Minime. 188



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 188 del 21 agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
0. Una comunicazione di servizio
1. Maso Notarianni: Storia di Abdullah, di dodici anni
2. Maria G. Di Rienzo: Notizie d'agosto
3. Arwa Damon: Per dar da mangiare ai nostri bambini
4. Gulio Vittorangeli: A forza di essere vento
5. Gianfranco Conforti: Follia nella guerra, follia della guerra
6. Letture: Franz Jaegerstaetter, Scrivo con le mani legate
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

0. UNA COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Con vivo dispiacere informiamo i lettori che nei giorni scorsi abbiamo avuto
problemi tecnici nella ricezione della posta elettronica e temiamo che molte
e-mail che ci sono state inviate non ci siano affatto pervenute (dai primi
riscontri effettuati sono almeno alcune decine, e temiamo che possano essere
centinaia).
Saremmo assai grati a tutte le interlocutrici e gli interlocutori che ci
avessero scritto e non avessero ottenuto riscontro alcuno se ci inviassero
di nuovo le loro comunicazioni, i loro interventi e le loro lettere.
Siamo desolati per l'accaduto, e fin d'ora ringraziamo tutte e tutti per la
pazienza e la gentilezza.

1. AFGHANISTAN. MASO NOTARIANNI: STORIA DI ABDULLAH, DI DODICI ANNI
[Da "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo
del 13 agosto 2007, li' pubblicato col titolo "Abdullah, il pericoloso capo
talebano", e il sommario "La testimonianza di un bambino di 12 anni sul raid
Nato di giovedi' 2 agosto".
Maso Notarianni, giornalista, e' impegnato nell'esperienza
dell'organizzazione umanitaria Emergency e dirige "Peacereporter"]

"PeaceReporter" sta provando, voce isolata, a raccontare quello che accade
in Afghanistan, dove la Nato, quella buona secondo il nostro ministro degli
esteri, sta bombardando i villaggi del sud, facendo ogni giorno una strage
di civili inermi.
I rapporti delle missioni aeree parlano sempre di talebani uccisi, talebani
colpiti, assembramenti di truppe nemiche.
Questo permette ai giornali, e ai politici di conseguenza, di distinguere
tra due missioni: quella cattiva, Enduring freedom, a cui partecipano gli
Usa, la Gran Bretagnia e altri alleati minori e quella Isaf, a cui partecipa
anche l'Italia, e che ci viene spacciata per una missione di pace.
Venerdi' abbiamo pubblicato le fotografie, terribili, dei feriti di un raid
della Nato di cui quasi nessuno ha dato notizia. Un raid in cui, secondo le
testimonianze locali, la  Nato avrebbe provocato tra le trecento e le
cinquecento vittime, tra morti e feriti.
Oggi pubblichiamo questa testimonianza. A parlare e' Abdullah, attraverso il
racconto di un ortopedico di Emergency, Danilo Ghirelli, che lo ha
incontrato nell'ospedale di Lashkargah.
Eccolo dunque, il pericoloso capo talebano colpito dalle bombe della nostra
Nato.
*
Stamattina il giovane Abdullah, 12 anni portati bene, e' in vena di
confidenze e dopo la parte ufficiale della visita medica mattutina al ward
"A" che dai sorrisi e gli sbadigli dello staff nazionale e internazionale si
intuisce abbia trovato il ragazzino in buone condizioni, per la prima volta
racconta la sua storia.
Seduto sulla carrozzina con uno scialle bianco sulle spalle inizia a parlare
come se fosse l'insegnante della madrassa, accompagnando le parole con gesti
misurati e una mimica che non gli avevo mai visto durante i giorni duri
delle medicazioni delle tante ferite e del tempo passato a guardare il
soffitto della camerata.
La audience ammutolisce, si commuove e si diverte ad ascoltare il pischello
che con parole da adulto fa la cronaca di un giorno iniziato come tanti
altri e finito con il bilancio di due fratelli uccisi e una gamba in meno.
Racconta di un campo di granturco che quella mattina stava irrigando insieme
ai due fratelli un po' piu' grandi di lui.
Gli chiedo se le piante erano ancora piccole e lui con lo sguardo interroga
gli altri ascoltatori, interdetto da una domanda cosi' stupida. Mi risponde
che le sue piante sono piu' alte di me, con l'aria fiera di un vecchio
contadino e la compassione verso un dichiarato incompetente.
Aveva quasi finito il suo lavoro. Un rumore prima lontano e poi piu'
distinto e familiare lo aveva fatto sobbalzare. Mentre il tuono degli aerei
si avvicinava, ha guardato il cielo blu fra le foglie e le pannocchie verdi.
Nell'istante successivo, il boato delle bombe e il dolore della sua gamba
massacrata si fondevano in una cosa sola.
Adesso, a quel ricordo, si ferma e guarda nel vuoto.
Vorremmo sapere se ha visto i suoi fratelli in quei momenti. Senza piangere
e con l'aria di non volerne parlare mi risponde di no. Solo il giorno dopo
aveva saputo da suo padre che erano morti sotto le bombe.
Abdullah si aggiusta lo scialle e capiamo che vuole essere lasciato solo.

2. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: NOTIZIE D'AGOSTO
[Rngraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo
articolo.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

"Ci impegniamo a rispettare il pluralismo, ad accettare la diversita' di
opinioni e a non operare discriminazioni basate sulla religione, la razza,
il colore della pelle, il sesso e la cultura". E' la base del "Codice etico
professionale" redatto da 60 giornaliste, provenienti da 22 paesi in cui si
parla arabo, che si sono riunite ad Amman, in Giordania, alla fine di
giugno. Le giornaliste, per la maggior parte fra i 25 e i 35 anni d'eta',
propongono tale Codice in sostituzione di quello precedente ("Codice etico
del giornalismo arabo"), datato 1972, che non risponde piu' alle mutate
condizioni dei lavoratori dei media nel mondo arabo. Le giovani
professioniste hanno inteso anche fare luce sulle discriminazioni di genere
che devono affrontare tutti i giorni: ad alcune non viene permesso di
lasciare l'ufficio o di lavorare in determinate ore (per legge); ad altre
viene imposto l'uso del velo sul posto di lavoro; agli uomini vengono pagate
le trasferte e concessi i passaporti e alle donne no; i loro stipendi sono
sempre minori di quelli degli uomini e vengono persino considerate "femmine
che e' meglio non sposare". Non che siano molto preoccupate per quest'ultimo
punto: tutte hanno attestato che quello che desiderano in primo luogo non e'
un marito, ma liberta' di stampa ed equita' di genere.
*
Le due questioni sembrano inestricabilmente legate, soprattutto in questi
giorni nello Yemen, dove dal 16 luglio scorso le giornaliste e la societa'
civile protestano e tengono sit-in davanti al palazzo del governo. L'agenzia
di stampa femminile yemenita "Giornaliste senza catene" e' stata infatti
bloccata dal governo, che le impedisce di distribuire il proprio lavoro.
Perche'? "Perche' e' un servizio prodotto da donne", hanno risposto
candidamente i funzionari.
*
Alle Barbados il governo si avvale di un Ufficio per gli affari di genere
che ha appena lanciato (in agosto) il "Gender Management System": una rete
di strutture, meccanismi legislativi e buone pratiche che avra' la funzione
di monitorare l'implementazione dell'analisi di genere, a cominciare dai
propri ministeri e uffici. Duecento persone sono gia' state formate per
seguire il programma. L'iniziativa fa parte del "Piano strategico nazionale"
e sara' completamente operativa nel 2008. La direttrice dell'Ufficio citato,
Nalita Gajadhar, ha spiegato che il piano d'azione si e' evoluto attorno a
quattro indicatori: "Genere, diritti umani e legge"; "Genere e sradicamento
della poverta'"; "Genere e benessere economico"; "Genere ed istruzione
pubblica". Nalita Gajadhar ha anche dichiarato che uno sviluppo
"sostenibile" e' irraggiungibile senza equita' di genere.
*
"Facciamo due passi avanti e tre indietro". E' l'amaro commento di
un'impiegata di banca di Riyadh alle nuove misure che le sono state imposte
sul lavoro dalla fine del giugno scorso. Non e' la sola a protestare, ma
sembra che il governo dell'Arabia Saudita non voglia assumersi
responsabilita' e non stia ascoltando. Le impiegate di banca sono infatti
state bandite dagli uffici "misti" e segregate per sesso in reparti loro
destinati (a piano terra, di modo che non debbano prendere l'ascensore con i
colleghi di sesso maschile). Non possono spostarsi, e devono trattare con
gli uomini tramite telefono o stando dietro un paravento. "E' per
scoraggiarci", dicono le lavoratrici, "Vogliono che lasciamo il lavoro.
Sara' difficile rovesciare questa situazione, perche' la gerarchia religiosa
ha stabilito che le nostre azioni sono offensive. Sara' difficile, ma noi
non torneremo a casa".
*
In India, invece, la Corte Suprema di Allahabad ha sentenziato il 7 agosto
che la segregazione per sesso nelle scuole e' "una pratica obsoleta",
nonche' "una violazione degli articoli 14 e 15 (diritti fondamentali) della
Costituzione". Le studentesse, ha aggiunto il giudice Sunil Ambawani, devono
avere la possibilita' di scegliere che istituti frequentare e l'opportunita'
di raggiungere i piu' alti gradi d'istruzione. La questione e' finita
davanti ad un tribunale grazie alla denuncia di un comitato di studentesse
del distretto di Jalaun, alle quali il governo regionale permetteva di
frequentare determinate scuole, riservate ai maschi, solo se esse fossero
riuscite a dimostrare che non vi erano istituti femminili alla loro portata.
E poi c'e' chi dice che non c'e' niente da imparare dalle giovani...
*
"Alcuni uomini vengono qui per prenderci in giro, e ridono di noi. Come puo'
una donna dirigere un negozio?, dicono. Ma io non lascio che lo facciano, li
contrasto. Sono felice di fare questo lavoro, era quello che sognavo, ma
pensavo che non ci sarei mai riuscita in un ambiente cosi' difficile. Oggi
non ho piu' paura, e penso che noi donne possiamo fare tutto". E' Raqiba,
afgana quarantenne, a dire questo. Assieme ad altre quattro pioniere, tiene
aperto uno dei cinque negozi gestiti da donne che sono stati aperti di
recente a Mazar-E-Sharif, nella provincia di Balkh, con l'aiuto del
Dipartimento per gli affari delle donne. E' la prima volta, per Mazar, e
Friba Majid, la direttrice del Dipartimento, ha in progetto nella zona anche
l'apertura di un mercato fatto da donne: "Uomini e donne hanno eguali
diritti", dice, "Vogliamo che le donne entrino a pieno titolo nelle sfere
politiche e sociali, e vogliamo che migliorino le loro condizioni
economiche. A me non risulta che le donne siano fatte per stare dentro casa
a far le pulizie".
"Le donne si sentono a loro agio a comprare da noi", aggiunge Kamila,
un'altra delle nuove commercianti, "Alcune famiglie sono molto severe e non
permettono alle donne di entrare in negozi in cui il gestore e' un uomo".
Naturalmente c'e' anche chi e' terribilmente preoccupato da questa faccenda,
come il mullah Abdul Nasir, che tuona: "Le donne stanno passando il limite.
Non solo gestiscono i negozi, ma alcune di esse indossano pantaloni. Sono
delle corruttrici, stanno incoraggiando altre donne a reclamare maggior
liberta'". Con trent'anni di guerra alle spalle, e una guerra in corso, e il
mio paese distrutto, nei panni di Nasir io mi angustierei per qualcos'altro,
ma vedete, ha messo il dito nella piaga. E la piaga e' che la liberta' delle
donne fa paura.
*
Forse ricordate che, nel gennaio di quest'anno, vi avevo parlato della prima
squadra di interposizione delle Nazioni Unite completamente composta da
donne ed inviata in Liberia. La missione doveva terminare in luglio, ma ha
avuto un tale successo che e' stata prolungata di altri sei mesi. Le 105
poliziotte provengono dall'India e sono tutte delle esperte nel gestire i
conflitti. La loro presenza, molto visibile, sta segnando la campagna contro
la violenza sessuale, e i colloqui che hanno avuto con le poliziotte locali
hanno contribuito tra l'altro a far arruolare nella polizia liberiana un
gran numero di ragazze. "E' un buon momento per le donne, qui, per farsi
avanti", dice la comandante in seconda Poonam Gutpa, "Come donna, quando
metti le mani in pasta e hai successo diventi un modello e uno stimolo per
le altre".
*
Fonti: Arab Women Media Center, Caribbean News, Associated Press, The
Telegraph Calcutta, Yemen Times, New York Times, Inter Press Service, Bbc.

3. IRAQ. ARWA DAMON: PER DAR DA MANGIARE AI NOSTRI BAMBINI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a  disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Arwa Damon per la Cnn del 17 agosto 2007.
Arwa Damon e' corrispondente della Cnn da Baghdad]

Baghdad, Iraq. Queste donne sono troppo spaventate, e si vergognano troppo
per mostrare il viso o per usare il proprio vero nome. Sono state costrette
a vendere i loro corpi per mettere del cibo in tavola per i loro bambini,
per 8 miseri dollari al giorno.
"La gente non dovrebbe criticare le donne, o insultarle", dice la
trentasettenne Suha mentre si aggiusta la sciarpa colorata che indossa al
solo scopo di evitare gli estremisti che impongono alle donne di coprirsi,
"Dicono che stiamo sbagliando strada, ma non si chiedono mai cosa ci ha
condotte a prenderla". Madre di tre figli, Suha porta un trucco leggero, un
pendente dorato che raffigura l'Iraq e irradia un inaspettato senso di
eleganza. "Non ho i soldi per portare mio figlio dal medico. Faro' qualsiasi
cosa per aver cura di lui, perche' sono una madre", aggiunge, spiegando
perche' e' giunta a prostituirsi.
La rabbia e la frustrazione crescono nelle sue parole mano a mano che parla:
"Non ha importanza cos'altro sono, non ha importanza quanto sono sulla
strada sbagliata, io sono una madre". Incrocia e scioglie le dita di
continuo, nervosamente.
Suo marito crede che vada a fare pulizie in altre case, quando si allontana
dalla sua.
E la stessa cosa crede la famiglia di Karima.
"All'inizio andavo davvero a far pulizie, ma non guadagnavo quasi niente",
racconta, "Per quanto duramente lavorassi, i soldi non bastavano". Karima e'
completamente coperta dall'abito nero. "Mio marito e' morto di cancro al
polmone nove mesi fa, e non mi ha lasciato nulla".
Ha cinque figli, che vanno dagli otto anni ai diciassette. Il maggiore
potrebbe lavorare, ma Karima teme per la vita del ragazzo lasciandolo uscire
per le strade, e preferisce sacrificare se stessa che rischiare il figlio.
Di prostituirsi le fu proposto per la prima volta mentre stava pulendo un
ufficio. "Si sono approfittati di me", dice sottovoce, "All'inizio ho
rifiutato, ma poi ho capito che ero costretta a farlo".
Suha e Karima hanno clienti che le contattano un paio di volte a settimana.
Altre donne vanno sino al mercato a cercarsi i clienti, o fanno cenno agli
automobilisti. La prostituzione e' una scelta che sempre piu' donne irachene
stanno facendo, semplicemente per sopravvivere. "Sta aumentando". conferma
Suha, "Io ho trovato questa 'cosa' tramite un amico, ed ho un'amica che sta
facendo quello che faccio io, costretta dalle circostanze".
La violenza, il costo della vita sempre piu' alto, la mancanza di ogni tipo
di aiuto da parte del governo, lasciano a queste donne ben poche altre
opzioni, dicono gli operatori delle ong umanitarie.
*
"Siamo al punto in cui una popolazione di donne deve vendere i propri corpi
per mantenere vivi i propri figli", dice Yanar Mohammed, direttrice e
fondatrice dell'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq, "E' un
tabu', e nessuno ne sta parlando. C'e' un enorme numero di donne vittime
della guerra, che hanno perso tutto. Spezza il cuore vederle, ma noi
dobbiamo agire per risolvere la cosa, ed e' per questo che abbiamo dato
inizio ad uno speciale team di attiviste".
La squadra di cui Yanar parla gira per le strade di Baghdad in cerca di
queste donne, che spesso si sentono troppo umiliate per contattarle. "La
maggior parte delle donne che hanno tentato di commettere suicidio, e che
troviamo negli ospedali, erano state coinvolte nella prostituzione",
racconta Basma Rahim, membro della squadra. Il compito che l'ong si prefigge
e' il compilare delle relazioni su casi specifici e renderne edotti i
politici iracheni affinche', come spiega Yanar Mohammed, "Ci dicano che cosa
intendono fare".
Basma Rahim racconta la storia straziante di una donna che hanno soccorso, e
che viveva in una sola stanza con tre bambini. "Aveva rapporti sessuali con
i bambini presenti, ma li metteva voltati, in piedi, negli altri angoli
della stanza". Secondo Rahim e Mohammed, la maggioranza delle donne che esse
incontrano dicono loro che sono forzate a prostituirsi dal disperato
desiderio di sopravvivenza in un contesto pericolosamente violento e
terribile. "Hanno preso una decisione, ma non ne sono contente", puntualizza
Rahim.
*
Karima dice che quando vede i propri figli seduti a tavola a mangiare,
riesce a convincersi che ne vale la pena: "E' per i bambini. I bambini sono
la bellezza della vita, e senza di essi non potremmo vivere". Ma aggiunge:
"Non permettero' mai a mia figlia di farlo. Sarebbe meglio che si sposasse a
tredici anni, piuttosto di passare quel che passo io".
Gli ultimi ricordi felici di Karima risalgono a quando suo marito era ancora
vivo, e loro erano una famiglia, in grado di sostenersi l'un l'altra
attraverso le durezze di un'esistenza nell'Iraq odierno. Suha mi racconta
invece che sin da ragazzina sognava di diventare una medica, e che sua madre
sosteneva con molto vigore questa scelta, enumerandole i potenziali di una
carriera in medicina. La vita non avrebbe potuto portarla piu' lontano da
quel sogno: "Non e' che siamo nate in questa situazione, ne' mi era mai
venuto in mente prima". Cio' che fa per dar da mangiare alla sua famiglia la
sta per contrasto divorando: "Me ne vado a letto e come poggio la testa sul
cuscino comincio ad avere vertigini, e mi tornano addosso tutte le immagini,
come se stessi guardando un film".

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: A FORZA DI ESSERE VENTO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Il rogo di Livorno, avvenuto il 10 agosto, in cui quattro bambini rom sono
morti nell'incendio delle baracche, ha visto fondamentalmente la
riproposizione, da parti dei nostri mezzi d'informazione, dei soliti
pregiudizi verso gli "zingari"; con tutta la loro carica di connotazioni
negative e dispregiative.
Precisiamo che il termine "zingaro" (utilizzato anche in questo articolo per
ragioni di comprensibilita') non e' corretto; la dizione migliore
(riferendosi a questo popolo) e' rom e sinti.
Cosi' i mass-media, invece di soffermarsi sulle condizioni disumane in cui
sono costretti a vivere sotto un cavalcavia, hanno cercato la
criminalizzazione dei genitori che non avrebbero fatto di tutto per salvare
i bambini. Spettera' al giudice fare chiarezza su questo comportamento,
cosi' come sulla possibilita' che sia stato un attentato la causa
dell'incendio.
Quello che non si deve assolutamente accettare e' che ci sia chi deve vivere
al di sotto della soglia di poverta'; abitare in aree di baracche senza
strade, ne' elettricita', ne' acqua corrente, vittima di massiccia
disoccupazione e discriminzione nell'accesso all'assistenza sociale e
sanitaria.
Perche' questi sono i campi nomadi; quelli per cui l'Italia e' conosciuta in
Europa e che si cerca di allontanare dai centri abitati, ieri come oggi.
"Epurare il territorio nazionale dalla presenza degli zingari, di cui e'
superfluo ricordare la pericolosita' per la sicurezza e per l'igiene
pubblica per le caratteristiche abitudini di vita". E' una circolare
ministeriale dell'Italia del 1926, ma nella sostanza simile al linguaggio e
ancor piu' alle posizioni di chi oggi li vuole espellere dalle nostre
citta'. Non c'e' un problema di incontro con un popolo ed una cultura
diversa da noi; c'e' solo un problema di "ordine pubblico". Tutto questo si
traduce nei linguaggi violenti del piu' basso mercato politico, nelle
versione peggiore, in cui il centrodestra e' maestro; o nel tentativo di
coniugare concetti quali "legalita' e solidarieta'", nella versione
migliore, la sola cosa di cui sembra capace il centrosinistra.
Non basta, quotidianamente sentiamo crescere intorno a noi e consolidarsi
questo razzismo verso gli ultimi degli ultimi. I piu' misconosciuti, odiati,
emarginati. Oggetto di pregiudizi e vessazioni, da sempre.
*
Quello che nazisti e fascisti pensavano di sinti e rom non sembra poi molto
diverso da quello che altri pensavano prima di loro e anche da quello che
pensano molti ancora oggi. Ed allora le soluzioni sono due: una antica ed
una moderna.
Per l'antica possiamo scegliere diversi secoli: dai primi documenti storici
attendibili del XIV-XV secolo, in cui inizialmente sono trattati come
pellegrini, accettati e tollerati; ma dai primi anni del XVI secolo la
legislazione statale di diversi paesi li sottopone alle piu' dure
persecuzioni. In Romania, sono trattati alla stregua di schiavi. Nella
Spagna, caduti in disgrazia dopo il 1499, gli si taglia la lingua e gli si
cavano gli occhi; oltre a incitare gli abitanti alla caccia ai rom. In
Germania, tra il '500 e l'800 vengono emanati 148 editti contro i rom: e si
dava a chiunque la facolta' di derubarli o ucciderli.
La storia del XVII e del XVIII secolo e' piena di avvenimenti terribili per
i rom: fucilazioni, impiccagioni e torture. Citiamo per tutti l'opera di
Joachim S. Hohmann "Geschichte der Ziguenerverfolgung in Deutschland"
(Storia della persecuzione degli zingari in Germania). Per ogni zingaro
ucciso c'era una ricompensa di un tallero; nell'ambito di una battuta di
caccia venivano "inseguiti e uccisi come la selvaggina dei boschi, cui erano
considerati pari".
A partire dal 1890, numerosi Stati varano un numero incalcolabile di leggi
restrittive e criminalizzanti contro i rom; cosi' il "disordine zingaresco"
conquista un posto stabile negli schemi mentali della polizia.
L'Italia non resta a guardare. Cesare Lombroso (1836-1909), sostenitore
della controversa dottrina del "delinquente nato" assegna i rom al tipo di
"criminali atavici".
Tra il 1900 e il 1933, quindi prima di Hitler, la Germania emana circa 150
ordinanze contro gli zingari.
C'e' poi la soluzione moderna: la "Porrajmos" l'olocausto zingaro della
seconda guerra mondiale, con l'uccisione di circa mezzo milione di persone,
un terzo della popolazione zingare allora vivente in Europa.
Su quest'ultimo consigliamo l'acquisto di "A forza di essere vento. Lo
sterminio nazista degli Zingari", un doppio dvd piu' un libretto pubblicato
recentemente dall'Editrice A (www.arivista.org), che "vuole rendere
testimonianza di quei fatti quasi sconosciuti e omaggio a un popolo che
ancora oggi ci vive accanto, ignoto e malvisto, vittima di ignoranza,
pregiudizio e persecuzione".
Giustamente, come sostiene Moni Ovadia, sarebbe il caso di assegnare il
"Nobel per la Pace" agli zingari, l'unico popolo che non ha mai fatto la
guerra.

5. RIFLESSIONE. GIANFRANCO CONFORTI: FOLLIA NELLA GUERRA, FOLLIA DELLA
GUERRA
[Ringraziamo Gianfranco Conforti (per contatti: paco at multiwire.net) per
questo intervento.
Gianfranco Conforti ("Paco") e' impegnato nell'associazione di volontariato
"MenteInPace - Forum per il ben-essere psichico" di Cuneo]

Gli eventi traumatici, fortemente traumatici, sono spesso fonte di disturbo
mentale. Come causa determinante o favorente o interveniente.
Possono essere, insomma, la causa principale oppure favorire l'insorgenza
della malattia psichica in presenza di una condizione predisponente (ad
esempio una maggior fragilita' caratteriale, familiare o sociale) oppure
intervenire con un nesso causale secondario, ma pur sempre presente. Cosi'
un lutto familiare, inatteso o preannunciato, la perdita del lavoro e
conseguentemente di un ruolo in ambito familiare e sociale, per
licenziamento o pensionamento, un cambiamento della propria condizione per
abbandono possono creare uno stress tale da modificare il proprio patrimonio
cognitivo e creare fantasmi nella mente. Che rientrano nell'alveo
dell'esperienza dolorosa ma razionalizzata oppure, a volte, rimangono per
molto tempo ed in alcuni casi consegnano chi ne e' oggetto ad un'esistenza
marchiata dalla follia ed all'emarginazione e, in alcuni casi,
all'istituzionalizzazione.
Cosa c'e' di piu' traumatico che trovarsi, improvvisamente, coinvolti in un
quadro di violenza feroce qual e' la guerra? Giovani strappati alla loro
vita in un ambiente conosciuto, anche se puo' essere piu' o meno sicuro, per
essere catapultati in un altro sconosciuto dove, stanti i nuovi scenari di
guerra, il nemico non e' schierato in ben riconoscibili trincee ma ti assale
all'improvviso.
Ma anche quando la guerra si svolgeva secondo canoni classici la paura della
morte attanagliava l'animo del soldato. Lo si evince molto bene dalle prime
parole che aprono il libro L'anima religiosa della guerra di Cesare
Caravaglios (edito da Mondadori nel 1935):
"La morte! La morte e' la fine! Ecco l'incubo che pesa sull'anima di ogni
combattente" (1). Sono parole riferite alla prima guerra mondiale. Ma
potrebbero valere anche per il secondo conflitto mondiale. Infatti, come
afferma P. Fussel in Tempo di guerra (2), "mentre nella grande guerra la
follia tra i soldati fu, molto comodamente, attribuita agli effetti delle
esplosioni ('shock da bomba'), nella seconda guerra mondiale venne imputata
con maggiore franchezza alla paura e, in contrasto con le pretese di
comportamento eroico che erano sembrate ovvie nella guerra precedente,
adesso si riconobbe che la realta' della paura doveva essere apertamente
guardata in faccia" (2).
*
La paura della morte viene amplificata dall'abbandono in cui si ritrovano
molti soldati. Molti ricorderanno la mostra sulla divisione alpina Cuneense,
allestita in occasione dell'LXXX Adunata degli Alpini.
Quelle immagini sulle condizioni dei nostri soldati mostrano una disfatta
annunciata, causata dalle inefficienze delle gerarchie militari. Si pensi
che, nella guerra contro la Francia, nel 1940, ben 2151 furono i soldati
italiani congelati, oltre a 1258 morti e 2631 feriti (contro 20 morti e 84
feriti fra i francesi). E l'equipaggiamento dei soldati in Russia era lo
stesso, ma con temperature che raggiungevano i 40 gradi sotto zero! Il
tenente Meinero, che ritiro' le truppe al suo comando due giorni prima
dell'ordine ricevuto salvandole dalla strage, subi' ripercussioni da parte
della giustizia militare; forse perche' aveva messo in chiaro l'assurdita'
dell'ordine ricevuto che le gerarchie militari non potevano ammettere. E
tanti altri denunciarono le incapacita' delle nostre gerarchie militari,
come ad esempio il capitano Lamberti o il nostro amato concittadino Nuto
Revelli.
*
Ma se veniamo ad oggi le cose non cambiano. I giornali spesso ci propongono
immagini di soldati ipertecnologici e di armi sofisticatissime.
Ma se guardiamo all'esercito americano, comunemente ritenuto uno dei piu'
equipaggiati ed organizzati, vediamo che qualcosa non funziona. Ce lo
ricordava Paul Krugman (3) citando un soldato americano appena rientrato da
Baghdad, il quale si lamentava del vitto basato sui M.r.e. (meals ready to
eat), sigla degli aborriti pasti pronti. Ma quel che, forse, molti non sanno
e' che tra le truppe statunitensi vi sono stati dei morti per scarsita'
d'acqua. Questo ed altro e' dipeso dalla decisione dell'amministrazione Bush
di privatizzare i rifornimenti alle truppe, attribuendoli a societa' come la
Kellog Brown & Root. E c'e' pronto "il Patriot Act contro chiunque riveli ai
media i tagli alle spese" (4).
Tutto cio' mentre si incitano le truppe a sconfiggere il terrorismo,
tacciato come principale nemico della sicurezza, malgrado lo si sia
finanziato quand'era utile (vedi l'Afghanistan contro l'Urss o lo stesso
Iraq contro l'Iran) o lo si finanzi, come nel caso dei terroristi contro
Cuba, etichettati, in questo caso, come "dissidenti".
*
Non si riscontra, forse, in certi ordini delle gerarchie militari e del
potere politico, una sorta di delirio di onnipotenza? E quanti deliri di
onnipotenza hanno sopportato e continuano a sopportare i soldati, le loro
famiglie e le popolazioni che vivono nei teatri di guerra, anche se
contrabbandata da missione "umanitaria"? Quante menzogne cercano di
trasformare un delirio inutile e disastroso in un'estasi patriottica?
Leggiamo cio' che sta scritto nel libro citato di Cesare Caravaglios e
vedremo che, spesso, anche noi occidentali non ci siamo discostati e non ci
discostiamo dal fanatismo religioso islamico che, attualmente, ci fa tanta
paura. "Se noi riusciremo a radicare nell'anima del combattente che la vita
non e' soltanto fisica, vegetativa, che non finisce col dissolversi del
nostro corpo, ma che potremo riviverla in un mondo migliore, noi saremo
riusciti anche a convincerlo che, se egli morira' per la Patria, la sua
morte sara' la via pi' sicura per ascendere alla immortalita' dei cieli"
(5).
Sembra un brano in perfetto stile talebano. Invece no. E' pur vero che tale
frase va contestualizzata nel periodo storico in cui apparve (siamo nel
"XIII anno dell'era fascista") ma indubbiamente le tante frasi che oggi
sentiamo sulla guerra agli "stati canaglia" (tra cui non compare, ad
esempio, la Cina, indispensabile colosso economico, malgrado i diritti
civili siano una chimera e le condanne a morte migliaia ogni anno ed,
invece, compaiono stati che in passato furono alleati dell'occidente quando
non erano meno "canaglia") o sulla necessita' di una sorta di guerra santa
dell'occidente contro l'oriente, oltre a celare interessi enormi di natura
economica sono frutto di un'analisi dell'esistente che conduce, volutamente
o meno poco importa, alla follia. Ci troviamo di fronte a un
"indottrinamento" strisciante, una sorta di pensiero unico che emargina il
dissenso bollandolo come fiancheggiatore del nemico.
Come ci ricorda Wolfgang Sofsky "l'indottrinamento definisce modelli ideali
e di pensiero attraverso l'esclusione di tutte le altre alternative
interpretative e crea un universo mentale completamente chiuso verso
l'esterno. L'immagine del nemico favorisce il distacco emotivo e giustifica
la violenza, rafforza la sicurezza di se' e appiana i conflitti di
coscienza, mentre l'adozione di stereotipi indebolisce la percezione
individuale dell'altro e fomenta un odio astratto contro tutti quelli che
sono diversi, costituendo i presupposti cognitivi di quella fanatica
mentalita' da crociata che arriva a considerare il nemico una specie diversa
da quella umana" (6).
Nell'immaginario collettivo il fanatismo di alcune nazioni e la violenza che
ne deriva, soggettivamente od oggettivamente, e', da noi, giustamente
condannato. Ma non vi e', parimenti, il rifiuto per quella parte del
pensiero occidentale che utilizza il fanatismo e la ricerca ossessiva del
nemico per un compattamento identitario su obiettivi di potere politico ed
economico, che spesso confligge con le tradizioni della democrazia
occidentale.
*
Note
1. Cesare Caravaglios, L'anima religiosa della guerra, Mondadori, Milano
1935, p. 17.
2. P. Fussel, Tempo di guerra, Mondadori, Milano 1991, p. 350.
3. Paul Krugman, Le promesse mancate ai militari Usa, in "La Repubblica", 18
agosto 2003, pp. 1 e 14.
4. Paul Krugman, art. cit., p. 14.
5. Cesare Caravaglios, op. cit., p. 37.
6. Wolfgang Sofsky, L'ordine del terrore, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 164.

6. LETTURE. FRANZ JAEGERSTAETTER: SCRIVO CON LE MANI LEGATE
Franz Jaegerstaetter, Scrivo con le mani legate. Lettere dal carcere e altri
scritti dell'obiettore contadino che si oppose a Hitler, Berti, Piacenza
2005, pp. XL + 236, euro 13. Curata dalla sua biografa Erna Putz
nell'edizione originale tedesca, e nell'edizione italiana da Giampiero
Girardi (il benemerito animatore dell'associazione "Franz Jaegerstaetter -
Italia", per contatti: tel. 3474185755, e-mail: gia.gira at gmail.com e
franzitalia at gmail.com) questa raccolta di scritti del martire della
Resistenza, arricchita da un agile ed utile apparato, e' un testo la cui
lettura vivamente raccomandiamo, sia per il suo valore documentario, sia e
soprattutto come testimonianza di una scelta nonviolenta che alla barbarie
impavida si oppone e resiste invincibile, sia infine come ineludibile
convocazione, franca esortazione a cogliere il messaggio, il legato di Franz
Jaegerstaetter: l'appello che fermo il suo agire rivolge alle persone
nostre, alle nostre stesse vite, alla responsabilita' nostra. Per richieste
alla casa editrice: e-mail: info at bertilibri.it, sito: www.bertilibri.it

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 188 del 21 agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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