La nonviolenza e' in cammino. 1453



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1453 del 19 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Afghanistan
2. Cindy Sheehan: Il gioco dei numeri
3. Corradino Secondino Scalcagnati: Gandhi, o della politica
4. Marina Forti: Il Nobel per la pace a Muhammad Yunus e alla Grameen Bank
5. Vittorio Bonanni intervista Ernesto Cardenal
6. Ida Dominijanni: Il paradosso della tolleranza
7. Severino Vardacampi: Una postilla
8. A Verona il 21-22 ottobre un seminario su "La politica della nonviolenza"
9. Alessandro Dal Lago presenta "La tribu' degli antichisti" di Andrea Cozzo
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. AFGHANISTAN
[Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance,
collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni dei
diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006]

Si faccia tutto il possibile perche' Gabriele Torsello sia liberato.
E si faccia tutto il possibile perche l'intera poplazione afgana sia
liberata da guerra, oppressioni, sofferenze indicibili.
Si scelga di voler salvare ogni vita umana, si cessi di sopprimerne.
*
L'Italia cessi di partecipare alla guerra, e compiuto questo necessario
gesto si opponga alla guerra e alle stragi, si adoperi per smilitarizzare il
conflitto, per il disarmo di tutte le parti, per aiuti umanitari, per
promuovere i diritti umani - di cui il primo e' il diritto a non essere
uccisi.
L'Italia cessi di violare la sua stessa Costituzione. Sia il popolo italiano
ad imporre a governo e parlamento di tornare al rispetto della legge, e
dell'umanita'.
*
La politica della guerra, degli eserciti e delle armi non e' neppure una
politica, e' solo un crimine.
Occorre una politica internazionale che costruisca la pace con mezzi di
pace, che promuova i diritti umani di tutti gli esseri umani cominciando
essa col rispettare quei diritti e quegli esseri umani. Occorre una politica
della nonviolenza.

2. TESTIMONIANZE: CINDY SHEEHAN: IL GIOCO DEI NUMERI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One
Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

Ultimamente c'e' stato un gran via vai di numeri, nell'etere. Quanti membri
repubblicani del Congresso hanno dovuto dare le dimissioni in seguito a
scandali, lo scorso anno? Quattro: Randall "Duke" Cunningham (California),
Bob Ney (Ohio), Mark Foley (Florida) e Tom Delay (Texas). Quanti altri
parlamentari sono implicati negli scandali in cui questi quattro sono
coinvolti? E chi lo sa.
Quanti membri di un'amministrazione corrotta sono caduti in disgrazia ed
hanno rassegnato le dimissioni, quest'anno? Quattro: Andrew Card, I. Lewis
"Scooter" Libby, Susan Ralston e Scotty "Portabugie" McClellan (Mi scuso se
ho dimenticato qualche delinquente).
Quanti membri del Congresso, di entrambe le camere, dovrebbero andarsene?
Tutti quelli che hanno votato per privarci del nostro secolare diritto
all'habeas corpus ed hanno votato per esonerare dalle loro responsabilita'
Bush e gli altri Torquemada che hanno autorizzato torture e crimini contro
l'umanita'.
*
Secondo lo studio della Johns Hopkins University, quanti innocenti iracheni
sono morti dall'inizio dell'invasione e dell'occupazione dell'Iraq? 655.000.
Seicentocinquantacinquemila. Fermatevi, riflettete su questo numero.
E' all'incirca il numero di abitanti di una delle mie citta' preferite in
America: Austin, Texas.
Poiche' la popolazione dell'Iraq e' circa un decimo di quella degli Usa, e'
come se fossero morti sei milioni e mezzo di nostri cittadini. In milioni,
dall'Iraq sono fuggiti: "tutte le brave persone" che hanno potuto farlo, mi
ha detto un parlamentare iracheno. Nel frattempo l'Halliburton e' assai
indaffarata ad usare i dollari delle nostre tasse, proprio per non
ricostruire un paese che i fanatici assetati di sangue che sono al potere
hanno distrutto.
Ho parlato con molti iracheni e tutti in quel paese hanno perso un parente
stretto. Non "l'amico di un amico di un amico", ma un figlio o una figlia,
una madre o un padre, una sorella o un fratello: intere famiglie sono state
spazzate via dall'avidita' di denaro.
George Bush ha detto che il numero abominevolmente alto di persone uccise in
Iraq prova solo quanto gli iracheni siano disposti a soffrire per "la
liberta' e la democrazia". Allora ecco un altro numero per George: l'87%
degli iracheni vuole che le forze di occupazione escano dal loro paese.
Questo come suona rispetto alla democrazia, per te, George? Un'altra delle
disturbanti conseguenze della "liberta' e democrazia" come le intendi tu, e'
che oltre il 50% del popolo iracheno pensa che vada bene sparare sugli
americani e gli altri membri della coalizione per ottenere il risultato del
completo ritiro.
*
Quanti dei nostri giovani sono stati uccisi dalle bugie dell'amministrazione
Bush e dalle loro ratifiche fatte dal Congresso? 2.766. Oltre cinquanta solo
questo mese. E' mostruoso e barbarico che l'occupazione continui (ed in
primo luogo che sia avvenuta), con il Congresso che continua a dare sempre
piu' soldi all'irresponsabile presidente affinche' uccida i nostri figli.
E oltre agli inutili costi umani di questa guerra, quanto spende l'America
in Iraq ogni ora che passa? Dieci milioni di dollari. Cosa potremmo fare con
dieci milioni di dollari all'ora se non filtrassero nelle tasche della
macchina della guerra? Quante persone che stavano sui tetti avremmo soccorso
a New Orleans? Quanti argini di fiume avremmo riparato? Quanti giovani
potremmo mandare al college invece di spedirli a combattere guerre illegali
e immorali?
Il pensiero del costo di un'ora, di due, di ventiquattr'ore in Iraq e'
allucinante: quanto ci metteranno i nostri nipoti a ripagare i miliardi di
dollari di debito in cui George Bush ci sta annegando?
Quanti sono i nostri soldati e gli iracheni feriti? Chi lo sa per certo? Le
ferite fisiche sono di per se' gia' abbastanza orribili, ma io credo che si
avvicini al 100% il numero di quelli che sono stati feriti emotivamente, e
che non possono usufruire neppure del minimo aiuto che ovviamente si da' a
chi e' ferito fisicamente.
*
Quante persone vivono negli Usa? 282 milioni. Quanti credono che Bush stia
dicendo la verita' sull'Iraq? Il 17%, ovvero circa 48 milioni di persone, il
che ci lascia con circa 235 milioni di individui che sanno che Bush sta
mentendo. Quanti sono i membri del Congresso? 535. E i membri
dell'esecutivo? Diciassette.
Noi, la gente, che aborriamo le politiche omicide del nostro governo, siamo
la vera maggioranza silenziosa di questo paese, e stiamo permettendo a meno
di 600 persone di controllare i nostri destini, di gettare il nostro paese
in una cloaca, di sporcare il nostro nome in altri paesi, di uccidere e
torturare esseri umani innocenti e di imprigionarli senza processo (con il
sigillo dell'approvazione del Congresso). Gli permettiamo di esaurire le
nostre risorse e di consumare il nostro stesso sangue sino all'ultima
goccia, poiche' stanno distruggendo il pianeta di cui abbiamo bisogno per
vivere.
Quanto stomaco abbiamo ancora per sopportare questi delinquenti ed i loro
crimini? Io non ce la faccio piu', e sto chiamando chiunque in America sia
nauseato a morte dalle persone che dovrebbero rappresentarci, e che in
effetti rappresentano solo i propri interessi e quelli della macchina della
guerra, di unirsi a  "Gold Star Families for Peace" in un sit-in di fronte
alla Casa Bianca, dal 6 al 9 novembre, per dire a questi signori che
vogliamo ci restituiscano il nostro paese, e che le nostre truppe se ne
vadano dall'Iraq. La politica "usuale", ovvero menzogne e furto dei nostri
diritti, ci ha stancati. Vogliamo politici onesti e coraggiosi, e cioe' una
politica "inusuale"!
Sto anche chiedendo a chiunque di firmare la petizione a sostegno del
disegno di legge del deputato Jim McGovern, in sigla HR4232, che taglia i
fondi all'occupazione. Il mettere fine al finanziamento fu cio' che fermo'
la guerra in Vietnam. Facciamolo anche per l'Iraq, prima che diventi un
altro Vietnam.
*
Noi, le persone della mia generazione e di quella precedente, dobbiamo
mettere in gioco i nostri corpi, per i nostri figli ed i nostri nipoti. Io
voglio essere in grado di guardare negli occhi i miei futuri nipoti e dir
loro con la coscienza pulita: "Tua nonna ha fatto tutto quel che ha potuto
per rendere il mondo un posto migliore".
E spero di cuore che potro' dire queste parole in un mondo che sara' davvero
migliore di quello che ho dato a mio figlio Casey. Spero che si smettera' di
usare la guerra come strumento diplomatico e che i miei nipoti non verranno
usati come pedine, nel gioco dei numeri dei profittatori di guerra.

3. RIFLESSIONE. CORRADINO SECONDINO SCALCAGNATI: GANDHI, O DELLA POLITICA

La proposta gandhiana della nonviolenza di tipo satyagraha costituisce una
rottura, una novita' storica e culturale, perche' e' una proposta politica.
Nel corso della storia dell'umanita' molte altre e molti altri avevano
proposto con maggior o minore chiarezza la nonviolenza come scelta
esistenziale, morale, sociale, giuridica: Gandhi ne ha fatto un progetto
politico rivoluzionario adeguato alle condizioni del mondo contemporaneo.
*
Solo a restare alle piu' note tradizioni occidentali, la nonviolenza come
scelta morale ed esistenziale e' l'idea guida di due figure fondative della
cultura occidentale: quella di Socrate ateniese, e quella di Gesu' di
Nazareth (di cui qui parliamo in chiave solo storica, prescindendo da cio'
che rappresenta - detto diversamente: da chi sia - per chi aderisce alla
fede appunto cristiana); figure portatrici di un insegnamento orale ad un
tempo profondamente radicato nella cultura di appartenenza e profondamente
innovatore; figure che hanno testimoniato con la vita e con la morte la
verita' morale - esistenziale, filosofica, religiosa - di cui erano
assertrici: al cui cuore e' la scelta di preferir subire il male anziche'
compierlo; la forma piu' nitida ed intransigente di opposizione al male e di
difesa della dignita' umana propria e di tutti.
E sempre restando nell'ambito occidentale non vi e' dubbio che ad esempio
non solo gran parte dello stoicismo antico ma anche altre filosofie della
grecita' e dell'ellenismo tematizzarono fin sistematicamente acutissime idee
morali che noi definiremmo nonviolente, con una capacita' di articolazione
ed una sottigliezza restate, ci sembra, insuperate.
E insuperata ci pare resti la teoria e la pratica della nonviolenza come
proposta comunitaria e finanche macropolitica di una figura come quella di
Francesco d'Assisi nella societa' e nel tempo che furono suoi.
E non abbiamo fatto cenno ai profili di nonviolenza in grandi tradizioni
culturali cosiddette "orientali", ad alcune delle quali peraltro piu' volte
lo stesso Gandhi si e' riferito.
*
La novita' di Gandhi, ci sembra, e' il progressivo disvelarglisi, nel corso
dei suoi "esperimenti con la verita'" (dalle iniziali azioni difensive di
diritti particolari volta a volta conculcati a quelle riformistiche per il
riconoscimento e l'estensione di diritti generali nel quadro istituzionale
dato, a quelle rivoluzionarie per la trasformazione delle stesse strutture
politiche, giuridiche, economiche e sociali), che la nonviolenza, cosi' come
la veniva elaborando nel vivo delle lotte che conduceva, e' una proposta
politica e giuriscostituente di trasformazione sociale ed istituzionale
adeguata al contesto della societa' mondiale contemporanea.
E che tale trasformazione per darsi doveva essere complessa ed olistica,
ovvero coinvolgere tutte le dimensioni dell'esistere, del riflettere e
dell'agire umano. Complessa ed olistica, non totalitaria: ovvero che
individua l'interconnessione ed esige la coerenza, ma non applica quella
reductio ad unum che porta allo stato etico e/o al nichilismo, e quindi ai
gulag e ai lager. La nonviolenza gandhiana si fonda sulla relazione e la
responsabilita', adotta un'etica della cura e del limite, fa propria
un'epistemologia fallibilista e una metodologia sperimentale, si pone come
relativa, situata, contestuale, dialettica ed aperta alla pluralita' e al
novum...
La peculiarita' della nonviolenza gandhiana e' che essa e' una politica:
lotta politica e proposta politica.
*
Gandhi e' certo anche un saggio, un uomo di spiritualita', e molte altre
cose: ma e' innanzitutto un drigente politico di grandi lotte politiche. Per
questo la nonviolenza di tipo satyagraha non puo' essere confusa con le
tante esperienze che talora del suo lessico abusivamente si appropriano per
veicolare pratiche e contenuti riferiti ad altri ambti (la psicoterapia, la
mistica, persino il management); la nonviolenza gandhiana e' peculiarmente
un progetto politico di trasformazione, e si attua in forma di conflitto
politico, di movimento sociale, di proposta giuriscostituente.
Una proposta politica rivoluzionaria molto affine per decisivi aspetti anche
ad elementi centrali delle due grandi tradizioni del pensiero politico
rivoluzionario europeo ottocentesco: la tradizione liberale e quella
socialista. Ed e' interessante notare che in Italia il piu' acuto e tenace
propugnatore della nonviolenza gandhiana sia stato Aldo Capitini, che
nell'ambito della riflessione politica alla confluenza di quelle due
tradizioni di pensiero si colloca.
Ne consegue che la nonviolenza gandhiana, lungi dall'essere "antipolitica" e
meramente testimoniale come pretendono taluni che o non la conoscono o
volutamente la sfigurano, e' invece eminentemente politica, e quindi
concretamente operativa non solo nell'ambito del conflitto sociale, ma dello
stesso processo istituzionale e giuridico.
*
In guisa di postilla: questo spiega anche perche' alla nonviolenza di tipo
satyagraha si siano persuasamente accostate anche persone la cui visione del
mondo e' su punti non irrilevanti finanche assai diversa da quella di
Gandhi, o di Capitini, o di altre figure ritenute rappresentative di questo
orientamento, ma che con Gandhi e Capitini condividono l'urgenza dell'azione
politica contro la violenza, la consapevolezza della necessita' della
coerenza tra mezzi e fini, la scelta di un impegno critico e concreto, il
criterio del riconoscimento e dell'inveramento dei diritti e della dignita'
degli esseri umani.

4. PROFILI. MARINA FORTI: IL NOBEL PER LA PACE A MUHAMMAD YUNUS E ALLA
GRAMEEN BANK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 ottobre 2006 riportiamo per ampi
stralci il seguente articolo.
Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi
dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione,
scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi
dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del
mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera.
Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati
ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004.
Muhammad Yunus e' l'ideatore e fondatore della Grameen Bank; nato e
cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bangladesh,
economista, docente universitario negli Usa poi in Bangladesh; fondatore nel
1977 della Grameen Bank, un istituto di credito indipendente che pratica il
microcredito senza garanzie, grazie a cui centinaia di migliaia di persone -
le piu' povere tra i poveri - si sono affrancate dalla miseria e dall'usura
e sono riuscite a prendere nelle proprie mani il proprio destino. Opere di
Muhammad Yunus: Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998. Opere su
Muhammad Yunus e la Grameen Bank: Federica Volpi, Il denaro della speranza,
Emi, Bologna 1998. Una intervista a Muhammad Yunus e' nel n. 396 di questo
foglio]

Un economista del Bangladesh e la banca da lui fondata sono i vincitori ex
aequo del premio Nobel per la pace 2006. L'economista e' Mohammad Yunus e la
banca e' la Grameen Bank, fondata nel '77. La sua particolarita' e' che fa
il contrario delle banche "normali": presta piccole somme a persone
nullatenenti e prive di garanzie. E' il sistema del "microcredito", ormai
consolidato ma allora assolutamente nuovo e per nulla ortodosso. Eppure
l'impresa e' riuscita, anzi e' stata copiata in po' in tutto il mondo, dagli
Stati Uniti all'Uganda.
E' questo che il Comitato norvegese del Nobel ha voluto premiare: Mohammad
Yunus e la Grameen Bank hanno aiutato "a creare sviluppo sociale ed
economico dal basso" con l'innovativo programma del microcredito. "La pace
duratura non puo' essere realizzata se ampi gruppi di popolazione non
trovano il modo per uscire dalla poverta'. Il microcredito e' uno dei modi.
Lo sviluppo dal basso serve anche a promuovere la democrazia e i diritti
umani", aggiunge il Comitato. Cosi' il Nobel, con il suo bel gruzzolo di
dieci milioni di corove svedesi (1,36 milioni di dollari) saranno divisi a
meta' tra Yunus e la "banca dei poveri".
L'annuncio dato ieri mattina a Oslo e' stato un po' una sorpresa - fino alla
vigilia si davano per favoriti un ex premier finlandese impegnato in diverse
missioni di pace delle Nazioni Unite, oppure un ex ministro degli esteri
australiano che dirige un importante centro studi sulla risoluzione dei
conflitti. Invece, ecco premiato un economista e un'impresa che si dedicano
a lottare contro la poverta' e per i diritti sociali. Mohammad Yunus si e'
detto felice, ieri: "Eliminare la poverta' puo' dare davvero la pace", ha
detto ai giornalisti che sono andati a cercarlo a casa sua a Dakha, in
Bangladesh.
Molti si sono congratulati per la scelta: a cominciare dal segretario
generale dell'Onu Kofi Annan (lui stesso Nobel per la pace), che ha definito
Yunus e la Grameen Bank "alleati di lunga data delle Nazioni Unite nella
causa dello sviluppo e della promozione delle donne".
Commenti addirittura trionfali in Bangladesh, paese con 140 milioni di
abitanti e un'economia fragile: la premier Begum Khaleda Zia si e'
congratulata con Yunus "per la sua riuscita, che avra' un grande ruolo nel
risollevare l'immagine del paese". Apprezzamento anche da Sheikh Harina,
leader dell'opposizione: "La sua riuscita avra' un grande impatto per lo
sviluppo socio-economico e democratico della societa'". Il Bangladesh torna
sulle mappe mondiali grazie a quella banca atipica ma di estremo successo,
che in trent'anni ha sommato 6,6 milioni di clienti (il 97% donne, e per
scelta deliberata: le considerano piu' affidabili) e ha prestato 5,7
miliardi di dollari con un tasso di restituzione che sfiora il 99%.
"Il microcredito si e' dimostrato un'importante forza liberatrice in
societa' dove le donne in particolare devono lottare contro condizioni
economiche e sociali repressive", dice ancora il Comitato del Nobel.
Per molti verso il Nobel per la pace a Yunus e alla banca del microcredito s
ono "atipici". Ma non e' la prima volta che il Comitato del Nobel dimostra
di voler ampliare il senso della parola "pace": non solo la risoluzione di
conflitti armati, ma le condizioni che rendono possibile mantenere la pace,
dunque anche la difesa dei diritti umani o dell'ambiente o dello sviluppo
sociale. Il primo premio atipico in questo senso e' stato quello del 2003
all'avvocata iraniana Shirin Ebadi, che si batte per i diritti umani. Ancora
piu' eccentrico era stato considerato quello dato nel 2004 all'ambientalista
kenyana Wangari Maathai, fondatrice di un movimento per ripiantare alberi e
spezzare la catena tra degrado ambientale e poverta'...

5. RIFLESSIONE. VITTORIO BONANNI INTERVISTA ERNESTO CARDENAL
[Dal quotidiano "Liberazione" del 12 ottobre 2006.
Vittorio Bonanni e' giornalista.
Ernesto Cardenal, nato a Granada (Nicaragua) nel 1925, monaco, poeta,
rivoluzionario, ministro della rivoluzione sandinista; una delle grandi
figure morali e delle grandi voci poetiche dell'America latina. Opere di
Ernesto Cardenal: due antologie di versi sono: La vita e' sovversiva,
Accademia, Milano 1977; Dalla rivoluzione alla contemplazione politica,
Cittadella, Assisi 1974. Altre raccolte di versi: Grido. Salmi degli
oppressi, Cittadella, Assisi 1979; Voli di vittoria, Cittadella, Assisi
1984; Quetzalcoatl, Mondadori, Milano 1989. Altri libri: Canto all'amore,
Cittadella, Assisi 1976; Il vangelo a Solentiname, 2 voll., Cittadella,
Assisi 1978; A Cuba, Cittadella, Assisi 1975. Suoi versi sono anche in AA.
VV., Nicaragua ora zero, Guanda, Parma 1969; e nelle piu' importanti
antologie di poesia latinoamericana contemporanea]

Tutti coloro che seguivano negli anni '80 con simpatia ed apprensione
l'esperienza della rivoluzione piu' originale e democratica dell'America
latina, non hanno certo dimenticato la figura inconfondibile di padre
Ernesto Cardenal, gia' ministro della cultura in Nicaragua durante il
governo sandinista. Basco in testa, barba e capelli bianchi, lo ricordiamo
ancora oggi mentre si inginocchia di fronte a papa Wojtyla, in visita a
Managua nel 1983, in un gesto di sottomissione solo formale, visto che la
sfida nei confronti del Vaticano Ernesto Cardenal la porto' fino in fondo.
Il teologo e' in questi giorni in Italia, invitato, insieme a tanti altri
esponenti della cultura internazionale, al quarto "Incontro mondiale degli
intellettuali ed artisti in difesa dell'umanita'". Lunedi' scorso ha
recitato, nella sala del Consiglio provinciale di Roma, alcune poesie di una
delle sue opere piu' significative, il Cantico cosmico, realizzata nel 1992,
uno dei piu' importanti prodotti dalla poesia ispanoamericana dopo il Canto
generale di Neruda. Un'opera letteraria tradotta in tutte le principali
lingue del mondo, tranne che in italiano. Per questa ragione, Maria Celina
Moncada, nicaraguense, in Italia da circa 18 anni, si sta impegnando nella
traduzione di questi versi, per il momento con un approccio spontaneo e
volontaristico in quanto non e' stato ancora trovato un editore. E' proprio
Celina ad organizzare il nostro incontro con Cardenal. "Voglio precisare -
dice il poeta - che io non sono mai stato un politico, bensi' un
rivoluzionario. Accettai l'incarico di ministro perche' si trattava di
un'esperienza rivoluzionaria. Non lo avrei mai fatto se non si fosse
trattato di un governo rivoluzionario. Voglio inoltre precisare che per me
essere rivoluzionario non e' mai stato in contraddizione con il mio essere
sacerdote e poeta. Si e' trattato in tutti e tre i casi della stessa
vocazione, di un'unica cosa".
*
- Vittorio Bonanni: Padre Ernesto, l'era sandinista si caratterizzo' per una
grande produzione culturale, assolutamente straordinaria per un paese cosi'
povero. Ricordo, per esempio, i tantissimi libri pubblicati dalla Editorial
Nueva Nicaragua. Che cosa e' rimasto di quel grande fermento culturale?
- Ernesto Cardenal: Non e' rimasto nulla perche' quello scenario era
possibile solo in un contesto rivoluzionario che prevedeva
l'alfabetizzazione e la scuola per tutti fino all'universita', assistenza
sanitaria per tutta la popolazione e tanti altri diritti. Tutte le case
editrici di allora sono scomparse, compresa la Editorial Nueva Nicaragua,
che continuo' a vivere per alcuni anni sotto la direzione di Sergio Ramirez
per poi scomparire anch'essa. Anche le esperienze teatrali e
cinematografiche che caratterizzarono il Nicaragua sandinista non ci sono
piu'. Resiste invece ancora oggi la cultura popolare, quella che si esprime
in particolare con la pittura e l'artigianato, realta' che avevano mosso i
primi passi nell'arcipelago di Solentiname, nel lago di Nicaragua. E proprio
a Solentiname sono stati fatti dei progressi, malgrado tutto. Quando arrivai
nell'isola nel 1966 (Cardenal allora fondo' una comunita' che divenne famosa
in tutto il mondo - ndr) c'era una sola scuola, ora ce ne sono otto,
comprese le superiori. Abbiamo anche un centro medico e un battello che
permette ai contadini di raggiungere il porto di San Carlos.
*
- Vittorio Bonanni: Anche il suo impegno letterario continua...
- Ernesto Cardenal: E' rimasto lo stesso anche dopo la caduta del governo
sandinista. Del resto la poesia e' stata per me la prima vocazione. Fin da
bambino cominciai a scrivere e ho continuato poi per tutta la vita, con una
sola interruzione durante la mia permanenza all'interno di un monastero
trappista negli Stati Uniti, perche' li' non era possibile scrivere.
*
- Vittorio Bonanni: Come giudica l'attuale situazione del Nicaragua?
- Ernesto Cardenal: Molto negativamente. Dopo la rivoluzione siamo entrati
in una lunga fase capitalistica e neoliberista, e l'economia del nostro
paese e' ormai in mano agli americani con il risultato che il Nicaragua e'
il secondo paese piu' povero dell'America latina dopo Haiti. Per quanto
riguarda il governo sandinista dobbiamo ricordare che la prima sconfitta si
verifico' soprattutto a causa dell'ingerenza degli Stati Uniti. C'era stata
una guerra organizzata dagli americani contro la rivoluzione sia durante la
presidenza Reagan che Bush, senza dimenticare il blocco economico che
significo' non avere relazioni commerciali con gli Usa, partner principale
del Nicaragua prima di allora. Questa situazione creo' malcontento
all'interno della popolazione che credette alle promesse della Casa Bianca,
secondo la quale se avesse vinto l'opposizione antisandinista le cose
sarebbero cambiate significativamente.
*
- Vittorio Bonanni: Che cosa pensa delle critiche che sono state mosse al
Fsln, i cui dirigenti sono stati accusati di corruzione morale ed economica?
- Ernesto Cardenal: La nostra era una rivoluzione democratica con tanto di
elezioni libere e dunque la possibilita' che i rivoluzionari passassero
all'opposizione era prevista. La sconfitta ebbe pero' ripercussioni molto
negative sui dirigenti piu' alti del Fsln che persero la morale e
cominciarono a rubare. Un fenomeno che in Nicaragua e nel mondo si chiamo'
"la pinata". Questa fu la rovina per la rivoluzione. Fu una corruzione
economica e morale fatta anche di menzogne. Senza dimenticare la recente
alleanza tra Daniel Ortega e l'estrema destra in occasione dell'imminente
appuntamento elettorale.
*
- Vittorio Bonanni: In America latina stanno emergendo nuove realta'
progressiste che possono rimettere in discussione il dominio statunitense.
Qual e' la novita' rispetto al passato?
- Ernesto Cardenal: La novita' e' che in Venezuela c'e' stata una
rivoluzione bolivariana, che riprende gli ideali di Simon Bolivar, fautore
dell'unita' di tutta l'America latina. C'e' poi la Bolivia, con alla testa
Evo Morales, un presidente indio per la prima volta nella storia del paese
andino; e il Messico, dove e' in atto, dopo le ultime elezioni
presidenziali, una grande trasformazione. Voglio ricordare a questo
proposito la figura leggendaria del subcomandante Marcos, la cui azione va
ben al di la' della politica, perche' non aspira al governo ne' ad
organizzare un partito politico ma a dare voce alle popolazioni indigene.
*
- Vittorio Bonanni: C'e' poi il Brasile...
- Ernesto Cardenal: Certo. Io personalmente sono sempre stato solidale con
Lula. Me lo presento' Frei Betto e lo incontrai anche in Nicaragua a casa di
Sergio Ramirez. Ora in Brasile e' aumentato lo scontento nei suoi confronti
ma un presidente del piu' grande paese latinoamericano non puo' essere
padrone di tutta la politica, non puo' dominare l'economia. Ha insomma dei
limiti anche perche' quella brasiliana non e' una rivoluzione.

6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL PARADOSSO DELLA TOLLERANZA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 ottobre 2006. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale
all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista.
Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli,
Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo',
Manifestolibri, Roma 2005]

Il paradosso della tolleranza torna in campo ormai ogni settimana
nell'Europa alle prese con l'incontro-scontro con altre culture, altre
religioni e altre storie. Ne avevo parlato la settimana scorsa, a proposito
dei propositi di impedire o limitare l'uso del burka e del velo in Olanda e
in Gran Bretagna, nonche' a proposito del caso Redeker in Francia. Nei
giorni successivi la questione e' di nuovo esplosa, ancora in territorio
francese e ancora con effetti e risonanze europee, a proposito della legge
che punisce il negazionismo sul genocidio degli armeni. La legge, com'e'
noto (ne hanno gia' scritto, sul "Manifesto", Annamaria Merlo, Astrit Dakli
e Carla Casalini) , e' stata approvata in prima lettura dal parlamento
francese, ma difficilmente riuscira' a passare la seconda lettura entro la
fine della legislatura e per fortuna, non sembrandoci buona prassi, ne' in
questo ne' in altri casi, quella di affidare a una legge penale la sanzione
di un problema storiografico, culturale e politico: e' una di quelle
circostanze in cui la sacrosanta giustezza di un contenuto - combattere il
negazionismo - rischia di essere del tutto inficiata dallo strumento a cui
ci si affida. Come hanno sostenuto i tre intellettuali turchi e armeni
autori di un appello contro la legge francese - e tutti e tre accusati e
condannati in patria per avere scritto del genocidio armeno - una legge del
genere sarebbe opposta negli intenti, ma identica nella forma alla
legislazione turca che inibisce la liberta' d'espressione. Puo' la Francia -
e puo' l'Europa - impugnare la liberta' d'espressione quando si tratta di
difendere il professor Redeker, autore di un attacco frontale all'islam,
dalle minacce di morte fondamentaliste, e dimenticarsene quando pretende di
punire per legge il suo pessimo esercizio negazionista sul genocidio armeno?
Ralf Dahrendorf, su "La Repubblica" di ieri, aggiunge al dilemma un elemento
importante. La cultura europea, scrive, e' quella che ha progressivamente -
e positivamente - fatto cadere tutti i tabu', soprattutto dagli anni '60 in
poi e soprattutto nel campo del pensiero e dell'espressione artistica. Come
difendere questa conquista dell'illuminismo europeo, nel momento in cui
entriamo in contatto ravvicinato con comunita' che viceversa ricorrono anche
a metodi violenti pur di salvaguardare i loro tabu'? Il paradosso della
tolleranza interviene in questo punto: se da un lato essa ci imporrebbe di
tollerare gli "altri" da noi, dall'altro lato tollerarli significherebbe in
questi casi rinunciare alle nostre liberta'. In altri - e classici -
termini: e' possibile tollerare l'intolleranza?
Dei due corni del dilemma, Dahrendorf sceglie il secondo, con una condizione
che lo distingue pero' dall'arroccamento aggressivo dei "fondamentalisti"
occidentali dello scontro di civilta': le liberta' illuministe vanno difese
come valori non negoziabili, ma in tutti i casi in cui il dilemma si pone e'
d'obbligo aprire la sfera pubblica al dibattito, non necessariamente
conciliante ma se necessario anche aspro, con gli "altri". Slavoj Zizek, che
al paradosso della tolleranza si e' piu' volte dedicato, risponderebbe
invece con qualche ragione che e' falso il punto di partenza, perche' in
Occidente la tolleranza funziona solo quando c'e' da tollerare il simile, ma
cade non appena il contatto con l'altro diventa un urto.
La questione dei tabu' pero' complica e arricchisce il tema. Siamo sicuri
infatti di poter applicare alla caduta dei tabu' lo schema lineare e
progressivo che Dahrendorf assume? Davvero la convivenza umana puo' fare a
meno di qualsivoglia tabu'? La questione della Shoah, ad esempio, per
l'Europa e' un tabu' di quelli non arcaici e primitivi, bensi' positivamente
costruiti in seguito ad accadimenti e responsabilita' storiche precise: e'
dal "mai piu'" sullo sterminio che simbolicamente prende avvio la
costruzione europea, nonche' molto costituzionalismo europeo. Non sempre
dunque i tabu' si tratta di abbatterli; qualche volta - ed e' il caso del
genocidio armeno - si tratterebbe semmai di allargarli. Ma prendendosi la
briga di un confronto e di un conflitto culturale e politico, invece di
prendere la scorciatoia di una legge.

7. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: UNA POSTILLA

La discussione sul proibire per legge che si possa negare la realta' del
genocidio degli armeni (o di altri popoli) pone molte questioni e sappiamo
che persone di valore hanno sostenuto con solidi argomenti punti di vista
fin opposti.
A tali punti di vista vorremmo aggiungere in tutta modestia il nostro, in
due considerazioni ed una conclusione.
La prima considerazione, per cosi' dire di metodo negli studi: vi e' un
ineludibile dovere della ricerca storiografica, ed e' quello di tendere alla
verita'. Ove alcune verita' siano accertate, continuare a indagare e
interpretare e' cosa buona e giusta, ma negare i fatti no.
La seconda considerazione, per cosi' dire di etica politica: negare la
realta' di un genocidio realmente avvenuto significa farsi difensori e
complici degli autori, e contribuire a creare alcune delle condizioni
perche' altri genocidi possano essere eseguiti.
La conclusione: poiche' negare che delitti realmente avvenuti siano tali ci
sembra sia anch'esso evidentemente un delitto, essendo giusto e necessario
proibire e punire per legge i delitti, anche questo delitto ci sembra sia
giusto la legge punisca.
Negare la realta' del genocidio degli armeni, come della Shoah, del
genocidio degli indios in Guatemala, di quelli avvenuti in Cambogia e nella
regione dei Grandi Laghi e ancora altrove, e' un crimine. Un crimine che
favoreggia gli autori dei massacri, un crimine che di nuovi massacri
favorisce la preparazione.
Chi tollera le uccisioni non e' "tollerante", e' complice delle uccisioni.
Chi tollera le carneficine aiuta i carnefici - tutti i carnefici -, e
perseguita ancora le vittime - tutte le vittime, l'umanita' intera.

8. INCONTRI. A VERONA IL 21-22 OTTOBRE UN SEMINARIO SU "LA POLITICA DELLA
NONVIOLENZA"

Si svolgera' a Verona il 21 e 22 ottobre 2006 il seminario promosso dal
Movimento Nonviolento su "La politica della nonviolenza (alla prova della
guerra)".
- Sabato 21 ottobre, ore 10: relazione introduttiva; prima sessione "La
teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13); seconda
sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore
15-19); serata libera, con due proposte: a) visita guidata alla Mostra del
"Mantegna a Verona" (ore 21-23); b) laboratorio del "Teatro dell'oppresso"
sui temi discussi (ore 21-23).
- Domenica 22 ottobre, ore 9: terza sessione "La strategia della
nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11); conclusioni (ore 11-13).
Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande.
*
Il seminario si svolgera' presso la Sala Comboni dei Padri Comboniani, in
vicolo Pozzo 1, nel rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta,
nel centro storico, vicino a Piazza Isolo: collegamento diretto dalla
stazione di Verona Porta Nuova con l'autobus n. 73 (partenza dal marciapiede
F ai minuti 15 e 45 di ogni ora, tempo di percorrenza venti minuti, scendere
al capolinea di Piazza Isolo).
*
Per ulteriori informazioni: Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123
Verona, tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

9. LIBRI ALESSANDRO DAL LAGO PRESENTA "LA TRIBU' DEGLI ANTICHISTI" DI ANDREA
COZZO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 ottobre 2006.
Alessandro Dal Lago e' docente di sociologia dei processi culturali
all'Universita' di Genova, presso la stessa Universita' coordina un gruppo
di ricerca sui conflitti globali; e' membro della redazione della rivista
filosofica "aut aut", ha curato l'edizione italiana di opere di Hannah
Arendt e di Michel Foucault. Tra le opere di Alessandro Dal Lago segnaliamo
particolarmente Non-persone. L'esclusione dei migranti in una societa'
globale, Feltrinelli, Milano 1999. Cfr. inoltre: I nostri riti quotidiani,
Costa & Nolan, Genova 1995; (a cura di), Lo straniero e il nemico, Costa &
Nolan, Genova 1997; La produzione della devianza, Ombre corte, Verona 2001;
Giovani, stranieri & criminali, Manifestolibri, Roma 2001. Polizia globale.
Guerra e conflitti dopo l'11 settembre, Ombre corte, Verona 2003.
Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di
cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita'
didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene
da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha
pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte
del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue
opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della
complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi
e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio
dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di),
Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999;
Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti
delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo
2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le
facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario
accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001;
Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando',
A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?,
Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i
Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa,
Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema
scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che
cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione,
discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza,
conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2,
2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232,
febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche
di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004; La tribu' degli
antichisti, Carocci, Roma 2006]

Se si seguono (su blog e gruppi di discussione vari, e ovviamente sulla
stampa) i dibattiti tra i docenti sullo stato attuale dell'universita'
italiana, si avverte facilmente il nervosismo che serpeggia per la
cosiddetta comunita' accademica. Apparentemente, si discute di "3+2", di
riforma dello status giuridico dei docenti e di concorsi, ma in realta'
emerge un'inquietudine piu' profonda, che si potrebbe riassumere nella
domanda: "Che ci faccio qui?". Molti che si avvicinano ai sessant'anni
cominciano a parlare apertamente di pensione, i piu' giovani maledicono il
momento in cui, invece di filarsela all'estero, hanno accettato di passare
ricercatori in qualche ateneo nostrano, altri - secondo me, i migliori - si
interrogano sempre piu' apertamente sul "che cosa" del proprio lavoro. Che
ci faccio qui? Perche' lo faccio? Che senso ha farlo?
Questo risulta evidente se si legge un insolito, divertente libro di Andrea
Cozzo (La tribu' degli antichisti. Un'etnografia ad opera di un suo membro,
Carocci, pp. 285, euro 20,30). Dico subito che non posso vantare alcuna
competenza per discutere un saggio che, in sostanza, sottopone il mondo dei
grecisti alle stesse pratiche cognitive che essi applicano ai loro Greci. Ma
in realta' il saggio, a partire dal titolo, ha pretese piu' ampie che
operare una decostruzione "antichistica" degli antichisti. Vuole essere una
sorta di etnografia, cioe' una descrizione delle strutture cognitive e
sociali, dei discorsi - diremmo con Foucault - che rendono possibile
l'antichistica. Da qui il titolo, che mette al centro la "tribu'".
*
Un'antica sostanza comune
Noi docenti universitari sappiamo benissimo che, in base a interessi
culturali magari genuini, a interessi sociali perseguiti ma dichiarati poco
o nulla (i posti, le cattedre) e a una certa inclinazione al dispotismo, gli
accademici si suddividono in gruppi, fazioni e partiti scientifici che
sviluppano un loro linguaggio, adottano costumi e rituali particolari, e di
solito si combattono aspramente.
A mia conoscenza, quello di Cozzo e' uno dei primi saggi che studia in
questa prospettiva una "tribu'" accademica. L'autore e' davvero coraggioso,
visto che e' un antichista. In senso stretto, questo non e' un libro
etnografico. Non descrive, come farebbe un antropologo alieno, le pratiche
sociali e rituali degli antichisti. Non ci fa vedere come organizzano i
concorsi, come trattano gli allievi, come valutano i dottorandi, come si
comportano alle sedute di laurea. Ma e' meglio cosi', perche' se finalmente
qualcuno si decidesse a fare un'etnografia dei professori universitari, non
potrebbe limitarsi agli antichisti, ai sociologi o ai biochimici, ma
dovrebbe cercare di analizzare la sostanza comune che fa degli universitari
una tribu' sociale particolarissima.
Trattandosi di antichisti, Cozzo studia invece come questa sottotribu'
accademica costruisca i suoi oggetti e le sue retoriche prevalenti; e come,
a partire dal padre fondatore Friedrich Wolf (inventore dello studio dei
Greci come Altertumswissenschaft o scienza dell'antichita') abbia
individuato un territorio e poi difeso i confini, e soprattutto come oggi
tale dominio sia minacciato, all'interno e all'esterno. Quello di Cozzo e'
un lavoro che si colloca tra gli studi di Michael Foucault e Bruno Latour,
in quanto misura lo scarto tra la pretesa assolutezza dei principi
scientifici e la relativita' storico-culturale delle pratiche conoscitive.
Gli antichisti costruiscono i Greci e cosi' facendo edificano se stessi.
Ogni epoca fara' prevalere la propria concezione come universale, da
Wilamowitz-Moellendorf, che attaccava Nietzsche in nome dell'aderenza ai
dati e ai fatti, fino alle tendenze contemporanee in cui le retoriche
geografiche, antropologiche e anche sociologiche sostituiscono quelle
tradizionalmente storiche e letterarie. Cozzo ha buon gioco a mostrare come,
in ogni epoca, la scienza dell'antichita' relativizzi e storicizzi i propri
oggetti in nome dell'universalismo scientifico. Un doppio movimento, in cui
lo scienziato si chiama sempre fuori dal rischio di essere relativizzato. Un
modo, insomma, per perpetuare l'ideologia della scienza.
*
Le retoriche del discorso
In questo saggio gli antichisti troveranno di che discutere e polemizzare.
Ma chi appartiene a un'altra tribu', oltre a imparare cose che non conosce,
trova in questo libro lo stimolo a riflettere sul modo in cui anche le altre
discipline umanistiche alimentano le retoriche del proprio rigore
universalistico. Nella ricerca storica, grazie soprattutto a Foucault,
questa discussione e' cominciata tanto tempo fa, anche se oggi sembra un po'
languente. Ma che dire delle altre scienze umane e sociali? Quand'e' che si
comincera' a lavorare su quanto di tribale - in senso stretto e lato -
connota discipline come la filosofia, la sociologia, la pedagogia, per non
parlare delle scienze dure e pure, le cui strutture feticistiche Bruno
Latour indaga da anni?
Che sia dunque apprezzato il lavoro di Cozzo, il quale, nella prospettiva di
saperi accademici piu' nobili e - diciamolo pure - anche piu' snob, ha
iniziato a lavorare su cio' che tanti di noi vorrebbero, ma non hanno ancor
trovato il tempo di fare: studiare le "forme di vita" in cui ogni sapere si
colloca.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1453 del 19 ottobre 2006

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