Nonviolenza. Femminile plurale. 64



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 64 del 18 maggio 2006

In questo numero:
Carla Bausone e Grazia Corrente: Virginia Woolf, Simone Weil, Etty Hillesum.
Estranee o in prima linea? (parte seconda e conclusiva)

STUDI. CARLA BAUSONE E GRAZIA CORRENTE: VIRGINIA WOOLF, SIMONE WEIL, ETTY
HILLESUM. ESTRANEE O IN PRIMA LINEA? (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo di cuore Grazia Corrente (per contatti: mauotti at libero.it), la
casa editrice Seb 27 (per contatti: e-mail: edizioni at seb27.it, sito:
www.seb27.it), Istoreto e Irri Piemonte, per averci messo a disposizione
questo capitolo "Virginia Woolf, Simone Weil, Etty Hillesum. Estranee o in
prima linea?" di Carla Bausone e Grazia Corrente apparso nel bel libro
promosso da Istoreto (Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e
della Societa' Contemporanea "Giorgio Agosti" e da Irre Piemonte (Istituto
Regionale di Ricerca Educativa) a cura di Carla Colombelli, La guerra non ci
da' pace. Donne e guerre contemporanee, Edizioni Seb 27, Torino 2005 (oltre
a quello della curatrice Carla Colombelli il volume - che si apre con una
presentazione di Roberto Alonge e Claudio Dellavalle - raccoglie testi di
Carla Bausone, Giorgio Belli, Grazia Corrente, Graziella Gaballo, Cristina
Giudice, Franca Miglietta, Enrica Panero, Marisa Peisino, Laura Poli, Paola
Porceddu, Emma Schiavon; hano inoltre contribuito alla sua realizzazione
Ersilia Alessandrone Perona, Loredana Truffo, Margherita Granero, le Donne
in Nero e la Casa delle Donne di Torino, Marina Abramovic, Maja Bajevic,
Lala Meredith-Vula, Shirin Neshat, Galleria Massimo Minini, Galleria Marco
Noire, Galleria Alberto Peola). Per le notizie biobibliografiche su Carla
Bausone, Grazia Corrente, Carla Colombelli, Virginia Woolf, Simone Weil e
Etty Hillesum cfr. la nota introdutiva al n. 63 di "Nonviolenza. Femminile
plurale", in cui e' riprodotta la prima parte del presente testo]

Simone Weil
Una pacifista "in prima linea"
Simone Weil ha a che fare con la guerra lungo tutto il corso della sua vita,
si puo' dire quasi dall'infanzia, quando, nel clima del primo dopoguerra in
Francia, reagisce alle sollecitazioni del patriottismo dilagante, fino alla
morte in Inghilterra nel 1943.
La difficolta' che si incontra, nei limiti di questo lavoro, nel chiarire il
suo pensiero sulla guerra dipende dall'ampiezza e dal numero dei testi in
cui Simone affronta esplicitamente l'argomento, ma anche dal fatto che con
la guerra si collegano anche le pagine in cui tratta altre realta' come, per
citarne alcune, la societa', la patria, la forza, i diritti, la violenza,
l'azione. Inoltre la sua stessa vita s'intreccia concretamente con eventi
bellici importanti e significativi del Novecento e questa interazione si
riflette spesso in pensieri, considerazioni sparse un po' ovunque nei suoi
testi.
Abbiamo preferito quindi, prima di tutto, raccontare sommariamente la sua
vita, evidenziando il suo incontro con la realta' della guerra e le linee
generali del suo pensiero, per poi proporre solo alcuni passi
particolarmente significativi, collegabili a momenti bellici del XX secolo.
La scelta dellíasse storico-cronologico permette di evidenziare lo stretto
intreccio tra pensiero e azione che caratterizza la vita di Simone Weil e di
rendere meglio comprensibili i suoi scritti nel contesto storico. La
collocazione storica pero' non deve impedirci di percepire la drammatica
attualita' delle problematiche da lei affrontate.
Scrive Giancarlo Gaeta gia' all'inizio degli anni Novanta: "Il nostro
compito riguardo a lei deve porsi innanzitutto in termini di
contemporaneita', rispetto alle questioni che essa ha sollevato e che sono
ancora le nostre questioni storiche, nel frattempo complicate, distorte,
aggravate, fino a poter sembrare altra cosa" (66).
E nel 1999 Luisa Muraro scrive: "Noi cominciamo oggi a intravedere quello
che la Weil vide lucidamente nell'intervallo fra le due guerre mondiali,
ossia l'onnipotenza dei rapporti di forza e l'illusione umana di governarli"
(67).
A maggior ragione noi oggi, dopo quanto e' accaduto a partire dall'11
settembre 2001, avvertiamo "l'onda lunga delle tremende questioni irrisolte"
del secolo trascorso e troviamo nelle pagine di Simone Weil spunti
fondamentali per il nostro rimetterci in discussione.
*
Nata a Parigi nel 1909 in una famiglia ebraica dell"alta borghesia, Simone
e' una bambina dalla salute fragile, piena di interessi, molto legata al
fratello maggiore, seguita e sostenuta in modo particolare dalla famiglia,
forse per la sua debolezza fisica, ma soprattutto per la sua tendenza a non
preoccuparsi di se stessa, della propria salute (68).
La Francia in cui vive la fanciullezza e' quella del primo dopoguerra,
dell'esaltazione della vittoria nel disprezzo e nella mortificazione del
nemico. Quel modo di concepire ed esaltare la patria finira' per disgustarla
e per portarla su posizioni opposte di rifiuto della guerra stessa. Nella
lettera a Bernanos, scritta in riferimento alla guerra di Spagna, dira' di
quel periodo: "Avevo dieci anni al momento del trattato di Versailles. Fino
ad allora ero stata patriota con tutta l'esaltazione dei bambini in tempo di
guerra. La volonta' di umiliare il nemico vinto, che allora (e negli anni
che seguirono) debordo' ovunque in modo tanto ripugnante, mi guari' per
sempre da quel patriottismo ingenuo. Le umiliazioni inflitte dal mio paese
mi fanno soffrire piu' di quelle che esso puo' subire" (69).
Al termine degli studi diventa insegnante di filosofia ed entra nel
movimento del sindacalismo rivoluzionario. Si pone ben presto il problema
del rapporto tra rivoluzione e individuo, della conciliazione tra uso della
forza e antiautoritarismo, in generale del rapporto tra individuo e
collettivita', delle varie forme che il potere assume nella societa'.
Significativi nella prima meta' degli anni Trenta sono un viaggio a Berlino,
dove ha modo di constatare l'avanzata di Hitler, ma anche la debolezza
dell'opposizione socialista, e la scelta di lavorare in fabbrica per alcuni
mesi come manovale.
Sempre piu' critica nei confronti degli apparati repressivi messi in atto
nella societa' moderna, sia negli stati capitalisti che nell'attuazione del
socialismo (ha presente con grande lucidita' l'affermazione di Stalin),
sfiduciata nei movimenti rivoluzionari, scrive vari testi sui rapporti di
forza nel mondo moderno.
Nelle societa' organizzate il potere inevitabilmente si struttura attraverso
la burocratizzazione, la tecnocrazia, il taylorismo e schiaccia l'individuo
imponendosi con la forza. La rivoluzione stessa non puo' non organizzarsi e
non ricorrere alla forza. Ma la guerra in cui si esprime la forza, e' la
negazione stessa della rivoluzione, perche' nelle condizioni di guerra piu'
che mai si ricorre all'oppressione e si finisce per negare le ragioni stesse
per le quali si voleva fare la rivoluzione. Nell'organizzazione dello stato
moderno burocratico, accentratore, in competizione con gli altri stati,
Simone vede le premesse per una situazione di dominio dell'elemento militare
e di giustificazione di ulteriori guerre. Un vero cambiamento si potrebbe
avere solo con una societa' in cui il singolo individuo potesse veramente
realizzarsi in pieno in relazione e in rapporti di cooperazione con gli
altri (70).
Sono di questo periodo le Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (71) e le Riflessioni sulla guerra (72), in cui
s'intrecciano le considerazioni sulle condizioni della societa' e sulla
guerra. Ma Simone, come sempre nella sua vita, vuole anche essere presente
fisicamente, personalmente, quindi non solo dice di non escludere una sua
partecipazione a un grande movimento di massa (nei ranghi, come soldato), ma
non si rassegna a rimanere inattiva di fronte alla guerra di Spagna e si
arruola nella colonna dell'anarchico Buenaventura Durruti. Pacifista
profondamente convinta, si sente moralmente in dovere di partecipare di
persona alla lotta dei contadini oppressi, dei rivoluzionari. A causa di un
banale, ma grave, incidente la sua esperienza durera' pochi mesi, ma
l'orrore maturato in lei si riflettera' in pagine molto significative come
quelle, gia' citate, della lettera a Bernanos e nel Diario di Spagna.
Al 1937 risale il saggio Non ricominciamo la guerra di Troia, in cui Simone
sviluppa soprattutto il tema dell'irrealta' e quindi dell'assurdita' di ogni
guerra: "I conflitti piu' minacciosi hanno un carattere comune che potrebbe
rassicurare gli animi superficiali, ma che, malgrado l'apparenza, ne
costituisce il vero pericolo: non hanno un obiettivo definibile... Elena
costituiva semplicemente il simbolo del vero obiettivo; ma il vero
obiettivo, nessuno lo definiva e non poteva essere definito perche' non
esisteva" (73).
Alla base delle guerre c'e' la menzogna: si usano "parole adorne di
maiuscole" (nazione, sicurezza, capitalismo, comunismo, fascismo, ordine,
autorita', proprieta', democrazia) che nascondono i veri motivi per cui si
combatte. La non controllabilita' dei fini porta gli uomini a non riuscire a
controllare l'azione stessa e ad essere ancora una volta oppressi e dominati
da organismi che detengono il potere e che, per il prestigio, conducono ai
massacri delle guerre. Per sottrarsi al delirio delle assurdita' omicide,
per diminuire i rischi di guerra senza rinunciare alla lotta, bisogna
distinguere l'immaginario dal reale, bisogna affrontare concretamente i
problemi, individuare dietro il vuoto delle parole, dietro le dispute
immaginarie e le contrapposizioni astratte (Simone fa alcuni esempi:
comunismo e fascismo; dittatura e democrazia; lotta di classe e capitalismo)
i veri, concreti motivi di lotta. Ancora una volta Simone ha il coraggio di
analizzare criticamente le "parole d'ordine" che s'innalzano come bandiere
dietro le quali gli uomini si muovono incapaci di "applicare i metodi
elementari del pensiero ragionevole".
La sua analisi e' tanto piu' importante perche' si sviluppa nella seconda
meta' degli anni Trenta, quando ormai la guerra incombe sull'Europa ed e'
sempre piu' difficile capire con chiarezza che cosa sia meglio fare. In
questo periodo si moltiplicano gli scritti sull'argomento. Il problema che
si pone e' se sia possibile evitare la guerra di fronte alla minaccia di
Hitler, se sia possibile negoziare, se convenga far fronte comune con
Stalin.
Simone scrive numerosi testi (74) in cui soppesa le ragioni pro e contro
un'entrata in guerra e arriva a dire che sarebbe meglio rischiare una
dominazione tedesca piuttosto che sopportare gli orrori della guerra,
sarebbe preferibile una sconfitta senza guerra a una guerra vinta. Ma a un
certo punto il pacifismo integrale non sembra piu' possibile, cosi' come
sembra caduta la speranza di prolungare lo stato intermedio tra lo stato di
pace e lo stato di pericolo di guerra abbastanza a lungo perche' le cause
che hanno messo fine allo stato di pace scompaiano.
Si afferma cosi' l'obbligo di resistere. Simone discute sul significato di
questo resistere, finche' arriva in una data successiva al giugno 1940 a
queste considerazioni: "Non c'e' bisogno di un carro armato o di un aereo
per uccidere un uomo. Basta un coltello da cucina. Quando tutti coloro che
ne hanno abbastanza dei boia nazisti si leveranno insieme, mentre le forze
armate infliggeranno il colpo decisivo, la liberazione sara' rapida. Bisogna
solo stare attenti, fino ad allora, a non sprecare vite umane inutilmente e
al tempo stesso a non cadere nell'inerzia, a non credere che la liberazione
sara' compiuta da altri. Bisogna che ognuno sappia che un giorno avra' la
responsabilita' di prendervi parte e si tenga pronto" (75).
La situazione precipita e nel giugno del 1940 Parigi e' occupata dai
tedeschi.
Simone riesce a fuggire con la famiglia a Marsiglia con la speranza di
raggiungere a Londra le forze francesi di resistenza. Il soggiorno di
Marsiglia dura circa due anni ed e' molto ricco di incontri e di esperienze
(anche di un'esperienza di lavoro agricolo). Finalmente Simone riesce a
raggiungere New York con l'intenzione di partire da li' per Londra, cio' che
le riuscira' solo nel novembre del 1942, quando finalmente sara' accolta
nelle file di "France Combattante", l'organizzazione della resistenza
francese sotto la guida di De Gaulle. Simone vorrebbe partecipare
attivamente sul territorio francese ad azioni, anche pericolose, ma le
vengono attribuiti solo compiti civili di raccolta e di redazione di
documenti, in vista di una riorganizzazione dello stato francese dopo la
guerra. Disperata ed esausta, ricoverata in ospedale per tubercolosi, si
rifiuta di nutrirsi sufficientemente e muore nell'agosto del 1943.
*
Risalgono agli anni della seconda guerra mondiale numerosi scritti nei quali
spesso la riflessione politica s'intreccia con la riflessione religiosa.
Simone infatti tra il 1937 e il 1938 aveva portato a maggiore consapevolezza
quel senso del sacro che, a seguito di alcune esperienze, era maturato in
lei. Anche se una spiritualita' intensa l'aveva sempre piu' avvicinata al
cristianesimo, Simone non aveva voluto entrare a far parte della chiesa
cattolica prendendo il battesimo (76). Non e' estraneo a questo rifiuto il
vedere nella chiesa l'espressione di una struttura fondata nel corso del
tempo sull'esercizio del potere, sull'eliminazione, anche cruenta, dei
dissidenti (77). Ancora una volta l'accentramento, il monopolio della
verita' le appaiono come apportatori di violenza e quindi di una situazione
di guerra che ignora il valore dellíindividuo.
Nell'Iliade o il poema della forza Simone rilegge il testo omerico,
concentrando la sua attenzione sul problema della forza, di cui i
combattimenti tra greci e troiani non sono che un'espressione; la forza, in
realta', esprime il suo dominio nel mondo in vari modi, come oppressione
degli individui resi schiavi, allontanati dalla propria terra, come potere
esercitato dal piu' forte, dal vincitore sul debole e sul vinto. La forza
schiaccia, riduce a cosa, pietrifica, rende sordi e muti, acceca sia i vinti
che i vincitori, che non riescono piu' a uscire dalla guerra, perche' non
sono piu' in grado di ascoltare le voci della vita. Ma quello che aleggia
nel poema e' per tutti, vinti e vincitori, il senso tragico della miseria
umana. "Gli uditori dell'Iliade sapevano che la morte di Ettore doveva dare
una gioia breve a Achille, e la morte di Achille una breve gioia ai Troiani,
e l'annientamento di Troia una gioia breve agli Achei" (78). Vincitori e
vinti sono fratelli nella stessa miseria. L'Iliade ispira un senso di
equita'. A stento si capisce che l'estensore del testo e' greco e non
troiano. Simone vi scorge elementi precursori del messaggio evangelico.
Giustizia e amore hanno il loro fondamento nella consapevolezza della
fragilita' e della miseria comune a tutti gli uomini. Simone conclude:"Ma
nulla di quello che hanno prodotto i popoli d'Europa vale il primo poema
conosciuto apparso presso uno di loro. Essi ritroveranno forse il genio
epico quando sapranno nulla essere al riparo dalla sorte, mai ammirare la
forza, non odiare i nemici e non disprezzare gli sventurati. E' in dubbio
che questo possa essere imminente" (79).
Cosi' nell'affrontare il tema dei diritti dell'uomo, la cui proclamazione
appare come l'atto fondante dello stato moderno a partire dal 1789, Simone
nell'opera La prima radice, in cui progetta l'abbozzo di una struttura per
la Francia del dopoguerra, fa alcune considerazioni sul legame tra difesa
dei diritti umani e guerra. Se si parla di diritti, dice, si parla anche di
legittimita' dell'uso della forza per difenderli e affermarli; perche'
allora non mettere l'accento piuttosto sugli obblighi che ciascuno ha nei
confronti di ciascun altro per sopperire alle necessita' fondamentali di
ogni essere umano? Non di una persona astratta, ma dell'uomo in carne e ossa
che sta davanti a me, che ha bisogno di essere sfamato, che ha bisogno di
protezione contro la violenza, di cure. Anche verso la collettivita' si
hanno degli obblighi, in quanto una collettivita', patria, famiglia o altro
e' nutrimento fondamentale per l'uomo.
In quest'ottica una parte estesa del saggio e' dedicata al "radicamento", di
cui formula una definizione: "Il radicamento e' forse l'esigenza piu'
importante e misconosciuta dell'anima umana... Mediante la sua
partecipazione reale, attiva e naturale all'esistenza di una collettivita'
che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro,
l'essere umano ha una radice" (80).
Simone vede nello sradicamento il rischio di una perdita di senso, ma il suo
concetto di radice non ha a che fare con la potenza, con "la grandezza della
nazione", con quel concetto di patria, dal quale aveva gia' preso le
distanze nel primo dopoguerra, quanto piuttosto con l'ispirazione, la
grandezza spirituale, la tradizione fondata nel cuore dei popoli.
L'annientamento in cui si trova la Francia e' la situazione ideale per dare
corso a una sua rifondazione, ovviamente dopo la sua liberazione. Secondo
Simone non basta che la Francia partecipi alla vittoria a prezzo del sangue,
essa deve andare al di la' di una falsa idea di grandezza, di quella
grandezza per la quale sono entrati nella storia uomini sanguinari. "Che
cosa e' giusto ammirare nella storia?" si chiede. E' vero che "non esiste
patria senza storia", ma chi scrive la storia? I documenti vengono dai
vincitori, cosi' "la storia non e' altro che una compilazione delle
deposizioni fatte dagli assassini circa le loro vittime e se stessi" (81).
Non resta che cambiare il concetto di grandezza. Sostanzialmente Simone
indica un percorso di svuotamento e di rifondazione radicale, non accettando
passivamente la facile retorica della difesa dei diritti in generale e della
patria in particolare. Emerge qui una definizione interessante di patria
come comunita' ben diversa da quella che in vari passi dei Quaderni Simone
definisce "il grosso animale".
Ancora una volta Simone non vuole tirarsi indietro e formula il Progetto per
una formazione di un corpo di infermiere di prima linea, che potrebbe essere
di concreto aiuto, ma anche con la sua azione fortemente simbolica
combattere Hitler sul suo stesso piano che e' appunto il piano, secondo lei,
religioso-simbolico. La riflessione sulla componente religiosa del conflitto
in atto (ma in fondo di tutti i conflitti) e' ripresa in Questa guerra e'
una guerra di religioni. Simone vede nella Germania di Hitler una forma di
idolatria che permette ai soldati tedeschi di affrancarsi dal problema del
bene e del male e quindi di procedere con la forza nella sicurezza della
vittoria. Per vincere bisogna prendere esempio dalla tattica di Hitler,
secondo cui "la politica veramente realista tiene conto innanzitutto dei
pensieri".
E' necessario preparare una elite con la virtu' della "poverta' spirituale"
che sia di esempio trainante per far guarire l"Europa dalla sua malattia.
"Hitler gioca per il male; la sua materia e' la massa, la pasta. Noi
giochiamo per il bene, la nostra materia e' il lievito". Di fronte alla
forza nemica, solo lo svuotamento, la poverta' spirituale puo' indicare una
via di autentica vittoria. Scrive Simone: "Se saremo liberati soltanto dal
denaro e dalle fabbriche degli Stati Uniti, ricadremo in una maniera o
nell'altra, in un'altra servitu', uguale a quella che subiamo" (82). La
ricerca dello svuotamento, della poverta', non solo spirituale, come forma
di ascesi, per perseguire altri valori nella vita quotidiana, ma anche per
essere vicina alle sofferenze dei piu' oppressi si vede anche nelle immagini
fotografiche di Simone: vestiti semplici di taglio maschile, rifiuto di una
certa immagine di donna tradizionale, senza indulgenze anche per elementari
piaceri della vita, come un bel vestito o un buon cibo.
Nessun compromesso nella vita quotidiana, a costo di apparire scostante e di
irritare, nella sua ricerca lucida e senza tregua della verita'.
Interessanti sono in proposito i ricordi presenti nella biografia scritta
dalla compagna di liceo Simone Petrement: "In rapporto ai progetti che gia'
cominciava a formulare e di fronte all'idea che si faceva della vita, era,
come disse in seguito lei stessa, una singolare sfortuna essere donna...
c'erano delle ragioni serie: i compiti che ella si proponeva, e che le
avrebbero richiesto soprattutto virtu' virili" (83).
Alla condizione femminile di Simone Gabriella Fiori dedica uno degli ultimi
capitoli della sua biografia, credendo di ravvisarvi "in massima parte
l'origine delle sue lacerazioni di fronte a se stessa e alle reazioni degli
altri, soprattutto se negative".
"Voleva incidere sul mondo; il vulcanico impulso all'azione non conformista
e' stato particolarmente frustrato dalla sua condizione di donna, che in
primo luogo si rifletteva nel suo modo di guardare a se stessa, sentendosi
inferiore al fratello, meditando amaramente sulla propria 'mediocrita'"
(84).
Nel suo modo di presentarsi, nella sua goffaggine, asprezza, diversa
lunghezza d"onda, sconcerto che suscitava il suo essere "donna non donna"
secondo la norma, Gabriella Fiori crede di scorgere il problema dei modi
della sua comunicazione e dopo varie osservazioni in riferimento a colloqui
avuti con chi la conobbe, conclude: "Simone Weil e' un genio-donna... Il suo
genio ha tutti gli aspetti femminili della fecondita' spirituale:
l'importanza del nutrire, del curare, del proteggere secondo le esigenze
fisiologiche degli esseri, delle vicende, delle cose; l'attenzione al
conservare, al rimediare, all'utilizzare, il prevalere della debolezza sulla
forza; l'importanza della parola, del linguaggio comunicante; l'importanza
della partecipazione e del calore in rapporto alla sensibilita', nel modo di
vivere e di lavorare, di studiare, di insegnare; l'accento posto
sull'applicazione pratica della saggezza ai fini della massima felicita'
possibile dell'uomo sulla terra... Principalmente nelle critiche di
pessimismo e di astrattezza che le sono state sempre rivolte, bisogna
leggere in filigrana un disagio di fronte a una intelligenza considerata in
realta' inclassificabile perche' collegata segretamente a un'idea
preconcetta della donna. D'altra parte: se uomo, piu' comunicante e
autorevole, sarebbe pero' stata considerata con maggiore ostilita' e piu'
aspramente combattuta, Piu' coinvolta di necessita' in un ruolo pratico,
Simone avrebbe dovuto scendere a compromessi, o sarebbe morta in guerra. Nel
complesso, sarebbe stata meno preservata e meno libera. Non avrebbe potuto
forse raggiungere quella umilta' totale, quel disinteresse assoluto, quella
spoliazione da ogni ruolo per cui e' riuscita a dire 'la verita' pura e
semplice' come i matti di Shakespeare" (85).
Dunque, proprio nel suo essere donna risiederebbe l'originalita' del suo
approccio alla realta', del suo modo di affrontare la problematica della
guerra.
*
Etty Hillesum
"E piu' pace c'e' nelle persone, piu' pace ci sara' in questo mondo agitato"
Per conoscere la posizione di Etty Hillesum nei confronti della guerra non
si puo' non avere almeno un'idea del suo percorso personale nell'ambito del
periodo storico in cui visse. Di lei abbiamo il diario e le lettere composti
tra il 1941 e il 1943, leggibili in italiano in edizione ridotta (86); della
sua vita precedente poco sappiamo. Quando la incontriamo nelle prime pagine
del diario nel marzo 1941 e' una giovane donna ebrea di ventisette anni,
abitante ad Amsterdam, laureata in giurisprudenza, ma attratta da studi di
slavistica e di psicologia, che si affida allo psicochirologo Julius Spier
per superare turbamenti e depressioni, per mettere ordine nel groviglio
delle sue fantasticherie, alle quali non e' estranea una certa instabilita'
dell'ambiente familiare (padre intellettuale, studioso di lingue classiche,
madre russa, scampata ai pogrom, passionale e fragile, due fratelli, Mischa
e Jaap, eccezionalmente dotati nel campo musicale e nella ricerca medica).
Etty incomincia a scrivere spinta dunque da una forte motivazione personale,
vuole mettere ordine nei suoi pensieri, sentendosi come "prigioniera di un
gomitolo aggrovigliato", ma non puo' non tenere conto di cio' che succede
attorno a lei: "E' tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuera'
ad andare avanti e per ora andro' avanti anch'io. Restiamo certo un po'
impoveriti, ma io mi sento ancora cosi' ricca, che questo vuoto non mi e'
entrato veramente dentro. Pero' dobbiamo tenerci in contatto col mondo
attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realta', non si puo' vivere
solo con le verita' eterne, cosi' rischieremmo di fare la politica degli
struzzi. Vivere pienamente, verso l'esterno come verso l'interno, non
sacrificare nulla della realta' esterna a beneficio di quella interna, e
viceversa: considera tutto cio' come un bel compito per te stessa" (87).
L'ultimo suo scritto e' una cartolina postale buttata il 7 settembre 1943
dal treno in viaggio dal campo di smistamento di Westerbork in Olanda verso
Auschwitz, cartolina indirizzata all'amica Christine Van Nooten. Vi si
legge: "Christine, apro a caso la Bibbia e trovo questo: 'Il Signore e' il
mio alto ricetto'. Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato
vagone merci. Papa', la mamma e Mischa sono alcuni vagoni piu' avanti. La
partenza e' giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine
improvviso mandato appositamente per noi dall'Aja. Abbiamo lasciato il campo
cantando, papa' e mamma molto forti e calmi, e cosi' Mischa. Viaggeremo per
tre giorni. Grazie per tutte le vostre cure. Alcuni amici rimasti a
Westerbork, scriveranno ancora a Amsterdam, forse avrai notizie? Anche dalla
mia ultima lunga lettera? Arrivederci da noi quattro. Etty" (88).
*
Quello di Etty e' dunque soprattutto un processo di maturazione personale
che avviene pero' nel contesto di uno dei periodi piu' terribili del XX
secolo. Le sue pagine ci appaiono complesse e articolate, qualche volta
anche contraddittorie, sempre molto ricche di sentimenti, di impressioni, di
annotazioni e di riflessioni. Passo dopo passo, nell'arco di poco piu' di
due anni, la vediamo passare da quella che definisce "costipazione
spirituale" a una vera e propria forma di liberta' interiore, in cui riesce
ad affrontare la deportazione e ad aiutare anche quelli che la circondano.
Lasceremo quindi, nel tracciare la sua vita, parlare soprattutto i suoi
testi, tanto piu' che la sua non e' una teoria, una concezione politica o
una fede religiosa, ma semplicemente un percorso personale, documentato da
pagine scritte un po' per volta nel pieno delle vicissitudini.
I suoi scritti diventano poco a poco "doverosa testimonianza", "ricerca
delle parole giuste per testimoniare cio' che dovra' essere testimoniato",
"ricerca silenziosa sulla carta" di un filo conduttore per se stessa e per
quanti incontra sul suo cammino.
Come ebrea in Amsterdam deve poco a poco affrontare i provvedimenti che
chiudono come in un cerchio gli ebrei olandesi. I tedeschi in Olanda,
occupata sin dal 1940, vogliono attuare in modo sistematico la soluzione
finale; gli ebrei vengono man mano emarginati dalla vita normale (non
possono comprare in certi negozi, non possono usare le biciclette, devono
portare la stella gialla sull'abito) e poi trasportati nel campo di
Westerbork (non lontano dalla Germania), campo creato gia' dal 1939 per
tutti i profughi in fuga in Olanda. Qui ogni martedi' parte un convoglio
costituito da treni merci con un ben preciso numero di individui che
dovranno essere portati verso est in Polonia per lavorare al servizio dei
tedeschi. La verita' non tarda a farsi scoprire e si capisce che la
destinazione e' l'annientamento. Etty si trova dunque a vivere e a scrivere
in questa realta'.
"Sabato 14 giugno, le sette di sera. Di nuovo arresti, terrore, campi di
concentramento, sequestri di padri sorelle e fratelli. Ci si interroga sul
senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso... Tutto
sembra cosi' minaccioso e sinistro, e ci si sente cosi' impotenti" (89).
"E ora sembra che gli ebrei non potranno piu' entrare nei negozi di frutta e
verdura, che dovranno consegnare le loro biciclette, che non potranno piu'
salire sui tram ne' uscir di casa dopo le otto di sera... In ogni momento
possiamo essere spediti in una baracca nel Drenthe... Dobbiamo trovare posto
per una nuova certezza: vogliono la nostra fine e il nostro annientamento,
non possiamo piu' farci alcuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la
realta' per continuare a vivere" (90).
"Un giorno pesante, molto pesante. Un 'destino di massa' che si deve
imparare a sopportare insieme con gli altri, eliminando tutti gli
infantilismi personali. Chiunque si voglia salvare deve pur sapere che se
non ci va lui, qualcun altro dovra' andare al suo posto. Come se importasse
molto se si tratti proprio di me, o piuttosto di un altro, o di un altro
ancora. E' diventato ormai un 'destino di massa' e si dev'essere ben chiari
su questo punto. Un giorno molto pesante: ma ogni volta so ritrovare me
stessa in una preghiera - e pregare mi sara' sempre possibile anche nello
spazio piu' ristretto: e, come fosse un fagottino, io mi lego sempre piu'
strettamente sulla schiena e porto sempre piu' come una cosa mia quel
pezzetto di destino che sono in grado di sopportare: con questo fagottino
gia' cammino per le strade" (91).
La sua ricerca di ordine e di senso dentro di se' diventa cosi' ricerca di
senso di fronte alla guerra, all'odio, alla barbarie, alla disumanizzazione
e allo sradicamento.
"La locomotiva manda un fischio terribile, tutto il campo trattiene il
fiato, partono altri tremila ebrei... I vagoni merci erano completamente
chiusi, ma qua e la' mancavano delle assi, e dalle aperture spuntavano mani
a salutare, proprio come le mani di chi affoga. Il cielo e' pieno di
uccelli, i lupini violetti stanno la' cosi' principeschi e cosi' pacifici,
su quella cassa si sono sedute a chiacchierare due vecchiette, il sole
splende sulla mia faccia e sotto i nostri occhi accade una strage, e' tutto
cosi' incomprensibile" (92).
Etty poco a poco prepara se stessa e prepara gli altri ad affrontare il
viaggio verso la fine: "Mi meraviglio di quanto io mi stia gia' orientando
verso la prospettiva di un campo di lavoro... Mi chiedo che cosa farei
effettivamente, se mi portassi in tasca il foglio con l'ordine di partenza
per la Germania, e se dovessi partire fra una settimana. Supponiamo che quel
foglio mi arrivi domani: cosa farei? Comincerei col non dir niente a
nessuno, mi ritirerei nel cantuccio piu' silenzioso della casa e mi
raccoglierei in me stessa, cercando di radunare tutte le mie forze da ogni
angolo di anima e corpo... Mi procurero' uno zaino e portero' con me lo
stretto necessario, poco, ma tutto di buona qualita'. Mi portero' una Bibbia
e quei libretti sottili, i 'Briefe an einen jungen Dichter', e in qualche
angolino dello zaino riusciro' a farci stare lo Stundenbuch? Non mi porto
ritratti di persone care, ma alle ampie pareti del mio io interiore voglio
appendere le immagini dei molti visi e gesti che ho raccolto, e quelle
rimarranno sempre con me" (93).
Cosi' lo zaino sul quale e' concretamente seduta nel vagone che la portera'
ad Auschwitz e' quello che ha a lungo preparato, pensando di non separarsi
dalle sue letture preferite (la Bibbia, i testi di Rilke, Sant'Agostino,
Dostoevskij, Jung).
Etty ha un temperamento passionale, ama gli uomini e la vita, si commuove di
fronte a un paesaggio, ascoltando un pezzo musicale, vive con gioia la
presenza di un fiore sulla propria scrivania, contempla con tenerezza il
cielo sopra di se'.
"Sabato mattina, le sette e mezzo... I rami nudi che si arrampicano lungo la
mia finestra si sono coperti di giovani foglioline verdi. Un vello di
riccioli sui loro nudi e duri corpi di asceti. Gia' com'era ieri nella mia
cameretta? Ero andata a dormire presto, dal mio letto guardavo fuori
attraverso la grande finestra aperta: ed era come se la vita con tutti i
suoi segreti mi fosse nuovamente accanto, come se la potessi toccare. Avevo
la sensazione di riposare sul suo petto nudo, di sentire il battito regolare
e leggero del suo cuore. Ero fra le nude braccia della vita e ci stavo cosi'
sicura e protetta. Pensavo: com'e' strano. C'e' la guerra. Ci sono campi di
concentramento. Piccole barbarie si accumulano di giorno in giorno.
Camminando per le strade, io so che in quella casa c'e' un figlio in
prigione, in quell'altra un padre preso in ostaggio, o un figlio diciottenne
condannato a morte. E questo capita a due passi da casa mia. So quanta gente
e' agitata, conosco il grande dolore umano che si accumula e si accumula, la
persecuzione e l'oppressione, l'odio impotente e il sadismo: so che tutte
queste cose esistono, e continuo a guardare bene in faccia ogni pezzetto di
realta' nemica. Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto
nudo della vita e le sue braccia mi circondano cosi' dolci e protettive, e
il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: cosi' lento e regolare e
cosi' dolce, quasi smorzato, ma cosi' fedele, come se non dovesse arrestarsi
mai, e anche cosi' buono e misericordioso. Io sento la vita in questo modo,
ne' credo che una guerra, o altre insensate barbarie umane, potranno
cambiarvi qualcosa" (94).
"Jopie e' un caro compagno. Di sera assistiamo al tramonto del sole, che si
tuffa nei lupini violetti dietro al filo spinato" (95).
Gode anche dei piaceri comuni, piu' legati alla quotidianita' (una camicia
pulita, un sapone profumato, un buon dolce, un caffe' con gli amici). La
vita e' tutto questo, dolore e piacere.
"Ora sono le otto e mezzo, c'e' un camino a gas acceso, tulipani gialli e
rossi, ed ecco che spunta fuori una pasticca di cioccolato della zia Hes; ci
sono anche tre pigne che vengono dalla brughiera di Laren... Devo ancora
ricordare l'insalata di salmone, che e' pronta per stasera. E ora metto su
l'acqua per il te', la zia Hes sta facendo un golfino all'uncinetto e Pa Han
si trastulla con una macchina fotografica - e perche' no, poi? Che sia tra
questi quattro muri o tra altri quattro, che importa? Tanto quel che conta
e' altrove: e stasera spero di andare un po' avanti con Jung" (96).
"Le mie rose rosse e gialle si sono completamente schiuse: mentre ero la' in
quell'inferno, hanno continuato silenziosamente a fiorire. Molti mi dicono:
come puoi pensare ancora ai fiori di questi tempi. Ieri sera dopo quella
lunga camminata nella pioggia, e con quella vescica sotto il piede, sono
ancora andata a cercare un carretto che vendesse fiori e cosi' sono arrivata
a casa con un gran mazzo di rose. Ed eccole li', reali quanto tutta la
miseria vissuta in un intero giorno: nella mia vita c'e' posto per tante
cose" (97).
"Improvvisamente, tutte le pene notturne e le solitudini di un'umanita'
sofferente attraversano il mio piccolo cuore e lo fanno dolorare... Ma prima
voglio trovarmi al fronte tra gli uomini sofferenti - e poi avro' bene il
diritto di parlare? Ogni volta e' come una piccola ondata di calore, anche
dopo i momenti piu' difficili: la vita e' davvero bella: e' un sentimento
inspiegabile, che non puo' fondarsi sulla realta' in cui viviamo. Ma non
esistono forse altre realta', oltre a quella che si trova sui giornali e nei
discorsi vuoti e infiammati di uomini intimoriti? Esiste anche la realta'
del ciclamino rossorosa e del grande orizzonte che si puo' sempre scoprire
dietro il chiasso e la confusione di questo tempo" (98).
Anche la consapevolezza della morte, l'integrare la possibilita' della morte
nella propria vita rende piu' grande la vita. "Sembra quasi un paradosso: se
si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta
nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest'ultima" (99).
Etty non approda a una teoria, a una vera e propria elaborazione di idee,
semplicemente scopre dentro di se' la bellezza del vivere, come una sorgente
di vitalita' che ora si lega a un fiore, ora a un incontro con una persona,
ora a un paesaggio, a un pensiero, a una lettura. Interlocutore, per lei che
non professa alcuna religione e', poco a poco, Dio.
"Il sentimento che ho della vita e' cosi' intenso e grande, sereno e
riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola:
in me c'e' una felicita' cosi' perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la
definizione migliore sarebbe...: 'riposare in se stessi', e forse sarebbe
anche la definizione piu' completa di come io sento la vita: io riposo in me
stessa: e questo 'me stessa', la parte piu' profonda e ricca di me in cui
riposo, io la chiamo 'Dio'... In fondo, la mia vita e' un ininterrotto
ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio" (100).
Irraggiare questo senso profondo dell'essere, del vivere, del bello in un
momento in cui si scatena la persecuzione razziale, in cui non si sa se dopo
pochi giorni si perdera' tutto partendo su di un treno merci con
destinazione il lager significa per Etty salvare l'umano di fronte al
disumano, capire e amare contrapponendosi all'odio diventa l'unica autentica
forma di resistenza.
"Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l'umanita' che
conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L'unico modo
che abbiamo di preparare questi tempi nuovi e' di prepararli fin d'ora in
noi stessi" (101).
"In fondo, il nostro unico dovere morale e' quello di dissodare in noi
stessi vaste aree di tranquillita', di sempre maggior tranquillita',
fintanto che si sia in grado d'irraggiarla anche sugli altri. E piu' pace
c'e' nelle persone, piu' pace ci sara' in questo mondo agitato" (102).
La via dell'odio e della ribellione le sembra la via piu' immediata, ma
anche quella che si rivela priva di autentici effetti. Non per questo Etty
non prova sdegno e senso di rivolta, ma di fronte ai nemici e ai persecutori
si domanda prima di tutto chi siano autenticamente, che cosa ci sia alle
spalle del loro comportamento. Anche loro sono esseri umani e se sono
arrivati a tanto vuol dire che e' all'interno dell'uomo il male da
sradicare, incominciando da noi stessi. Il vero "fronte", la vera battaglia
si combatte "a partire da se'". Il percorso di Etty si articola sempre nel
rapporto tra interno e esterno. "Dobbiamo essere la nostra propria patria"
(103).
In un mondo dominato dalla forza Etty ritiene sempre piu' autentico il
messaggio cristiano dell'amore, citando la prima lettera ai Corinzi. Non e'
cristiana, non e' ebrea praticante, non e' neppure credente nel senso
corrente del termine, in quanto non legata a nessuna particolare pratica di
fede, ma chiama Dio "la parte piu' profonda e ricca" di se'.
Aiutare ciascuno a scoprire questa sorgente originaria della vita, la parte
piu' nobile, il valore della vita stessa, questo sente di dover fare Etty.
"Amo cosi' tanto gli altri perche' amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio.
Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco
di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio" (104).
*
Aiutare ciascuno a scoprire dentro di se' cio' che e' totalmente altro
diventa cosi' l'equivalente del ragionare con la propria testa di fronte
all'imposizione dell'odio e della forza, diventa un'affermazione di
liberta'.
Non una teoria, non un'ideologia, non una fede religiosa, semplicemente un
percorso, una via tracciata da una donna giovane che voleva vivere in pieno
la vita e diventare scrittrice e che si trova a dover fronteggiare
l'incomprensibile dell'odio e della violenza dell'uomo sull'uomo. La sua via
non e' sempre chiara e lineare, le sue pagine ricche e contraddittorie
schiettamente ci indicano gli smarrimenti, la perdita di coraggio, la paura
di non farcela, le contraddizioni, i problemi di chi non vuole semplicemente
accettare cio' che si dice, cio' che gli altri si aspettano che lei faccia.
Tutti vogliono salvarsi la vita, ma che cosa vuol dire salvare la vita?
Tutti odiano, ma chi e perche'? Tutti la ritengono fuori dalla realta', ma
che cos'e' la realta'? Quello che colpisce nelle pagine di Etty e' il
continuo sforzo di pensare con la propria testa, di conservare una propria
autonomia, una propria capacita' di ritornare sempre in se stessa, come a
una casa, una vera e propria patria in cui si ricostruisce di giorno in
giorno in modo attivo (non passivo o semplicemente rassegnato come in un
rifugio fuggendo dal mondo) il filo delle cose, un senso del vivere, un
fondamento su cui si possono cosi' anche aiutare gli altri a ritrovare se
stessi e la fiducia in se stessi.
Dice J. G. Gaarlandt nell'introduzione al Diario: "il diario di Etty e'
prima di tutto un viaggio nel suo mondo interiore. E quel suo mondo
interiore non e' dominato dalla minaccia della guerra - si potrebbe quasi
dire che e' la guerra a essere dominata da lei" (105).
Solo la lettura diretta del testo puo' dare l'idea del processo interiore di
Etty e della sua testimonianza. La scelta dei brani proposta e' solo
indicativa di un possibile percorso.
*
Vorremmo concludere questa breve presentazione con le considerazioni di
Gabriella Caramore, nelle quali e' possibile rintracciare un interessante
metodo di lettura.
"Etty non e' una filosofa, non e' una teologa, non e' una psicologa. Non e'
nemmeno - forse semplicemente perche' non ne ha avuto il tempo - la
scrittrice che avrebbe voluto diventare...
"Dunque, accostandoci a Etty non dobbiamo commettere l'errore di
trasformarla in oggetto della nostra indagine, volta a catturare la sua
appartenenza, il suo pensiero, la sua religiosita', e cosi' via...
"In che modo, allora, potremo metterci in ascolto delle parole di Etty? E
che cosa potremo conoscere di lei?...
"In primo luogo, dovremmo tenere a mente, con trepidazione, che ponendo lo
sguardo su una vita umana non tutto potremo cogliere, perche' mai tutto
emerge in superficie, e mai tutto viene interamente abbracciato dallo
sguardo dell'altro...
"Cio' che, dunque, di Etty Hillesum potremo conoscere, e forse imparare, e'
in primo luogo la ricchezza delle potenzialita' di una vita umana. Anche
nelle situazioni piu' terribili, e di maggiore costrizione, si puo' trovare
la forza se non di capovolgere il dato, almeno pero' di rovesciarne il
senso: 'Ho il dovere di vivere nel modo migliore, e con la massima
convinzione, sino all'ultimo respiro. Allora chi verra' dopo di me non
dovra' piu' cominciare tutto da capo e con fatica'. Etty sa amare la vita, e
trovarvi bellezza, anche nelle situazioni piu' intollerabili non perche' sia
un'anima bella, che non sa vedere l'orrore del mondo, ma perche' sa che
'tutto fa parte di questo mondo: una poesia di Rilke come un ragazzo che
cade dall'aeroplano'. Viene in mente Dietrich Bonhoeffer, nel carcere di
Tegel, a Berlino, poco tempo prima di venire giustiziato: 'Meravigliosamente
custoditi, da forze che vegliano per il nostro bene, attendiamo senza timore
l'avvenire. Dio e' con noi sera e mattina, e lo sara' fino all'ultimo
giorno'.
"Di Etty potremo anche conoscere, in tempi in cui le fedi ci appaiono sotto
il loro volto o fondamentalista o secolarizzato, o spettacolarizzato o
svilito in consuetudini quotidiane, che fede puo' essere anche qualcosa in
cui liberta' e sottomissione diventano la stessa cosa. Bisogna 'sopportare i
misteri di Dio', dice Etty, e solo sopportandoli, senza presumere di
possederne le chiavi, si puo' anche sperare di 'aiutare Dio', quando Dio non
sembra piu' in grado di far fronte alla malvagita' degli esseri umani.
"Ma, infine, da Etty potremo anche comprendere che la vita non va
conservata, ma spesa 'ad ogni costo'. E che solo spendendola, come e' stato
detto prima di lei, la si puo' salvare. Per questo la 'parola' fondamentale
sotto la quale si puo' leggere il senso dell'esistenza e del destino di Etty
Hillesum e', forse, quell''ardore elementare' in cui consiste l'amore per il
prossimo, e che arriva a superare le barriere dell'indifferenza e
dell'egoismo, della superficialita' e dellíinimicizia. 'E' giunto il momento
di mettere in pratica 'ama i tuoi nemici'. E se noi arriveremo a dirlo,
bisognera' pure che questo sia possibile'" (106).
*
Note
66. Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1992,
p. 6.
67. Luisa Muraro, Se la politica vince sulla guerra, cit., p. 15.
68. In proposito e' molto interessante la lettura di Simone Petrement, La
vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Simone Petrement, compagna di
studi e amica di Simone Weil, in piu' punti della sua opera mette in rilievo
la costante preoccupazione della madre per quella figlia cosi' particolare,
che mangiava poco, che voleva condividere la sorte dei piu' poveri,
risparmiando sul riscaldamento, dormendo per terra, arrivando perfino a
lavorare in fabbrica e in campagna, per provare la sofferenza e
l'emarginazione nella propria carne.
69. Simone Weil, Lettera a George Bernanos, in Sulla guerra. Scritti
1933-1943, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1998, p. 54.
70. Cfr. Simone Weil, Sulla Germania totalitaria, Adelphi, Milano 1990.
71. Simone Weil, Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione
sociale, Adelphi, Milano 1983.
72. Simone Weil, Riflessioni sulla guerra, in Sulla guerra, cit.
73. Simone Weil, Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra, cit.,
pp. 55-56.
74. Interessante e' la raccolta di testi riportati nell'opera gia' citata
Sulla guerra. Scritti 1933-1943. Molte osservazioni si ritrovano anche in
articoli sparsi o nei Quaderni.
75. Simone Weil, Sulla guerra, cit., p. 117.
76. Simone Weil espone le sue ragioni nei confronti della chiesa cattolica
in una lettera al Padre Couturier nell'ottobre 1942. Cfr. Simone Weil,
Lettre a' un religieux, Gallimard, Paris 1951.
77. Simone Weil, L'ispirazione occitanica, in Giancarlo Gaeta, Simone Weil,
cit.
78. Simone Weil, L'Iliade ou le poeme de la force, in Ecrits historiques et
politiques, Gallimard, Paris 1989.
79. Ibidem, p. 253.
80. Simone Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri
verso la creatura umana, Edizioni di Comunita', Milano 1994, p. 208.
81. Ibidem, p. 240.
82. Simone Weil, Questa guerra e' una guerra di religioni, in Sulla guerra,
cit., p. 131.
83. Simone Petrement, La vita di Simone Weil cit., pp. 36-37.
84. Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990, p. 449.
85. Ibidem, pp. 459-460.
86. Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985; Lettere
1942-1943, Adelphi, Milano 1990.
87. Etty Hillesum, Diario, cit., p. 45.
88. Etty Hillesum, Lettere, cit., p. 149.
89. Etty Hillesum, Diario, cit., p. 48.
90. Ibidem, p. 120 ss.
91. Ibidem, p. 162.
92. Etty Hillesum, Lettere, cit., pp. 64-65.
93. Etty Hillesum, Diario, cit., p. 165.
94. Ibidem, pp. 114-115.
95. Etty Hillesum, Lettere, cit., p. 66.
96. Etty Hillesum, Diario, cit., p. 94.
97. Ibidem, p. 182.
98. Ibidem, p. 215.
99. Ibidem, p. 140.
100. Ibidem, p. 201.
101. Ibidem, p. 179.
102. Ibidem, p. 221.
103. Ibidem, p. 206.
104. Ibidem, p. 194.
105 Ibidem, pp. 16-17.
106. Gabriella Caramore, Per conoscere Etty Hillesum, in Etty Hillesum,
Diario 1941-1943. Un mondo altro e' possibile (a cura di Maria Pia Mazziotti
e Gerrit Van Oord), Apeiron, Roma 2002.
(Parte seconda - fine)

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 64 del 18 maggio 2006

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