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Minime. 79
- Subject: Minime. 79
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 4 May 2007 00:12:58 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 79 del 4 maggio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Virginia Del Re: Nonviolenza femminile plurale 2. Michela De Santis: Storia di Salome' 3. Anna Maria Crispino: Chi vince nel corpo a corpo tra maschi? 4. Tiziana Plebani: Gli ulivi di Sparta e i conti in sospeso con la storia 5. Liliana Moro: Le donne sono nonviolente? 6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 7. Riedizioni: Antonio Gramsci, Le opere 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. VIRGINIA DEL RE: NONVIOLENZA FEMMINILE PLURALE [Ringraziamo Virginia Del Re (per contatti: virdelre at tin.it) per questo intervento. Virginia Del Re e' presidente del Coordinamento dei movimenti e delle associazioni di donne della Provincia di Pisa] E' bellissimo e importante essere arrivate/i al numero 100 di "Nonviolenza. Femminile plurale". Mi fermo a pensare al suo significato e mi si affaccia spontanea alla mente la difficile domanda: c'e' davvero una nonviolenza specificamente femminile, e se si', qual'e'? e, ammesso che una cosa simile esista, e' cambiata, e come, nel corso degli anni? Penso in particolare a due punti problematici legati a questo tema: il primo e' quello della difficile conciliazione tra l'immagine profondamente interiorizzata nella nostra cultura, e non soltanto nella nostra, della donna come genere antitetico alla guerra, come inerme per natura - ma anche per scelta - e la realta' della donna combattente, della donna in armi, sia nelle resistenze "storiche", sia nelle nuove forme di guerra, popolate di soldatesse e di donne kamikaze. Abbiamo visto di recente giovani madri fiere di immolarsi come martiri, usando il loro stesso corpo come arma di strage, e persino una donna incinta. Un ossimoro simbolico smisurato. Come la giovanissima soldatessa americana trionfante e irridente su un corpo nemico. Le cronache non lasciano spazio all'immaginazione e cancellano spietatamente illusioni - e stereotipi - ormai sempre piu' logori e sentimentali. Ne creano degli altri, naturalmente, e spesso e' inevitabile la sensazione che ci sia come un perverso, sottile piacere nel raccontarci donne violente, martiri suicide e madri feroci. Mi spiego: non c'e' solo la ben nota passione giornalistica per la cronaca dell'orrore, per i dettagli raccapriccianti. E' come se la narrazione prendesse un significato esemplare e didatticamente gustoso: "le donne non sono meglio degli uomini, visto?". Noi - forse - ci consoliamo pensando che e' proprio l'eccezionalita' stessa dell'evento e dei personaggi a far rumore - l'assassino maschio, il soldato sadico purtroppo fanno poca o nessuna notizia - e non reagiamo, ma il dubbio ci assale. L'ossimoro nero e' reale, o abbiamo sempre vissuto in una (ennesima) immagine e narrazione tagliataci addosso dagli uomini? Come riusciamo a convivere, femministe o no, pacifiste convinte o meno, con quest'altra perdita di un mito - un mito, per una volta, buono, positivo? * Ed ecco il secondo punto problematico, strettamente legato al primo: la forte componente pacifista nel femminismo: pacifismo in difesa della vita contro la morte, contro I'idolatria della forza e della violenza come valori individuali positivi, e pacifismo in opposizione alla cultura maschile di astrazioni omicide e suicide quali il nazionalismo, I'integralismo, la lotta per il possesso del corpo delle donne: per il potere, in una parola. Come reagisce questa parte del femminismo alla realta' in mutamento? Nella Storia, la donna e' per antonomasia la meta' inerme e imbelle del genere umano e nel lessico comune - di conio maschile - Ia parola "inerme" significa indifeso, debole, piu' che semplicemente disarmato, mentre il termine imbelle, "chi non fa la guerra", suona, abbastanza ovviamente, come "vile", non come "pacifico". Le donne, pero', non sono vili e sanno perfettamente come battersi, anche con le armi, contro I'oppressione e contro le dittature, come dimostrano bene Ie loro storie di resistenti e la realta' attuale. Semplicemente - si fa per dire... - la maggior parte delle donne usano, se possono, altri metodi, prediligono la continuazione della vita e del tessuto quotidiano delle relazioni tra le persone. E, sempre se possono, ma gliene e' mancato fin qui il potere politico - tendono a risolvere i conflitti prevenendo la guerra piuttosto che portarli al punto da doverla combattere. * Di recente mi sono trovata a partecipare a un ciclo di seminari su "Le resistenze delle donne". Si e' parlato delle resistenti argentine, bosniache, iraniane. C'e' una meravigliosa specificita' nonviolenta espressa dalle Madri di Plaza de Mayo, dalle Donne in nero - madri israeliane e palestinesi e poi donne di tutto il mondo -, dalle donne di Srebenica, dalle studentesse universitarie dell'Iran. Quello che ho trovato particolarmente affascinante e' stato il vedere come la Storia nelle mani delle donne si fa in forme non canoniche. Come queste resistenze femminili non sono resistenze classiche, storicamente inquadrate, ma prendono spesso le forme della vita stessa delle donne, adattandosi ad una realta' non di primo piano, non riconducibile agli schemi militari, di guerra, di armamenti, di dominio commerciale e territoriale. Le madri argentine hanno "inventato" una forma che e' tipica delle donne: si sono armate della loro maternita' e della loro caparbieta'. Cosi' pure le bosniache hanno trovato altre forme calate nel concreto delle circostanze. E, per le iraniane, le afghane, la' addirittura e' una storia che si sta facendo, un qualcosa che non si puo' ancora dire. Sembra in questi casi che le donne siano riuscite davvero a inventare quei nuovi metodi e a trovare le nuove parole di cui scriveva Virginia Woolf ne Le tre ghinee. In questo modo di fare la Storia, mi sembra, c'e' qualcosa che segna la nostra differenza e che pure potremmo proporre agli uomini: le donne hanno lottato, hanno fatto opposizione e a volte vinto, "inermi", ponendosi in quanto madri, mogli, compagne, figlie, sorelle, o semplicemente in quanto donne: e hanno sentito il bisogno di unirsi, non in nome della Nazione, o della Religione, ma per avere riconosciuto il diritto di riavere il corpo dei figli, dei mariti, per dare, come Antigone, sepoltura ai fratelli. Che io sappia nessun gruppo di uomini, per quanto affettuosi nella sfera domestica, privata, si e' mai presentato alla Storia "a mani non armate" in quanto padre, o marito, o figlio. La costruzione della violenza richiede non solo armi, ma astrazioni e ideologie, giustificazioni altisonanti, e maschere paurose, ora come nei tempi piu' remoti * Su tutti e due i punti mi viene da chiedere: Stiamo cambiando? Quanto? Accedere al potere in una societa' maschile vuol dire schiacciarci su quei modelli e perdere la specificita' fin qui considerata propria del nostro genere, che sia naturale o culturale? Il pericolo, perche' di questo si tratta, e' che le differenze positive che ci riconosciamo in quanto donne, vengano definitivamente sacrificate al potere, al denaro: che non riusciamo a porci, noi, come possibile modello di nonviolenza e di cura dell'altro; che invece di mostrare ai nostri figli, maschi e femmine, come la relazione tra le persone e la ricerca della mediazione debbano aver sempre il primato, noi ci lasciamo trascinare a imitare e ripetere il modello violento e distruttivo che la Storia ci consegna. * Dobbiamo, io penso, trovare il modo di portare gli uomini, i maschi, dalla nostra parte: e non e' facile... Ce lo chiedono ora anche molte donne giovani, che non hanno vissuto le vicende degli anni femministi. A parte la questione della separatezza, che ancora molto femminismo sembra esigere, uno dei nodi piu' duri da sciogliere, da questo punto di vista, e' il nostro rapporto con i figli maschi: trasmettiamo loro la lingua, e le basi della cultura, e dunque l'impalcatura simbolica, e non solo, di un sistema pieno di violenza; poi, dopo che i figli hanno superato l'infanzia, la maggior parte di noi non riesce ad affrontare con i figli i temi legati al sesso, alla forza e alla "differenza" (maschile). Di fronte agli stereotipi cui essi sentono il bisogno di conformarsi per sopravvivere socialmente siamo spesso inefficaci, impotenti. Certo, speriamo che le nostre idee, il nostro modo di essere li influenzino positivamente, ma non possiamo andare piu' in la' di tanto. E i padri, quando ci sono, non ci aiutano molto. Uno degli aspetti incoraggianti da questo punto di vista e' la presenza dei gruppi di riflessione maschile: finalmente, mi viene da dire, e mi viene anche da dire: ascoltiamoli, stiamogli accanto (senza interferire); l'esclusione e la chiusura non sono contemplate nel libro della nonviolenza. Al contrario questa potrebbe essere, e gia' Gandhi lo insegnava, una delle poche strade nuove ancora aperte in una ridda paurosa di trasformazioni delle donne. 2. EDITORIALE. MICHELA DE SANTIS: STORIA DI SALOME' [Ringraziamo Michela De Santis (per contatti: mklmkl83 at libero.it) per questo intervento. Michela De Santis e' impegnata nella solidarieta' internazionale con esperienze presso importanti ong; e' un'acuta studiosa delle questioni della pace, della giustizia, della dignita' umana] Salome' ha 42 anni. Quattro figlie femmine, un marito della sue eta'. La sua casa e' modesta, fatta di pali di legno e con il tetto in lamiera, un letto, il ripiano per cucinare, anche quello in legno, un tubo dove a volte scorre l'acqua. Sopra la sua casa la foresta imperversa con tutti i suoi figli: alberi immensi, fiori, piante e naturalmente il fiume: le loro voci si confondono creando un concerto che di notte diventa assordante. Nessuno puo' sentire le urla di Salome', la sua casa e' troppo lontana dalle altre abitazioni del villaggio, non esiste una strada per arrivarci, bisogna attraversare a piedi un lato della montagna. Il marito l'attraversa tutti i giorni, per arrivare fino alla coltivazione d'ananas della Del Monte dove lavora, per essere pagato una manciata di dollari e ricoperto di fertilizzante distribuito con un elicottero mentre si china per raccogliere la frutta. Tornando a casa dal lavoro l'uomo fa una sosta nel bar del villaggio e ci resta fino a notte inoltrata. Quando suo marito torna a casa, nessuno puo' sentire le urla di Salome', e neanche della sue quattro figlie, quando lui con il machete le minaccia di tagliarle a pezzi, quando tira contro di loro pezzi interi di legna, quando le lascia senza cibo per giorni e giorni perche' al bar ha speso tutto il suo guadagno. Eppure lei non se n'e' mai andata: "per andare dove?", Salome' non ha piu' paura: "Se mi uccide mi uccide". * Un giorno viene a sapere che un gruppo di volontari italiani stanno incentivando nel villaggio la costituzione di una cooperativa agricola, e decide di prendere parte al progetto. Il lavoro le sta dando molto di piu' della semplice possibilita' di far mangiare le sue figlie. Avere delle responsabilita', contare nell'espressione della propria opinione, avere una spazio di identita' diversa da quella che si sentiva inesorabilmente cucita addosso: quella della moglie dell'alcolizzato che viveva la vita aspettando il suo ritorno con la paura di vederlo nervoso la mattina, nervoso il pomeriggio, nervoso sempre. In pochi nel villaggio conoscono la sua storia "privata", l'assurdita' dell'isolamento delle riserve indigene in Sud America fa si' che qui in Italia si leggano storie di donne che sono ignorate dalla maggior parte delle persone che le circondano. Quella di Salome' e' tutt'altro che una storia isolata, ma anzi si ripete, con lo stesso copione, anche in molte case di mattoni del nostro occidente. E' la storia di una donna che lentamente e con fatica, attraverso scelte a volte meditate e a volte istintive, prende un mano la sua vita, resistendo alla poverta', alla sottomissione, alla violenza. * Oggi sono ormai numerosissimi i progetti di sviluppo portati avanti da organizzazioni internazionali che hanno come protagoniste le donne. E' ormai definitivamente attestato anche nei migliori manuali, che le donne "reagiscono" meglio ai processi di sviluppo che si innescano con i progetti: sono maggiormente motivate a partecipare, riescono a coordinarsi bene nel lavoro in gruppo, cooperativa, comunita'. Le donne sono maggiormente affidabili. Ed inoltre, anche questo e' ormai un concetto diffuso e condiviso, uno sviluppo che non promuova l'empowerment femminile non e' degno di chiamarsi tale. Mi piace pensare che non sia solo per questo, per una buona riuscita e per compiacere le statistiche, che le donne siano oggi elette a "protagoniste dello sviluppo". Mi piace pensare che con le riflessioni e le buone pratiche le donne, del nord e del sud del mondo, possano lavorare insieme per una nuova riflessione sul concetto stesso di sviluppo, sul modo con cui noi occidentali lo pensiamo e pretendiamo di innescarlo e monitorarlo. E' ormai da qualche tempo che al termine "sviluppo" si vanno affiancando aggettivi come "sostenibile" e "umano". E' inoltre ormai condivisa da molti l'idea per cui lo sviluppo debba essere inteso come ampliamento di capacita' e non solo di potere d'acquisto o reddito individuale. Ma la riflessione femminista puo' apportare a questa ridefinizione dello sviluppo un apporto fondamentale. Cosa accadrebbe se lo sviluppo fosse valutato e monitorato in base all'ampliamento delle relazioni - di affetto, di fiducia, di cura - che si sviluppano tra volontari e beneficiari, tra comunita' del nord e del sud del mondo che si avvicinano alle storie, uniche e irripetibili, di ciascuno? Perche' questo e' quello che accade quando si compiono lunghi viaggi per incontrare popolazioni sconosciute, ci si "siede dove la gente si siede", si ascoltano storie e si condivide qualcosa che va ben oltre il semplice "aiuto allo sviluppo". Non e' sufficiente pensare che tutto questo accade e basta, ma si deve incentivare l'idea per cui queste relazioni sono la prerogativa per un vero sviluppo, anziche' una probabile conseguenza. E' dunque anche per questo motivo che le donne devono essere "protagoniste dello sviluppo", perche' dalla riflessione e dalle pratiche femministe si puo' apprendere come incentivare la "resistenza" alla poverta'. Una resistenza che si costruisce attraverso il linguaggio e le pratiche nonviolente, ma anche grazie alle relazioni di cura reciproca che sfidano la verticalita', ed infine con la responsabilita' di essere custodi e partecipi della storia di ciascuno. 3. RIFLESSIONE. ANNA MARIA CRISPINO: CHI VINCE NEL CORPO A CORPO TRA MASCHI? [Ringrsziamo Anna Maria Crispino (per contatti: leggendaria at supereva.it) per questo intervento. Anna Maria Crispino, prestigiosa intellettuale, esperta giornalista, acuta saggista, ha fondato e dirige la rivista "Leggendaria. Libri, letture, linguaggi"; ha lavorato per molti anni nel dipartimento esteri dell'Agi; e' tra le fondatrici della Societa' italiana delle letterate. Tra le sue ultime pubblicazioni, la traduzione e cura di Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, Luca Sossella editore, Roma 2002; introduzione e cura di Oltrecanone. Per una cartografia della scrittura femminile, Manifestolibri, Roma 2003; "Narrative del nuovo millennio", in AA. VV, Un'appropriazione indebita. L'uso del corpo della donna nella nuova legge sulla procreazione assistita, Baldini Castoldi Dalai editori, Milano 2004; "Il conflitto armato. Nota per la discussione", in AA. VV, Lo spazio della scrittura. Letterature comparate al femminile, a cura di T. Agosti, A. Chemello. I. Crotti, L. Ricaldone, R. Ricorda, Il Poligrafo, Padova 2004; traduzione e cura di Rosi Braidotti, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma 2005 (seconda edizione ampliata); prefazione e cura di La scrittura della differenza. Testi di drammaturghe dal Sud, Manifestolibri, Roma 2006] La fabbrica dell'immaginario e' un ottimo osservatorio per cogliere quei segnali che registrano o in qualche caso anticipano tendenze in atto. E che la tendenza - una delle tendenze forti - sia quella di una rinnovata legittimazione della guerra trova ampia conferma in un film come "300" che ha spopolato al box office, intasato i blog e mobilitato firme eccellenti per le critiche anche in Italia. Tratto dal graphic novel di Frank Miller, il film di Zack Snyder e' certamente un'esperienza visiva di primissimo ordine per chi ama il genere. Confezionato al meglio delle possibilita' tecnologiche disponibili, "300" veicola un messaggio chiaro e semplice: la guerra non solo e' giusta, non solo e' nobile ma e' anche bella. La storia, com'e' noto, e' quella della battaglia delle Termopili, quando nel 480 a. C. i trecento spartani guidati dal re Leonida riuscirono a bloccare per giorni l'immenso esercito del persiano Serse. L'attendibilita' storiografica del racconto non ha molta importanza, come sempre nella Storia e nelle storie che l'industria del cinema made in Usa inghiotte e risputa: quello che conta e' la tipizzazione dei personaggi e l'estrema semplificazione del racconto, cui molti critici - compreso Roberto Saviano - hanno attribuito una qualita' epica per giustificarne il manicheismo. Nel film Leonida e' il campione di Sparta - cioe' della Grecia e per estensione dell'Occidente e dunque della civilta' tout-court -, l'uomo perfetto nel corpo e nella mente, addestrato alla sofferenza come un vero marine, capace di sacrificare la sua vita e quella dei suoi compagni per un ideale: niente di piu' e niente di meno che la liberta'. Vi ricorda qualcosa? Dall'altra parte c'e' Serse - cioe' l'Altro, l'Oriente, la barbarie - raffigurato come un mostro: alto tre metri, sessualmente ambiguo come una inquietantissima drag queen, la pelle lucida d'olio trafitta dai piercing, le unghie laccate di blu, ricoperto d'oro e circondato da belve e schiavi. Leonida e Serse: in questo "corpo a corpo" tra maschi, ogni elemento, ogni dettaglio, serve a indicare chi sono i buoni e chi i cattivi. I soldati persiani sono una moltitudine senza volto, e quelli che alla fine vediamo in primo piano - detti gli "immortali" ma che invece muoiono a bizzeffe - hanno una maschera d'argento sul viso che li fa assomigliare a spietati guerrieri ninja, macchine da guerra cyborg che nascondono il disfacimento dei corpi. I trecento di Leonida sono praticamente nudi - e quindi puri, esposti - tutti muscoli e sudore, sangue e coraggio contro la marea dei senza volto. Useranno i cadaveri dei nemici uccisi - in scene perfettamente splatter anche se non gratuite nel contesto del racconto - per innalzare un muro. Barriera che serve a costringere il nemico a infilarsi nella stretta gola dove la differenza numerica non conta piu': sono intelligenti questi spartani, non mera forza bruta, ci dicono le immagini. Odiare e combattere, questa la missione. Non si arretra di un passo, non ci si arrende. E tale e' la giustezza della loro causa, che potranno essere battuti solo con l'inganno - e da un altro "mostro", peraltro, uno spartano deforme, Efialte, salvato da bambino dalla pieta' dei genitori. La legge della citta', lo sanno tutti, prevedeva che i non perfetti fossero gettati dalla rupe Tarpea appena nati: la perfetta virilita' non sopporta la mostruosita' che oggi chiamiamo disabilita'. * "300" e' politicamente scorretto, certo. Ideologicamente peggiore dei peggiori western di John Wayne - se non proprio semplicemente fascista come lo definisce Marco Lodoli su "Diario". Discorsivamente schierato senza sbavature sulla versione statunitense dello "scontro di civilta'". Ma ancora, se possibile, non e' questo che conta di piu'. Quello che davvero sgomenta e' la perfetta confezione - e dunque l'efficacia comunicativa - di un immaginario che torna a fondarsi saldamente su quelle coppie di opposti assoluti in cui non c'e' spazio per la relazione: bene/male, liberta'/schiavitu', onore/tradimento, convenienza/sacrificio, uomo/donna. E' da questi binomi - che il femminismo e il pensiero della nonviolenza hanno tenacemente, efficacemente smontato - che nascono la violenza, la spersonalizzazione dell'altro-nemico, la paura e l'odio per la diversita'. Insomma la guerra. "300" disegna lo spazio simbolico della virilita' - "Questa e' Sparta!" - dentro la quale il nemico puo' solo essere annientato e gli altri uomini - quelli che non combattono, come i filosofi ateniesi - sono considerati pavidi e effeminati. E le donne? Mogli fiere dei loro sposi e fattrici di combattenti. Nello scontro tra diversi modelli di virilita' messo in scena nel film di Snyder, l'unica presenza femminile, oltre alla prostitute sacre dell'oracolo, e' la regina Gorgo che affronta la tempesta di testosterone da cui sono afflitti Leonida e i suoi 299 compagni con la fierezza della moglie dell'eroe designato: gli regala l'ultima notte d'amore prima della battaglia e lo saluta, sapendo che non tornera' e che a lei non restera' altro da fare che addestrare il figlio bambino alla dura legge di Sparta. * Si puo' decidere di non andare a vedere un film come "300". Si puo' anche discutere se tale sfacciata riproposizione di un virilismo guerresco sia un segno di forza o di debolezza di un patriarcato che qualcuno aveva gia' dato in agonia se non proprio sepolto. O discettare sulla valenza di una storia riproposta come un mito fondativo dell'Occidente democratico ma che a tratti appare invece come una parodia. Quel che e' certo pero' e' che questo tipo di narrative e' in grado di produrre figurazioni - per usare un termine caro a Rosi Braidotti (Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma 2005) - che raccontano di piu' e meglio di ogni altro medium quanto la posta in gioco piu' grossa sia il terreno dell'immaginario. Anche perche', a leggere le interviste concesse dal regista e dell'autore, risulta evidente che "300" non e' il prodotto di un consapevole disegno politico, ne' uno strumento di voluta propaganda dell'imperialismo culturale Usa: e' piuttosto il prodotto di una cultura alimentata dalla paura, dalla porosita' dei confini, materiali e simbolici, di un se' che non riesce ad accettare la sua stessa complessita' e che dunque semplifica, riduce, essenzializza conflitti che pure ha creato, ma che non ha gli strumenti per gestire. Il Leonida di Snyder-Miller e' un arrogante, ma deve farsi vittima di un'aggressione, rappresentare il nemico come potentissimo, ma privo di onore perche' vince usando la corruzione. La sua e' una battaglia persa, ma prepara una vittoria piu' grande, quella finale. Che non sara' mai l'ultima, perche' e' questa la logica della guerra. 4. RIFLESSIONE. TIZIANA PLEBANI: GLI ULIVI DI SPARTA E I CONTI IN SOSPESO CON LA STORIA [Ringraziamo Tiziana Plebani (per contatti: tiplebani at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo racconto-riflessione. Tiziana Plebani, prestigiosa intellettuale, autrice di saggi di straordinaria finezza, bibliotecaria e storica, e' attiva nella Rete di donne per la pace di Mestre e Venezia; tra le sue opere: Il genere dei libri, Angeli, Milano 2001; Corpi e storia, Viella, Roma 2002] Talvolta i viaggi possono servire a fare pace con la Storia. Almeno a me e' successo e non e' stato da poco. Pareggiare i conti con cio' che ti ha disturbato e offeso sui banchi di scuola non ti paga la bolletta della luce e non erode l'amarezza per le guerre sul pianeta ma fa balenare l'idea che il tempo, seppure alla lunga e talvolta inaspettatamente, lavori al ripristino della giustizia. Ma forse voi appartenete alla numerosa schiera di convinti (o persuasi) da una minestra sorbita lentamente a scuola che l'antica Grecia sia stata l'adamantina culla della nostra civilta' occidentale. Se e' cosi' questo racconto di viaggio non fa per voi, a meno che non vi sia rimasto qualche dubbio in un recondito anfratto del cervello. Che la civilta' ritenuta una delle massime espressioni del pensiero e della politica umana si sia fondata sul lavoro degli schiavi e sull'espulsione delle donne dalla polis non mi e' mai parsa proprio una bazzecola, qualcosa da accettare come imperfezione residua. A voi par poco che la nascita della tanto celebrata democrazia occidentale sia avvenuta con l'allontanamento delle donne e dei lavoratori? Non la dice lunga su come ancor oggi siamo impelagati fino al collo in queste "imprecisioni" del sistema? E, se non bastasse a insinuarvi qualche dubbio, provate a leggere il sommo Aristotele e le sue idee sul governo della casa, sulla sovranita' del marito sulla moglie, sui figli e sugli schiavi basata sulla sua superiorita' intellettuale ed etica. * Puo' chiarire qualcosa un viaggio nella Grecia classica? Io l'ho pensato e, se anche voi avete qualche conto ancora in sospeso con la Storia, seguite cio' che e' accaduto. Ed eccomi dunque a calpestare le antiche pietre di Tirinto e di Micene, saggiare con le mani le possenti mura ciclopiche e annusare l'aria a pieni polmoni come se potesse restituirmi la brezza che respiro' Cassandra, arrivata nella reggia di Agamennone, conscia della fine che l'attendeva. Scruto la stanza da bagno del re, inondata di sangue dopo che Clitemnestra ebbe consumato la sua vendetta: Lei, la regina spodestata dal ritorno dell'eroe, mi accoglie nel vasto grembo della sua tomba, grande quanto quella dello sposo ucciso. La Grecia arcaica non aveva ancora separato la vita degli uomini da quella delle donne. Ne' si pensava ancora, come invece sara' nelle citta'-stato, che le passioni del corpo e i sentimenti dimorassero in una casa, l'anima, che solo un virile dominio sapeva controllare e che pertanto il potere spettasse esclusivamente alla societa' dei maschi possidenti. Nella splendida Atene di Pericle solo gli uomini erano al centro della scena, e l'amore e l'amicizia tra loro cementava la comunita'. Il principio femminile, l'antica Dea madre, che osservo scolpita nel frontone del Partenone, emana ormai solo un pallido ricordo, un tributo svuotato. La citta' era il luogo di espressione del logos che difettava alle donne: la paura del disordine e del sovvertimento da parte dell'altro sesso e' consegnata alle numerose rappresentazioni delle Amazzoni, disarcionate e sconfitte. Mi guardo intorno ad Olimpia cercando tracce femminili: solo uomini, dal corpo nudo e unto di oli profumati, convenivano qui a correre e a lottare, atleti che le donne non potevano neppure spiare, pena la morte. * Con una sorta di rassegnazione mista a fastidio sono cosi' arrivata a Sparta. Se in Grecia si respira un elevato tasso virile, che ne sara' qui? Sparta la terribile, Sparta l'invincibile. Quanto costa la carriera d'eroe? Cosa ne poteva sapere un piccolo spartano, separato dalla madre a sette anni e addestrato alla vita militare con ferrea disciplina o eliminato ancora in fasce se gracile e inadeguato. Inadeguato a che cosa? Alla guerra. Si puo' essere forse adeguati alla guerra? E le bambine spartane? Allevate anch'esse alla disciplina, madri di soldati. C'e' qualcuno che puo' sentire simpatia nei confronti della storia di Sparta? Di quei fanatici militaristi? Con tutte queste mie rimuginature e risentimenti sono arrivata a Sparta in una calda mattina di agosto, dal cielo terso e azzurro, come se ne vedono solo qui. Lascia perdere Sparta, mi hanno detto in molti, e' brutta, non vale la pena, non e' rimasto nulla. Ma noi siamo qui, alle spalle l'orizzonte e' colmo dalla magnificenza bizantina di Mistra, una montagna incantata che pare un gigante posto alla difesa della pianura. Abbiamo visitato questo avamposto della cultura ellenica che si stagliava a barriera dei Turchi, preso stanza nell'unico accogliente albergo e cenato in una notte profumata d'ambra e di mirto. Paghi di bellezza e di pace possiamo concedere a Sparta un brandello della nostra attenzione senza piu' timore di rituffarci dai bagliori bizantini in cio' che resta della classicita' piu' aggressiva della storia greca. Percorriamo in macchina i viali ordinati della Sparta di oggi, il traffico scorre pigro, le strade eleganti e l'atmosfera rilassata conciliano la visita. Parcheggio l'auto in una laterale che, secondo la guida, dovrebbe situarsi proprio a due passi dai resti antichi e ci avviamo, sotto lo sguardo tranquillo di alcuni uomini seduti all'ombra di una casa. Perbacco, e' li' ad attenderci nientedimeno che Leonida. Do you remember Leonida and Termopili? Il valoroso re di Sparta, raffigurato con la spada sguainata, il grande elmo e lo scudo presiede l'entrata dell'antica Sparta che fiancheggia lo stadio moderno. La posa e' eroica e dinamica, la gamba sinistra e' protesa in avanti, pronta all'azione, tuttavia il re in questa mattina tersa e calda sembra rimasto solo con i suoi fantasmi. Non c'e' piu' nessuno degli altri eroi disciplinati, non c'e' neppure il nemico. Difende una strada tranquilla che sara', al piu', spettatrice di qualche turba calcistica. L'antica Sparta non possiede un vero sito archeologico, nessuno custodisce cio' che e' rimasto, nessuno vi rincorrera' per chiedervi il biglietto. Dimenticate per un attimo i torpedoni, le guide vocianti, i gruppi di turisti che si snocciolano sotto il sole. Solo Leonida sta la' a far risplendere il suo bronzo dorato alla luce. * Ci inoltriamo verso le rovine seguendo un sentiero sterrato che corre tra filari di ulivi. Alcuni sembrano antichi quanto le pietre che cominciano ad affiorare. Hanno rami nodosi, tronchi e radici possenti, parlano il linguaggio di cio' che non ha bisogno di urlare per esistere perche' e' e basta. Non c'e' nessuno, le cicale troneggiano indisturbate e il passo e' lieve, attutito da un impasto di terra e foglie d'ulivo che non conosce lo stridore dei copertoni d'auto. Si sale dolcemente arrivando a cio' che rimane dell'antica agora', a fianco si erge il basamento del tempio di Atena Chalkioikos, dove gli Spartani murarono vivo il re Pausania, sospettato di aver favorito il potente nemico persiano e poi, ormai morto, gli tributarono tardive cerimonie di riabilitazione e omaggio. Piu' sotto si apre il bel teatro antico, l'unico monumento davvero riconoscibile, con i sedili ancora allineati. A poca distanza ritroviamo i resti del santuario di Artemide Orthia, in cui gli Spartani praticavano il rito iniziatico della diamastigosis, cerimonia in onore della dea di fustigazione dei giovinetti spartani che erano obbligati a esibire la loro forza di sopportazione mentre i fustigatori dovevano mostrarsi insensibili alla bellezza di quei corpi ancora indenni dalla totale sottomissione alla disciplina guerresca. Provo a immaginare la scena ma tutto intorno gli ulivi impediscono che il ricordo si materializzi e vanno sussurrando una nenia suadente e penetrante "siamo rimasti noi, la legge della forza si e' arresa, resta la terra e i nostri frutti. E' finita la disciplina, resta la vita, il pane, il cacio, il vino, le olive". Non c'e' altro da vedere, possiamo andare, mi si dice. Ma gli ulivi mi trattengono ancora li', ad ascoltarli, avvolgendomi con un'immensa pace. La grande e temibile Sparta, tra tutte le citta'-stato della Grecia la piu' sottoposta a un regime militare e virilista, dimentica dei diritti dell'amore e della tenerezza, giace sepolta sotto i miei piedi, mentre prosperano gli ulivi. Gli ulivi hanno invaso, inghiottito lo spazio dell'antica citta', si sono ripresi la terra, hanno ristabilito il principio della vita sull'ordine della guerra. E penso a Tucidide che forse senza essere conscio della sua capacita' profetica scriveva: "Se la citta' dei lacedemoni fosse distrutta e rimanessero soltanto i templi e le fondamenta dei suoi edifici, i posteri di un lontano futuro dubiterebbero assai che la potenza di questo popolo abbia mai eguagliato la sua fama". Ho abbracciato gli ulivi. Ho fatto pace con la Storia. * Post scriptum. Un consiglio di lettura per chi voglia intraprendere un viaggio nella Grecia classica: Donatella Puliga e Silvia Panichi, In Grecia. Racconti dal mito, dall'arte e dalla memoria. Introduzione di Maurizio Bettini, Einaudi 2001. 5. RIFLESSIONE. LILIANA MORO: LE DONNE SONO NONVIOLENTE? [Ringraziamo Liliana Moro (per contatti: lilianamoro at tiscali.it) per questo intervento. Liliana Moro, storica e saggista, docente di italiano e storia, fa parte della Societa' Italiana delle Storiche e collabora con la Libera Universita' delle Donne come docente. Si occupa di storia dell'istruzione e di storia della scienza e collabora con la rivista "Il paese delle donne". Opere di Liliana Moro: AA. VV., Profumi di donne, Cuen, 1997; con Sara Sesti, Donne di scienza. 55 biografie dall'antichita' al duemila, Pristem - Universita' Bocconi, seconda edizione 2002. E' una delle webmaster del sito dell'Universita' delle donne, e cura in particolare le rubriche Storia, Guerra, Pensiamoci e l'Agenda] Uno dei tratti con cui normalmente si caratterizza il femminile e' la "pacificita'", il rifiuto della violenza che viene considerato proprio della "natura" della donna. Cosi' come, simmetricamente, il gusto per la violenza e l'amore per la guerra sarebbe connaturato al maschile. Un concetto ripetutamente espresso dai nostri "pensatori" pubblici: da Giovanni Papini (che nei primi anni del Novecento scriveva qualcosa come "amiamo la guerra con tutto il nostro cuore di maschi") ai piu' recenti editoriali di certi giornalisti. Negli incontri della Libera universita' delle donne di Milano abbiamo provato a interrogare questo elemento e ci siamo rese conto che le cose cambiano notevolmente se dall'immagine astratta di donna si passa alle donne concrete, che operano nel mondo reale. Abbiamo visto le molte figure di intellettuali che hanno impegnato la loro vita a difendere la pace e a combattere la guerra. Come la pittrice Kaethe Kollwitz, la fisica Freda Wuesthoff, la scrittrice Bertha von Suttner, la chimica Clara Immerwahr. Su ciascuna delle quali si veda la scheda nel sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it). Ma oltre a biografie esemplari abbiamo visto anche come in momenti di forte conflittualita' e di vera e propria guerra civile, come e' stata la Resistenza, moltissime donne italiane si sono mosse per costruire la pace, come ha ben ricordato Laura Coci: si veda nel sito www.universitadelledonne.it l'articolo "Guerra alla guerra: le donne nella Resistenza italiana". D'altra parte le guerre contemporanee ci hanno scosso profondamente per il ruolo che alcune donne vi hanno giocato nell'esercitare una violenza uguale a quella dei loro colleghi maschi: soldati o attentatori suicidi. Le torturatrici di Abu Ghraib ci hanno ricordato quelle dei lager e ci hanno interrogato in modo piu' ampio sul ruolo delle donne nella storia. Ne e' nato un dibattito in rete: si veda nel sito www.universitadelledonne.it il dossier "Dibattito sulle donne kapo'". La scossa provocata dalla guerra in Iraq ha mosso in profondita' e ci ha portato ad aprire degli interrogativi sul nostro sistema democratico e sulla violenza che si trova nel suo cuore. Gia' nel momento fondativo: e' nato sull'esclusione delle donne dalla scena politica, con la messa a morte di Olympe de Gouges, ghigliottinata nel 1793 da parte degli uomini della rivoluzione francese perche' Olympe dirigeva un club di sole donne, per le quali rivendicava gli stessi diritti "dell'uomo e del cittadino". Abbiamo raccolto diversi interventi sulla guerra. Molte donne non si sono sottratte alla riflessione sollecitata dalle tragiche realta' in cui ormai siamo profondamente coinvolte, anche se viviamo lontano dai luoghi delle esplosioni quotidiane. Si veda nel sito www.universitadelledonne.it il dossier "Pensieri di donne sulla guerra". Riflessioni, analisi, interrogativi rappresentano un lavoro in profondita' che esige coraggio e rigore. Niente di spontaneo, istintivo, naturale come pretende la visione duale della violenza appannaggio degli uomini e della dolcezza connaturata alle donne. Che poi diventano le prime vittime "domestiche" della violenza maschile. Si veda nel sito www.universitadelledonne.it il dossier "Amore e violenza". Il lavoro per costruire la pace e' lungo, faticoso e parte proprio dalla messa in discussione della nostra quotidianita', di quanto appare ovvio: come i ruoli sessuali, appunto. 6. PROPOSTA. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO Si puo' destinare la quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2006, apponendo la firma nell'apposito spazio della dichiarazione dei redditi destinato a "sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" e indicando il codice fiscale del Movimento Nonviolento: 93100500235; coloro che si fanno compilare la dichiarazione dei redditi dal commercialista, o dal Caf, o da qualsiasi altro ente preposto - sindacato, patronato, Cud, ecc. - devono dire esplicitamente che intendono destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento, e fornirne il codice fiscale, poi il modulo va consegnato in banca o alla posta. Per ulteriori informazioni e per contattare direttamente il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7. RIEDIZIONI. ANTONIO GRAMSCI: LE OPERE Antonio Gramsci, Le opere. Antologia, Editori Riuniti, Roma 1997, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2007, pp. X + 452, euro 7,50 (in supplemento al quotidiano "L'Unita'"). E' la ristampa tal quale dell'antologia curata da Antonio A. Santucci (senza piu' la breve lettera beneaugurante di Valentino Gerratana che apriva l'edizione di dieci anni fa). Un volume assai utile per un accostamento all'opera gramsciana, ma Gramsci - si sa - va letto tutto. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 79 del 4 maggio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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