Minime. 146



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 146 del 10 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Quasi una lettera a tanti vecchi amici
2. Tavola della pace: Per la liberazione di padre Giancarlo Bossi
3. Enrico Peyretti: Nonviolenza e tecniche di difesa nonviolenta (parte
seconda)
4. Stefano Petrucciani presenta "Coscienza di classe e storia. Codismo e
dialettica" di Gyorgy Lukacs
5. Riletture: Madame de Sevigne': Lettres
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: QUASI UNA LETTERA A TANTI VECCHI AMICI

Come potete continuare a tacere?
Come potete fingere di non vedere i massacri in corso in Afghanistan?
Come potete continuare a sostenere una politica guerriera e terrorista,
barbara e stragista, razzista e imperialista, alla quale vi opponevate anche
voi prima delle elezioni del 2006?
*
Ahime', ai vertici delle istituzioni e delle organizzazioni politiche
italiane oggi al potere siedono non pochi miei vecchi amici e compagni di
gioventu'. Non era questo che ci muoveva quando sostenevamo le lotte di
liberazione dei popoli del sud del mondo, quando eravamo obiettori di
coscienza al servizio militare, quando contrastavamo le centrali nucleari,
quando ci opponevamo ai missili e alla mafia, quando lottavamo per il
disarmo e i diritti umani. Cosa e' accaduto? Cosa siamo diventati?
Ahime', negli apparati dei partiti di governo e nelle rappresentanze
istituzionali che sostengono la guerra terrorista e stragista vi sono anche
nostri antichi allievi. Non e' questo, non e' questo che cercammo
d'insegnarvi nell'unico modo in cui sappiamo che si insegna: con l'esempio e
alla scuola di Antigone. Cosa e' accaduto? Perche' abbiamo fallito?
Ahime', intere organizzazioni che pur si proclamavano pacifiste - ed alcune
addirittura nonviolente - hanno ceduto alla guerra, hanno avallato la
guerra, della guerra terrorista e stragista complici si sono rese. Ed
evidentemente non abbiamo saputo trovare le parole per persuadere le persone
che le rappresentano e le dirigono a resistere, a persistere nel vero e nel
giusto. Donde questa confusione delle lingue? Come potremo incontrarci
ancora senza tutti provarne un infinito orrore, una vergogna infinita?
Ahime', che mentre vedo tanti innocenti tratti col raffio al mattatoio,
sento abissale anche la mia colpa di non aver saputo contrastare, porre
riparo, fare tutto il necessario per salvare quelle vite.
*
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Solo la pace costruisce la pace.
Solo con la democrazia la democrazia si difende.
Cessare di uccidere, salvare le vite.
L'unica politica internazionale ragionevole e guaritrice e' quella che
ripudia la guerra, le sue logiche, i suoi strumenti, i suoi apparati.
L'unica politica internazionale ragionevole e guaritrice e' quella che a
tutti gli esseri umani riconosce il diritto a non essere uccisi.

2. APPELLI. TAVOLA DELLA PACE: PER LA LIBERAZIONE DI PADRE GIANCARLO BOSSI
[Dalla Tavola della pace (per contatti: via della Viola 1, 06122 Perugia,
tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: info at perlapace.it, sito
www.perlapace.it) riceviamo e diffondiamo]

La Tavola della pace e il comitato promotore della Marcia per la pace
Perugia-Assisi del 7 ottobre rilanciano un appello per la liberazione di
padre Giancarlo Bossi, rapito il 10 giugno scorso mentre si recava a
celebrare la messa a Payao, nelle Filippine meridionali, e aderiscono alla
giornata speciale di preghiera e digiuno che si svolgera' martedi' 10
luglio, a un mese dal rapimento del missionario.
La giornata e' promossa dalla Diocesi di Milano e dai missionari del Pime
che invitano tutte le parrocchie, associazioni, movimenti, comunita' e
Istituti ad unirsi in preghiera per intercedere per la liberazione di Padre
Giancarlo, sull'esempio di quanto fece la prima comunita' cristiana quando
l'apostolo Pietro venne sequestrato ingiustamente da re Erode (vedi gli Atti
degli Apostoli 12, 1-11).
La Tavola della pace e il comitato promotore della Marcia per la pace
Perugia-Assisi del 7 ottobre, nell'esprimere ancora una volta la propria
solidarieta' con i familiari e i missionari amici di padre Bossi, invitano
tutti a raccogliere l'invito del Pime aderendo al digiuno e sollecitando il
governo italiano a proseguire gli sforzi per ottenere la sua liberazione.

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NONVIOLENZA E TECNICHE DI DIFESA
NONVIOLENTA (PARTE SECONDA)
[Dalla pagina web http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_20410.html
riprendiamo il seguente saggio gia' pubblicato nell'Annuario di filosofia
"Pace e guerra tra le nazioni", a cura di Vittorio Possenti, Guerini e
Associati editori, Milano 2006, alle pp. 243-282, col titolo Nonviolenza e
tecniche di difesa nonviolenta, e la seguente scansione in paragrafi: Lo
spirito e le tecniche; Mezzi e fini; Satyagraha; Obiezione di coscienza;
Disobbedienza civile; Capitini, Sharp, Semelin; L'altra Resistenza; Le lotte
di Gandhi; Terrorismo atomico; Rigenerazione della politica.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68]

Equivalente morale della guerra
Capitini cataloga quindi una serie di impegni civili sostitutivi della
guerra, o "equivalente morale della guerra" (espressione di William James,
nel 1910, e di Gandhi, nel 1931) (pp. 90-97).
Nel settimo capitolo, tra le tecniche collettive, Capitini indica la vita
interna e l'azione esterna delle comunita' nonviolente (terziari
francescani; Comunita' dell'Arca, fondata da Lanza del Vasto), poi le marce
per la pace, dimostrative e nonviolente: sono "comunita' momentanee e in
movimento"; la marcia "manifestazione dal basso, al livello minimo, che
tende a comprendere tutti, e' assolutamente nonviolenta, cioe' priva di armi
e opposta percio' alla sfilata militare". "La marcia e' il simbolo della
moltitudine povera, che sa di essere nel giusto, che accomuna volentieri
tutti". Ne riferisce realizzazioni diverse, in diversi paesi (Germania,
Giappone, India e Cina, Canada, Stati Uniti, Cuba, Spagna), poi parla
naturalmente della Perugia-Assisi, da lui stesso promossa nel 1961 col
Centro di Perugia per la nonviolenza, il quale "invito' a prender parte
persone e associazioni politiche e religiose di ogni tendenza, e pose come
condizione non la propria ideologia, ma l'assenza di ogni fatto o accenno
violento per quelle ore" (pp. 98-107).
Questo tipo di azione e' diverso dalla manifestazione cittadina, pur giusta
ed efficace in certi momenti, che ha forma di corteo, dal simbolismo quasi
marziale, piu' facilmente abusata e rovinata da elementi violenti, dei quali
poi quasi unicamente riferiscono gli organi di informazione. La marcia fuori
citta', realizzata nei nostri anni in forme varie, meno vistose e clamorose,
e' piuttosto un cammino da una localita' significativa ad un'altra, simbolo
piu' mite di un percorso anche interiore di trasformazione personale e
politica verso la pace (21).
Altre forme di lotta nonviolenta sono lo sciopero (esperienze di Danilo
Dolci in Sicilia) nelle sue varie forme, fino allo hartal gandhiano (anche a
Budapest nel 1956); il boicottaggio economico, "tecnica prettamente
nonviolenta del principio di noncollaborazione", realizzato da Gandhi
(produzione artigianale per non acquistare i tessuti inglesi) e da Martin
Luther King (non uso dei bus). Ma riguardo al sabotaggio (danno o
distruzione contro il funzionamento di un servizio o di un'industria, oltre
il limite della legalita'), si chiede Capitini: "E' una tecnica della
nonviolenza?". E' una misura estrema - risponde - la quale esige che il
danno procurato sia inferiore al danno apportato dal funzionamento di quel
servizio, e che non vi sia nessun rischio per esseri viventi,
particolarmente umani. "Nessuno puo' sostenere che rendere inefficiente un
meccanismo o un servizio disposto da oppressori o invasori per tormentare o
uccidere persone, non sia lecito anche ad un nonviolento". Cosi',
antimilitaristi o familiari dei soldati hanno ostacolato la partenza di
treni per la guerra (pp. 107-112). Azioni simili, in anni recenti, contro il
transito in Italia di treni di armi per le nuove guerre, sono state assolte
in tribunale.
"Nelle azioni nonviolente collettive e' necessaria la pubblicita' delle
iniziative". Capitini fa risalire questa regola gandhiana mirante a ridurre
nell'avversario paura e dunque violenza, al dovere civico, propugnato da
Kant (in Che cos'e' l'illuminismo?), di contribuire, con l'uso pubblico
della ragione, al miglioramento della societa'. Cosi', ogni gruppo, pur
addestrandosi alle lotte nonviolente, deve rendersi utile con un continuo
servizio sociale alla comunita', senza cercare potere o prestigio ad ogni
costo, ma dimostrando fiducia nella coscienza di tutti che possa comprendere
la giustizia di una causa (pp. 112-114).
*
Disobbedienza civile
La disobbedienza civile si distingue chiaramente dalla noncollaborazione.
Questa "non esce dall'ambito della legalita' ed ha un carattere di rinuncia
a cio' che lo Stato puo' dare". La disobbedienza civile, invece, "infrange
la legalita', senza tuttavia attentare alla vita, o all'onore di alcuna
persona". Essa "puo' essere difensiva, rivolta contro leggi ingiuste: per
esempio, in uno Stato che neghi la liberta' di associazione, formare corpi
di volontari nonviolenti". "La disobbedienza civile di attacco e'
disobbedienza volontaria, e' una rivolta contro lo Stato oppressore".
Questo metodo, che Capitini chiama col termine gandhiano Satyagraha (forza
che viene dalla fedelta' alla verita'), prevede ben nove fasi successive: la
prima: tentare anzitutto trattative e accettare un arbitrato; la seconda:
esaminare bene i motivi dell'azione, esercitarsi all'autodisciplina, anche
con un digiuno purificatore, considerare bene le procedure, la situazione
dell'avversario, l'opinione pubblica; la terza: svolgere un'attiva campagna
di propaganda; la quarta: rivolgere un ultimo forte appello all'avversario,
spiegandogli le fasi ulteriori dell'azione e offrendogli una via d'uscita
dignitosa e costruttiva; la quinta: iniziare boicottaggio e scioperi; la
sesta: azioni di noncollaborazione alle pubbliche istituzioni; la settima:
scegliere bene a quali leggi disobbedire; l'ottava: preparare le funzioni di
governo alternativo, cioe' un Satyagraha affermativo; la nona fase:
sviluppare tali funzioni, renderle cosi' solide da ottenere la cooperazione
della popolazione. Si tratta di fasi successive nell'azione gandhiana, ma
anche di regole di questa azione, che gli studiosi hanno estratto dalle
lotte di Gandhi, formulandole in modi diversamente dettagliati, ma
sostanzialmente coincidenti (22).
Citando ancora Gandhi - "Ogni lotta per la giustizia passa per la prova di
cinque tappe: l'indifferenza, il ridicolo, la calunnia, la repressione, il
rispetto" (23) - Capitini sottolinea che la lotta nonviolenta "poggia
principalmente non sulla quantita' ma sulla qualita', sulla forza dell'anima
(che puo' essere anche in donne e ragazzi), sulla padronanza di se', sullo
spirito di sacrificio, insomma sul valore morale di ciascun combattente".
Insiste poi sulla persistente ricerca di un accomodamento onorevole con
l'avversario, senza alcun trionfo, sul rifiuto di cedere sull'essenziale,
sulla necessita' di controllare bene lo stato d'animo dei combattenti
nonviolenti, sul non nutrire mai astio o collera, ne' usare insulti, sul
comportarsi in modo esemplare in caso di arresto. Questo metodo gandhiano si
e' diffuso nel mondo, piu' che nell'India stessa (pp. 114-118).
Nel seguito di questo libro, Capitini registra alcune tecniche piu' recenti,
da quelle dei neri statunitensi contro la segregazione, a tante altre in
ogni parte del mondo, create con molta fantasia (p. 118-124); propone i
principi e il lavoro di addestramento alla nonviolenza (pp. 127-147); espone
il Piano De Ligt contro la guerra, del 1934, chiaro e accurato, ma proposto
a moltitudini "assolutamente immature ad una mobilitazione contro la guerra"
(pp. 150-157); riassume il Manuale dell'organizzatore dell'azione diretta
nonviolenta, di Charles C. Walker, del 1961 (pp. 158-165). Nell'ultima parte
(pp. 169-197), Capitini racconta le grandi campagne nonviolente, quelle di
Gandhi in Sudafrica, poi in India, sia contro i mali interni a quella
societa', sia contro il dominio inglese; quelle dei plebei nell'antica Roma;
quelle esemplari dei norvegesi (gli insegnanti, la chiesa, gli operai, le
organizzazioni professionali) contro l'occupazione nazista; quelle di Albert
Luthuli in Sudafrica contro l'apartheid, sebbene segnate da "gravi
insufficienze"; quelle piu' mature di Martin Luther King negli Usa, per i
diritti civili dei neri, che hanno anche creato nuove tecniche. E termina
osservando che sia l'Italia nel 1924, dopo il delitto Matteotti e l'Aventino
non proseguito, sia l'Europa nei confronti del regime nazista, si trovarono
completamente impreparate e immature a lottare contro quei gravi mali con
metodi nonviolenti, e caddero o nella rassegnazione passiva o nell'uso della
forza militare pari e contraria (24).
*
Filosofo militante
Capitini e' un teorico, di una teoria che passa naturalmente, come in
Gandhi, nell'azione, e che sull'azione riflette teoricamente. Con lo studio
e la promozione dell'azione nonviolenta, egli rappresenta il tipo del
filosofo militante. A questo proposito, lascio la parola a Jean-Marie
Muller: "Dunque, potra' il filosofo riflettere sulla nonviolenza se non e'
lui stesso un 'militante'? Ma l'uomo ragionatore diffida del militante.
Costui non ha forse la cattiva reputazione di essere un attivista? Poiche'
prende partito, non gli si rimprovera di cadere nell'intolleranza? Non e'
egli sospetto di avere idee troppo fisse per essere ancora capace di
riflettere? Certo, nessuno dubita che il militante sia un uomo di
convinzioni, ma - paradossalmente - e' proprio per questo che si dubita che
possa essere uomo di riflessione. Come se l'agire con convinzione non gli
permettesse di avere la distanza necessaria alla riflessione, come se fosse
meglio non agire per meglio riflettere... Non conviene invece mettere in
questione l'immagine del filosofo che riflette tenendosi fuori dalle beghe
della citta'? Come se il fatto di non impegnarsi, di non prendere partito
permettesse di riflettere meglio... Non bisogna piuttosto affermare che, se
la filosofia e' una ri-flessione sull'azione, il filosofo non puo' non agire
e, in questo senso, non puo' non essere un militante? Noi pensiamo in
effetti che si debba procedere a una riabilitazione filosofica della
militanza. Non e' senza significato che il termine militante abbia la stessa
radice etimologica della parola militare (dal latino miles, soldato): come
il militare pratica l'arte del combattimento armato, il militante
nonviolento pratica l'arte della lotta nonviolenta" (25). Su questo come su
ogni altro materiale di vita si esercita, prima e dopo, la riflessione.
*
Sharp, teoria del potere
Un ampio lavoro sulle tecniche di lotta nonviolenta e' il secondo dei tre
volumi di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta (26), dedicato
appunto a Le tecniche. Nel vol. I, Potere e lotta, Sharp propone sette
ipotesi per spiegare perche' gli storici hanno per lo piu' trascurato ed
ignorato (se non occultato) questo genere di lotte (cap. III, pp. 133-136).
Ecco alcune delle sue spiegazioni: il pregiudizio della societa' in cui gli
storici vivono, secondo cui la violenza e' il solo modo veramente efficace
di lottare; il loro legame, in certi casi, con gruppi di potere e sistemi
oppressivi, di cui si preoccupano di salvaguardare gli interessi, perche'
far conoscere forme di lotta utilizzabili da persone senza armi sarebbe come
istruire il popolo ad un metodo praticabile da tutti contro i dominatori (in
effetti, le tecniche nonviolente valgono per la difesa popolare dalla
sopraffazione interna ad un determinato sistema politico, e non solo, come
le tecniche militari, per i conflitti esterni guidati da chi ha il potere, e
quindi sono temute e possibilmente occultate da questi); come ogni nuova
concezione scientifica o sociale deve solitamente attendere molto tempo per
essere accettata, cosi' la gestione nonviolenta dei conflitti, la sua natura
e le sue potenzialita', hanno bisogno di tempo per essere scoperte e
accettate; fino a poco tempo fa, non esisteva alcun sistema concettuale per
raggruppare come esempi di lotta nonviolenta casi storici verificatisi in
tempi e luoghi i piu' diversi della storia umana, apparentemente separati e
scollegati, di cui non si scorgeva un comune metodo di azione; quando la
violenza fallisce, si tende a vederne la causa in specifici fattori e
carenze, e non nel metodo in se stesso, mentre quando la nonviolenza
fallisce o ha risultati limitati, si condanna integralmente come impotente
questo metodo, a causa del suddetto pregiudizio diffuso.
Contro il luogo comune della invincibilita' del potere, se non ad opera di
un potere piu' forte, di fatto piu' violento, Sharp presenta, nel cap. I,
una teoria del potere come, in realta', consistente essenzialmente
nell'obbedienza dei sottomessi. Gia' in Aristotele c'e' la semplice
osservazione che gli "onori" (le cariche politiche) dipendono piu' da chi
conferisce l'onore che da chi e' onorato (27). La teoria di Sharp ha un
illustre precedente in Etienne de la Boetie col Discorso sulla servitu'
volontaria (28), pubblicato tra il 1546 e il 1550. Se cosi' e', allora
possiamo vedere le possibilita' di un controllo nonviolento del potere
mediante la gestione del proprio consenso, necessario al potere, da parte
della societa' consapevole. Lo lotta nonviolenta a qualunque potere
prevaricatore consiste dunque, in sostanza, nell'amministrazione consapevole
del consenso che il popolo da' o nega, secondo il giudizio sul modo in cui
viene esercitato il potere. Non occorre, quando e' ingiusto e non si hanno
mezzi democratici per sostituirlo, abbatterlo col ferro e col fuoco: basta
negargli il consenso in modo sufficiente per svuotarlo e farlo cadere nel
proprio vuoto, senza colpo ferire, sebbene, per lo piu', non senza costi
umani, probabilmente sempre inferiori a quelli della lotta violenta. Un
grande esempio recente sono state le rivoluzioni politiche nonviolente (nei
fatti, non sempre nella consapevolezza teorica) avvenute nei paesi
dell'Europa orientale, nel 1989 (29).
*
Centonovantotto tecniche
Nel vol. II, Le tecniche, di 340 pagine, Sharp elenca 198 tecniche (un
numero aperto, ovviamente) che non ha immaginato a tavolino, ma ha osservato
nella storia di tutti i tempi e luoghi (30). Per ognuna di queste tecniche,
egli colleziona diversi casi storici; si tratta dunque di una raccolta, pur
sommaria, di molte centinaia di realta' storiche di nonviolenza attiva in
luogo della guerra o di altre violenze. Da vari decenni Sharp promuove
questa ricerca nel Program on Nonviolent Sanctions in Conflict and Defense
at the Center for International Affairs, Harvard University (31).
Un elenco delle 198 tecniche catalogate da Sharp e' in appendice
all'edizione italiana. Indico le maggiori categorie individuate dall'autore:
Protesta e persuasione nonviolenta; Noncollaborazione, distinta in sociale,
economica, politica; Intervento nonviolento. Nel primo gruppo troviamo:
Dichiarazioni formali; Forme di comunicazione rivolte ad un pubblico piu'
vasto; Rimostranze di gruppo; Azioni pubbliche simboliche; Pressioni sui
singoli individui; Spettacoli e musica; Cortei; Onoranze ai morti; Riunioni
pubbliche; Abbandoni e rinunce. Ognuno di questi sottogruppi comprende
singole forme di azione, da tre o quattro ad una dozzina, individuate da
Sharp nella storia. Sotto la noncollaborazione economica, per esempio,
troviamo ancora due grandi sottogruppi, a loro volta molto articolati: i
boicottaggi economici e gli scioperi. Rimando al libro per vedere tutte le
198 diverse tecniche rintracciate nell'esperienza: si tratta evidentemente
di un elenco aperto, che i fatti integrano continuamente, che ovviamente
puo' essere discusso e corretto, emendato qui o li', ma che resta comunque
indicativo della ricchezza di fantasia, concretezza e coerenza delle lotte
nonviolente nella storia.
E come mai tanta esperienza di mezzi nonviolenti non e' arrivata a
caratterizzare piu' ampiamente la politica, le lotte sociali, il pensiero
teorico sui conflitti umani? Jean-Marie Muller scrive: "Bisogna ben
riconoscerlo, quelli che affermano la necessita' della violenza,
generalmente non hanno mai provato la nonviolenza. Una cosa e' dire: bisogna
ricorrere alla violenza il meno possibile; altra cosa e' dire: bisogna
ricorrere alla nonviolenza il piu' possibile. Se l'uomo non si prepara a
mettere in atto i mezzi dell'azione nonviolenta ogni volta che e' possibile,
allora la violenza sara' ogni volta necessaria. Non si puo' fare davvero
risparmio di violenza se non facendo risolutamente la scelta della
nonviolenza. Il risparmio di violenza non e' possibile che nella dinamica
della nonviolenza" (32).
*
Capitini e Sharp
Giovanni (Nanni) Salio ha abbozzato un confronto fra le tecniche nonviolente
nella concezione di Capitini e di Sharp 33 : "L'approccio di Sharp e' piu'
pragmatico; egli intende introdurre le tecniche della nonviolenza in una
societa', indipendentemente dall'adesione o meno alla filosofia della
nonviolenza. Capitini [...] si propone obiettivi piu' ambiziosi, che
comportano una cambiamento strutturale della societa', per ridurre non solo
la violenza diretta, ma anche quella strutturale e culturale" (p. 51).
"Colpisce il fatto che l'obiezione di coscienza assuma un grande rilievo in
Capitini, mentre addirittura non compare nella classificazione proposta da
Sharp come voce a se' stante, sebbene possa rientrare nella disobbedienza
civile. Non e' una differenza di poco conto, ed e' forse riconducibile alla
maggiore attenzione che Capitini presta agli aspetti interiori della
nonviolenza rispetto alle preoccupazioni piu' pragmatiche di Sharp".
Gene Sharp, per questa sua impostazione, e' chiamato addirittura "il
Machiavelli della nonviolenza" ed e' stato criticato. Alcune recensioni lo
hanno accusato di "avere strappato il cuore alla nonviolenza". E' essa
soltanto un mezzo meno costoso? E' intercambiabile con la violenza se questa
si presenta piu' efficace? (34) Se la nonviolenza e' soprattutto una
tecnica, potra' servire a qualunque scopo? (35)
In una intervista torinese del 1987, che raccolsi io stesso, Sharp ha dato
una risposta a questa obiezioni: "La nonviolenza adottata per ragioni
pratiche farebbe scoprire la sua superiorita' morale. La maggior parte della
gente ha respinto la nonviolenza, magari ammirandone il valore morale,
perche' la riteneva non efficace, non praticabile. Non guardo il mondo solo
in termini di tecnica. La violenza mi ripugna. Le tecniche nonviolente non
sono panacee, ma sono rilevanti di fronte alla violenza. Vista la sua
efficacia, si apprezzera' il valore morale della nonviolenza" (36).
*
Note
21. Una esperienza torinese della tecnica di marcia in fila indiana,
sull'esempio di Martin Luther King, anziche' massiccia, realizzata nei
giorni del G8 di Genova 2001, e' raccontata, ammirata e discussa nei limiti
del suo valore da Marco Revelli, Carta d'identita', Ed. Carta - Intra
Moenia, Roma-Napoli 2005, pp. 47-54.
22. Sulle regole dell'azione gandhiana, si puo' vedere l'ampio saggio di
Giuliano Pontara Il pensiero etico-politico di Gandhi, introduttivo al
volume antologico di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi,
Torino 1996, alle pagine C-CXXIII; in questo volume di Gandhi, i suddetti
principi d'azione si trovano disseminati all'interno dei brani raccolti
nell'ampia sezione Le tecniche dell'azione nonviolenta, pp. 153-227; Johan
Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987, pp. 119-132, in
schema a p. 120-121; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini editore, Villa Verucchio (Rn) 2005, pp. 47-77.
Del libro recente di Antonino Drago, Storia e tecniche della nonviolenza,
diremo a parte, come del libro di Fulvio Cesare Manara, Una forza che da'
vita, gia' citato.
23. Un testo gandhiano piu' ampio su queste successive reazioni all'azione
nonviolenta, si trova nella selezione di scritti di Gandhi, Antiche come le
montagne, Edizioni di Comunita', Milano 1965, p. 242-243.
24. Vedremo, dal libro di Semelin che citeremo, che numerose forme ed
episodi di resistenza nonviolenta al nazismo in Europa sono state scoperte e
valorizzate dopo Capitini.
25. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
trad. di Enrico Peyretti, Plus, Pisa University Press, 2004, p. 96-97.
26. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1985, 1986, 1996 (1973), vol. I Potere e lotta, vol. II Le tecniche,
vol. III La dinamica.
27. Aristotele, Etica Nicomachea 1095 b.
28. Etienne de la Boetie, Discorso sulla servitu' volontaria, Jaca Book,
Milano 1979.
29. Il libro di Giovanni Salio, Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995, contiene la piu' accurata e acuta analisi dei fatti del
1989, sulla scorta di Johan Galtung, che ne mette in luce la tipica natura
di lotte nonviolente.
30. Quanto alle raccolte di casi storici di lotte nonviolente, mi permetto
di indicare la bibliografia da me curata e continuamente aggiornata, Difesa
senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, nel
sito http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti e pubblicata anche
parzialmente in piu' occasioni, per esempio in appendice a Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, citato. Vi sono
raccolti attualmente oltre 120 titoli.
31. Nota Giuliano Pontara che, in questo trattato ormai classico di Sharp,
"la nozione di nonviolenza non e' pero' intesa nel senso strettamente
gandhiano, bensi', piu' genericamente, nel senso di lotta non armata" (Il
pensiero etico-politico di Gandhi, citato, p. XCIX).
32.  Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
citato, p. 296.
33. Giovanni Salio, Le tecniche della nonviolenza, in "Il ponte", anno LIV,
n. 10, ottobre 1998, pp. 50-53.
34. Ho affrontato queste domande, presentando il lavoro di Sharp,
nell'articolo Teoria e storia della politica nonviolenta, in "il foglio",
mensile di alcuni cristiani torinesi, n. 128, settembre 1985
(www.ilfoglio.org).
35. Il problema si e' posto, per esempio, riguardo al boicottaggio
commerciale che fu la prima forma, nel regime nazista, di discriminazione
verso gli ebrei: era un'azione nonviolenta per un fine violento? Cosi',
l'articolo Nell'ombra delle "rivoluzioni spontanee", di Regis Gente' e
Laurent Rouy, su "Le Monde diplomatique" (gennaio 2005, p. 6) osservava che,
falliti nel '99 i bombardamenti della Nato in Jugoslavia, furono
organizzate, e ben finanziate dall'esterno, potenti manifestazioni popolari
nonviolente, che fecero cadere Milosevic. Il metodo e' stato quello di
Gandhi, e delle grandi rivoluzioni nonviolente dell'89 nell'Europa
orientale. Certo, non fu solo manipolazione, perche' c'era una vera
insorgenza popolare contro autoritarismi e dittature. Dopo la Serbia, il
metodo ha funzionato in Georgia, in Ucraina. Dunque, il metodo nonviolento
serve anche all'imperialismo, attirando paesi nell'area di influenza Usa
senza fare guerre? Ho commentato la questione nell'articolo Nonviolenza
violenta?, in "il foglio", mensile di alcuni cristiani torinesi, n. 319,
febbraio 2005.
36. Enrico Peyretti, Il controllo nonviolento del potere. Incontro con Gene
Sharp, in "Rocca", Assisi, 1 agosto 1987, pp. 42-44.
(Parte seconda - segue)

4. LIBRI. STEFANO PETRUCCIANI PRESENTA "COSCIENZA DI CLASSE E STORIA.
CODISMO E DIALETTICA" DI GYORGY LUKACS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 giugno 2007, col titolo "Quella felice
innovazione sul mondo delle cose" e il sommario "Finalmente pubblicata la
replica, finora inedita in Italia, di Gyorgy Lukacs alle critiche espresse
contro Storia e coscienza di classe.
Stefano Petrucciani (Roma, 1953) acuto studioso di filosofia, docente
universitario e saggista di forte impegno civile. Opere di Stefano
Petrucciani: Ragione e dominio. L'autocritica della razionalita' occidentale
in Adorno e Horkheimer, Salerno, Roma 1984; Etica dell'argomentazione.
Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl-Otto Apel, Marietti, Genova
1988; (con F. S. Trincia), Marx in America, Editori Riuniti, Roma 1992; Marx
al tramonto del secolo, Manifestolibri, Roma 1995; Introduzione a Habermas,
Laterza, Roma-Bari 2000; Introduzione a Adorno, Laterza, Roma-Bari 2007.
Gyorgy Lukacs, filosofo e saggista, nato a Budapest nel 1885, li' scompare
nel 1971 dopo aver attraversato da militante e da studioso (e con molti
travagli personali) le tragiche vicende del secolo. Taluni aspetti
discutibili dell'opera (dell'operato, della ricerca) lukacsiana non tolgono
valore al suo contributo alla riflessione contemporanea. Opere di Gyorgy
Lukacs: fondamentali sono Storia e coscienza di classe, Sugar, Milano; La
distruzione della ragione, Einaudi, Torino; particolarmente rilevanti anche
la sua Estetica, Einaudi, Torino; e l'ultima grande ricerca: Ontologia
dell'essere sociale, 3 tomi, Editori Riuniti, Roma. Opere su Gyorgy Lukacs:
per una prima (e non simpatetica) introduzione cfr. Giuseppe Bedeschi,
Introduzione a Lukacs, Laterza, Bari. Tra i tanti libri a Lukacs dedicati
segnaliamo particolarmente Cesare Cases, Su Lukacs, Einaudi, Torino, che ha
anche il valore di una testimonianza.
Slavoj Zizek e' nato a Lubjana nel 1949, ma da molti anni vive tra Berlino,
Londra, Parigi e la Slovenia; filosofo e saggista i cui interessi vanno
dalla psicoanalisi alla filosofia alla politica, solo da pochi anni le sue
opere sono state tradotte in italiano. Opere di Slavoj Zizek: Il grande
altro. Nazionalismo, godimento, cultura di massa, Feltrinelli, 1999; Il
godimento come fattore politico, Cortina Raffaello, 2001; Benvenuti nel
deserto del reale. Cinque saggi sull'11 settembre e date simili, Meltemi,
2002; Difesa dell'intolleranza, Citta' Aperta, 2002; Il soggetto scabroso.
Trattato di ontologia politica, Raffaello Cortina, 2003; Tredici volte
Lenin. Per sovvertire il fallimento del presente, Feltrinelli, 2003;
L'isterico sublime. Psicanalisi e filosofia, Mimesis, 2003; Dello sguardo e
altri oggetti. Saggi su cinema e psicoanalisi, Campanotto, 2004; L'epidemia
dell'immaginario, Meltemi, 2004; Iraq. Il paiolo in prestito, Raffaello
Cortina, 2004; America oggi. Abu Ghraib e altre oscenita', Ombre Corte,
2005; Distanza di sicurezza. Cronache del mondo rimosso, Manifestolibri,
2005; Diritti umani per Odradek?, Nottetempo, 2005; Credere, Meltemi, 2005;
(con Glyn Daly), Psicoanalisi e mondo contemporaneo. Conversazioni con
Zizek, Dedalo, 2006; Contro i diritti umani, Il Saggiatore, 2006; Il cuore
perverso del cristianesimo, Meltemi, 2006; Considerazioni politicamente
scorrette sulla violenza metropolitana, Forum Edizioni, 2007]

Se il marxismo filosofico e' stato, qualsiasi cosa se ne voglia pensare
oggi, un tassello fondamentale della cultura del Novecento, in esso un ruolo
decisivo fu svolto dal libro che Georg Lukacs scrisse nel 1922 e stampo'
l'anno dopo, Storia e coscienza di classe. L'occasione per ritornarci sopra
e' oggi la pubblicazione (per le Edizioni Alegre, con il titolo Coscienza di
classe e storia. Codismo e dialettica, traduzione di Marco Maurizi,
postfazione di Slavoj Zizek, euro 22) della replica che Lukacs scrisse, tra
il 1925 e il 1926, per rispondere alle accuse che gli erano state mosse dal
marxismo ortodosso, e che erano state ufficializzate al quinto congresso
dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca nell'estate del 1924.
*
La rivoluzione perduta
Nel periodo immediatamente successivo alla rivoluzione d'Ottobre, Lukacs e'
schierato con i comunisti di sinistra, che nel 1920 danno vita alla rivista
"Kommunismus" e che vengono prontamente bacchettati da Lenin, anche perche'
sostengono la tesi estremista del rifiuto di partecipare ai parlamenti
borghesi. Ma la speranza che la rivoluzione russa possa innescare un
processo a catena in Europa viene rapidamente perdendo consistenza: e il
movimento comunista si viene chiudendo nel segno della bolscevizzazione dei
partiti comunisti europei e della loro netta dipendenza da Mosca, unica
roccaforte trincerata di fronte a un'Europa dove montano i fascismi.
E' in questo contesto difficilissimo, dove le lotte intestine e le
scomuniche si sprecano, che Lukacs lancia, col libro del '23, la sua
provocazione: una rilettura tutta filosofica, fortemente soggettivistica,
del marxismo, che si gioca fondamentalmente su due piani. Da un lato legge
la dialettica marxiana dialogando con tutto il miglior pensiero europeo, con
Hegel, con Max Weber, col neokantismo: quel pensiero del quale si era
nutrito il Lukacs premarxista, l'autore di opere suggestive come L'anima e
le forme e la Teoria del romanzo. Dall'altro rilancia il carattere
soggettivo, quasi decisionista, dell'azione politica rivoluzionaria;
rivendicando, questa volta, la lezione politica di Lenin contro il
ripiegamento oggettivista e determinista che caratterizzera', da li' in
avanti, la filosofia ufficiale del movimento comunista. Quasi per costruire
una filosofia della rivoluzione nel momento in cui la rivoluzione reale
segna il passo, e anzi da' mostra di involuzioni burocratiche e ripiegamenti
autoritari.
*
Inutile forzatura
Entrambi gli aspetti del libro di Lukacs erano assolutamente indigesti ai
custodi del marxismo ortodosso. Lukacs viene immediatamente bollato come
"idealista", e fatto oggetto di critiche pesanti alle quali risponde con il
lungo testo inedito del quale viene ora pubblicata la traduzione italiana.
Nella polemica, entrambe le parti rivendicano l'autenticita' del loro
"leninismo" (Lenin muore nel 1924), e in essa si intrecciano temi politici a
questioni piu' prettamente filosofiche. Nella sua post-fazione Slavoj Zizek
insiste, volendo posizionarsi in modo provocatorio e controcorrente, sul
punto che sarebbe riduttivo limitarsi a leggere oggi Storia e coscienza di
classe come il testo fondativo del cosiddetto "marxismo occidentale", come
il libro di un raffinato filosofo che mette in comunicazione il marxismo con
i temi piu' importanti del pensiero del Novecento. Bisognerebbe, al
contrario, leggere Lukacs come l'originale "filosofo del leninismo",
prendendo le distanze dalle interpretazioni piu' storico-culturali che
finiscono per depoliticizzarlo.
La lettura che Zizek propone sara' anche controcorrente ma e' una inutile
forzatura. Se il libro di Lukacs e' stato cosi' importante nel pensiero del
Novecento, se e' stato perfino circondato da un certo alone mitico (l'autore
tra l'altro non volle mai ristamparlo, e lo fece solo nel 1967
premettendogli una lunga introduzione autocritica) non e' perche' proponeva
una interpretazione decisionistica e attivistica del leninismo. Lukacs e'
stato importante perche' nel suo libro (e, parzialmente, in Marxismo e
filosofia di Korsch, che esce nello stesso anno) viene riscoperta
l'originaria vena dialettica del pensiero di Marx, che era stata occultata
sia dal marxismo evoluzionista e positivista dell'ultimo Ottocento, sia dal
marxismo neokantiano di personaggi come Max Adler, sia dalle ortodossie alla
Plechanov.
Al centro della sua riflessione Lukacs pone i concetti del feticismo e della
"reificazione". Nella prima pagina del saggio piu' importante tra quelli che
compongono il libro del '23 cosi' esordisce: "dobbiamo renderci chiaramente
conto che la questione del feticismo delle merci e' un problema specifico
della nostra epoca, del capitalismo moderno". E' nel mondo delle merci,
infatti, che il rapporto tra gli uomini, un rapporto che ha una forma
storica, specifica, determinata, viene occultato e si presenta ad essi come
se fosse un rapporto tra cose. Le cose e le leggi impersonali dominano la
vita sociale, occultando i reali rapporti (di potere e di espropriazione)
che ne sono alla base.
*
Il debito di una generazione
Ora, e' noto che per Lukacs solo la classe operaia, che produce col suo
lavoro questo mondo sociale e che al tempo stesso ne e' espropriata, ha le
potenzialita' per superare la reificazione, e per porsi dunque come il vero
soggetto autopoietico della storia, quello che l'idealismo tedesco aveva
cercato invano. Ma questa evidente "mitizzazione" nulla toglie alla
centralita' della questione che Lukacs solleva, e soprattutto alla
fecondita' di molti dei suoi temi per l'elaborazione di un pensiero critico
del Novecento. Ricordiamone solo alcuni: il rilancio della categoria di
totalita' sociale, che impedisce di pensare in modo meccanico il rapporto
tra base economica e sovrastruttura giuridica, politica, ideologica; il
rifiuto della dialettica della natura engelsiana che hs poi dato luogo al
famigerato Diamat sovietico; la concezione storico-critica della scienza
naturale, che ne mette in rilievo i presupposti e i condizionamenti sociali
ed esclude percio' qualsiasi teoria della verita' scientifica come
"rispecchiamento"; e si potrebbe continuare a lungo.
Proprio questa sua straordinaria capacita' di innovazione del marxismo ha
fatto si' che il libro di Lukacs sia diventato una sorta di punto di
riferimento inaugurale nei confronti del quale una generazione di
intellettuali critici del Novecento ha contratto un debito durevole. Basti
pensare a Adorno, a Marcuse, a Ernst Bloch, a Guy Debord. Ma con Storia e
coscienza di classe non potra' fare a meno di confrontarsi anche il pensiero
della parte avversa: non ha sbagliato, per esempio, chi ha visto nel grande
libro di Heidegger del 1927, Essere e tempo, anche l'intenzione di proporre
una lettura della reificazione alternativa a quella di Lukacs, nel senso che
una questione eminentemente storico-sociale e' virata in una problematica
esistenziale. Se vale la pena di rileggere Lukacs, almeno quello del '23, e'
perche' ha avuto il merito di reinserire la teoria di Marx nel miglior
pensiero del Novecento; e perche' di Marx ha valorizzato l'intuizione piu'
geniale, quel feticismo delle merci il cui potere incantatorio continua a
espandersi sulle nostre societa', nonostante che il pensiero europeo abbia
smesso da tempo di occuparsi di Marx...

5. RILETTURE. MADAME DE SEVIGNE': LETTRES
Madame de Sevigne', Lettres, Garnier-Flammarion, Paris 1976, 1993, pp. 448.
A cura di Bernard Raffalli. Sovente questo ci ha colto pensiero, che del
cuore degli esseri umani e del mondo s'impara di piu' leggendo le lettere di
Madame de Sevigne' (1626-1696) che sfogliando tutti gli augusti trattati
degli esimi professori di filosofia della filosofia dei professori, o tutti
gli almanacchi e i lunari che ogni giorno avvolgono ventose le vie. Sapeva
tutto, Marie de Rabutin-Chantal, marchesa di Sevigne'.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 146 del 10 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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