La domenica della nonviolenza. 123



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 123 del 5 agosto 2007

In questo numero:
1. La prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly
2. La prima lettera di Claude Eatherly a Guenther Anders
3. Norberto Bobbio: Cinque tesi fondamentali
4. Ernesto Balducci: Le tre verita' di Hiroshima
5. Una proposta di legge d'iniziativa popolare per il disarmo atomico
dell'Italia

1. DOCUMENTI. LA PRIMA LETTERA DI GUENTHER ANDERS A CLAUDE EATHERLY
[Riproponiamo ancora una volta il testo della prima lettera di Guenther
Anders a Claude Eatherly, del 3 giugno 1959, riprendendola dalla
corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di
Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea
d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp. 27-34), nella classica traduzione di
Renato Solmi.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di
non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo,
trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri.
Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992.
Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente
contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e'
stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato
la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la
sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui
fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La
coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e
di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992
(col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale),
Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali,
Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli
1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e
legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi)
1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo
senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar,
Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e'
antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006. In rivista testi di Anders sono
stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra",
"Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier
Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders,
Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra
altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli
intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo
Cesare Cases e Renato Solmi.
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6 agosto
del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal
crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile,
considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Si impegno' nella
denuncia dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e
antinucleare. La corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e
il 1961 e' raccolta nel libro Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza
al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992]

Al signor Claude R. Eatherly
ex maggiore della A. F.
Veterans' Administration Hospital
Waco, Texas
3 giugno 1959

Caro signor Eatherly,
Lei non conosce chi scrive queste righe. Mentre Lei e' noto a noi, ai miei
amici e a me. Il modo in cui Lei verra' (o non verra') a capo della Sua
sventura, e' seguito da tutti noi (che si viva a New York, a Tokio o a
Vienna) col cuore in sospeso. E non per curiosita', o perche' il Suo caso ci
interessi dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici ne'
psicologi. Ma perche' ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a
capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. La
tecnicizzazione dell'esistenza: il fatto che, indirettamente e senza
saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni
di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti,
non potremmo approvare - questo fatto ha trasformato la situazione morale di
tutti noi. La tecnica ha fatto si' che si possa diventare "incolpevolmente
colpevoli", in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno
avanzato dei nostri padri.
Lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiche' Lei e' uno dei primi
che si e' invischiato in questa colpa di nuovo tipo, una colpa in cui
potrebbe incorrere - oggi o domani - ciascuno di noi. A Lei e' capitato cio'
che potrebbe capitare domani a noi tutti. E' per questo che Lei ha per noi
la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore.
Probabilmente tutto questo non Le piace. Vuole stare tranquillo, your life
is your business. Possiamo assicurarLe che l'indiscrezione piace cosi' poco
a noi come a Lei, e La preghiamo di scusarci. Ma in questo caso, per la
ragione che ho appena detto, l'indiscrezione e' - purtroppo - inevitabile,
anzi doverosa. La Sua vita e' diventata anche il nostro business. Poiche' il
caso (o comunque vogliamo chiamare il fatto innegabile) ha voluto fare di
Lei, il privato cittadino Claude Eatherly, un simbolo del futuro, Lei non ha
piu' diritto di protestare per la nostra indiscrezione. Che proprio Lei, e
non un altro dei due o tre miliardi di Suoi contemporanei, sia stato
condannato a questa funzione di simbolo, non e' colpa Sua, ed e' certamente
spaventoso. Ma cosi' e', ormai.
E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. Poiche'
tutti noi dobbiamo vivere in quest'epoca, in cui potremmo incorrere in una
colpa del genere: e come Lei non ha scelto la sua triste funzione, cosi'
anche noi non abbiamo scelto quest'epoca infausta. In questo senso siamo
quindi, come direste voi americani, "on the same boat", nella stessa barca,
anzi siamo i figli di una stessa famiglia. E questa comunita', questa
parentela, determina il nostro rapporto verso di Lei. Se ci occupiamo delle
Sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a
cui e' capitata la disgrazia di fare realmente cio' che ciascuno di noi
potrebbe essere costretto a fare domani; come fratelli che sperano di poter
evitare quella sciagura, come Lei oggi spera, tremendamente invano, di
averla potuta evitare allora.
Ma allora cio' non era possibile: il meccanismo dei comandi funziono'
perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque lo ha
fatto. Ma poiche' lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da
Lei, che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se
fossimo al Suo posto. Vede che Lei ci e' estremamente prezioso, anzi
indispensabile. Lei e', in qualche modo, il nostro maestro.
Naturalmente Lei rifiutera' questo titolo. "Tutt'altro, dira', poiche' io
non riesco a venire a capo del mio stato".
*
Si stupira', ma e' proprio questo "non" a far pencolare (per noi) la
bilancia. Ad essere, anzi, perfino consolante. Capisco che questa
affermazione deve suonare, sulle prime, assurda. Percio' qualche parola di
spiegazione.
Non dico "consolante per Lei". Non ho nessuna intenzione di volerLa
consolare. Chi vuol consolare dice, infatti, sempre: "La cosa non e' poi
cosi grave"; cerca, insomma, di impicciolire l'accaduto (dolore o colpa) o
di farlo sparire con le parole. E' proprio quello che cercano di fare, per
esempio, i Suoi medici. Non e' difficile scoprire perche' agiscano cosi'. In
fin dei conti sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la
condanna morale di un'azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a
cui, anzi, non deve neppure venire in mente la possibilita' di questa
condanna; e che percio' devono difendere in ogni caso l'irreprensibilita' di
un'azione che Lei sente, a ragione, come una colpa. Ecco perche' i Suoi
medici affermano: "Hiroshima in itself is not enough to explain your
behaviour", cio' che in un linguaggio meno lambiccato significa: "Hiroshima
e' meno terribile di quanto sembra"; ecco perche' si limitano a criticare,
invece dell'azione stessa (o "dello stato del mondo" che l'ha resa
possibile), la Sua reazione ad essa; ecco perche' devono chiamare il Suo
dolore e la Sua attesa di un castigo una "malattia" ("classical guilt
complex"); ed ecco perche' devono considerare e trattare la Sua azione come
un "self-imagined wrong", un delitto inventato da Lei. C'e' da stupirsi che
uomini costretti dal loro conformismo e dalla loro schiavitu' morale a
sostenere l'irreprensibilita' della Sua azione, e a considerare quindi
patologico il Suo stato di coscienza, che uomini che muovono da premesse
cosi' bugiarde ottengano dalle loro cure risultati cosi' poco brillanti?
Posso immaginare (e La prego di correggermi se sbaglio) con quanta
incredulita' e diffidenza, con quanta repulsione Lei consideri quegli
uomini, che prendono sul serio solo la Sua reazione, e non la Sua azione.
Hiroshima-self-imagined!
Non c'e' dubbio: Lei la sa piu' lunga di loro. Non e' senza ragione che le
grida dei feriti assordano i Suoi giorni, che le ombre dei morti affollano i
Suoi sogni. Lei sa che l'accaduto e' accaduto veramente, e, non e'
un'immaginazione. Lei non si lascia illudere da costoro. E nemmeno noi ci
lasciamo illudere. Nemmeno noi sappiamo che farci di queste "consolazioni".
No, io dicevo per noi. Per noi il fatto che Lei non riesce a "venire a capo"
dell'accaduto, e' consolante. E questo perche' ci mostra che Lei cerca di
far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire)
della Sua azione; e perche' questo tentativo, anche se dovesse fallire,
prova che Lei ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato
inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con
successo. E serbando viva la Sua coscienza ha mostrato che questo e'
possibile, e che dev'essere possibile anche per noi. E sapere questo (e noi
lo sappiamo grazie a Lei) e', per noi, consolante.
"Anche se dovesse fallire", ho detto. Ma il Suo tentativo deve
necessariamente fallire. E precisamente per questo.
Gia' quando si e' fatto torto a una persona singola (e non parlo di
uccidere), anche se l'azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti,
e' tutt'altro che semplice "venirne a capo". Ma qui si tratta di ben altro.
Lei ha la sventura di aver lasciato dietro di se' duecentomila morti. E come
sarebbe possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come
sarebbe possibile pentirsi di 200.000 vittime?
Non solo Lei non lo puo', non solo noi non lo possiamo: non e' possibile per
nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento
restano inadeguati. L'inutilita' dei Suoi sforzi non e' quindi colpa Sua,
Eatherly: ma e' una conseguenza di cio' che ho definito prima come la
novita' decisiva della nostra situazione: del fatto, cioe', che siamo in
grado di produrre piu' di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli
effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono cosi' enormi che non
siamo piu' attrezzati per concepirli. Al di la', cioe', di cio' che possiamo
dominare interiormente, e di cui possiamo "venire a capo". Non si faccia
rimproveri per il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. Ci mancherebbe
altro! Il pentimento non puo' riuscire. Ma il fallimento stesso dei Suoi
sforzi e' la Sua esperienza e passione di ogni giorno; poiche' al di fuori
di questa esperienza non c'e' nulla che possa sostituire il pentimento, e
che possa impedirci di commettere di nuovo azioni cosi tremende. Che, di
fronte a questo fallimento, la Sua reazione sia caotica e disordinata, e'
quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire che e' un segno della Sua
salute morale. Poiche' la Sua reazione attesta la vitalita' della Sua
coscienza.
*
Il metodo usuale per venire a capo di cose troppo grandi e' una semplice
manovra di occultamento: si continua a vivere come se niente fosse; si
cancella l'accaduto dalla lavagna della vita, si fa come se la colpa troppo
grave non fosse nemmeno una colpa. Vale a dire che, per venirne a capo, si
rinuncia affatto a venirne a capo. Come fa il Suo compagno e compatriota Joe
Stiborik, ex radarista sull'Enola Gay, che Le presentano volentieri ad
esempio perche' continua a vivere magnificamente e ha dichiarato, con la
miglior cera di questo mondo, che "e' stata solo una bomba un po' piu'
grossa delle altre". E questo metodo e' esemplificato, meglio ancora, dal
presidente che ha dato il "via" a Lei come Lei lo ha dato al pilota
dell'apparecchio bombardiere; e che quindi, a ben vedere, si trova nella Sua
stessa situazione, se non in una situazione ancora peggiore. Ma egli ha
omesso di fare cio' che Lei ha fatto. Tant'e' che alcuni anni fa,
rovesciando ingenuamente ogni morale (non so se sia venuto a saperlo), ha
dichiarato, in un'intervista destinata al pubblico, di non sentire i minimi
"pangs of conscience", che sarebbe una prova lampante della sua innocenza; e
quando poco fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, ha
tirato le somme della sua vita, ha citato, come sola mancanza degna di
rimorso, il fatto di essersi sposato dopo i trenta. Mi pare difficile che
Lei possa invidiare questo "clean sheet". Ma sono certo che non accetterebbe
mai, da un criminale comune, come una prova d'innocenza, la dichiarazione di
non provare il minimo rimorso. Non e' un personaggio ridicolo, un uomo che
fugge cosi' davanti a se stesso? Lei non ha agito cosi', Eatherly; Lei non
e' un personaggio ridicolo. Lei fa, pur senza riuscirci, quanto e'
umanamente possibile: cerca di continuare a vivere come la stessa persona
che ha compiuto l'azione. Ed e' questo che ci consola. Anche se Lei, proprio
perche' e' rimasto identico con la Sua azione, si e' trasformato in seguito
ad essa.
Capisce che alludo alle Sue violazioni di domicilio, falsi e non so quali
altri reati che ha commesso. E al fatto che e' o passa per demoralizzato e
depresso. Non pensi che io sia un anarchico e favorevole ai falsi e alle
rapine, o che dia scarso peso a queste cose. Ma nel Suo caso questi reati
non sono affatto "comuni": sono gesti di disperazione. Poiche' essere
colpevole come Lei lo e' ed essere esaltati, proprio per la propria colpa,
come "eroi sorridenti", dev'essere una condizione intollerabile per un uomo
onesto; per porre termine alla quale si puo' anche commettere qualche
scorrettezza. Poiche' l'enormita' che pesava e pesa su di Lei non era
capita, non poteva essere capita e non poteva essere fatta capire nel mondo
a cui Lei appartiene, Lei doveva cercare di parlare ed agire nel linguaggio
intelligibile costi', nel piccolo linguaggio della petty o della big larceny
nei termini della societa' stessa. Cosi' Lei ha cercato di provare la Sua
colpa con atti che fossero riconosciuti come reati. Ma anche questo non Le
e' riuscito.
E' sempre condannato a passare per malato, anziche' per colpevole. E proprio
per questo, perche' - per cosi' dire - non Le si concede la Sua colpa Lei e'
e rimane un uomo infelice.
*
E ora, per finire, un suggerimento.
L'anno scorso ho visitato Hiroshima; e ho parlato con quelli che sono
rimasti vivi dopo il Suo passaggio. Si rassicuri: non c'e' nessuno di quegli
uomini che voglia perseguitare una vite nell'ingranaggio di una macchina
militare (cio' che Lei era, quando, a ventisei anni, esegui' la Sua
"missione"); non c'e' nessuno che La odi.
Ma ora Lei ha mostrato che, anche dopo essere stato adoperato come una vite,
e' rimasto, a differenza degli altri, un uomo; o di esserlo ridiventato. Ed
ecco la mia proposta, su cui Lei avra' modo di riflettere.
Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrera', come tutti gli
anni, il giorno in cui "e' avvenuto". A quegli uomini Lei potrebbe inviare
un messaggio, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei
dicesse da uomo a quegli uomini: "Allora non sapevo quel che facevo; ma ora
lo so. E so che una cosa simile non dovra' piu' accadere; e che nessuno puo'
chiedere a un altro di compierla"; e: "La vostra lotta contro il ripetersi
di un'azione simile e' anche la mia lotta, e il vostro 'no more Hiroshima'
e' anche il mio 'no more Hiroshima`, o qualcosa di simile puo' essere certo
che con questo messaggio farebbe una gioia immensa ai sopravvissuti di
Hiroshima e che sarebbe considerato da quegli uomini come un amico, come uno
di loro. E che cio' accadrebbe a ragione, poiche' anche Lei, Eatherly, e'
una vittima di Hiroshima. E cio' sarebbe forse anche per Lei, se non una
consolazione, almeno una gioia.
Col sentimento che provo per ognuna di quelle vittime, La saluto
Guenther Anders

2. DOCUMENTI. LA PRIMA LETTERA DI CLAUDE EATHERLY A GUENTHER ANDERS
[Riproponiamo il testo della prima lettera di Claude Eatherly a Guenther
Anders, del 12 giugno 1959, riprendendola dalla corrispondenza tra Guenther
Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al
bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp.
34-36), nella classica traduzione di Renato Solmi]

12 giugno 1959

Dear Sir,
molte grazie della Sua lettera, che ho ricevuto venerdi' della scorsa
settimana.
Dopo aver letto piu' volte la Sua lettera, ho deciso di scriverLe, e di
entrare eventualmente in corrispondenza con Lei, per discutere di quelle
cose che entrambi, credo, comprendiamo. Io ricevo molte lettere, ma alla
maggior parte non posso nemmeno rispondere. Mentre di fronte alla Sua
lettera mi sono sentito costretto a rispondere e a farLe conoscere il mio
atteggiamento verso le cose del mondo attuale.
Durante tutto il corso della mia vita sono sempre stato vivamente
interessato al problema del modo di agire e di comportarsi. Pur non essendo,
spero, un fanatico in nessun senso, ne' dal punto di vista religioso ne' da
quello politico, sono tuttavia convinto, da qualche tempo, che la crisi in
cui siamo tutti implicati esige un riesame approfondito di tutto il nostro
schema di valori e di obbligazioni. In passato, ci sono state epoche in cui
era possibile cavarsela senza porsi troppi problemi sulle proprie abitudini
di pensiero e di condotta. Ma oggi e' relativamente chiaro che la nostra
epoca non e' di quelle. Credo, anzi, che ci avviciniamo rapidamente a una
situazione in cui saremo costretti a riesaminare la nostra disposizione a
lasciare la responsabilita' dei nostri pensieri e delle nostre azioni a
istituzioni sociali (come partiti politici, sindacati, chiesa o stato).
Nessuna di queste istituzioni e' oggi in grado di impartire consigli morali
infallibili, e percio' bisogna mettere in discussione la loro pretesa di
impartirli. L'esperienza che ho fatto personalmente deve essere studiata da
questo punto di vista, se il suo vero significato deve diventare
comprensibile a tutti e dovunque, e non solo a me.
Se Lei ha l'impressione che questo concetto sia importante e piu' o meno
conforme al Suo stesso pensiero, Le proporrei di cercare insieme di chiarire
questo nesso di problemi, in un carteggio che potrebbe anche durare a lungo.
Ho l'impressione che Lei mi capisca come nessun altro, salvo forse il mio
medico e amico.
Le mie azioni antisociali sono state catastrofiche per la mia vita privata,
ma credo che, sforzandomi, riusciro' a mettere in luce i miei veri motivi,
le mie convinzioni e la mia filosofia.
Guenther, mi fa piacere di scriverLe. Forse potremo stabilire, col nostro
carteggio, un'amicizia fondata sulla fiducia e sulla comprensione. Non abbia
scrupoli a scrivere sui problemi di situazione e di condotta in cui ci
troviamo di fronte. E allora Le esporro' le mie opinioni.
RingraziandoLa ancora della Sua lettera, resto il Suo
Claude Eatherly

3. RIFLESSIONE. NORBERTO BOBBIO: CINQUE TESI FONDAMENTALI
[Riprendiamo il primo capoverso della Prefazione di Norberto Bobbio al libro
di Guenther Anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki,
Einaudi, Torino 1961, p. IX (il testo e' stato riprodotto anche in Norberto
Bobbio, Il terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, il frammento che
riportiamo e' li' a p. 15).
Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909 ed e' deceduto nel 2004,
antifascista, filosofo della politica e del diritto, autore di opere
fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace, e'
stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del XX secolo. Opere
di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende
e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il
volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e
l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze
su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico,
morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Italia civile, Maestri e
compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti presso l'editore Passigli,
Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della
democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso
Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi,
Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della
pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino
1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza,
Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la
lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo
ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del
diritto, Giappichelli, Torino 1993. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo
almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino
1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto
Bobbio, Donzelli, Roma 2000; AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e
politica, Laterza, Roma-Bari 2005; AA. VV., Norberto Bobbio maestro di
democrazia e di liberta', Cittadella, Assisi 2005; AA. VV., Lezioni Bobbio,
Einaudi, Torino 2006. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno
strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti
(www.erasmo.it/gobetti)]

Non vorrei tradire o impoverire il pensiero dell'autore, ma mi pare che le
tesi fondamentali di questo Diario possano essere riassunte nei cinque punti
seguenti:
1) Una guerra atomica potrebbe portare all'annientamento fisico di tutta
l'umanita';
2) la guerra atomica e' un evento possibile;
3) questo evento finale della storia umana non puo' essere considerato come
una alternativa, e quindi come oggetto di scelta fra altri eventi possibili;
4) la constatazione della possibilita' dell'evento e l'impossibilita' di
considerarlo un'alternativa fra le altre, c'impone perentoriamente di
prendere in qualche modo posizione contro la continuazione della politica
atomica;
5) un modo di prendere posizione puo' consistere nel rendersi conto che la
nuova situazione crea nuovi doveri di ciascuno di fronte ai propri simili,
una nuova morale.

4. RIFLESSIONE. ERNESTO BALDUCCI: LE TRE VERITA' DI HIROSHIMA
[Riproponiamo ancora una volta il seguente brano estratto dall'introduzione
del libro di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di
un'utopia, Principato, Milano 1983 (un ottimo libro per le scuole che
illustrava ed antologizzava la tradizione del pensiero per la pace dal
Rinascimento a oggi, da Erasmo a Gandhi a Anders. L'introduzione riprende un
indimenticabile intervento di padre Balducci al convegno di "Testimonianze"
il 14 novembre 1981, relazione che fu uno dei punti di elaborazione piu'
alti e profondi del grande movimento pacifista che in quegli anni si batteva
contro il riarmo atomico dell'est e dell'ovest); piu' volte abbiamo
riprodotto sul nostro notiziario il testo integrale dell'ntroduzione, da
ultimo in "Minime" n. 34 del 20 marzo 2007.
Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922,
ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote,
insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose
iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista
"Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986.
Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un
pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi
sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici
problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo
particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio
(Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione
con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario
(Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa
(Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude
(Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una
cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come
liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia
del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini
del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su
Ernesto Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di
"Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn.
347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani,
"Testimonianze" nn. 373-374, 1995; un'ottima rassegna bibliografica
preceduta da una precisa introduzione biografica e' il libro di Andrea
Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari,
Firenze 1996; recente e' il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto
Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche
almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri,
Roma 2002; e AA. VV., Verso l'"uomo inedito", Fondazione Ernesto Balducci,
San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione Ernesto
Balducci: tel. 055599147, e-mail: fondazionebalducci at virgilio.it, sito:
www.fondazionebalducci.it]

Cresce di anno in anno la paura della catastrofe atomica e di anno in anno,
dinanzi a tale prospettiva, si fa piu' serrato il confronto tra gli
utopisti, secondo i quali e' possibile, in ragione della stessa smisuratezza
del pericolo, uscire una volta per sempre dalla civilta' della guerra, e i
realisti, secondo i quali il bene della pace, anche oggi come sempre, puo'
essere custodito solo dall'equilibrio delle forze in campo.
Il contrasto tra utopisti e realisti e' antico quanto la cultura, ma ha
cominciato a diventare acuto agli inizi dell'eta' moderna.  Nel chiudere il
quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale,
Giosue Carducci contrappone alle figure massime del nostro Rinascimento
Girolamo Savonarola, che in Piazza Signoria "rizzava roghi innocenti contro
l'arte e la natura" ... "e tra le ridde de' suoi piagnoni non vedeva, povero
frate, in qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso
di Niccolo' Machiavelli". Il sorriso scettico di Machiavelli e' durato fino
ad oggi: la tesi degli autori di questo libro e' che il tempo in cui siamo
rende possibile all'utopia di appropriarsi dei severi argomenti del
realismo, e al realismo, pena la negazione di se stesso, di integrare in se'
le ragioni dell'utopia. Savonarola e Machiavelli, insomma, non sono piu' gli
emblemi di due opposte e inconciliabili maniere di progettare il bene
comune. Com'e' noto, il maestro dei realisti affidava alla virtu' (che nel
suo linguaggio voleva dire abilita' conforme a ragione) il compito di far
fronte alla fortuna e cioe' al corso caotico e imprevedibile degli eventi. A
suo giudizio, fortuna e virtu' potevano governare la storia umana con una
incidenza del 50% ciascuna. Le milizie cittadine erano lo strumento primo
della virtu' di un principe. Uno strumento peraltro da usare all'interno di
una preveggenza multiforme delle eventualita' della fortuna. "Assomiglio
quella - dice Machiavelli ragionando della fortuna, nel Principe (cap.
 XXV) - a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e'
piani, ruinano gli alberi e gli edifizi, lievono da questa parte terreno,
pongono da quell'altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto
loro, senza potervi in alcuna parte obstare. E benche' sieno cosi' fatti,
non resta pero' che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessimo
fare provvedimento, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o
egli andrebbano per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe ne' si'
licenzioso ne' si' dannoso. Similmente interviene della fortuna; la quale
dimostra la sua potenzia dove non e' ordinata virtu' a resisterle".
Il "fiume rovinoso" di cui oggi anche Machiavelli dovrebbe ragionare e' il
fiume del fuoco atomico, contro cui nessun argine vale, nessun
"provvedimento" che non sia la sua estinzione; e la "citta'" affidata al
principe oggi e', secondo la "verita' effettuale", vorremmo dire
materialistica, non Firenze o l'Italia, ma il pianeta Terra.
Se per Machiavelli il "provvedimento" delle armi era, di fronte
all'imperativo assoluto del bene del Principato, un imperativo ipotetico,
legato cioe' a condizioni di fatto, una volta che queste condizioni mutano,
anche l'imperativo, per logica realistica, deve mutare.
*
Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate.  L'umanita' e' entrata in
un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma:
o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una
mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e
noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente
allargato dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi
serrati e uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si
sono andate generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il
riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della
mutazione.
La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un
destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di
natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si
e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente
e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e'
ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il
Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a
dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il
fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica
rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste
un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi
l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra
memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a
pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo
anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che
la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o
dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica
internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria
delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte
di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa.
Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi.  Gli uomini e le donne che, fosse
pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza,
non hanno piu' la coscienza tranquilla.
La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace,
ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e'
arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto
che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita'
distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo.che la sfera della morale
e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante
un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva
la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum
necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali
che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non
ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era
mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la
storia sta cambiando di qualita'.
La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla
sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo
in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le
culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e
cioe' come uno strumento limite della ragione.  E difatti, nelle nostre
ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso
le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio
di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento"
fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun
avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo
materno dell'accadimento.

5. INIZIATIVE. UNA PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE PER IL DISARMO
ATOMICO DELL'ITALIA
[Nuovamente pubblichiamo. Tra le molte esperienze promotrici dell'iniziativa
c'e' naturalmente il Movimento Nonviolento (per contatti: e-mail:
redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org]

Vari movimenti hanno promosso una proposta di legge d'iniziativa popolare
per dichiarare l'Italia "zona libera da armi nucleari".
Il comitato promotore prevede di iniziare la raccolta delle firme in
occasione della marcia della pace Perugia-Assisi del 7 ottobre 2007.
Di seguito riportiamo il testo integrale della proposta di legge.
*
Art. 1 - Obiettivi e finalita'
1. Il territorio della Repubblica Italiana, ivi compresi lo spazio aereo, il
sottosuolo e le acque territoriali, e' ufficialmente dichiarato "zona libera
da armi nucleari".
2. Il transito e il deposito, anche temporaneo, di armi nucleari, o di parti
di armi nucleari, non e' ammesso in nessuna circostanza sul territorio della
Repubblica, cosi' come individuato al comma 1.
3. Il Governo provvede ad adottare tutte le misure necessarie, sia a livello
nazionale che internazionale, per assicurare la piena applicazione del
presente articolo entro e non oltre il termine di sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge.
Art. 2 - Entrata in vigore
1. La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale Della Repubblica.
*
Per informazioni, contatti e adesioni: e-mail: locosm at tin.it

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 123 del 5 agosto 2007

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