La nonviolenza e' in cammino. 1317



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1317 del 5 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: Una lettera
2. Daniele Lugli: La politica della nonviolenza
3. Anna Puglisi: La signora Provenzano
4. Augusto Cavadi: Le bibbie di Provenzano
5. Irene Alison intervista Joseph Woods
6. Arci: Un appello a votare "no" al referendum
7. Letture: AA. VV., Scelgo la Costituzione
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA LETTERA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
averci messo a disposizione questa lettera indirizzata a Nella Ginatempo ma
concepita come intervento pubblico per una riflessione condivisa.
Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi
impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente
universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e
significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa'
civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni politiche del 9-10
aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte degli scritti e
degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti
di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e
linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di
liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana,
Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina,
Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa
ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le
donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il
dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli),
Nonviolenza, Fazi, Roma 2004.
Nella Ginatempo (per contatti: nellagin at tiscali.it) e' una prestigiosa
intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la guerra, per la
globalizzazione dei diritti; e' docente di sociologia urbana e rurale
all'universita' di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di sociologia
del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile; attualmente
svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del territorio.
Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976;
Marginalita' e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e
non luoghi nell'area dello Stretto, 1999; Un mondo di pace e' possibile,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 2004]

Carissima Nella,
sono venuta volentieri alla manifestazione  del 2 giugno a Roma e mi pare
che sia anche abbastanza riuscita. Pero' mi preoccupo del carattere sempre
pio' "interno" delle espressioni del movimento e anche mi spiace un po' di
essere "convocata" come parlamentare su una piattaforma che non ho
minimamente cooperato a costruire.
La mia intenzione era ed e' di proporre altre modalita' per la festa della
repubblica, ragionando sulla sua "ragione sociale", che e' quella di
"repubblica democratica fondata sul lavoro". Il lavoro viene celebrato il
primo maggio e propongo che - se i sindacati sono d'accordo - il 1 maggio
sia solenne come il 2 giugno, ma per l'appunto celebrato senza niente di
militare, per ricordare la storia nonviolenta del movimento operaio.
Il 2 giugno non puo' essere "usurpato" dalle Forze armate che hanno gia' la
loro festa il 4 novembre (che peraltro dovrebbe essere piuttosto giorno di
lutto: ricordando l'"inutile strage" della prima guerra mondiale); ricevere
l'invito alla sfilata militare dal ministro della Difesa, che il  2 giugno
e' dunque il piu' potente personaggio dello stato che "convoca" presidente
della Repubblica, del Senato, della Camera e del Governo, cioe' la prima
seconda terza e quarta autorita' dello stato, e' uno sbrego dell'etichetta e
del simbolico che rasenta la rappresentazione di un colpo di stato, e ha un
aspetto tanto poco egualitario da essere insopportabile, il trionfo della
gerarchia! una cosa da monarchia, non da repubblica...
*
Il 2 giugno deve essere repubblicano e democratico, che e' quanto dire non
gerarchico, ma esaltatore dell'eguaglianza e dell'azione civile e non
militare.
A me non piacerebbe che fosse celebrato con particolare rilievo a Roma, per
questo avevo molto apprezzato che in alcuni luoghi gia' si fosse diffusa
l'abitudine di fare una festa in piazza o una passeggiata in campagna o una
mangiata all'aperto, insomma una cosa popolare; da anni propongo che
facciamo qualcosa di simile al 14 luglio in Francia, data che ricorda la
presa della Bastiglia da parte del popolo di Parigi, azione forte, ma
indirizzata ad aprire un orrendo carcere, a celebrare la liberta' e a far
uscire i prigionieri politici, e che si festeggia ballando tutta la notte
per le strade.
Insomma mi interessa una modalita' con la quale  il patriottismo - come dice
Napolitano -  non si esprima con le armi, cioe' come patriottismo contro le
patrie altrui, bensi' con la festa, che e' una modalita' per eccellenza
inclusiva, non trattandosi di una festa con invitati eccellenti, con il
biglietto d'invito da esibire e le mises delle dame, bensi' aperta a tutti e
tutte, da festeggiare con bambini bambine nonni nonne vicini di casa
passanti occasionali e immigrati/e che si uniscono magari insegnandoci i
loro balli o i loro piatti.
*
Se questa era la mia meta non capisco perche' dovessimo parlare soprattutto
d'altro, con la solita maniera gridata e piagnona della sinistra, senza una
proposta nel merito.
Sono un po' irritata di essere convocata a ripetere cio' che ho gia' detto
scritto e parlato persino in aula, sul rispetto dell'art. 2 (pacs),
dell'art. 3, (ostacoli alla parita'  delle donne e dei migranti), sulla
laicita' dello stato e sull'art.11 della Costituzione.
Non sono d'accordo che ci sia tra noi e il movimento una  modalita' non
reciprocamente autonoma. Il movimento non ha rappresentanti, ne' i
rappresentanti hanno potere sul movimento, siamo reciprocamente autonomi e
se vi e' una relazione tra noi (che mi pare una novita' politica di grande
respiro) essa e' per l'appunto una relazione tra pari, da verificare ogni
volta nella composizione delle piattaforme, nella firma di documenti,
nell'appoggio ad azioni ecc. ecc.
Con grande affetto ma  anche grande preoccupazione per un certo "incartarsi"
del movimento per mancanza di fantasia politica,
ti abbraccio forte
Lidia

2. RIFLESSIONE. DANIELE LUGLI: LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA
[Da "Azione nonviolenta" di marzo 2006 (disponibile anche nel sito
www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente articolo li' apparso col titolo
"Voglia di impero, smania di comunita', rifiuto della democrazia. Verso il
Convegno di Firenze su nonviolenza e politica".
Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) e' il segretario
nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della nonviolenza,
unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e politico anche
una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed amministrativo, ed
e' persona di squisita gentilezza e saggezza grande.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
e-mail: azionenonviolenta at sis.it]

Ci sono due desideri collettivi che caratterizzano questi anni: la voglia di
impero e la voglia di comunita'. Della prima ci parla l'inizio veramente
folgorante del libro di Fabio Mini (La guerra dopo la guerra). La voglia di
impero, o si potrebbe dire la smania di impero, e' il fenomeno che
caratterizza quest'avvio del terzo millennio. Sembra quasi che l'esperimento
della democrazia popolare dopo meno di un secolo stia scivolando
all'indietro verso un nuovo sistema imperiale.
Almeno parallela cresce un'altra voglia, quasi una smania, di comunita', la
nostalgia di una comunita' che non abbiamo in verita' mai conosciuto. Scrive
Zigmunt Bauman (Voglia di Comunita'): La comunita' ci manca perche' ci manca
la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice che il mondo di oggi
e' sempre meno in grado di offrirci e sempre piu' riluttante a promettere.
Ma la comunita' resta pervicacemente assente, ci sfugge costantemente di
mano o continua a disintegrarsi, perche' la direzione in cui questo mondo ci
sospinge nel tentativo di realizzare il nostro sogno di una vita sicura non
ci avvicina affatto a tale meta...
La voglia di sentirsi in quella comunione profonda diventa ricerca di un
legame collettivo, potremmo quasi dire un legame "purche' sia", anche
inventato. Il che sarebbe in se' abbastanza ridicolo se non avesse elementi
preoccupanti, che emergono in luoghi non poi cosi' lontani da noi, con esiti
cruenti. E' la ricerca di un'appartenenza che ci sorregga nella distinzione
da chi e' diverso da noi perche' sta oltre un certo confine, definito per
stile di vita, gruppo etnico o religioso, o semplicemente una distinzione
funzionale a rivendicare il nostro privilegio.
La smania di impero e di comunita' sono entrambi modi di rifiutare la
politica, la democrazia, la ricerca faticosa della costruzione di una
convivenza, che non e' regalata.
L'impero e' una soluzione; significa che c'e' qualcuno, piu' forte di tutti,
che aggiusta le cose. Nella storia, almeno in quella nostra, lo hanno
impersonato i romani, poi gli inglesi, ora gli americani. Preferire l'impero
e' arrendersi ad un'evidenza semplice: se il mondo e' fatto in modo tale che
si puo' essere solamente piaga o coltello, meglio essere coltello - e
possibilmente stare dalla parte del manico.
*
L'atomica contro l'ipocrisia
Spesso chi mi chiede di parlare di Aldo Capitini mi domanda che cosa c'e' di
vivo nei suoi scritti. La domanda vera e' per me quanto di vivo porto io (e
portano anche gli altri) rispetto alle cose scritte e compiute da Aldo
Capitini, cioe' quale sia oggi la nostra capacita' di proposta rispetto ad
una testimonianza di pensiero e di azione che ho avuto la fortuna di
incontrare.
C'e' tra gli altri un testo breve di Capitini, scritto tre giorni dopo la
bomba di Hiroshima e pubblicato su "Epoca" nel suo primo numero - siamo
nell'agosto del '45: "Tutta la potenza si e' raccolta in una bomba di
sovrumana potenza", scrive Capitini, "l'imperium si e' ricollocato verso
l'unica forza che d'ora in poi puo' decidere della guerra o della pace". Di
seguito tratteggia in modo sintetico e preciso quello che oggi noi chiamiamo
globalizzazione, la prospettiva - ormai realizzata - di un mondo che si fa
uno. E, ancora a proposito della bomba, dice: e' un bene che sia avvenuto,
ci toglie la possibilita' di fare dei distinguo sull'opportunita' della
violenza e ci interroga su come possiamo affermare, al di fuori di una
logica di forza, i valori costruiti attraverso l'esperienza di comunita' che
per la guerra hanno sofferto.
Nella crisi e nel vedere in prospettiva il conflitto mondiale che si stava
preparando, ancora dopo la bomba di Hiroshima e Nagasaki, Capitini ripropone
con forza la nonviolenza come varco attuale della storia, come "la" cosa da
fare, un tema politico da affrontare. Il che vuol dire trasformare anche le
istituzioni, che poi sono modalita' di relazione tra le persone. Nel tempo
si sono irrigidite, ispessite, e vanno di nuovo vivificate.
E' una cosa con la quale occorre fare i conti, in particolare dovranno farlo
i giovani in una situazione nella quale parlare di politica ha un suono che,
se non e' osceno, ci manca poco, perche' il tipo di esperienza che viene
fatta nella vita pubblica nel nostro paese, da anni a questa parte, ha perso
molti degli elementi di valore, che sono inscritti anche nella nostra
Costituzione.
*
Una marcia di molti...
Aldo Capitini e' noto soprattutto come ideatore e promotore della Marcia per
la pace Perugia-Assisi, che ha avuto la prima edizione nel 1961. Qualche
breve cenno per contestualizzare. Il 1961 e' l'anno in cui si costruisce il
muro a Berlino, l'anno della crisi di Cuba, che ci porta sull'orlo della
guerra atomica. All'indomani della Marcia Kennedy dira' che "o gli uomini
sono capaci di liberarsi della guerra, o la guerra si sbarazzera' di loro".
In questo clima politico e culturale si colloca la prima Perugia-Assisi
promossa da questo professore umbro che non ha dietro a se' grandi
organizzazioni, nessuna forza politica o religiosa, solo l'intuizione di
questa manifestazione per affermare una volonta' popolare di pace. La Marcia
ebbe un suo significato e un suo senso, tanto che e' stata ripetuta e ancora
si ripete, ad anni alterni, con l'aggiunta di edizioni "speciali". Dopo
quella prima iniziativa furono costituite un po' dappertutto le Consulte per
la Pace, con l'appoggio delle forze politiche e sindacali di sinistra,
colpite dalla gravita' del momento. Capitini, non iscritto a partiti, ma
noto per il suo impegno contro la guerra fin sotto il regime fascista,
divenne presidente della Consulta nazionale della pace. Ci furono momenti di
forte partecipazione popolare, che abbiamo ritrovato forse solamente con la
campagna delle bandiere arcobaleno. Aldo Capitini, che pure aveva un ruolo
riconosciuto - presidente nazionale della Consulta - in un movimento tanto
ampio, senti' il bisogno di qualcosa di piu' specifico e radicato, che
andasse oltre larghe ma generiche manifestazioni per la pace. Per questo
scelse di costituire un piccolo movimento: il Movimento Nonviolento.
*
..  un movimento di pochi
Quando la pace e' in pericolo si leva la reazione spontanea delle persone,
una sensibilita' che pero' scompare non appena i media guidano la nostra
attenzione su un tema diverso, su un'altra urgenza. Il rifiuto della
violenza e' un obiettivo piu' mirato, piu' quotidiano, che pervade tutto il
modo di essere di una societa' e non si realizza per caso. La guerra e'
un'espressione, orribile, dell'incapacita' di risolvere in modo diverso
dalla violenza i problemi che si pongono. Da li' nasce la necessita', per
tutti noi, di approfondire il tema della nonviolenza e da li' nasce anche il
piccolo ma tenacissimo Movimento Nonviolento in cui mi ritrova.
Per lo stesso desiderio di esprimere messaggi precisi, specifici, dopo la
Perugia-Assisi Capitini indice a Roma una marcia "contro la guerra, il
terrorismo, la tortura". Dalle migliaia che avevano marciato in Umbria, si
passa a 200 persone. Il tema e' chiaro: ci sono persone disposte in ogni
caso ad assumere la questione della violenza come un punto centrale,
consapevoli ormai che le strade dell'inferno sono lastricate di buone
intenzioni e che le vie del cambiamento, percorse con mezzi violenti ed
incoerenti con il fine, portano al peggio. Gandhi precisa in piu' punti che
dobbiamo esercitare la nostra padronanza sui mezzi che scegliamo, poiche'
sui fini e' impossibile esercitare un controllo. Per certo sappiamo che
quanto facciamo s'imprime indelebilmente sul risultato. Non e' vero che il
fine giustifica i mezzi, come l'interpretazione piu' banale di Machiavelli
fa dire, e' invece vero, sicuramente vero, che i mezzi pregiudicano il fine,
lo distorcono, lo fanno diventare diverso da quello che si voleva.
*
Un banco di prova: politica, amministrazione locale, partecipazione
L'esperienza del fare politica, a partire dall'amministrazione locale, e',
diceva Capitini, una responsabilita' necessaria. Puo' esserci nella vita un
momento di meditazione quasi monastica, scriveva, ma poi occorre passare di
nuovo per la vita pubblica, perche' questa capacita' di relazione con gli
altri e' cio' di cui siamo costituiti. Altrimenti, ci ricordava, verra'
ancora un tempo in cui le persone avvertiranno i politici come persone
lontane, che non li rappresentano. E' molto bello, diceva Aldo, che ora ci
siano comizi nelle piazze e non una persona che arringa le masse dal balcone
di piazza Venezia o dalla radio, ma non sara' un progresso vero se restera'
la distinzione tra chi parla e chi ascolta. Un tentativo di risposta erano i
suoi Centri di Orientamento Sociale, dove si andava per ascoltare e parlare,
non uno senza l'altro, dove i temi piu' diversi erano affrontati. Patate e
ideali, ripeteva Capitini. Affiorano esperienze che riprendono
quell'ispirazione, di seria e impegnata costruzione dal basso d'istituti per
la miglior conoscenza, discussione, deliberazione degli argomenti di comune
interesse. E' la necessaria aggiunta, fondata sul potere di tutti, agli
istituti di democrazia rappresentativa, che attraversano una profonda crisi:
dall'Onu alla circoscrizione.
La democrazia, nella sua migliore espressione che e' quella costituzionale,
appare fragile nelle cosiddette democrazie occidentali. Sembra avere
smarrito la sua forza propulsiva. Viene da chiamarle democrazie accidentali.
La loro pretesa di esportare diritti con la forza dell'economia, della
corruzione, delle armi ha dato luogo, al piu', a democrature, che hanno
fatto apparire meno orride, se non rimpiangere, le istituzioni precedenti.
*
Democrazia e costituzione
La democrazia costituzionale e' esigente: chiede che la promessa
d'eguaglianza che caratterizza il diritto sia presa sul serio, sempre piu'
sul serio, turbando gli equilibri esistenti se sono fondati, come sono,
sull'oppressione, su una violenza strutturale, coperta da una violenza
culturale che impedisce il venire allo scoperto della violenza diretta.
Quella che piu' ci spaventa, minacciando la nostra stessa vita, la nostra
faticata sicurezza.
La strada da percorrere era individuata con chiarezza nell'art. 3 della
nostra Costituzione. I due commi vanno letti bene e assieme:
"Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
"E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica
e sociale del Paese".
Realizzare la promessa d'eguaglianza e liberta', nell'effettiva
partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale,
non e' stata una priorita' per le forze politiche, di governo e
d'opposizione, sia pure con diverse responsabilita'. Ne' i partiti sono
stati, ben prima di tangentopoli, le libere associazioni dei cittadini per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale,
promessi dall'art. 49 della Costituzione. Tanto meno lo sono oggi. I partiti
al potere [questo articolo e' precedente alle elezioni di aprile 2006 -
ndr], uniti nella Casa delle impunita', hanno messo mano anche alla
Costituzione stravolgendone l'impianto, limitando la partecipazione
effettiva dei cittadini, vanificando il sistema di garanzie, delineando una
figura di premier particolarmente inquietante in un paese che ha insegnato
il fascismo al mondo. Per questo, quale che sia la pochezza dei loro
oppositori, vanno sconfitti nelle elezioni e va liquidato, nel referendum
costituzionale, il loro eversivo disegno.
*
Il potere di tutti
E' un esito che si andava da tempo preparando. Aldo Capitini, libero
religioso e indipendente di sinistra, fuori dalle chiese e dai partiti,
vedeva, e si era all'indomani della liberazione del nostro paese, la
fragilita' della costruzione democratica, il rischio di una progressiva
distruzione della democrazia. Denunciava la superficialita' dell'approccio
dei partiti interessati a conquistare e gestire posizioni di potere piu' che
alla trasformazione, secondo liberta' e giustizia, delle istituzioni. Vedeva
iniziata una strada, ai cui esiti assistiamo ora quasi impotenti, che
avrebbe portato il paese in una situazione pre-fascista, con il fallimento
dei partiti come strumento di rappresentanza ed intervento politico dei
cittadini, il discredito delle organizzazioni sindacali, la disaffezione nei
confronti degli istituti della democrazia.
C'e' una lezione da imparare e diffondere: Ognuno deve imparare che ha in
mano una parte di potere e sta a lui usarla bene, nel vantaggio di tutti;
deve imparare che non c'e' bisogno di ammanettare nessuno, ma che cooperando
o noncooperando, egli ha in mano l'arma del consenso e del dissenso. E
questo potere lo ha ognuno, anche i lontani, le donne, i giovanissimi, i
deboli, purche' siano coraggiosi e si muovano cercando e facendo.
E Capitini non stava mai fermo, sempre a promuovere, a sollecitare, a
sperimentare.
Una societa' democratica che stia immobile, si corrompe e si muta: essa ha
bisogno di rinnovarsi continuamente dal di dentro; la sua salute sta nel
movimento, e il movimento e' impresso dal libero giuoco delle proposte
riformatrici.
La nostra proposta, riassunta al massimo consiste nello sviluppare e
qualificare il controllo dal basso delle istituzioni rappresentative ad ogni
livello, nell'aggiungere al metodo democratico il metodo nonviolento nelle
lotte politiche, sociali, economiche, nel costruire luoghi che consentano ai
cittadini di determinare la politica, integrando, se non radicalmente
mutando o sostituendo, i partiti, che a tale compito male assolvono, nel
lavorare per una nuova socialita' capace di affrontare la crisi della forme
istituzionali infra e sovra statali.
Non ci stancheremo di avanzarla e, per quel che ci riesce, di praticarla.

3. RIFLESSIONE. ANNA PUGLISI: LA SIGNORA PROVENZANO
[Dal sito del Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" (per
contatti: ia Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,tel. 0916259789, fax
091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo
il seguente articolo gia' apparso sulla bella rivista "Mezzocielo" di
marzo-aprile 2006. Anna Puglisi, prestigiosa studiosa e militante antimafia,
e' impegnata nell'esperienza del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di cui e' una delle fondatrici. Tra le opere di Anna
Puglisi: con Umberto Santino (a cura di), La mafia in casa mia, intervista a
Felicia Bartolotta Impastato, La Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio (a
cura di), Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta
antimafia, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo
1988; Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia,
Centro Impastato, Palermo 1998, Di Girolamo, Trapani 2005; con Umberto
Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro
siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005]

Dopo 43 anni di latitanza e' stato arrestato Bernardo Provenzano, in un
casolare a pochi chilometri da Corleone, il paese dove, dal 1992, era
tornata a abitare la moglie con i figli.
Secondo un copione abbastanza abusato, accanto al letto di Provenzano
c'erano un rosario e una bibbia che ha voluto portare con se', assieme alle
medicine, e ai poliziotti che lo arrestavano ha detto: "Non sapete quello
che fate", volendosi forse paragonare a Cristo in croce, dato che il suo
arresto e' avvenuto nel martedi' di Passione. Un'altra versione, piu'
inquietante, della frase e': "Non sapete l'errore che state commettendo",
forse intendendo dire che dopo la sua cattura e' possibile che si scateni di
nuovo la violenza mafiosa.
Gli inquirenti hanno detto che a portare le forze dell'ordine a scovare il
capomafia sia stato un "errore" della moglie nell'invio del pacco con la
biancheria pulita. Ci si chiede come mai non si sia potuto conoscere prima
il luogo o uno dei luoghi in cui si e' nascosto Provenzano, seguendo
l'itinerario di questi pacchi e dei famosi "pizzini".
Di Provenzano, capomafia, componente la cupola, killer in anni piu' verdi e
stragista, collezionista di ergastoli, regista di traffici, maestro del
rapporto con le istituzioni per l'acquisizione di appalti pubblici e nel
business legato alla sanita' e ai rifiuti, supposto garante da piu' di dieci
anni di una pax mafiosa, si e' parlato molto. Poco si e' detto della moglie,
Saveria Palazzolo, fedele compagna della sua latitanza, ma non solo.
Saveria Benedetta Palazzolo proviene da una famiglia di Cinisi, legata alla
mafia. Un suo fratello e' stato ucciso nella guerra di mafia dei primi anni
Ottanta. Lei non si e' limitata a essere la compagna del capomafia fin da
ragazza, ma ha gestito il suo patrimonio e i suoi affari. La sua attivita'
ufficiale e' quella di camiciaia, ma gia' negli anni sessanta risultava
proprietaria di un patrimonio valutato in centinaia di milioni: beni
immobili, un feudo nelle campagne di Alcamo e partecipazioni azionarie.
Come titolare delle aziende "Stella d'oriente", una societa' per la
commercializzazione del pesce congelato, e "Enologica Galeazzo", e come
socia di altre societa' considerate dagli inquirenti copertura per il
riciclaggio di denaro sporco, nel 1990 viene condannata a tre anni e alcuni
mesi (pena poi ridotta a poco piu' di due anni). Ma Saveria non ha scontato
gli anni di carcere perche' dal 1983 aveva fatto perdere le sue tracce, poco
prima che i carabinieri andassero ad arrestarla con l'accusa di associazione
per delinquere.
Nel 1992, quando ricompare a Corleone assieme ai due figli, Angelo e Paolo
di sedici e nove anni, non ha piu' conti con la giustizia e come moglie di
Provenzano, secondo una legge discutibile, puo' avvalersi della facolta' di
non rispondere e non puo' essere inquisita e condannata per favoreggiamento.
Ma con diversi provvedimenti sono stati confiscati beni ufficialmente
intestati a lei, che sono stati ritenuti appartenenti al marito.
A Corleone i due figli, "due ragazzi sereni e equilibrati" - secondo le
parole dell'avvocato di famiglia - riprendono gli studi. Il maggiore, dopo
il diploma, ottiene la licenza per aprire una lavanderia, ma nel gennaio
2002, in seguito alle proteste nate anche per una licenza data al secondo
figlio di Toto' Riina, gli viene revocata l'iscrizione all'albo. Ora fa il
rappresentante di aspirapolveri. Il figlio minore, laureato in lingue,
quest'anno insegna italiano in una prestigiosa scuola tedesca, con una borsa
di studio del ministero dell'Istruzione che lo ha scelto assieme ad altri
giovani per promuovere la nostra cultura all'estero.
I figli di Provenzano, quindi, hanno seguito una strada ben diversa dai
figli maschi di Riina, condannati entrambi per mafia e il piu' grande anche
per un duplice omicidio. Una diversa educazione impartita da Saveria
Palazzolo rispetto a quella data ai suoi figli da Antonietta Bagarella?
Cio' non toglie che madre e figli non abbiano ritenuto di prendere le
distanze da Provenzano. Al contrario, dalle lettere che sono state trovate
dimostrano di essere moglie e figli affettuosi in riverente attesa dei suoi
consigli.
Ancora una volta dobbiamo constatare l'unicita' dell'esempio di Peppino
Impastato e di sua madre Felicia, per la rottura con il padre e con la
parentela mafiosa.

4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LE BIBBIE DI PROVENZANO
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione questo commento pubblicato nel sito delle Comunita' di
base italiane. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore,
collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di
risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano
di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova
edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la
lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A
scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze
didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza
cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain
fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo.
Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce
"Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie,
Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici.
Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000;
Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato
in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente
bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla
mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore,
Trapani 2006. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]

Scovano Bernardo Provenzano e gli trovano sei o sette bibbie attorno. Forse
i giornalisti confondono titoli, ma insomma: di vangeli, breviari e libri
devozionali, comunque, si tratta. La coscienza del credente dovrebbe
restarne turbata: o, per lo meno, interpellata. Mi hanno riferito lo slogan
con cui un prete calabrese (di cui non conosco il nome) ha sintetizzato il
compito delle chiese davanti alle mafie: annunciare (il vangelo), denunciare
(i colpevoli), rinunciare (ai privilegi dell'omerta').
Gia' solo il primo dei tre doveri meriterebbe un'enciclopedia a parte.
Perche' Provenzano puo' non avvertire alcuna contraddizione, anzi neppure
frizione, fra la sua efferatezza criminale e la sua religiosita'? Diciamolo
in maniera brutalmente succinta. Come ha documentato, piu' di altri,
l'esegeta Giuseppe Barbaglio, il volto del Dio biblico e' duplice, un "Giano
bifronte": misericordioso, paziente, pacifico; ma anche vendicativo, iroso,
violento. Come recita un recente titolo del magistrato Roberto Scarpinato su
"Micromega" (riprendendo suggestioni di altri), un Dio "padre" ma anche un
Dio "padrino".
Questa ambiguita', inevitabilmente, si risolve in sede ermeneutica. O si
rimuovono i passi, le tonalita', le sfumature dell'amore libero e liberante
di Dio: ed e' la strada della tradizione ecclesiastica, attenta a
raccogliere ogni spunto che legittimi le gerarchie, gli ordinamenti, le
sanzioni. Oppure si rimuovono i passi, le tonalita', le sfumature della
sovranita' antropomorfica di Dio: ed e' la strada dei credenti che non
venerano le Scritture come un feticcio, ma si ispirano ad esse come a un
documento della ricerca (mai conchiusa) di un popolo in cammino. Ognuno di
noi, anche inconsciamente, fa le sue scelte ermeneutiche. Provenzano ha
fatto la sua.

5. TESTIMONIANZE. IRENE ALISON INTERVISTA JOSEPH WOODS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 maggio 2005.
Irene Alison scrive prevalentemente di temi culturali sul quotidiano "Il
manifesto".
Joseph Woods, ventiquattrenne statunitense, e' stato quattro anni al fronte
tra l'Afghanistan e l'Iraq, e' ora impegnato nel movimento pacifista dei
veterani "Iraq veterans for peace"]

Joseph e' il piu' giovane del gruppo. E quello con le idee piu' chiare.
"Entrare nell'esercito e' stata una enorme sciocchezza. Ho sempre detestato
le istituzioni repressive", dice alla telecamera di Ian Olds e Garrett Scott
in Occupation: Dreamland, documentario in questi giorni nelle sale italiane.
Otto soldati al fronte iracheno ritratti dai registi nell'inverno del 2004,
durante sei settimane trascorse nella base statunitense di Falluja (la
"dreamland" del titolo) nei giorni di fragile quiete che precedettero
l'assalto finale americano alla citta'. Notti in branda, discorsi da
caserma, polvere, paura. E otto american boys - quelli dell'82sima divisione
aviotrasportata dell'esercito Usa - arruolatisi per caso, per sbaglio o per
bisogno, e spediti ai confini del deserto col mitra a tracolla per
"mantenere l'ordine e sopprimere la resistenza" in una guerra fatta di
incursioni notturne nelle case, di domande senza risposta ("Che diavolo
stiamo facendo qui? - si chiede uno di loro - Detesto dirlo, ma credo che
siamo qui solo per proteggere il nostro petrolio"), di difficili rapporti
con una popolazione locale stremata e assediata.
Joseph Woods, ventiquattro anni di cui quattro trascorsi al fronte tra
l'Iraq e l'Afghanistan, ha lasciato Falluja poco dopo le riprese di
Occupation: dreamland, scegliendo di non riarruolarsi e di entrare negli
Iraq veterans for peace. Da New York, dove ha ripreso gli studi, ci racconta
la sua guerra.
*
- Irene Alison: Perche' sei entrato nell'esercito?
- Joseph Woods: Il motivo principale era mettere insieme i soldi per il
college. Ero molto giovane, e l'esercito mi sembrava anche il posto giusto
per acquisire piu' forza e disciplina. Anche mio nonno era nell'esercito,
era in Europa durante la seconda guerra mondiale e seguire le sue orme mi
sembrava una buona idea. Ma la verita' e' che quando mi sono arruolato, nel
2000, non mi aspettavo quello che stava per succedere. Non avevo idea che mi
sarei ritrovato nel bel mezzo di una guerra.
*
- Irene Alison: Gli abitanti di Falluja sostengono che la causa scatenante
della battaglia siano stati i colpi sparati dai militari americani, il 28
aprile 2003, sui civili riuniti in protesta davanti alla scuola occupata
dalle truppe Usa. Che responsabilita' credi abbiano avuto gli americani
nell'esplosione del conflitto a Falluja?
- Joseph Woods: Gli americani sono direttamente responsabili per quello che
e' successo, anche se all'inizio non avevano intenzione di uccidere dei
civili disarmati. Al tempo dell'incidente dell'aprile 2003, le regole erano
"sparate se vi sentite minacciati". Io non ero alla scuola quel giorno, non
so se i soldati che hanno aperto il fuoco si sono sentiti minacciati o se,
semplicemente, hanno aperto il fuoco contro tutto quello che gli capitava a
tiro. Ma, comunque siano andate le cose, il solo fatto che i soldati
americani fossero la' a occupare una scuola elementare mette gli Stati Uniti
dalla parte del torto.
*
- Irene Alison: Dal documentario appare chiaro che per voi non era possibile
distinguere, nelle vostre azioni, tra civili e combattenti. Quali erano i
vostri rapporti con la popolazione civile, e quanto la possibilita' di
uccidere dei civili era considerata un inevitabile incidente di percorso?
- Joseph Woods: Le occasioni di normale interazione con la popolazione
locale non erano molte, c'era una diffidenza reciproca insuperabile. In
battaglia, invece, l'uccisione o il ferimento di civili era frequente. E'
quello che accade se dai armi pesanti a ragazzini di 18 o 19 anni. In guerra
si prendono un sacco di decisioni sbagliate, alcuni uccidono per paura,
mentre altri soldati ammazzano per vendetta, come se uccidere fosse il modo
piu' ovvio di reagire alla morte di un compagno.
*
- Irene Alison: Al di la' degli episodi di Abu Ghraib, la tortura e' uno
strumento utilizzato comunemente dai soldati americani?
- Joseph Woods: La tortura e' usata frequentemente. Non ho mai visto di
persona cose gravi come quelle di Abu Ghraib. Ma, sia in Iraq che in
Afghanistan, i superiori ci ordinavano di impedire ai prigionieri di
dormire. Spesso, nelle rotazioni dei turni di guardia, i soldati rimanevano
soli con i prigionieri, senza nessuna supervisione. Molti di loro perdevano
il controllo ed erano liberi di fare quello che volevano. Io stesso non
posso ritenermi innocente. Ho fatto cose ai prigionieri di cui mi pento. Non
abusi fisici, ma insulti, intimidazioni verbali. Allora li vedevo come
"nemici", come "cattivi ragazzi". Credevo che , visto che erano detenuti
dall'Fbi o dalle forze speciali americane, dovevano essere "cattivi". Solo
dopo mi sono reso conto che probabilmente erano degli innocenti che si erano
trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato.
*
- Irene Alison: Nel documentario assistiamo al "lavaggio del cervello" fatto
dai superiori ai soldati il cui periodo di ferma sta per scadere affinche'
restino nell'esercito. Vengono usati spesso questi mezzi di persuasione
intimidatori?
- Joseph Woods: Tutta la mia esperienza nell'esercito e' stata un lavaggio
del cervello. Sotto le armi ci sono due tipi di persone. Quelli che hanno
subito il lavaggio del cervello e quelli che non lo hanno subito, e si
capisce al primo sguardo chi appartiene a una categoria e chi all'altra. Io
ho sempre cercato di fare bene il mio lavoro, ma non credo di essere mai
stato considerato un "soldato ideale". Protestavo molto e non mi sono mai
completamente uniformato alle regole, e questo i miei superiori me l'hanno
fatto pesare. Poi, dal momento in cui capiscono che hai deciso di non
riarruolarti, cominciano a trattarti diversamente, diventi un traditore.

6. DOCUMENTI. ARCI: UN APPELLO A VOTARE "NO" AL REFERENDUM
[Dal notiziario settimanale dell'Accademia apuana della pace (per contatti:
e-mail: aadp at lillinet.org, sito: www.aadp.it) riprendiamo il seguente
documento dell'Arci, la piu' partecipata associazione ricreativa e culturale
italiana]

Il 25 e 26 giugno saremo chiamati alle urne per il referendum confermativo
delle modifiche costituzionali approvate dal Parlamento nella scorsa
legislatura.
L'Arci invita i cittadini a votare "no" per bocciare una riforma indecente
che la destra ha voluto imporre a colpi di maggioranza, senza cercare il
consenso piu' ampio che la rilevanza della materia avrebbe richiesto.
Quella riforma stravolge i principi della Costituzione repubblicana e gli
equilibri della nostra democrazia, mette in discussione l'efficienza delle
istituzioni e i valori di fondo della convivenza nazionale. Stravolge il
sistema istituzionale fondato sulla rappresentanza parlamentare
trasformandolo nel governo personale di un premier eletto direttamente dal
popolo, che puo' chiedere lo scioglimento delle camere, nominare e revocare
ministri senza sottoporsi alla fiducia del Parlamento: un primo ministro con
poteri paragonabili addirittura a quelli di Mussolini nel 1925.
Quella riforma riduce la consistenza numerica e le competenze del
Parlamento, indebolisce il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica
e della Corte Costituzionale, aumenta il controllo politico sulla
magistratura.
Tutto cio' avvalora una concezione plebiscitaria della democrazia, in cui i
cittadini sono solo spettatori delle decisioni assunte e la sovranita'
popolare si esaurisce nell'esercizio del voto che ogni cinque anni
conferisce ad una sola persona il mandato irrevocabile a governare, una
delega in bianco svincolata da ogni controllo.
Quella riforma rappresenta lo sfascio dell'unita' del paese: lasciando alle
Regioni competenze esclusive su materie essenziali, come la scuola e la
sanita', frantuma l'unita' dei grandi sistemi nazionali, rinnega il
principio dell'universalita' dei diritti e aggrava le disparita' fra le
varie parti del Paese, e penalizza ulteriormente il Sud.
Quella riforma colpisce a morte la coesione della comunita' nazionale
proponendo una societa' che antepone gli interessi individuali al bene
comune. Rappresenta la demolizione di un sistema paese gia' indebolito dalla
messa in discussione dei diritti del lavoro, dell'istruzione pubblica, del
pluralismo dell'informazione, dell'autonomia della magistratura,
dell'equita' fiscale, del principio del ripudio della guerra.
La nostra Costituzione e' frutto del patto che uni' le forze migliori del
paese all'indomani della tragedia della guerra, ha contribuito a formare
l'identita' del Paese, lo ha guidato nei momenti difficili, ha coltivato una
democrazia caratterizzata dal pluralismo, dalla ricchezza della
rappresentanza sociale, della partecipazione popolare, dalla cultura diffusa
del bene pubblico. E' un patrimonio che dobbiamo difendere gelosamente. Deve
essere - per tutti - la base indiscutibile da cui partire per stringere un
nuovo patto di cittadinanza che sappia guardare alle modificazioni dell'oggi
ed affrontare le sfide del futuro.

7. LETTURE. AA. VV.: SCELGO LA COSTITUZIONE
AA. VV., Scelgo la Costituzione. No alla controriforma, Mrc, Roma 2006, pp.
192, euro 4,50 (in supplemento ai quotidiani "Il manifesto" e
"Liberazione"). A cura di Maurizio Oliviero e Franco Russo, una raccolta di
interventi sulla Costituzione, sul golpe berlusconiano, sul referendum del
25-26 giugno, con contributi di Gianni Ferrara, Alfonso Di Giovine, Mauro
Volpi, Francesco Bilancia, Alessandra Valastro, Claudio De Fiores, Laura
Ronchetti, Paola Marsocci, Elisa Olivito, Gaetano Azzariti e dei curatori.
In appendice un commento di Stefano Villamena alle modifiche apportate alla
Costituzione dal 1948 al 2005, e un confronto sinottico tra la Costituzione
della Repubblica Italiana e la "riforma" golpista berlusconiana.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1317 del 5 giugno 2006

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