La nonviolenza e' in cammino. 1421



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1421 del 17 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. "Azione nonviolenta" di agosto-settembre 2006
2. Fatema Mernissi: La priorita'
3. Antonino Drago: Un progetto di intervento nonviolento
4. Giuliana Sgrena: Iraq, la tragedia quotidiana
5. Umberto Santino: Alcuni punti per una strategia antimafia
6. Una proposta da Pisa
7. Angelo d'Orsi presenta "Il filo e le tracce" di Carlo Ginzburg
8. Riletture: Francesco Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle Crociate
9. Riedizioni: Francesco Guicciardini, Opere
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI AGOSTO-SETTEMBRE 2006
[Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org)
riceviamo e volentieri diffondiamo]

E' uscito il numero di agosto-settembre 2006 di "Azione nonviolenta",
rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964,
mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della
nonviolenza in Italia e nel mondo.
*
In questo numero, monografico sul Servizio civile volontario: La nonviolenza
e' il cuore del servizio civile, Elena Buccoliero intervista Daniele Lugli;
Il servizio civile, tutto da progettare. Per ripensare Enti e volontari.
Nuove regole e nuova cultura, di Claudia Pallottino; Dieci obiezioni di
coscienza ad alcuni aspetti del nuovo sistema di servizio civile, di Elena
Buccoliero; Formare alla nonviolenza. Una riflessione, di Pasquale Pugliese;
Pierre Ceresole, 1879-1945. Un pioniere del volontariato; Il servizio civile
al Movimento Nonviolento, Elena Buccoliero intervista Raffaella Mendolia ed
Irene Valente; L'anno di volontariato sociale, una radice invisibile del
servizio civile nazionale, di Claudia Pallottino; E se da "volontario"
diventasse "obbligatorio"? Le diverse prospettive delle istituzioni e dei
movimenti, a cura di Elena Buccoliero; Lettera al Ministro Paolo Ferrero sul
servizio civile al Movimento Nonviolento, di Daniele Lugli e Mao Valpiana;
Lettera aperta dei movimenti nonviolenti al governo sulla difesa popolare
nonviolenta e sul servizio civile.
E le consuete rubriche: Educazione. Una comunicazione che arricchisce la
vita, a cura di Pasquale Pugliese; Disarmo. Via le bombe da Aviano, a cura
di Massimiliano Pilati; Economia. Le chiese protestanti preferiscono la
finanza etica, a cura di Paolo Macina; Per esempio. Donne che vogliono la
pace per la prosperita' della Cambogia, a cura di Maria G. Di Rienzo;
Musica. Voci femminili cantano la pace, a cura di Paolo Predieri; Movimento.
Se vuoi la pace finanzia la pace, a cura della redazione; Libri. Idee e
pratiche della nonviolenza, a cura di Sergio Albesano.
In copertina: Il passato crea il futuro. In ultima: Euromediterranea 2006.
*
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail a:
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

2. MAESTRE. FATEMA MERNISSI: LA PRIORITA'
[Da Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze 2002, p. 198.
Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e'
nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale di forte impegno
civile, impegnata per i diritti delle donne, per la democrazia e i diritti
umani di tutti gli esseri umani, docente universitaria di sociologia a
Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri
disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane
dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La
terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam
e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Il
sito internet di Fatema Mernissi e' www.mernissi.net]

Nessun movimento di sinistra nel mondo arabo puo' offrire un'alternativa
valida se non fa della smilitarizzazione una priorita' della regione.

3. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: UN PROGETTO DI INTERVENTO NONVIOLENTO
[Ringraziamo Tonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per questo
intervento. Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938, e' stato il
primo presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e
nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica
all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della
nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare
nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti
nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei
piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino
Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza
e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983;
L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la
costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Storia e
tecniche della nonviolenza, La Laurenziana, Napoli 2006]

In questi giorni si discute se sia possibile un intervento sulla guerra del
Libano, che sia rigorosamente nonviolento, al di fuori dell'intervento
militare. Quali finanziamenti? Quale reclutamento? Quale strategia?
La fattibilita' di questo tipo di intervento e' facilmente dimostrabile, ma
sulla base di informazioni che il grande pubblico ignora. Questa distanza
informativa rende piu' difficile tutto il dibattito attuale.
*
Quali finanziamenti?
Verrebbe subito da pensare alle centinaia di milioni destinati
all'intervento armato; almeno una piccola percentuale (facciamo l'1%? 60
milioni?) potrebbe essere destinato ad interventi chiari e sicuramente
propositivi per la pace. Ma siamo piu' modesti: pensiamo alla cooperazione e
ricostruzione: sono 30 milioni di euro che andranno anche alle Ong; vogliamo
porre l'intervento per la pace come uno degli interventi di una Ong? Ma
anche senza porsi contro quanto i militari ritengono indispensabile per il
loro intervento, e anche senza sottrarre risorse preziose alla popolazione
libanese, ricordiamo piuttosto che lo Stato italiano, unico al mondo, ha
stanziato gia' un milione di euro per interventi di pace esattamente sotto
la voce "Difesa popolare nonviolenta", cioe' per la strategia di intervento
contro la guerra e per la pace che il movimento degli obiettori e le
associazioni nonviolente hanno promosso da alcuni decenni in Italia, anche
con una lunga campagna di disobbedienza civile (obiezione di coscienza alle
spese militari per la difesa popolare nonviolenta); e che ha raggiunto i
suoi obiettivi politici di: 1) una nuova legge sull'obiezione di coscienza
(legge 230/1998); 2) una prima istituzione statale di difesa alternativa
(l'Ufficio nazionale per il servizio civile (in sigla: Unsc) con un Comitato
per la difesa civile non armata e nonviolenta (in sigla: Comitato Dcnanv),
istituito con un decreto del 18 febbraio 2004); 3) e, in parte, l'opzione
fiscale a favore della difesa alternativa (per completare la quale la
campagna continua ancora). Questo milione di euro e' quanto e' stato
assegnato negli anni 2004, 2005 e corrente dall'allora ministro Giovanardi,
tramite l'Unsc, al Comitato Dcnanv. Il quale inopinatamente, dopo la mia
presidenza, ha deciso di non utilizzarlo; ma che, moralmente e
politicamente, e' da stornare, in questo caso di necessita' per interventi
di pace di interesse internazionale, dal bilancio di oltre 200 milioni di
euro dell'Unsc. Cioe' esattamente per quegli interventi di difesa
alternativa per cui la Corte Costituzionale (con pronunciamento 224/2004) ha
deciso che il servizio civile deve restare competenza dello Stato e non
delle sole Regioni; finora l'Unsc non ha preso iniziative concrete in questo
senso; le Regioni avrebbero tutto il diritto di reclamare la sottrazione del
servizio civile allo Stato, vista la sua inadempienza al suo compito
istituzionale.
Inoltre i finanziamenti possono essere trovati (non solo da quelli della
missione militare) da altre fonti che vedremo nel seguito. Ma la cifra
precedente ci e' utile per darci un ordine di grandezza (stabilito dallo
Stato stesso) sul quale ragionare. Tenendo presente che il costo di un
volontario Onu e' di circa 35.000 euro l'anno, possiamo pensare all'invio di
qualche decina di persone: un numero consistente per una presenza
significativa che sia esperienza efficace come primo impegno di
interposizione organizzato dallo Stato.
*
La gestione.
L'indicazione di finanziamento suddetta ci ricorda anche che il quadro
normativo in Italia e' gia' stabilito. Per le varie sentenze della Corte
Costituzionale (la prima, la 164/85) la difesa non armata e' equivalente
alla difesa armata; ed ha come riferimento principale il servizio civile.
L'Unsc e' stato istituito in questa funzione, secondo la legge precedente
(che all'art. 8 prevedeva la istruzione e la sperimentazione degli obiettori
ad una "difesa civile non armata e nonviolenta") e secondo la legge sul
servizio civile che e' succeduta per istituire il servizio civile volontario
(all'art. 1, lettera a, prevede che il servizio civile contribuisca alla
difesa della Patria con mezzi ed azioni non militari). Percio' e' il
Ministro della solidarieta' sociale che ha la giurisdizione di questo tipo
di intervento e l'Unsc, attraverso il suo direttore (Diego Cipriani, di
fresca nomina e di lunga militanza a sostegno della Difesa nonviolenta) il
responsabile organizzativo statale.
*
Quale reclutamento?
Non c'e' solo il bacino potenziale delle 800.000 persone che negli anni
passati sono state obiettori al servizio militare. Oltre alle tantissime
persone che nel passato hanno compiuto esperienze di interposizione
nonviolenta con organismi privati (basti ricordare i circa 1.500 di "Time
for peace"1989 o i 500 a Sarajevo del 1992 o i serviziocivilisti della
Caritas, la quale da anni riceve un finanziamento dall'8 per mille della Cei
per interventi di Difesa nonviolenta).
L'opinione pubblica non sa che da anni ci sono corsi formativi ad alto
livello per questo tipo di intervento. Non mi riferisco ai corsi del S. Anna
di Pisa con il Centro militare studi strategici, di Roma 3 con la Scuola di
Guerra di Civitavecchia,  e di Torino, che sono rivolti piu' alla formazione
per il Cimic, il settore civile dell'intervento militare, istituito per
accordi Nato. Mi riferisco al corso di monitoraggio del Centro studi per i
diritti umani e dei popoli del professor Papisca, che in collaborazione con
una decina di universita' europee ha formato un centinaio di persone; ai
corsi di laurea in Scienze per la pace dell'Universita' di Pisa e in
Operazioni di pace che ormai hanno laureato molte decine di persone; ai
corsi professionali per mediatori di pace istituiti dalla Provincia autonoma
di Bolzano, e dalle Regioni Piemonte, Toscana, Marche e Campania, piu' il
Comune di Bertinoro, che hanno formato almeno un 150 persone. E' da notare
che il servizio civile della Provincia di Bolzano e' finalizzato anche ad
interventi di pace. Infine la commissione internazionale Giustizia, pace e
integrita' del creato dei francescani ha stabilito nel gennaio scorso di
costituire un gruppo di francescani per l'interposizione nonviolenta nei
conflitti...
Il bacino di reclutamento e' quindi abbastanza ampio da garantire la
risposta di persone qualificate per ben di piu' del numero suddetto; si
potrebbe arrivare a varie centinaia senza problemi.
*
Quale gestione?
Un corpo di intervento non molto grande come quello suddetto, ha comunque
bisogno di una struttura di responsabilita' e di operativita'. Il professor
Alberto l'Abate, responsabile dei volontari in Medio Oriente che nel 1992 si
opposero a Bagdad alla guerra, ambasciatore volontario di pace per due anni
a Pristina e attuale presidente della associazione italiana per
l'interposizione nonviolenta (Ipri-Ccp) e' il referente naturale. Per
l'operativita', in Italia non c'e' persona che abbia piu' esperienza e polso
di don Albino Bazzotto, figura centrale dei Beati i costruttori di pace, un
gruppo che piu' di ogni altro ente privato e' intervenuto politicamente
nella guerra della ex-Jugoslavia e in Africa. Ci si puo' chiedere perche' un
prete debba gestire una missione statale di pace. La risposta e' molto
semplice: puo' rendersi libero per mesi dal lavoro di sussistenza senza
averne conseguenze devastanti. Oggi non esiste una legge che conservi il
posto di lavoro  a chi compie iniziative del genere. Questo e' il maggior
punto debole, dal punto di vista organizzativo, di un corpo di intervento
nonviolento. Ma c'e' una proposta di legge della on. Valpiana, sulla cui
base il governo potrebbe finalmente liberare le energie necessarie per
rispondere alla domanda che tutti hanno nelle orecchie: Ma che fanno i
pacifisti? Per ora sono costretti ad assentarsi non piu' che per il periodo
delle ferie; altra cosa sarebbe se potessero farlo per un anno conservando
il posto di lavoro in un ente pubblico o privato.
*
Per fare che cosa?
Cruciale e' l'obiettivo di non partigianeria (meglio che di equidistanza).
Cioe' di porsi dalla parte del piu' debole, affinche' rinascano le
condizioni per il dialogo e la trattativa.
In questo caso l'indirizzo e' chiaro: intervenire non tanto nel Libano,
luogo finale e strumentale di uno scontro che invece nasce in Israele e
Palestina. E' qui che occorre attenuare le cause fino a superarle, per
evitare che il conflitto, se non e' preso dall'origine, proceda a cascata e
si generalizzi ad un intero quadro regionale.
E' chiaro a tutti che i rapporti Israele-Palestina sono in una sofferenza
enorme e sono il motivo giustificativo di ogni atto bellico anche mostruoso
(oltre che destabilizzante il diritto internazionale).
Un primo intervento di interposizione non puo' certo operare un brusco
cambiamento, ma puo' dare una direzione di inversione nei rapporti attuali
tra le popolazioni rispettive. Quel gruppo di persone che si puo' inviare
subito dovrebbe porsi come garante dei diritti umani nei posti di blocco che
attualmente sono il punto di scontro umano piu' drastico che esista in
questo conflitto; che e' il piu' drastico perche' e' permanente e non fa
morti, che poi per la vita quotidiana non incidono piu'; ma fa ferite di
odio profondo e di disumanita' che poi pesano per almeno cinquant'anni,
tutta una vita umana, e quindi rendono sempre meno vicino un punto di
riavvicinamento per una convivenza solidale su degli obiettivi comuni.
Ma per intervenire in questo modo occorre che il ministro degli esteri
italiano tratti con Israele: qui c'e' il nodo politico di questo tipo di
intervento: che ci sia una copertura da parte dello Stato Italiano non solo
in termini burocratici e finanziari, ma anche progettuali, secondo le
indicazioni ormai acquisite dalla esperienza internazionale per intervenire
sulle cause di questo conflitto.
*
Ritorniamo adesso al finanziamento. Una volta che si costituisca un corpo
del genere per gli scopi stabiliti sarebbe facile ricevere offerte anche
private per mettere in piedi questa iniziativa concreta per un nuovo tipo di
intervento, specificamente e luminosamente per la pace. Per il Kosovo lo
Stato chiese offerte; quanto piu' e in maggiore quantita' le potrebbe
ottenere affinche' ricominci un chiaro processo di pace a Gerusalemme! Tanto
piu' che per legge l'Unsc puo' accettare donazioni di privati sulla voce
specifica della Difesa popolare nonviolenta. Allora anche la somma su cui
abbiamo ragionato si espanderebbe di molto e si potrebbe pensare
all'intervento di centinaia di persone.
*
Quindi le vie amministrative e giuridiche sono gia' pronte. E' questione
solo di volonta' politica; in particolare del ministro della solidarieta'
sociale, che potrebbe giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo di una
difesa alternativa in Italia e anche all'estero; per di piu' con una
collaborazione internazionale: la Spagna il 30 novembre 2005 ha approvato
una legge sulla promozione di un cultura di pace al cui articolo 8 lo Stato
spagnolo si impegna a "promuove le esperienze di costruzione della pace in
zone di conflitto".

4. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: IRAQ, LA TRAGEDIA QUOTIDIANA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 settembre 2006. Giuliana Sgrena,
giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu'
prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle
culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e'
stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase
piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata
rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche
alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai
liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola
Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo,
Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma
1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq,
Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005]

Tutti gli occhi sono puntati sul Libano, l'Iraq non fa piu' notizia.
Nonostante il massacro di cento persone al giorno, secondo la stima delle
Nazioni Unite. Cosi' e' stato anche ieri, 32 vittime di autobombe e mortai.
Ma la scoperta piu' raccapricciante era avvenuta nella notte con il
ritrovamento di 65 cadaveri che portavano segni di torture praticate prima
del colpo di arma da fuoco mortale.
La guerra sporca degli squadroni della morte non ha piu' quartiere: una
quarantina di cadaveri sono stati trovati in quartieri sunniti, una ventina
in quelli sciiti e altri 5 galleggiavano sul Tigri all'altezza di Suwayrah,
a 40 chilometri a sud di Baghdad. La guerra civile che sta dissanguando il
paese da tempo ha come effetto la pulizia etnica: nella capitale i sunniti
occupano la parte occidentale del Tigri e gli sciiti quella orientale, dove
erano gia' prevalenti, le zone miste stanno scomparendo. Proprio mentre
l'Alleanza unita irachena (il blocco confessionale sciita) sta forzando i
tempi in parlamento (con una legge la cui discussione e' stata rinviata al
19 settembre) per arrivare alla formazione di una regione autonoma sciita
nel sud del paese. Che faccia da contraltare al Kurdistan iracheno che ormai
da tempo sembra essersi staccato - anche se non formalmente, ma in Iraq
esiste forse una legalita'? - dall'Iraq.
In Kurdistan - meno penalizzato dalla guerra e favorito se cosi' si puo'
dire dall'occupazione - arrivano investimenti dall'estero e sebbene lo
status di Kirkuk non sia ancora stato stabilito, i kurdi stanno gia'
sfruttando il petrolio dei suoi giacimenti vendendolo anche all'estero. Del
resto persino durante l'embargo, ai tempi di Saddam, le maggiori entrate del
Kurdistan autonomo provenivano dai dazi fatti pagare sul contrabbando
dell'oro nero verso la Turchia. Il Kurdistan va per la sua strada e il sud
sciita si sta sempre piu' iranizzando, nonostante l'occupazione. E non a
caso la "guida suprema" iraniana Ali' Khamenei ha approfittato della visita
del premier iracheno Nuri al Maliki per garantire il sostegno iraniano ma
sottolineando che l'occupazione deve finire. Lo sostengono anche gli
iracheni e un gruppo di avvocati, per raccogliere il sentimento popolare
ostile all'occupazione, ha promosso una petizione per il ritiro delle truppe
straniere che pero' ha trovato l'appoggio di soli 104 deputati (su un totale
di 275), soprattutto sunniti. Quindi per poter arrivare a una discussione in
parlamento e a una sua approvazione la petizione ha ancora molta strada da
fare. Anche perche' la maggioranza dei deputati dell'Alleanza unita
irachena, i cui leader hanno passato l'esilio a Tehran, non l'hanno
sottoscritta. Nonostante il premier Maliki in questi giorni a Tehran abbia
firmato accordi in vari campi con il presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad.
Nuri al Maliki si trova stretto tra gli americani e gli iraniani. Gli Usa
gli permettono di rimanere al potere e nello stesso tempo lo rendono inviso
alla popolazione sciita bombardando il quartiere Sadr city per dare la
caccia ai miliziani di al Mahdi, l'"esercito" del radicale Muqtada al Sadr.
Gli iraniani, che stanno mettendo le mani sull'Iraq, lo tengono buono mentre
stanno fomentando le ali piu' estreme dello sciismo. Alcuni osservatori
ritengono che la fazione di Muqtada al Sadr si candiderebbe a giocare il
ruolo simile a quello che Hezbollah ha giocato in Libano. La debolezza di al
Maliki e del suo governo e' evidente. Ultimamente sono corse voci di un
tentato golpe a Baghdad, il primo tentativo sarebbe fallito ma i suoi
fautori (l'ala dura sciita) non sarebbero intenzionati a desistere.
Probabilmente anche la guerra sporca degli squadroni della morte non e'
estranea al precipitare della situazione. Registrata anche dal rapporto del
Government accountability office (Gao) Usa pubblicato nel quinto
anniversario dell'11 settembre, che sottolinea il peggioramento delle
relazioni (un eufemismo!) tra gruppi etnici e religiosi e l'indebolimento
del senso di identita' del popolo iracheno. Ma il rapporto non parla della
divisione dell'Iraq sponsorizzata dagli Stati Uniti fin dal 1991 con la
creazione delle no-fly zone.
Il Gao, che cita il Pentagono, riferisce che gli attacchi contro le forze
della coalizione e le forze irachene sono aumentate del 23% dal 2004 al 2005
e che il numero degli attacchi da gennaio a luglio del 2006 sono aumentati
del 57% rispetto allo stesso periodo del 2005. Mentre un grafico del
rapporto e' ancora piu' esplicito: gli attacchi sono saliti da 100 nel
maggio del 2003 (era l'inizio della resistenza all'occupazione, ndr) ai
circa 4.500 del luglio 2006, contro le truppe di occupazione, le forze
irachene e i civili. Ma il rapporto non prende in considerazione il maggior
fallimento degli Stati Uniti in Iraq: il potere conquistato dagli iraniani.

5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: ALCUNI PUNTI PER UNA STRATEGIA ANTIMAFIA
[Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per
contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax:
091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo
il seguente articolo apparso nelle pagine dell'edizione palermitana del
quotdiano "La repubblica" del 23 luglio 2006. Umberto Santino ha fondato e
dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro
la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello
internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati
illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di
Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile,  Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli
anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La
Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli,
Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo
Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al
maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino
e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese
criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa.
Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata.
Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995;
Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893
al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e
l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997;
Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997;
L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti
ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del
movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome.
Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la
mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su
questo stesso foglio nei nn. 931-934]

Il dibattito con cui si sono concluse le iniziative per ricordare la strage
di via D'Amelio ha messo a fuoco alcuni punti che dovrebbero costituire la
base di partenza per una ridefinizione della strategia non solo di contrasto
ma pure di prevenzione nei confronti del fenomeno mafioso.
Il primo punto e' che bisogna uscire da visioni stereotipe che continuano a
circolare e hanno pesantemente condizionato l'attivita' antimafia, a
cominciare da quella legislativa. La considerazione della mafia come
emergenza, per cui essa c'e' quando spara e diventa un fenomeno di cui
preoccuparsi quando produce una montagna di morti o colpisce uomini delle
istituzioni, non e' solo presente nel sentire comune ma ha informato la
legislazione del nostro Paese, finora all'insegna della risposta
all'esplosione della violenza mafiosa. La legge antimafia del 1982 e' venuta
dopo l'assassinio Dalla Chiesa, con piu' di un secolo di ritardo rispetto
all'esistenza documentata dell'associazione mafiosa, e cosi' pure le altre
leggi hanno fatto seguito ad omicidi e stragi, costituendo un coacervo di
disposizioni che attendono di essere coordinate e armonizzate. Si parla da
tempo di un Testo unico ma finora non se n'e' fatto nulla. Riuscira' il
nuovo governo a sistematizzare una politica criminale che invece di
inseguire emergenze si fondi su un'analisi adeguata? La mafia non va in
vacanza tra un omicidio e l'altro ma e' un'organizzazione permanente e se
non spara non e' perche' e' scomparsa ma perche' non ha ragione di farlo.
Un altro punto e' che passata la sbornia Provenzano, frutto di
un'iconizzazione del personaggio che oscurava la complessita' della mafia e
l'articolazione del sistema relazionale su cui essa fonda gran parte del suo
potere, si dia vita a una regolazione legislativa di figure come il concorso
esterno, che mira a colpire i rapporti al di fuori dell'associazione
criminale vera e propria. Capisco che ci sono problemi, che si rischia di
tralasciare qualche aspetto della fenomenologia ma l'attuale incertezza,
dovuta a una pratica basata sull'elaborazione giurisprudenziale, se puo'
tornare utile come strumento flessibile che si presta ad essere impiegato
per una vasta gamma di comportamenti, espone al rischio della
discrezionalita' e offre il fianco alle critiche di un garantismo
interessato.
*
In sede di analisi, dopo decenni in cui la mafia era considerata solo come
una mentalita' senza organizzazione, in seguito alla "scoperta" di Cosa
nostra, sull'onda delle dichiarazione dei mafiosi collaboratori di
giustizia, si e' passati a un'altra polarizzazione: la mafia come struttura
organizzativa, dimenticando che siamo davanti a un fenomeno composito, in
cui mentalita' e codici culturali si saldano perfettamente con gli
organigrammi associativi e in cui la violenza e l'illegalita' sono impiegate
come risorsa che innesca o potenzia dinamiche legate ai processi di
accumulazione e di formazione dei rapporti di potere. E' quello che sostengo
da tempo, con il mio "paradigma della complessita'" che coniuga crimine,
accumulazione, potere, codice culturale e consenso e vede i gruppi
criminali, in tutto alcune migliaia di affiliati, interagire con un blocco
sociale molto ampio e articolato al cui interno la funzione decisiva e'
svolta da soggetti illegali (i capimafia) e legali (rappresentanti del mondo
delle professioni, dell'imprenditoria, della pubblica amministrazione, della
politica e delle istituzioni) che ho definito "borghesia mafiosa".
L'espressione e' ormai abbondantemente usata da magistrati impegnati in
indagini antimafia e sta diventando di uso comune, ma rischia di diventare
uno stereotipo che sottintende una criminalizzazione generalizzata o una
metafora del potere, sempre, comunque e dovunque. Nella mia analisi essa e'
il frutto di una riflessione elementare (i capimafia sono in gran parte
rozzi e semianalfabeti e da soli non possono neppure ideare gran parte delle
cose che gli si attribuiscono: dal traffico di droghe al riciclaggio del
denaro sporco, agli investimenti in settori-chiave come la sanita',
all'accaparramento del denaro pubblico, al condizionamento delle scelte
politiche) e si configura non come una generica chiamata di correo ma come
un'ipotesi analitica che seleziona rapporti documentati e documentabili tra
i professionisti del crimine e i soggetti che prima indicavo. Lascio ad
altri proiezioni cosmiche, suggestive ma di dubbio fondamento.
*
Il problema e' che il consenso, fondato su convergenze se non identita' di
interessi e di comportamenti, non riguarda solo soggetti classificabili come
borghesi ma si estende a una vasta gamma di soggetti, classificabili come
strati popolari, per i quali l'illegalita', piu' o meno legata o confinante
con l'universo mafioso, e' mezzo di sopravvivenza e di mobilita'.
Qui torna come punto centrale del dibattito della sera del 19 luglio e piu'
in generale di una ridefinizione della strategia complessiva, il problema
della fuoriuscita dall'illegalita' e della ricanalizzazione del consenso. I
"giovani" di Addipoizzo hanno portato la loro esperienza che cerca di
sposare no al racket e consumo critico; un'altra esperienza che ho ricordato
e' quella dei senza casa che hanno chiesto e ottenuto l'uso delle case
confiscate ai mafiosi. Primi passi di una strategia di disarticolazione del
blocco sociale a egemonia mafiosa attuale e di costruzione di un blocco
alternativo. Ma se ci limitiamo ad esperienze esemplari e non diamo vita a
un progetto ambizioso ma pure realistico, potremo felicitarci di qualche
risultato, prezioso ma parziale, e rassegnarci a ulteriori sconfitte.
La proposta che ho cercato di tratteggiare nel corso del dibattito vuole
coniugare analisi e progetto e vorrebbe avere sbocchi operativi a breve. In
sintesi, riprendendo un discorso gia' altre volte accennato (vedi la
proposta "Ricostruire Palermo", del Centro Impastato e del centro San
Saverio del 1987): costituire dei comitati unitari, con partiti, sindacati,
soggetti della societa' civile, altri, sparsi sul territorio, che
costruiscano progetti che mettano al centro i problemi dell'occupazione,
della ricostruzione, fisica e culturale, della citta', della partecipazione.
Bisogna sapere che tantissimi voti vanno al centrodestra perche' il suo
sistema clientelare offre mezzi di sopravvivenza per una vasta parte della
popolazione che vive il disagio permanente della disoccupazione e della
precarieta'. Edili disoccupati, professionisti disoccupati o precari, senza
casa dovrebbero essere i soggetti portanti di questa rifondazione strategica
dell'impegno politico e sociale. Questa immersione nel territorio potrebbe
ancorare alla realta', per esempio, un'opposizione che se si limita
all'interno dell'assemblea regionale, sara' ineluttabilmente perdente (per
cominciare, si potrebbe dar conto dell'attivita' nel Palazzo con un foglio
informativo e assemblee periodiche).
Mi piacerebbe chiamare questo progetto "Liberare Palermo": dalla
subalternita' alla mafia e al clientelismo, dalla rassegnazione, dalla
delega al miracolatore di turno, suscitando le energie migliori, presenti o
potenziali, che la citta' offre. E il discorso non vale solo per Palermo.
*
Un'ultima notazione. Chi fa antimafia deve sapere che una delle
discriminanti passa attraverso le modalita' di acquisizione dei fondi
pubblici, finora erogati con leggine-fotografie ed emendamenti ad hoc.
Centri studi, Universita' dovrebbero darsi un programma comune di ricerca e
contibuire alla progettazione, uscendo da pratiche separatiste e rituali. E
mi sia consentita una nota personale, ma non tanto. La mia recente condanna,
che si unisce a quella di Riolo, e' un grave colpo a chi fa analisi e
ricerca. Se si vuole tutelare efficacemente l'onorabilita' delle persone, si
chiedano rettifiche, correzioni, integrazioni, non soldi. L'onorabilita' non
e' un genere da supermercato e per trattare questi temi sarebbe piu' adatto
un giuri' apposito. La campagna per la liberta' di stampa e di ricerca nella
lotta conto la mafia prosegue.

6. DOCUMENTI. UNA PROPOSTA DA PISA
[Da Martina Pignatti Morano (per contatti: pignattimora at unisi.it) riceviamo
e volentieri diffondiamo il seguente documento conclusivo redatto dai
partecipanti al convegno "Cento anni di satyagraha. La forza della
nonviolenza" svoltosi a Pisa dal 9 all'11 settembre 2006. Martina Pignatti
Morano, militante della Rete di Lilliput e del Centro Gandhi di Pisa, sta
completando ad Oxford i suoi studi di dottorato di ricerca in economia
politica, interessandosi, in una prospettiva nonviolenta, dell'elaborazione
di modelli di pianificazione economica dal basso; come condirettrice dei
"Quaderni Satyagraha" ha organizzato la sessione tematica sulla nonviolenza
durante il Social Forum Mondiale di Porto Alegre (gennaio 2005) e il
Nonviolence Training di Amman (gennaio 2006); ha curato il volume 7 dei
"Quaderni Satyagraha", monografico sul tema "Il peacekeeping non armato"]

Nei giorni 9-11 settembre 2006 ci siamo riuniti, su invito del Centro Gandhi
di Pisa e della Tavola della pace e della cooperazione di Pontedera, in
occasione del centenario della nonviolenza gandhiana. In tavole rotonde e
intense discussioni abbiamo socializzato progetti personali, locali e
nazionali che stiamo impostando per la costruzione di una societa'
nonviolenta. Attraverso un percorso di maggiore consapevolezza e mutua
chiarificazione abbiamo verificato l'esistenza di una rete capace di agire
in senso culturale e politico per far crescere l'alternativa nonviolenta.
Sentiamo l'esigenza di lavorare assieme per elaborare un programma
costruttivo di trasformazione della societa' italiana e delle nostre vite,
ispirati dall'esempio dei satyagrahi gandhiani. Ci impegniamo a lavorare
assieme, tramite un coordinamento unitario dei movimenti di area
nonviolenta, per l'ideazione e la realizzazione di corpi civili di pace.
Riconosciamo l'obbligo morale di esplicitare l'esistenza di un'alternativa
all'uso di strumenti militari per la costruzione della pace.
L'assemblea sostiene l'appello del gruppo "No alla guerra nucleare" e
riconosce il valore dell'iniziativa unitaria dei movimenti di area pacifista
e nonviolenta per perseguire l'obiettivo del disarmo atomico, come primo
passo per il disarmo totale. Rilanciamo l'allarme di Alex Zanotelli circa la
minaccia che la proliferazione delle armi atomiche costituisce per
l'umanita': e' urgente l'azione dei movimenti e una presa di posizione forte
delle chiese, affinche' la guerra atomica venga dichiarata tabu' o peccato
dalle religioni.
Il giorno 11 settembre 2006 presso l'Auditorium Maccarrone di Pisa, in una
conferenza pubblica a cui hanno preso parte circa 170 persone, Alex
Zanotelli ha lanciato ufficialmente l'appello di cui sopra: "Fermiamo chi
scherza col fuoco atomico. Mettiamoci insieme per il disarmo". Associandoci
all'appello, invitiamo tutto il movimento italiano per la pace e la
nonviolenza a partecipare all'incontro nazionale per un comitato
promotore/animatore di una campagna nonviolenta per il disarmo atomico. Tale
incontro si terra' il 17 settembre 2006 a Milano, ore 9,30, in via Ulisse
Dini, 7.
Per maggiori informazioni: www.osmdpn.it
Accanto al terrorismo di gruppi organizzati esiste il terrore di Stato, e la
bomba atomica e' il suo strumento piu' minaccioso. Per un 11 settembre che
rifiuti la logica del terrore, lottiamo assieme per il disarmo atomico.
Calambrone-Pisa, 11 settembre 2006

7. LIBRI. ANGELO D'ORSI PRESENTA "IL FILO E LE TRACCE" DI CARLO GINZBURG
[Dal quotidiano "Liberazione" del 9 settembre 2006.
Angelo D'Orsi, nato a Pontecagnano (Salerno) nel 1947, e' docente di storia
del pensiero politico contemporaneo all'Universita' di Torino; si occupa da
anni, oltre che di questioni di metodo e di storia della storiografia, di
storia della cultura e dei gruppi intellettuali. Tra le sue opere: I
nazionalisti, Feltrinelli, Milano 1981; La rivoluzione antibolscevica.
Fascismo, classi, ideologie (1917-1922), Franco Angeli, Milano 1985; Le
dottrine politiche del nazionalfascismo, WR Editoriale, Alessandria 1988;
Guida alla storia del pensiero politico, Il Segnalibro, Torino 1990, La
Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1995; L'ideologia politica del futurismo,
Il Segnalibro, Torino 1992; Alla ricerca della politica, Bollati
Boringhieri, Torino 1995; Alla ricerca della storia. Teoria, metodo e
storiografia, Paravia/Scriptorium, Torino 1996, 1999; La cultura a Torino
tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; Intellettuali nel Novecento
italiano, Einaudi, Torino 2001; Allievi e maestri. L'Universita' di Torino
nell'Otto-Novecento, Celid, 2002; Piccolo manuale di storiografia, Mondadori
Bruno, Milano 2002; I chierici alla guerra. La seduzione bellica sugli
intellettuali da Adua a Baghdad, Bollati Boringhieri, 2005. Ha curato
l'edizione del carteggio tra Gioele Solari e Norberto Bobbio, che reca un
suo ampio saggio introduttivo (La vita degli studi, Angeli, Milano 2000).
Carlo Ginzburg (Torino 1939), illustre storico, ha insegnato a lungo a
Bologna, dal 1988 insegna all'Universita' della California a Los Angeles
(Ucla). I suoi libri sono tradotti in piu' di venti lingue. Tra le opere di
Carlo Ginzburg: I benandanti, Einaudi, Torino 1966; Il formaggio e i vermi,
Einaudi, Torino 1976; Indagini su Piero, Einaudi, Torino 1981, 2001; Storia
notturna, Einaudi, Torino 1989; Il giudice e lo storico, Einaudi, Torino
1991; Miti emblemi spie, Einaudi, Torino 1992; Occhiacci di legno,
Feltrinelli, Milano 1998; Nessuna isola e' un'isola. Quattro sguardi sulla
letteratura inglese, Feltrinelli, Milano 2002; (con Vittorio Foa), Un
dialogo, Feltrinelli, Milano 2003; Il filo e le tracce, Feltrinelli, Milano
2006]

Carlo Ginzburg e' uno dei pochissimi storici italiani noti extra moenia: i
suoi libri sono tradotti in molte lingue, insegna a Los Angeles, alla
prestigiosa Ucla, e' un visiting professor conteso: un intellettuale
cosmopolita, anche per la sua formazione, per gli interessi e, aggiungerei,
per gli ideali. Gli ultimi suoi libri sono raccolte di saggi, perlopiu' gia'
pubblicati ma, sovente, in sedi quasi inarrivabili: divenuti capitoli di
libro risultano testi sostanzialmente nuovi. Questa sarebbe gia' un'ottima
ragione per aprire con interesse i volumi (editi da Feltrinelli, dopo una
"rottura" con Einaudi); quel che piu' conta, si tratta di libri traboccanti
di stimoli, oltre che di sapere. Ginzburg incarna la figura dello storico
inteso come "un tale che fa delle domande", riportandoci alle origini
dell'attivita' storiografica stessa, e che accomuna le grandi tradizioni. La
Frage tedesca, la "domanda storiografica" crociana, l'histoire probleme
delle "Annales", alla cui lezione il lavoro di Ginzburg ha sempre guardato
con particolare empatia, benche' sia difficile stabilire una filiazione da
una sola corrente storiografica, o un solo maestro. Eppure, il filo
dell'ormai lunga militanza sotto le insegne di Clio, del figlio di Leone
Ginzburg - uno dei tre, a dire il vero - e' nitido, pur se aggrovigliato. E
quest'ultimo suo titolo, Il filo e le tracce. Vero falso finto,
(Feltrinelli, pp. 340, euro 25) - che propone la parola "filo", alludendo al
mito di Arianna e Teseo, accanto a un'altra parola chiave del lessico
ginzburghiano: "tracce" - e' un nuovo tassello del mosaico di un lavoro
apparentemente disordinato, ma connesso a un orientamento preciso, che, come
l'autore ci fa capire, si e' andato meglio definendo nel corso dei decenni.
La sua e' una battaglia contro il relativismo, che in storiografia indica
quegli orientamenti che tendono ad attribuire ai frutti della ricerca nulla
piu' che un valore letterario: la storia come mera narrazione, in sostanza,
il che implica, dunque, una radicale revoca in dubbio del carattere
"scientifico" della disciplina e, consequenzialmente, la perdita di senso
dello stesso "fare storia". A che serve, infatti, se non si assicura una
qualche certezza in merito all'oggetto delle indagini? E a che pro l'enorme
dispiego di tempo e di energie che una ricerca seria implica (che certo non
produce, se non in casi eccezionali, ne' gloria, ne' ricchezza, ne' potere),
se non possiamo dire a noi stessi, prima ancora che al nostro pubblico: cio'
che stiamo facendo ha un senso, al di la' del personale piacere della
scoperta e della scrittura?
*
Cionondimeno, Carlo Ginzburg e' studioso troppo raffinato per accontentarsi
di accomodarsi dentro la trincea di un ingenuo positivismo, che chiude il
discorso con il canonico "la storia racconta fatti realmente accaduti". Egli
problematizza il quadro, e porta per mano il lettore nella vera dimensione
del lavoro storiografico: la ricerca. Non del tutto a torto (ma non del
tutto a ragione), egli osserva che ogni discorso sul metodo "ha valore solo
quando e' riflessione a posteriori su una ricerca concreta, ma non quando si
presenta", e aggiunge, polemicamente: "ed e' il caso di gran lunga piu'
frequente", "come una serie di prescrizioni a priori". In realta', le
"prescrizioni a priori", ossia i trattati di metodo storico, nascono sempre
da ricerche concrete, e provano a distillare l'esperienza sul campo,
traducendola in discorso teorico. Il punto decisivo, che Ginzburg
sottolinea, e' che lo storico non ha mai in testa, bell'e pronto, il
risultato. E che ogni vera indagine e' fatta di tentativi, "errori", nel
senso letterale, dell'errare: aggiustamenti, ripensamenti, talvolta di
ritorni: e spesso una penosa sensazione di tempo sprecato colpisce lo
storico. Per un giovane che voglia porsi su questa strada, puo' essere
confortante sapere che anche un grande storico ha provato le stesse
sensazioni, e' stato colto da dubbi, e il caso ha svolto un ruolo spesso
decisivo nelle sue scelte.
Come si sara' a questo punto intuito, uno degli aspetti piu' apprezzabili
del volume, che lo rende particolarmente godibile anche sul piano della
lettura, e' l'affiorare dell'autobiografismo; ma senza ostentazione. E' come
se l'autore, via via che espone le sue ricerche, sentisse il bisogno di dar
conto del proprio coinvolgimento soggettivo nel loro procedere, negli
avanzamenti, nelle stasi, nei ritorni, nelle riprese. Ci sono pagine di
grande efficacia da questo punto di vista che potrebbero essere adottate da
quei corsi di laurea che vogliono reclutare aspiranti storici: si veda, ad
esempio, il racconto di come egli si ponga a studiare la stregoneria,
partendo da tre faldoni trovati "per caso" nell'Archivio di Stato di
Venezia; o il flash che ci illumina sull'ingresso nell'inesplorato archivio
arcivescovile di Udine, che merita di essere citato: "Quando entrai per la
prima volta nella grande stanza circondata da armadi in cui erano
conservati, in ordine perfetto, quasi duemila processi inquisitoriali,
provai l'emozione di un cercatore d'oro che s'imbatte in un filone
inesplorato".
Fra i tanti insegnamenti, un altro vorrei porre in luce, che delinea bene la
fisionomia dello studioso di "microstoria" (tra i pochi saggi noti del
volume, c'e' il bellissimo "Microstoria: due o tre cose che so di lei", del
1994): l'idea che per comprendere una societa' sia piu' utile partire dalle
sue manifestazioni anomale, piuttosto che dalla norma: "la violazione della
norma contiene in se' anche la norma"; mentre l'inverso non e' vero. Purche'
questo studio sia fatto in modo intensivo. Il che e' un po' la filosofia
della microstoria, piccola non solo in quanto sono limitati, temporalmente o
spazialmente, gli oggetti della sua indagine, ma soprattutto perche'
attraverso la tecnica della descrizione densa, che va in profondita',
comprendendo un caso particolare abbiamo elementi per intuire il quadro
complessivo.
*
Il libro cosi' si snoda tra streghe e sciamani, persecuzioni e amicizie,
eretici e inquisitori, letterati e umili contadini, in un fitto dialogo tra
la storia, ossia frammenti di ricostruzione di fatti (che sono spesso
vicende di idee, di mentalita', di costume...) e la storiografia, cioe' il
confronto con altre impostazioni, prossime o lontane dalla propria. Uno dei
capitoli per me piu' interessanti e' dedicato al celebre falso "I Protocolli
di Sion": qui emerge con pienezza la straordinaria capacita' di analizzare i
testi e di "interrogare" i documenti, e anche una vicenda di cui
personalmente credevo di sapere (quasi) tutto, apre, sotto il bisturi di
Ginzburg, squarci assolutamente inediti. L'erudizione e' tanta, ma tenuta a
bada da un vigile spirito critico; il filo, qui, ma in tutto il volume, e'
quello che ci deve aiutare a "districare l'intreccio di vero, falso, finto",
che, aggiunge l'autore, "e' la trama del nostro stare al mondo". Anche qui,
sembra che il nemico giurato del soggettivismo e dello scetticismo (di cui
si veda in particolare l'illuminante capitolo 4 "Parigi 1647: un dialogo su
finzione e storia") temperi la filologia con l'intelligenza. Il risultato e'
un libro affascinante, e, pur nella varieta' di temi ed epoche, coeso, che
forse non "si legge come un romanzo", ma che in molte sue pagine procura
altrettanto piacere, con il valore aggiunto della conoscenza. Insomma, un
vero libro di storia. C'e' da divertirsi, e da imparare: che non significa
aggiungere dati, ma soprattutto individuare problemi, "fare domande".

8. RILETTURE. FRANCESCO GABRIELI (A CURA DI): STORICI ARABI DELLE CROCIATE
Francesco Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle Crociate, Einaudi,
Torino 1957, 1987, pp. XXX + 354. Un'opera che dovrebbe essere tra i libri
di testo delle nostre scuole.

9. RIEDIZIONI. FRANCESCO GUICCIARDINI: OPERE
Francesco Guicciardini, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano
2006, pp. XXXII + 588, euro 12,90 (in supplemento a "Il sole 24 ore"). Dalla
classica Letteratura Italiana Ricciardi a cura di Vittorio de Caprariis una
selezione delle opere guicciardiniane, che un'antica abitudine voleva farci
leggere specularmente o complementarmente a Machiavelli, modo certo
legittimo ma che dopo infinite reiterazioni rischia di depauperare e l'uno e
l'altro. Leggiamo finalmente Guicciardini in quanto Guicciardini, e
godiamone i tesori di scienza e di saggezza - ma anche di stile, di passione
e di disincanto: di laicita', di umanita'. Questa accurata scelta (ma forse
ancor troppo ristretta e frammentata) puo' essere un viatico prezioso.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1421 del 17 settembre 2006

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