Minime. 43



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 43 del 29 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Parliamo d'altro
2. Enrico Piovesana: Ridateci Rahmat
3. Lea Melandri: 1975, il '68 delle donne
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PARLIAMO D'ALTRO

Parliamo d'altro, dice.
No, non mentre state facendo la guerra, non mentre state ammazzando persone.
Parliamo della guerra assassina, parliamo del dovere di farla cessare. Solo
di questo ora dobbiamo parlare, solo a questo ora dobbiamo pensare, solo di
questo ora dobbiamo occuparci. Ed il nostro primo pensiero sia: agisci
affinche' la guerra finisca, agisci qui, agisci adesso. Agisci con la forza
della verita', agisci con la scelta della nonviolenza.
*
La nonviolenza, o contrasta le uccisioni, si oppone alla guerra terrorista e
stragista, salva le vite, o e' parola vuota e falsa, peggio che nulla.
La nonviolenza, o e' lotta contro l'ingiustizia, lotta contro il crimine,
lotta contro il male (e la guerra, che consiste di massacri e massacri, e'
l'ingiustizia, il crimine, il male supremi), o e' parola vuota e falsa,
peggio che nulla.
No, non possiamo parlare d'altro finche' non avremo disarmato le mani
assassine.

2. APPELLI. ENRICO PIOVESANA: RIDATECI RAHMAT
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 28 marzo 2007.
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la
zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' in Afghanistan in qualita' di
inviato.
Rahmatullah Hanefi (Rahmat per le persone amiche), manager dell'ospedale di
Emergency a Lashkargah, artefice fondamentale della salvezza della vita di
Daniele Mastrogiacomo, e' stato sequestrato dai servizi segreti afgani;
Emergency ha promosso un appello per la sua liberazione cui hanno gia'
aderito migliaia di persone]

Lashkargah, uffici dell'ospedale di Emergency, ultima stanza a destra, in
fondo al corridoio. E' quella di Rahmatullah Hanefi, il responsabile della
sicurezza e del personale dell'ospedale, arrestato dai servizi segreti
afgani all'indomani della liberazione di Daniele Mastrogiacomo.
Sulla scrivania di Rahmat sono rimaste tutte le sue cose: il suo computer
portatile, le sue carte, la sua radio ricetrasmittente, la targa di pietra
verde con il suo nome inciso sopra. Manca solo lui.
Sul muro, dietro la sua sedia, e' appeso un volantino con la sua foto e la
scritta "Liberatelo", lo stesso di cui sono tappezzati tutti gli uffici di
Emergency. Ma su questo, qualcuno ha attaccato con lo scotch una bellissima
rosa rossa.
*
"L'ho messa io", dice Ershad, 32 anni, capoufficio dell'ospedale, braccio
destro di Rahmat - con cui condivide l'ufficio - ma soprattutto suo grande
amico. "A Rahmatullah piacciono molto i fiori. E' una persona molto dolce,
sensibile e allegra. Ci siamo conosciuti anni fa, nella prigione di
Sheberghan, dove tutti e due lavoravamo nel progetto di assistenza sanitaria
di Emergency in favore dei detenuti. Siamo subito diventati amici. Qui a
Lashkargah lavoriamo fianco a fianco da oltre due anni. Sul lavoro Rahmat e'
scrupoloso e inflessibile nel pretendere da tutto il personale locale, dagli
infermieri ai cuochi, dai meccanici alle guardie, il ferreo rispetto della
legge e delle regole di Emergency: chi sgarra se la deve vedere con lui. Qui
dentro Rahmat e' rispettato, stimato e benvoluto da tutti. Subito dopo il
suo arresto, decine di dipendenti sono venuti qui in ufficio a chiedermi se
potevano organizzare una manifestazione qui a Lashkargah per chiedere la
liberazione immediata di Rahmat: mi ci e' voluto parecchio per convincerli a
non farlo, spiegandogli che la cosa rischiava di peggiorare la situazione
invece che migliorarla".
*
"E' vero", conferma Mohammad, 41 anni, responsabile della mensa
dell'ospedale. "Volevamo andare tutti a protestare davanti al palazzo del
governatore, portandoci dietro tutti i pazienti dell'ospedale. Volevamo far
capire che Rahmatullah non e' un criminale, ma una persona buona e generosa
senza la quale tutta questa gente non avrebbe nessuna assistenza sanitaria.
E a manifestare con noi ci sarebbero stati tutti i poveri della citta',
perche' tutti sanno che e' grazie a Rahmatullah che Emergency ha avuto la
possibilita' concreta di aprire un ospedale qui, offrendo cure mediche
gratuite in una regione dove i medici speculano sulla salute della povera
gente, si fanno pagare cifre enormi anche solo per una visita e si rifiutano
di curare chi non ha soldi per pagare. E' per questo che Rahmat e' malvisto
dai ricchi medici della citta', amici dei politici e dei funzionari locali.
Forse Rahmat e' stato arrestato anche per questo: per togliere di mezzo una
persona scomoda e mettere in difficolta' un ospedale amato dalla gente, ma
non dai potenti di qui. Io e Rahmatullah siamo amici fin da bambini, da
quando andavamo a scuola insieme: non ho mai conosciuto una persona migliore
di lui".
*
"Conosco Rahmat da cinque anni", dice Shiraga', 52 anni, capo delle
guardie - disarmate - che vegliano sulla sicurezza dell'ospedale e del suo
personale. "Di lui mi hanno sempre colpito due cose: la grande bonta', il
desiderio di fare del bene per la sua gente, e il coraggio, il non guardare
in faccia a nessuno. Per Rahmat le regole sono uguali per tutti, non e' uno
che si fa intimorire dai potenti. Per esempio, la regola di Emergency e' che
nell'ospedale non puo' entrare gente armata. Beh, e' capitato diverse volte
che  politici locali o alti ufficiali militari volessero entrare in ospedale
con le loro scorte armate. Rahmat e' sempre stato inflessibile, a costo di
lasciarli fuori dal cancello facendoli infuriare. Oppure, spesso capita che
militari e polizia vogliano entrare pretendendo di interrogare pazienti
'sospetti', che e' contro le regole di Emergency: grazie all'inflessibilita'
di Rahmat, questa cosa non e' mai successa. E' normale che un uomo cosi' sia
malvisto dalle autorita' locali, che quindi lo hanno voluto arrestare per
vendetta, per dimostrare che qui comandano loro. Spero che lo rilascino
presto, perche' qui a Lashkargah la situazione e' sempre piu' pesante, e
senza Rahmat la sicurezza dell'ospedale e' a rischio".
*
"Rahmat mi ripete sempre: 'Noi non stiamo ne' con i talebani, ne' con il
governo, noi stiamo con la popolazione civile, con la gente che ha
bisogno'", dice Daoud, 33 anni, capo degli autisti di Emergency di
Lashkargah e uomo di fiducia di Rahmatullah. "La neutralita' di Emergency e'
sempre stata per Rahmat la regola fondamentale, la piu' importante. Qui a
Lashkargah, terra di forte conflitto tra talebani e governo, e' lui a
garantire il rispetto di questa neutralita', ed e' quindi lui a rischiare di
essere considerato come 'nemico' sia dall'una che dall'altra parte. I
talebani lo hanno piu' volte minacciato. E ora il governo lo ha arrestato.
Rahmat ha sempre messo a rischio la sicurezza sua e della sua famiglia per
garantire la sicurezza di Emergency. Nella vicenda del sequestro del
giornalista italiano ha accettato di aumentare ancora questo rischio per
salvare la vita di una persona. Io conosco Rahmatullah da tre anni e posso
dire che la sua unica colpa e' di essere troppo buono, troppo generoso. Lui
non ha mai fatto nulla di male, ha sempre aiutato chi chiedeva il suo aiuto.
In questo caso Emergency aveva chiesto il suo aiuto per salvare uno
straniero. Da anni Emergency chiede il suo aiuto per fare del bene alla
gente di questa sfortunata regione dell'Afghanistan. Rahmat ha sempre fatto
solo del bene".
*
"Rahmat e' una persona speciale, uno che fa sempre tutto quello che puo' per
aiutare gli altri, andando spesso ben al di la' delle sue mansioni", dice
Qeis, 27 anni, infermiere capo del pronto soccorso dell'ospedale, per il
quale lavora, assieme a Rahmat, fin dalla sua apertura. "Per esempio, pochi
mesi fa un infermiere della sala operatoria era stato arrestato dalle truppe
britanniche solo perche' aveva avuto la sfortuna di abitare in un villaggio
dove c'era stata un'imboscata dei talebani a un convoglio Nato. Rahmat e'
andato a parlare con i comandanti britannici e lo ha fatto liberare. Rahmat
e' un uomo molto coraggioso e generoso. Oltre che molto bravo nel suo
lavoro. In questi giorni la sua assenza pesa molto sul regolare
funzionamento dell'ospedale, sia in termini di gestione del personale che di
condizioni di sicurezza. Senza Rahmat sarebbe molto dura andare avanti. Ne'
e' pensabile di sostituirlo: come lui non ce ne sono. Devono rilasciarlo,
non c'e' alcuna ragione perche' rimanga in galera".
*
"Rahmat deve essere liberato subito", gli fa eco Ahmadullah, 38 anni,
responsabile della manutenzione tecnica della struttura e dei mezzi
dell'ospedale. "Lui e' una figura indispensabile per il buon funzionamento
dell'ospedale. E' una persona insostituibile per il ruolo fondamentale che
ha qui dentro e soprattutto per la sua bravura e la sua efficienza. Tutti i
dipendenti lavorano bene quando c'e' lui, tutti rispettano i suoi ordini.
Rahmat e' un punto di riferimento indispensabile per tutti noi. Molti
dipendenti, in questi giorni di sua assenza, si sentono quasi persi,
disorientati. Siamo tutti molto preoccupati per lui, e non vediamo l'ora che
torni. Appena lo libereranno gli faremo una grande festa di bentornato:
abbiamo gia' fatto la colletta...".
*
"Io sono qui a Lashkargah da vari mesi", dice Luca De Simeis, 38 anni,
responsabile della logistica di Emergency a Lashkargah, "e ho sempre
apprezzato moltissimo il lavoro e la persona di Rahmatullah. Ma solo in
questi ultimi giorni mi sono veramente reso conto di quanto lui sia
importante per il personale afgano di questo ospedale. Mi e' stato riferito
che molti dipendenti locali preferirebbero lavorare senza stipendio
piuttosto che senza Rahmat. La sua presenza qui dentro da' sicurezza a
tutti, costituisce un punto di riferimento, una guida in caso di dubbio, una
fonte di stimoli. Rahmat e' un uomo di grande carisma, che gode di
grandissima considerazione tra tutti i dipendenti. Oltre alla sua importanza
all'interno dell'ospedale, Rahmatullah ricopre poi un ruolo chiave nei
rapporti con l'esterno, con le autorita' locali: appena c'e' un problema di
tipo politico o burocratico, lui va e risolve sempre la faccenda. Senza di
lui, in questi giorni, e' diventato tutto piu' difficile e problematico".
*
"Rahmatullah ha sempre dimostrato, in ogni occasione, la sua estrema lealta'
nei confronti di Emergency", racconta Gordana Tanaskovich, 41 anni,
anestesista "veterana" dell'ospedale di Emergency di Lashkargah, dove e'
venuta a lavorare in missione fin dalla sua apertura, nel 2003. "E' in nome
di questa lealta' che Rahmat ha accettato di fare per Emergency delle cose
che, lui lo sapeva benissimo, avrebbero messo a rischio la sua vita. Lo ha
fatto per salvare Gabriele Torsello. Lo ha rifatto per salvare la vita di
Daniele Mastrogiacomo. Risultato? Adesso sta in galera. Assurdo. E nessuno
di questi signori, liberi grazie a lui, che alzi la voce per chiedere la sua
liberazione. Sarebbe il minimo, no? Ma la cosa piu' vergognosa e' il
disinteresse del mondo politico e mediatico italiano su questa vicenda:
ennesima dimostrazione che la vita di un afgano non conta nulla in confronto
a quella di un occidentale. Anche se l'afgano in questione ha rischiato e
sta rischiando la sua vita per salvare quella di due occidentali".

3. MEMORIA. LEA MELANDRI: 1975, IL '68 DELLE DONNE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo pubblicato in
"70. Gli anni in cui il futuro e' cominciato", n. 6, supplemento al
quotidiano "Liberazione", marzo 2007.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997;
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa
del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby
Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le
passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Non saprei dire quale fosse nell'anno 1975 lo stato di salute del sistema
capitalistico a livello mondiale, ma non sono cosi' sicura di aver perso
quel senso di inadeguatezza che, insieme alla noia, mi prendeva ogni volta
che i "metereologi  della fase" - i leader politici capaci di analisi
complessive - aprivano i loro discorsi con panoramiche ineccepibili,
coordinate sicure entro cui collocare la sequenza degli avvenimenti.
Se scorro la nuda cronaca dei fatti, che mi e' stata gentilmente fornita, ho
l'impressione di essere testimone di un'altra storia, ritagliata e racchiusa
entro linee chiare, ben marcate, per non perdere le passioni, le idee, le
scoperte, le amicizie e gli amori che l'hanno attraversata. Ai protagonisti
di un'epoca di eccezionali rivolgimenti, come ai sopravissuti di grandi
tragedie, si perdonano le imprecisioni e la parzialita' dei ricordi, ma non
e' nel mio carattere approfittarne. Cosi' vengo in soccorso alla memoria
rileggendo, rimestando tra le carte del mio archivio, sfogliando riviste,
articoli di giornale ingialliti, e a poco a poco comincia un viaggio che non
ricordo di aver fatto, attraverso tempi e luoghi che riconosco solo per
frammenti. E' come quando, vedendo un film per la terza, quarta volta,
capita sempre quell'inquadratura che mi fa dire: "mi pare di averlo gia'
visto".
E' cosi' che scorrono, evocando pensieri e emozioni estremamente sfocate, i
fatti che ancora occupano il primo posto nelle ricostruzioni storiche di
quegli anni: gli scontri tra militanti di opposte fazioni, i morti di una
parte e dell'altra, le sortite dei Nap e delle Brigate rosse, la liberazione
di Renato Curcio dal carcere di Casal Monferrato, la morte in un conflitto a
fuoco della sua compagna, Margherita Cagol, pochi mesi dopo. In sottofondo:
occupazioni di case a Napoli e a Roma, scioperi operai contro la cassa
integrazione e i licenziamenti, autoriduzione delle bollette. La guerra del
Vietnam volge verso il suo epilogo, in Libano esplode la guerra civile tra
cristiani maroniti e musulmani, in Portogallo si festeggia la "rivoluzione
dei garofani rossi".
*
Schegge, frammenti imprecisi che si lasciano dietro l'alone di esperienze
toccate solo marginalmente, realta' brucianti, subite con rabbia e dolore,
tenute gia' allora a distanza in quanto impedimento alla "rivoluzione"
imprevista che parlava un'altra lingua, nominava altre violenze, manifeste o
invisibili, inventava teorie e pratiche sconosciute al materialismo storico
e al movimento operaio.
A qualche osservatore meno distratto dal fragore delle armi, l'anomalia del
nuovo protagonista, il sesso femminile, che compariva inaspettato sulla
scena pubblica, facendo balenare rivolgimenti ben piu' profondi e radicali
di qualsiasi precedente sovversione sociale, non deve essere sfuggita, se
leggo qua e la' nella stampa considerazioni analoghe: "il femminismo e' il
fatto piu' importante che sia accaduto nella societa' italiana dai tempi
della rivoluzione industriale"; "Non si era mai visto niente di simile dal
'47, dalle grandi manifestazioni per il voto alle donne"; "E' il '68 delle
donne".
*
Ma dove trovo finalmente la descrizione di "fase" che mi mancava, e' nel
n.18-19 de "L'erba voglio", che compare nel gennaio 1975. E' una specie di
editoriale non firmato, ma in cui riconosco la mano di Elvio Fachinelli. Nel
quadro di insieme compaiono: la crisi economica, il passaggio della classe
operaia a "gruppo protetto" rispetto ad altri e a scapito di altri; i
segnali di una situazione prerivoluzionaria, come faceva pensare il
controllo sociale di massa assunto dai sindacati e dal partito comunista, la
costanza da parte del Pci "nel cercare l'abbraccio con una formazione
politica sempre piu' disfatta", la Democrazia cristiana, equivalente "a cio'
che in certi fumetti dell'orrore e' l'abbraccio tra Diabolik e la Morta
Vivente". In una situazione in cui predominano insicurezza, senso di
impotenza, sottoutilizzo dell'intelligenza e della passione degli uomini,
"non meraviglia - scrive Fachinelli - che il solo tipo di azione realmente
modificativa in corso sia quello promosso da piccoli gruppi animati
soprattutto da cio' che a tutti gli altri sembra 'imprudenza'. Sotto questo
aspetto ci sembra legittimo accomunare movimenti diversissimi, come, per
esempio, il movimento per l'autoriduzione, le femministe, la sortita
radicale per l'aborto". Liquidato per lo piu' dagli storici con pochi
accenni, o fatto rientrare nelle battaglie per i diritti civili - divorzio,
aborto, riforma del diritto di famiglia -, il movimento che compare da
straniero sulla scena pubblica e che per almeno un  anno la fa da padrone,
attira l'attenzione dei giornali, che ne seguono gli sviluppi con
curiosita', preoccupazione, paternalistici ammonimenti. Una documentazione
puntuale, che non arretra nemmeno di fronte ai tortuosi percorsi della
pratica dell'inconscio.
*
Ma e' solo verso la fine di un anno del tutto particolare per il movimento
delle donne, dopo la grande manifestazione del 6 dicembre a Roma, mentre si
discuteva in parlamento una criticatissima legge sull'aborto, che compaiono
bilanci entusiasti: il femminismo ha compiuto la sua metamorfosi, dai
piccoli gruppi elitari degli inizi alla sortita di massa. Forse,
semplicemente, era arrivato la' dove era gia' atteso, in quelle piazze dove
la ragione politica di sempre conta i suoi successi e le sue perdite, la sua
incisivita' e la sua debolezza. Dopo aver scavato cunicoli nelle acque
insondate della persona, del corpo, della sessualita', la rivoluzione
silenziosa delle donne, forte di una coscienza nuova di se' e del rapporto
con l'uomo, si sarebbe presa la sua rivincita, occupando i luoghi di una
millenaria esclusione. L'"uscita all'esterno" - richiamo all'ortodossia
della lotta di classe, nostalgia di ricomposizione contro il separatismo dei
gruppi piu' radicali - portava gia' un vizio interpretativo: l'idea
pregiudiziale di una gerarchia di bisogni e di valori, che le pratiche
originali, "eretiche" del femminismo avevano sconvolto. La contrapposizione,
sottolineata da storici e sociologi, tra "pratica analitica" e "pratica
sociale", avrebbe tenuto il movimento delle donne diviso tra modificazione
di se' e modificazione del mondo, autocoscienza e salario al lavoro
domestico, esplorazione dell'inconscio e manifestazioni per l'aborto libero.
Ma una lettura piu' attenta di resoconti di convegni e documenti in
circolazione nel '75, mostra al contrario quanto la rilevanza e la
diffusione che ha preso in quell'anno il femminismo sia stata proprio la
messa in discussione di ogni falsa dialettica, di ogni fuorviante
semplificazione dualistica. I temi del corpo, della sessualita',
dell'analisi del profondo, invadono i collettivi di fabbrica, di quartiere,
gli ambulatori, tanto quanto la teoria marxista dei bisogni, riportata sulla
materialita' dell'oppressione sessuale delle donne e sulla "critica della
sopravvivenza affettiva", impronta i due gruppi nati dal collettivo milanese
di via Cherubini: il Gruppo Analisi, attivo fin dal 1974, e il Gruppo di
pratica dell'inconscio. Con quest'ottica inedita, che sposta la politicita'
del rapporto tra i sessi dalla sfera pubblica a quella personale, vengono
assunti e fatti propri temi come l'aborto, la violenza contro le donne,
imposti in prima battuta dall'esterno: il referendum promosso dal partito
radicale, la nascita di centri per l'aborto e la contraccezione (Crac), il
delitto del Circeo, le polemiche intorno al film Life Size.
*
Il 10 gennaio a Firenze vengono arrestati un ginecologo e 40 donne in uno
dei centri di sterilizzazione sostenuti dai radicali. Arrestati anche
Spadaccia e Adele Faccio. Gli fanno seguito, pochi giorni dopo,
manifestazioni abortiste in molte citta'. Nello stesso mese, sulla rivista
"L'erba voglio", n. 18-19, esce il documento Pratica dell'inconscio e
movimento delle donne, alla cui stesura avevo preso parte insieme ad alcune
femministe di via Cherubini. In quel momento, il Gruppo Analisi esiste gia',
promosso, tra le altre, da Lia Cigarini, Luisa Muraro e Elena Medi, con
l'intento di "tradurre nel movimento il rapporto analitico". Analiste e
analizzate, presenti nello stesso gruppo, si impegnano in uno scambio
continuo tra il sapere che viene dal rapporto analitico e dalla elaborazione
collettiva. Non convinta del buon esito della sovrapposizione tra il vissuto
personale che entra nel transfert analitico e il dover essere politico di
cui si fa portatore il gruppo, do' avvio, insieme a una ventina di donne, a
un secondo progetto: il Gruppo di pratica dell'inconscio. Ho accostato
questi diversi accadimenti non per ragioni di vicinanza cronologica, ma
perche' e' dal loro incontro-scontro che nasce il felice innesto tra
sessualita' e politica, corpo e legge, individuo e collettivita', presa di
coscienza e azione pubblica. Di questa ricerca di nessi, fuori da astratti
dualismi, esempio insuperato resta, a mio avviso, il convegno che si tiene
al Circolo De Amicis a Milano l'1-2 febbraio '75, la cui trascrizione
compare nel "Sottosopra rosso", insieme ad altri documenti. "Il movimento
delle donne da anni ha una pratica politica che investe la sessualita' e
quindi anche il problema dell'aborto... e' una questione che ci riguarda in
prima persona e tutti vogliono in questo momento coinvolgerci, dai preti ai
partiti della sinistra extraparlamentare. Il ritrovarci tra noi significa
che affrontiamo questa tematica nei modi politici che sono nostri. Non e'
nel nostro interesse trattare il problema dell'aborto per se stesso. Il
nostro sforzo e' invece di legarlo a tutta la nostra condizione, e in
particolare alla nostra sessualita' e al nostro corpo". Pur nella scelta
diversa di aderire o non aderire alle manifestazioni abortiste, quello che
nessuna vuole e' che "l'aborto come il divorzio venga ridotto a un pezzo di
riforma isolato dalla sessualita' dominante e dalla struttura sociale che ha
fatto della donna una macchina per la riproduzione".
*
Nei mesi successivi la lezione che viene da Milano vince la diffidenza e
l'esitazione dei collettivi femministi delle altre citta', in modo
particolare dei gruppi romani. A San Vincenzo, sulla costa toscana, nella
tarda primavera, avviene la prima verifica collettiva  a livello nazionale,
presente la Commissione psicanalisi del collettivo di via Pomponazzi.
Raccontare oggi di centinaia di persone che si trovano a condividere per
alcuni giorni stanze, bagni, pranzi, passeggiate, e, soprattutto, ore e ore
di discussione senza nessun ordine del giorno, nessuna relazione
introduttiva, nessun leader delegato in quanto tale a condurre il lavoro,
desta incredulita'. Ma ancora piu' sorprendente e' sapere che, come e'
accaduto a San Vincenzo, e' bastato che alcune donne di Roma si sdraiassero
sulla spiaggia a prendere il sole senza reggiseno, attirando l'attenzione di
alcuni ragazzi del luogo, perche' di questa "provocazione", nei suoi
risvolti inconsci, si parlasse animatamente per due giorni. Al confronto di
tanta passione, le nostre riunioni attuali, composte e asettiche, mi fanno
pensare che i corpi si siano di nuovo eclissati, costretti nella posizione
di spettatori muti.
Benche' la pratica dell'inconscio sia rimasta esperienza di poche, la sua
rinomanza, la curiosita' e le fantasie che ha scatenato nei media, hanno
sorpassato di gran lunga altre iniziative che intanto facevano del
femminismo una coscienza diffusa: i gruppi di medicina delle donne, i primi
consultori autogestiti, i collettivi nei luoghi di lavoro e persino nelle
fabbriche (Ibm, Face Standard, Siemens).
Nascono librerie - la Libreria delle donne di Milano di via Dogana 2 apre
nell'aprile - case editrici, riviste, teatri. Eppure l'occhio vigilante di
una stampa affamata di novita' non si fa distrarre ne' confondere. "La mina
antiuomo", come titola "l'Espresso" all'indomani dell'uscita dell'"Erba
voglio" n. 18-19, e' che "dopo aver denigrato per anni la psicanalisi, quale
scienza borghese e maschile, le femministe se ne sono impadronite e ora
teorizzano tra l'altro rapporti completi tra donne per rilanciare il loro
attivismo... Siamo dunque arrivati, per dirla chiara, a una svolta del
movimento delle donne che portera' alla teoria dell'omosessualita' come
pratica liberatoria?".
*
Nell'estate del '75, nei mesi di luglio-agosto, duecento donne invadono
l'isola di San Pietro, Carloforte, sulla punta occidentale della Sardegna,
in quella che restera' per me una vacanza memorabile, uno di quei passaggi
che allargano gli orizzonti, mi verrebbe da dire "marini", della  vita. Quel
"trauma benefico", come lo defini' un simpatico giovane assessore comunista,
oggi proprietario di uno dei piu' famosi ristoranti dell'isola, ha
un'origine apparentemente casuale: un invito che mi viene fatto, insieme ad
altre donne del femminismo a partecipare a un seminario all'Universita' di
Cagliari; la prima volta che prendo un aereo, la prima volta che metto piede
in Sardegna; il seminario che si trasforma in una animata assemblea di
cinquecento studentesse. Con Betta, Annalisa, Silvana, che mi accolgono
nella loro citta', si profila l'occasione di una vacanza a Carloforte, mi
chiedono di dirlo "a qualche amica". Per quell'ossimoro vivente che ero
allora, e che in parte ancora sono, solitaria e innamorata della
collettivita', "qualche amica" diventa immediatamente il movimento delle
donne. Mi e' difficile oggi ragionare sull'estate '75, sui cambiamenti che
ha portato nella vita di molte di noi quella quotidianita' insolita, fatta
di cene, balli, nuotate a grappoli, assemblee serali, risate e lacrime,
amori e abbandoni, scoperte liberatorie per chi, come me, conservava il vago
ricordo delle spiagge dell'Adriatico, quando l'"acqua alta", nel grido di
allarme materno, era l'onda che arrivava al ginocchio, e che ora invece, con
maschere e pinne, esplorava i fondali marini.
C'e' una parola che esprime con precisione quella felicita' inquieta che mi
apriva piaceri sconosciuti, che poi avrei ritrovato ogni anno, fino a oggi,
come un sogno d'amore riuscito: "ebetudine", sintesi di beatitudine e
inebetimento, pensieri che mi attraversavano quando, salendo e scendendo
dagli scogli dove si ammassavano come in una scena biblica cinquanta donne
nude, intente a spalmarsi di creme e di pensosi discorsi, mi ricordavo degli
amici che erano partiti in quegli stessi giorni per il Portogallo attirati,
come scrivera' Fachinelli sul n. 21 de "L'erba voglio", "da un processo
rivoluzionario che coinvolge su scala di massa quei movimenti di base che
dal '68 serpeggiano in Europa e che sono il dato rilevante di nuovi modi di
far politica". Non so che segni abbia lasciato su Elvio il suo "tentativo de
amor", al ritorno non abbiamo piu' avuto  voglia di parlarne, mentre il
nostro sodalizio di anni andava sciogliendosi. So che nell'estate dell'89,
sei mesi prima della morte, ha trascorso alcuni giorni a Carloforte con la
figlia Giuditta. Aveva lasciato che "il mare entrasse nella reggia di
Creta", come nella suggestiva immagine che compare nelle pagine di apertura
del suo ultimo libro, La mente estatica. Della vacanza femminista si
continua a parlare nel convegno che si tiene in settembre a Firenze, ma su
quella invasione pacifica e conturbante insieme, su cui non aveva pesato il
piu' piccolo gesto di violenza da parte della popolazione locale, cala poco
tempo dopo, come un'ombra che si e' voluto temporaneamente dimenticare, il
massacro del Circeo.
*
E' il 30 settembre. La violenza contro le donne diventa da quel momento tema
di riflessione, di interventi sui giornali, oggetto di un'ampia ricerca di
dati e testimonianze raccolti dalla rivista "Effe". L'uscita del film Life
Size, l'articolo di Pasolini sul delitto del Circeo, scritto poche ore prima
di essere ucciso a sua volta tra il primo e il 2 novembre sul lido di Ostia,
creano una specie di vortice, con collegamenti azzardati ma inevitabili.
L'ultima delle sue "lettere luterane", Pasolini la scrive il 30 ottobre e la
indirizza a Calvino che alcune settimane prima aveva commentato la violenza
criminale di Izzo, Ghira e Guido contro Rosaria Lopez e Donatella Colasanti
come il frutto di una generazione malata di neofascisti, figli della
borghesia pariolina. A quel giudizio, che gli sembrava l'eco di "un discorso
antico e meccanico", fatto di "certezze razionali, democratiche,
progressiste", Pasolini contrappone la visione di una cultura e di una
umanita' che sta cambiando, come conseguenza di un nuovo modo di produrre,
che accomuna nell'esercizio della violenza i poveri delle borgate e i
giovani borghesi. Sui fatti del Circeo e sulla interpretazione in chiave
antifascista che ne viene data, scrive anche il Collettivo milanese di via
Cherubini, in una lettera pubblicata sul "Manifesto" il 12 ottobre '75. "La
provenienza sociale degli assassini, figli della ricca borghesia romana sono
stati gli unici motivi che hanno fatto apparire questo episodio di violenza
carnale sulle donne come un 'fatto politico'... La violenza dell'uomo sulla
donna e' di per se' un fatto politico".
*
La notizia della morte di Pasolini arriva mentre e' in corso il secondo
convegno nazionale del femminismo a Pinarella di Cervia. Il gruppo piu'
affollato si e' dato come tema "individuo e collettivo: pratica
dell'inconscio". La preoccupazione e' quella di trovare legami tra pratiche
diverse, evitando di cadere in sterili contrapposizioni. Come sempre il
discorso passa da una donna all'altra, senza nessuna che coordini, senza
preiscrizioni a parlare, senza alzate di mano. Fluisce quasi spinto da
logiche interne, impercettibili, con quell'"ordine" entro cui si dispongono
le libere associazioni, che le fa assomigliare, come scrive Freud nei Casi
di isteria, ai materiali di un archivio fatto per essere esplorato e
riscoperto. L'oggetto di tre giorni di riflessione non poteva che essere
quello di una pratica politica stretta tra il bisogno di scavare in
profondita' nell'esistenza singola e la spinta altrettanto forte
all'assunzione dell'orizzonte piu' ampio rappresentato dai momenti
collettivi che il femminismo stesso aveva cominciato a darsi. La domanda
d'amore, che il piccolo gruppo di autocoscienza era sembrato appagare, si fa
recriminazione, voglia di fuga, quando il cerchio si apre ad altre persone,
come se il collettivo fosse impedimento a quell'analisi del rapporto tra
donne che vuole avere al centro il corpo, la sessualita', il vissuto
personale.
*
I due episodi successivi, tra novembre e dicembre, con cui si chiude un anno
di un'intensita' irripetibile, portano gia' il segno del riaprirsi di una
conflittualita' tra uomini e donne, che segna la crisi dell'ideologia
marxista-leninista, dei gruppi extraparlamentari, ma anche di quell'idea
antiautoritaria che aveva tenuto insieme fino a quel momento il gruppo della
rivista "L'erba voglio". A fine novembre, per iniziativa di Armando
Verdiglione, si tiene a Milano un grande convegno che richiama studenti e
docenti universitari da ogni parte d'Italia. Il sapere e le pratiche che
erano state dei movimenti piu' originali dal '68 ad allora, passano dai
protagonisti diretti agli esperti, dalle piazze alle cattedre universitarie.
E' in quel momento, con un  controconvegno organizzato da me e da altre
femministe al Club Turati, che avviene la rottura affettiva e intellettuale
con la rivista e con Elvio Fachinelli, chiamato da Verdiglione tra i
relatori. Nel volantino distribuito davanti all'ingresso ai partecipanti al
convegno ufficiale, riconosco la rabbia e il dolore dell'inspiegabile
incapacita' di amore tra uomini e donne. In modo piu' violento, durante la
manifestazione abortista del 6 dicembre a Roma, una ragazza, che si era
opposta all'irruzione dei compagni di Lotta continua, contrari al corteo
separatista delle femministe, finisce in ospedale. Alcuni mesi piu' tardi,
al convegno di Lc a Rimini, le donne decideranno di uscire
dall'organizzazione. E' ancora una volta la sessualita' a chiedere il conto
di una rivoluzione mancata: "Vorrei partire proprio dalla mia sessualita'...
e' dalla coscienza di questo che e' venuta in me la voglia di ribellarmi, di
cambiare le cose, di fare la rivoluzione".

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 43 del 29 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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