe' che i movimenti debbano darsi un'organizzazione
stabile, meno effimera per rafforzare la loro azione. Nei miei viaggi di
lavoro incontro uomini e donne che sentono moltissimo questa urgenza
politica di dare continuita' e forza alla loro azione politica. Possono
forse peccare di ottimismo, ma mi sembra che molti movimenti si stanno
muovendo in questa direzione. Per quanto riguarda la tua domanda, anche io
credo che bisogna sviluppare un altro tipo di organizzazione sociale. Non
ritegno pero' che questa nuova organizzazione sociale debba essere
introdotta dall'alto. Deve essere infatti sviluppata dal basso.
*
- Benedetto Vecchi: Nel tuo libro scrivi che il neoliberismo si caratterizza
non tanto per l'occupazione dello stato, ma per la privatizzazione di alcune
funzioni che gli competono, dalla difesa nazionale alla sanita' alla
formazione scolastica. C'e' stato poi lo scandalo della societa' di
"contractors" Blackwater in Iraq e molti analisti hanno denunciato come
folle la privatizzazione della difesa nazionale. Stiamo assistendo al
declino del neoliberismo? Oppure sono solo scosse di assestamento?
- Naomi Klein: Il caso dell'uragano Kathrina e' emblematico. Nei primi
giorni dopo l'inondazione di New Orleans i media statunitensi hanno puntato
l'indice contro le politiche di disinvestimento dell'amministrazione Bush
per quanto riguarda la protezione ambientale. Appena le acque hanno
cominciato a ritirarsi, gran parte dell'establishment liberista ha visto
nell'uragano la mano divina che consentiva di cacciare gli abitanti poveri e
gli afroamericani per lasciar spazio alle imprese private. Non credo dunque
che il neoliberismo sia giunto al capolinea. E' ovvio che lo scandalo della
Blackwater qualche problema lo pone per i neoliberisti. Ma nei media
mainstream non viene criticato il modello neoliberista, bensi' l'operato di
una singola impresa, in questo caso la Blackwater. Tutt'al piu' viene
invocata una maggiore sorveglianza sull'operato di un'impresa privata che
svolge una funzione statale, pubblica. Stiamo assistendo a un mutamento
delle politiche neoliberiste. Ci sara' maggiore attenzione al conflitto di
interesse, che negli Stati Uniti e anche qui in Italia e' giunto al
parossismo. Oppure, l'applicazione delle politiche neoliberiste sara' piu'
graduale. Affermare pero' che siamo alla crisi del neoliberismo e' un
azzardo analitico autoconsolatorio.
*
- Benedetto Vecchi: In Italia c'e' molto interesse per le primarie del
partito democratico negli Stati Uniti e la competizione tra Hillary Clinton
e Barak Obama. Possono i movimenti sociali condizionare gli esiti delle
primarie nel partito democratico?
- Naomi Klein: E' strano che lo chiedi a me che sono canadese. Non sono
molto interessata al fatto che Hillary Clinton rappresenti gli olds
democratics e Obama i news democratics. E trovo strano che un italiano sia
interessato al conflitto tra Hilary e Obama.
*
- Benedetto Vecchi: La politica statunitense ha da sempre condizionato
quella italiana. E poi tu vivi in un osservatorio privilegiato come e' il
Canada. Tuttavia cio' che mi interessa capire e' quale rapporto - di
conflitto, di cooptazione - i movimenti sociali negli Stati Uniti voglio
intrattenere con il potere politico e la politica istituzionale...
- Naomi Klein: Il processo elettorale statunitense e' molto complicato e
consuma tempo, energie e soldi. Se un movimento sociale prova a condizionare
l'esito di primarie o di una competizione elettorale rimane quasi sempre
intrappolato nei meccanismi politici americani. Lo ha fatto Ralph Nader e
non e' andato molto bene. Lo ha fatto Move On, rischiando di diventare solo
una componente del partito democratico. Negli Stati Uniti c'e' stato un
appuntamento che i media hanno quasi del tutto ignorato. Mi riferisco al
primo social forum statunitense a Atlanta. Centinaia di gruppi,
associazioni, migliaia di attivisti si sono incontrati per conoscersi e
discutere sul che fare. I pochi giornalisti che sono andati ad Atlanta sono
rimasti meravigliati, perche' vedevano uomini e donne che discutevano di
poverta', di emarginazione, di diritti dei migranti, di mancanza di lavoro,
di diritto alla sanita' e all'istruzione pubblica, di pacifismo, proponendo
iniziative di lotta e alternative praticabili al neoliberismo senza
aspettare che il partito democratico presti loro attenzione. In altre
parole, penso che i movimenti sociali devono sviluppare la loro iniziativa,
organizzarsi, sviluppare una sorta di contropotere senza attendere
l'esistenza di un candidato che prometta di rappresentare le loro proposte o
che il loro punto di vista entri nell'agenda politica di un qualche partito.
*
- Benedetto Vecchi: I movimenti sociali, almeno qui in Europa, non godono di
buona salute. Ci sono state importanti mobilitazioni contro la precarieta'
in Francia in Italia. Il movimento pacifista inglese ha continuato a portare
in piazza centinaia di migliaia di persone. Eppure sono innegabili le
difficolta' dei movimenti sociali. Non credi che queste difficolta' derivi
anche dal fatto che il movimento dei movimenti, per usare un'espressione a
te molto cara, non riesca a svolgere una lettura critica del mondo attuale e
dunque a sviluppare forme di lotta e di organizzazione adeguate?
- Naomi Klein: Concordo. Anche negli Stati Uniti i movimento sociali
antiliberisti sono in difficolta'. Secondo me, in Nord America, ma credo che
questo possa valere anche per l'Europa, le difficolta' derivano dalle
conseguenze dell'attacco alla Torre Gemelle. L'11 settembre ha cambiato il
mondo. Il problema e' capire come lo ha cambiato. C'e' stata la guerra in
Afghanistan, poi in Iraq. Guantanamo. Le crisi economiche. Non riusciamo
pero' ancora a cogliere il senso pieno di quello che e' accaduto dopo le
Twin Towers. Ci vorra' tempo per capirlo. Spero di contribuire, come molti
altri, a capirlo. Mi piace pensare che questo libro sia un piccolo
contributo a capire come e' cambiato il capitalismo.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 139 del 15 novembre 2007

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