La nonviolenza e' in cammino. 1296



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1296 del 15 maggio 2006

Sommario di questo numero:
1. Appello al Presidente della Repubblica affinche' il 2 giugno sia festa
della Costituzione. Senza parata militare
2. Mao Valpiana: Dal convegno nazionale della Tavola della pace un'adesione
unanime alla richiesta di abolire la sfilata militare il 2 giugno
3. Maria G. Di Rienzo: La pace dal seno di una madre
4. Guido Caldiron intervista Abdennour Bidar
5. Giuliana Turroni: Un convegno a Torino sull'islam laico
6. Marco Revelli presenta "Un paese migliore. Vita di Alessandro Galante
Garrone" di Paolo Borgna
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA AFFINCHE' IL 2 GIUGNO
SIA FESTA DELLA COSTITUZIONE. SENZA PARATA MILITARE
[Riproponiamo l'appello scritto da Enrico Peyretti (per contatti:
e.pey at libero.it) e sottoscritto gia' da numerose persone; invitiamo tutte le
persone che ci leggono ad aderire all'iniziativa e a diffonderla
ulteriormente]

Signor Presidente della Repubblica,
insieme ai nostri vivi auguri per il Suo alto compito, Le rivolgiamo una
calda richiesta, che viene dal popolo della pace, di festeggiare il prossimo
2 giugno come vera festa della Costituzione, come festa del voto popolare
che ha voluto la Repubblica e eletto la Costituente, e niente affatto come
festa militare.
Ammessa, per amore di dialogo, e non concessa la necessita' dell'esercito -
che noi come tale discutiamo (tra esercito e polizia democratica la
differenza e' essenziale, come tra la violenza e la forza, la forza omicida
e la forza non omicida) - esso non e' assolutamente il simbolo piu' bello e
vero della patria, non e' l'esibizione giusta per il giorno della festa
della Repubblica: nell'ipotesi piu' benevola, e' soltanto una triste
necessita'.
La parata militare e' brutta tristezza e non e' festa. La parata delle armi
non festeggia la vita e le istituzioni civili del popolo, non dimostra
amicizia verso gli altri popoli, non e' saggezza politica. Non e' neppure un
vero rispetto per chi, sotto le armi, ha perso la vita.
Rispettando le diverse opinioni, e' un fatto inoppugnabile che l'esercito
non ha avuto alcuna parte nell'evento storico del 2 giugno 1946, quando
unico protagonista e' stato il popolo sovrano e l'azione democratica
disarmata: il voto.
Nella festa del 2 giugno l'esercito e' fuori luogo, occupa un posto che non
e' suo.
*
Primi firmatari: Enrico Peyretti, Lidia Menapace, Anna Bravo, Giancarla
Codrignani, Angela Dogliotti Marasso, Alberto L'Abate, Marco Revelli, Luigi
Sonnenfeld, Gianguido Crovetti, Michela Vitturi, Patrizia Rossi, Alessandra
Valle, Gennaro Varriale, Clara Reina, Enzo Arighi, Fabio Ragaini, Pasquale
Pugliese, Nella Ginatempo, Stefano Longagnani, Martina Pignatti Morano,
Ilaria Giglioli, Francesca Vidotto, Simone D'Alessandro, Carlo Corbellari,
Franca Maria Bagnoli, Mario Signorelli, Lucia Ceccato, Nandino Capovilla,
Maria G. Di Rienzo, Carlo Minnaja, Melo Franchina, Carmine Miccoli, Doriana
Goracci, Mariagrazia Campari, Stefano Dall'Agata, Enea Sansi, Alfredo Izeta,
Claudia Cernigoi, Michele de Pasquale, Antonio Sorrentino, Aldo e Brunella
Zanchetta, Roberto Fogagnoli, Franco Borghi, Enza Longo, Annalisa Frisina,
Alessandro Cicutto, Marcella Bravetti, Giuliana Beltrame, Giuliano Cora',
Mariangela Casalucci, Mao Valpiana, Margherita Del Bene, Sergio Giorni,
Claudia Marulo, Dario Cangelli, Carlo Ferraris, Danila Baldo, Gino Buratti,
Marco Tarantini, Elisabetta Donini, Francesco Cappello, Donato Zoppo,
Antonella Sapio, Franca Franchini, Franco Franchini, Francesco D'Antonio,
Maurizio Campisi...
*
Per aderire all'iniziativa: scrivere lettere recanti il testo dell'appello
al Presidente della Repubblica (all'indirizzo di posta elettronica:
presidenza.repubblica at quirinale.it, ricordando che si deve firmare con il
proprio nome, cognome e indirizzo completo, altrimenti le lettere non
vengono prese in considerazione), e comunicare a "La nonviolenza e' in
cammino" (e-mail: nbawac at tin.it) di avere scritto al Presidente.

2. INIZIATIVE. MAO VALPIANA: DAL CONVEGNO NAZIONALE DELLA TAVOLA DELLA PACE
UN'ADESIONE UNANIME ALLA RICHIESTA DI ABOLIRE LA SFILATA MILITARE IL 2
GIUGNO
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una
delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato
nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista;
fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e'
diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di
intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale
del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di
Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel
1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese
militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il
riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega
obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante
la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta
per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e'
stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione
Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters
International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e'
stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle
forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da
Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di
solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in
Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con
grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

Naturalmente aderisco all'appello, e ieri [sabato 13 maggio - ndr], a
Riccione, ho proposto alla Tavola della pace di scrivere un'analoga lettera
al Presidente della Repubblica, chiedendo che il 2 giugno non venga fatta
sfilare la parata militare.
La proposta e' stata accolta all'unanimita' per acclamazione.

3. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: LA PACE DAL SENO DI UNA MADRE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di
Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti,
Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza
velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2005]

"Fiducia; azioni veloci ma accuratamente preparate; preghiera; essere umili
e ordinari; mostrare empatia ed essere rispettosi e sinceri; ascoltare con
il cuore; assumersi rischi, aggrappandosi alla speranza; essere umani:
questi sono gli ingredienti della mia ricetta casalinga per costruire la
pace".
Umile lo e', Mary Okumu, ma ordinaria per niente: costruttrice di pace,
esperta di salute pubblica, facilitatrice professionista per la risoluzione
dei conflitti, formatrice alle istanze di genere, attivista per i diritti
umani. E madre, e amica. Questa donna ha speso gli ultimi venticinque anni
della sua vita lavorando per la pace ed i diritti umani in Sudan, Kenya,
Uganda, Etiopia ed Eritrea.
"La mia visione e' quella di un'Africa senza poverta', epidemie ed
analfabetismo; un'Africa che possa prosperare e fiorire; un'Africa dove gli
africani vivano in sicurezza e dignita' come risultato del loro lavoro e
della loro autodeterminazione".
Mary, kenyota, ha due lauree ed ha rivestito posizioni direttive in numerose
organizzazioni, dall'Amref (Fondazione per la ricerca medica in Africa) al
Forum africano per lo sviluppo. Attualmente e' la coordinatrice di
"El-Taller Africa", un'organizzazione per i diritti umani con base in
Tunisia. Nel 1999, con il sostegno di Unifem, questo gruppo preparo' il
Tribunale africano delle donne, che si tenne in Kenya. Davanti alla corte
testimoniarono 250 donne africane sopravvissute a violenze di ogni tipo.
"Creare lo spazio pubblico e politico per le donne violate, che hanno potuto
denunciare i crimini per nome, nelle loro proprie lingue, ricevere
protezione e cura e rispetto, sono i fattori che hanno ripristinato in loro
dignita' e autostima", racconta Mary Okumu.
*
Quando lavorava per l'Amref, ne cambio' le politiche semplicemente
cominciando a domandarsi e a domandare "Perche'?". Perche' il numero dei
decessi di donne e bambini era cosi' alto, e perche' cio' appariva
accettabile, normale? Perche' non ci si accorgeva che lo stato della salute
delle donne era legato in modo inestricabile alla loro marginalizzazione?
Mary scrisse un rapporto al riguardo, ma poiche' esso non era stato vergato
da un medico, il direttore generale dell'organizzazione ricevette un bel po'
di pressioni affinche' i suggerimenti della donna, soprattutto quello che i
professionisti sanitari fossero affiancati da altri consulenti, non
venissero adottati. Il rapporto aveva pero' centrato il problema, e
l'organizzazione, che per dodici anni aveva impiegato solo personale
sanitario, comincio' a servirsi di antropologi, sociologi ed economisti.
Mary divenne la responsabile della formazione di medici e infermieri, una
formazione volta ad integrare la dimensione sociale della salute nel loro
lavoro.
"All'epoca", spiega Mary Okumu, "ne' i miei colleghi ne' io sapevamo che
quello che stavamo facendo si chiamava mediazione, lavoro di collegamento,
empowerment, avvocatura dei diritti umani. Ma piu' tardi le nostre tecniche
divennero modelli per il cambiamento e la creazione di pace nelle comunita',
sia a livello istituzionale sia a livello di base".
*
Ci sarebbe voluta un'altra esperienza perche' Mary cominciasse a definire se
stessa "costruttrice di pace". Nel 1987, l'Amref la mando' in Uganda. Nel
paese la sanita' pubblica era stata distrutta dalla guerra (1984-1986) e
all'organizzazione era stato demandato il compito di ricostruirla. Mary fu
assegnata al distretto di Lira, nel nord dell'Uganda, una regione in cui vi
erano quasi esclusivamente donne e bambini che morivano di fame. "C'erano
piccoli di tre o quattro mesi che non avevano mai assaggiato il latte delle
loro madri, perche' le donne erano gravemente denutrite. Vivevano delle
occasionali distribuzioni di cibo, distribuzioni che erano ostacolate dai
gruppi di ribelli. Quando giunsi sul posto, io stavo allattando, ma avevo
lasciato il mio figlioletto di sette mesi a casa, a Nairobi. Un giorno, per
evitare che il ristagno di latte mi provocasse una mastite, mi ero messa in
disparte per tirarne fuori un po'. Una donna mi si avvicino' per vedere che
stessi facendo. Mi chiese di non gettare via il latte, ma di nutrire il suo
bambino. Dopo un lungo momento di esitazione, acconsentii. Nel giro di pochi
giorni, altre nove donne mi pregarono di nutrire i loro piccoli, nessuno dei
quali aveva mai potuto accostare le labbra al seno della madre. Ho dato il
latte a tutti questi bambini per i successivi dieci giorni. Fu cosi' che
incontrammo l'intera comunita' dei dispersi, che ritorno' nel villaggio
abbandonato. Prima non c'era quasi nessuno con cui parlare, avevamo a
malapena potuto disegnare un quadro delle condizioni territoriali del
distretto. Ora, piu' di duecento donne con bambini denutriti e morenti
uscirono dai loro nascondigli per incontrarci". Fu questo evento a spingere
Mary a lavorare piu' da vicino sui diritti umani, sullo sviluppo sostenibile
e la trasformazione dei conflitti, istanze strettamente correlate alla
costruzione della pace.
"Il nutrire al seno quei bimbi nel distretto di Lira ha cambiato per sempre
la mia vita. Fu una rude introduzione alle atrocita' che un essere umano
puo'infliggere ad un suo simile. Per me, Lira divenne l'epitome di un
disastro umano, ed un punto di svolta, il momento in cui riuscii a collegare
lo stesso centro della mia esistenza al miglioramento della vita della
donne. Il rapporto che i miei colleghi ed io redigemmo sul distretto dava
conto delle morti lente e dolorose dei bimbi e delle loro madri.
Naturalmente, mi si chiese di omettere la storia dei piccoli che avevo
allattato, in quanto questione non abbastanza "tecnica", ma ormai ero
diventata piu' abile nel maneggiare i conflitti basati sul genere. Avevo
imparato che tali tensioni, propagate dall'ignoranza, dallo sciovinismo e
dalla ristrettezza di vedute, si originavano spesso dalla paura. Cosi'
presentai la storia scientificamente, aggiungendovi tabelle e statistiche, e
dimostrando che se non fosse stato per il mio latte, quei bambini sarebbero
morti. Diedi riconoscimento al fatto che le donne avevano parlato, e diedi
riconoscimento a cio' che avevano detto, che era reale, onesto, urgente. Le
loro parole mi insegnarono che c'erano modi di conoscere, di percepire e
ascoltare, che forse erano migliori di quelli che usiamo abitualmente.
Cominciai ad ascoltare con le orecchie del cuore, condividendo le
preoccupazioni delle altre persone. Ho imparato in questo modo che, per
ottenere fiducia, bisogna darne".

4. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA ABDENNOUR BIDAR
[Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 maggio 2006.
Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli
squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les
chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale,
Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002.
Abdennour Bidar, pensatore musulmano, e' docente di filosofia a Nizza. Tra
le sue opere: Un Islam pour notre temps, Seuil, Paris 2004]

Filosofo e musulmano. Abdennour Bidar, docente di filosofia a Nizza, e' uno
dei protagonisti del dibattito che si e' aperto da tempo tra i musulmani
europei intorno alla necessita' di una "riforma" dell'Islam. Autore di Un
Islam pour notre temps, pubblicato da Seuil nel 2004 e di un "Manifeste pour
un Islam europeen", che "Le Monde" ha proposto ai propri lettori nel
febbraio dello scorso anno, Bidar e' tra gli ospiti del Festival di
filosofia che si apre oggi all'Auditorium di Roma. Nell'ambito della
kermesse romana, Bidar interverra' questa mattina a una tavola rotonda su
"Islam e liberta' occidentali: il dialogo e le forme della paura", insieme a
Umberto Galimberti, Eugenio Scalfari, Carlo Augusto Viano e Angelo Bolaffi.
Domani il filosofo musulmano terra' invece la sua lezione magistrale
dedicata alla "Presenza dell'Islam in Europa, fattore di instabilita'?".
*
- Guido Caldiron: In Un Islam pour notre temps lei si e' pronunciato in
favore di un processo di riforma della fede musulmana. Ma su quali elementi
concreti potra' fondarsi un tale rinnovamento?
- Abdennour Bidar: Partirei da due elementi. Innanzitutto qui in Europa per
il solo fatto che l'Islam vive una condizione di minoranza e si muove
all'interno di Stati secolarizzati, "produce" dei musulmani educati secondo
degli ideali e delle pratiche di tolleranza, di rispetto delle convinzioni
altrui e in grado di costruire per se' una vera identita' personale - e di
non muoversi soltanto dentro un'identita' collettiva o comunitaria come
accade invece nei paesi musulmani. In questo senso, i musulmani d'Europa
rappresentano gia' qualcosa di atipico: esprimono un modo di vivere l'Islam,
e in modo piu' ampio di rifarsi alla cultura musulmana, molto diversificato
e distante dalla norma islamica classica: pur mantenendo spesso - anche se
non sempre - la loro fede in Allah, la loro pratica religiosa si e'
"rilassata" e i loro costumi, il loro modo di vivere e la loro cultura sono
divenuti europei o occidentali quanto e come quelli di altri gruppi sociali
che vivono qui. L'altro elemento che puo' essere indicato, riguarda
l'emergere di una corrente "riformatrice", costituita da intellettuali, che
segue le evoluzioni di cui ho parlato fin qui e gli da' un senso, una
legittimita' attraverso un lavoro di reinterpretazione del Corano in
particolare e della tradizione religiosa piu' in generale. Questi
intellettuali cominciano ad avere una certa audience, anche se le loro tesi
si scontrano ancora con molte resistenze e con un certo scetticismo sia
presso i musulmani che presso i non musulmani. Ma, deve essere chiaro a
tutti come non si possa cambiare una religione in un solo giorno, ma nemmeno
in dieci anni! Quindi credo che nemmeno l'Islam potra' riformarsi nello
spazio di una sola generazione.
*
- Guido Caldiron: "Rifondare l'Islam alla luce dei Diritti dell'uomo". Sono
parole sue, ma come crede che questo si potra' fare restando nel campo della
religione? E se invece il percorso immaginato ci portera' fuori dallo spazio
della fede, cosa sara' diventato l'Islam alla fine di questo percorso, una
cultura, una filosofia o cos'altro?
- Abdennour Bidar: Personalmente ritengo che i Diritti dell'uomo
rappresentino prima di tutto il diritto individuale alla liberta': liberta'
di credere o di non credere, liberta' di vivere come si vuole, nei limiti
del rispetto degli altri. Ora, cio' che in Occidente si tende spesso a
dimenticare, e' che questa liberta' possiede anche una dimensione
spirituale, e non solamente sociale o politica: si puo' vivere liberamente
la propria religione. Ebbene, nell'Islam si e' progressivamente perso di
vista il fatto che questa liberta' spirituale rappresenta l'essenza stessa
della nostra religione. Il Corano dice testualmente: "Nessun obbligo nella
religione" e "C'e' per ciascuno di voi una direzione verso la quale
volgersi". Sul piano concreto, cio' vuol dire che ciascun musulmano e'
libero di scegliere di fronte alla propria responsabilita' spirituale.
Invece di obbedire alla legge islamica (shari'a) in modo collettivo e cieco,
seguendo passivamente la tradizione o i capi religiosi, ciascuno deve
domandarsi individualmente: "Di cosa ho bisogno oggi per nutrire la mia
fede?", e, ancora, "Ho bisogno di pregare cinque volte o una sola volta al
giorno?", "Devo mangiare unicamente della carne halal?", e via dicendo.
L'Islam deve diventare qualcosa che ha a che fare con la coscienza
individuale, di ciascuno. Su un piano piu' generale, spetta a ogni individuo
di cultura musulmana scegliere il modo in cui avvicinarsi o appartenere a
questa stessa cultura: l'uno alla fede e alla pratica, l'altro alla fede
senza la pratica, un altro ancora, totalmente al di fuori della religione
puo' riconoscersi "di cultura musulmana" attraverso l'adozione di
determinati costumi o il riferimento a specifiche radici. e cosi' via. Il
mondo musulmano deve ormai accettare di guardarsi allo specchio: smettere di
farsi illusioni sulla propria unita' e ammettere che non e' soltanto Islam,
vale a dire religione, ma anche filosofia di vita, cultura/e, valori
umanisti (onore, condivisione, ospitalita', famiglia, rispetto degli
anziani, solidarieta' tra le generazioni), tutti elementi che non hanno
nulla di specificamente religioso.
*
- Guido Caldiron: La Chiesa cattolica ha fatto per molti aspetti i conti con
la modernita' attraverso il Concilio Vaticano II. I risultati di quella
svolta, che si sono fatti sentire fino ad oggi, sono dovuti all'autorita'
che la Chiesa ha sui fedeli del cattolicesimo. In assenza di una simile
autorita' centrale, e di alcuna Chiesa, qual e' l'autorita', se ne esiste
una, che potra' proporre qualcosa di simile ai fedeli musulmani?
- Abdennour Bidar: Credo sia inutile continuare a cercare un'autorita'
centrale, sul modello del cristianesimo, nel campo musulmano. L'Islam e' per
la sua stessa essenza individuale, personale. "Ogni essere ha il proprio
ruolo", spiega il Corano. Non esiste, all'interno dell'Islam, alcuna
autorita' legittima che possa imporre a tutti i musulmani del mondo un
sedicente "vero Islam". Il "clero" islamico, rappresentato prima di tutto
dai wahabiti che custodiscono i luoghi santi della Mecca e di Medina e tutti
i presunti capi religiosi (esperti in scienze religiose, imam, mollah,
rettori delle grandi universita' islamiche e via dicendo) non hanno alcun
diritto di considerare la loro visione dell'Islam come un modello. Tentano
di imporre un Islam conservatore, intollerante, spiritualmente imperialista
visto che si proclama la sola vera religione. Intanto, pero', le masse
musulmane si stanno diversificando, e questo malgrado le rivoluzioni
conservatrici che hanno luogo qua e la' e che sembrano indicare una tendenza
contraria. L'Islam sta conquistando la propria diversificazione interna, e
sta facendo di questa molteplicita' una forza spirituale considerevole: in
un mondo in cui tutto sta diventando multiplo, diverso, nel quale tutte le
differenze si esprimono e le societa' evolvono in senso sempre piu'
multiculturale, il futuro spirituale sara' appannaggio delle religioni che
saranno in grado di aprirsi a questa diversita', diversita' che inoltre dona
loro un senso spirituale profondo. Un passo che l'Islam puo' fare, anche in
virtu' del fatto che questa religione considera che "Ogni giorno Allah
appare sotto una nuova forma", come dice il Corano. Detto in altri termini,
la diversita' del mondo e degli uomini e' l'espressione dello scintillio
infinito della Luce di Allah e ogni vita, umana e naturale, deve essere
rispettata perche' e' una manifestazione della Grande Via di Allah, chiamato
nel Corano il Vivente (al Hayy).
*
- Guido Caldiron: Come ha spiegato nel "Manifeste pour un islam europeen",
pubblicato su "Le Monde" nel febbraio dello scorso anno, lei e' convinto che
il futuro di questo nuovo Islam si giochi in Europa. In questa prospettiva,
come valuta le diverse esperienze di rappresentanza istituzionale dei
musulmani, sorte nei paesi del vecchio continente?
- Abdennour Bidar: Gli Stati europei hanno bisogno di interlocutori certi
per dare risposte ai problemi e alle aspirazioni dei musulmani che vivono
qui - e eventualmente per controllarli politicamente... Ma questi diversi
"Consigli rappresentativi" sorti in questi ultimi anni, non rappresentano in
realta' granche': non rappresentano che una sensibilita' musulmana tra le
altre e fanno spesso gli interessi di questo o quel paese musulmano
(Algeria, Marocco, Turchia, ecc.), piuttosto che quelli degli stessi
musulmani europei. L'Islam reale evolve in realta' in larga misura al di
fuori di queste strutture.
*
- Guido Caldiron: A Roma, nell'ambito del Festival della filosofia, lei
parlera' tra le altre cose di "Islam e liberta' occidentale". Conosciamo
bene le paure dell'Occidente verso il mondo islamico, ma i musulmani, dal
canto loro, cosa temono del nostro mondo?
- Abdennour Bidar: L'Islam ha paura perche' coltiva ancora in se' il
fantasma dell'unita' - una sola religione vera, un solo modo di essere
musulmano, una solo modo retto di vivere - in un mondo sempre piu' multiplo
e aperto. Ma ha, in realta', soprattutto paura di se stesso, perche'
comprende che questa diversita' e' gia' in lui. E si manifesta in due modi.
Tra gli stessi musulmani, prima di tutto, che appartengono a un'infinita' di
popoli diversi, a diverse societa', tribu', etnie e culture e che sono
presenti in tutti i continenti e che in ogni luogo vivono degli islam molto
diversi tra loro. L'altra manifestazione di cio' viene dall'essenza stessa
dell'Islam che, come ho spiegato, e' la religione del multiplo: Allah, il
nome di Dio, non designa una sola persona e sempre la stessa, ma l'insieme
di tutti gli esseri. Nel Corano e' definito con novanta nomi diversi: e' "il
comparente" come "l'invisibile", "l'interno" come "l'esterno". Chi non e'
dunque e in chi non vive? Noi musulmani dobbiamo ora accettare tutte le
differenze che esistono tra noi e con tutti gli altri uomini, credenti o
atei che siano, e considerarli tutti uguali a noi - proprio perche' sono
altrettanti volti di Allah. La liberta' e l'uguaglianza non sono soltanto
dei principi politici, ma nell'Islam rappresentano i fondamenti stessi della
nostra comprensione spirituale del mondo.

5. RIFLESSIONE. GIULIANA TURRONI: UN CONVEGNO A TORINO SULL'ISLAM LAICO
[Dal quotidiano "Liberazione" del 12 maggio 2006 riprendiamo il testo
dell'introduzione di Giuliana Turroni al convegno sull'Islam laico che si e'
svolto quello stesso giorno a Torino. Giuliana Turroni e' docente di Storia
e istituzioni del mondo musulmano all'Universita' di Torino]

Oggi l'islam non e' piu' una realta' lontana ed estranea: la terra si e'
fatta piu' piccola, e cio' che avviene in una singola localita' puo' avere
enormi ripercussioni a livello mondiale; inoltre l'immigrazione dai paesi
musulmani ha portato l'islam nel cuore dell'Europa.
Eppure, nonostante i contatti siano sempre piu' ravvicinati, la conoscenza
reciproca cede il passo a rappresentazioni caricaturali fondate sull'idea di
un'irriducibile e inconciliabile diversita': da un lato l'Europa e gli Stati
Uniti considerano la religione islamica causa dell'arretratezza e
dell'intolleranza delle societa' musulmane; parallelamente, queste ultime
puntano il dito contro il materialismo occidentale, che ritengono la causa
della perdita dei valori e della decadenza morale dell'Occidente. Gli uni
rappresentano gli altri come entita' statiche, incapaci di cambiamento. Si
tratta evidentemente di una visione ideologica che non corrisponde alla
realta', ma che e' in grado di influenzarla, agendo, come in un gioco di
specchi deformanti, sull'autorappresentazione di se' che ciascuno rinvia
all'altro.
Quanto sia riduttivo parlare di Occidente risulta chiaro non appena si cerca
di individuarne gli elementi caratterizzanti: e' a questo punto che emergono
le enormi differenze tra i paesi, come tra le regioni e tra i singoli
individui; basti pensare, per quanto riguarda l'Europa, al disaccordo
nell'individuarne i principi costitutivi, come dimostra l'acceso dibattito
sulle radici cristiane. Cosi', e' piu' pertinente parlare di societa'
islamiche al plurale, che non di mondo musulmano in generale; infatti, tra
paesi che si definiscono allo stesso titolo islamici, le differenze
storiche, sociali e culturali superano le somiglianze, come risulta chiaro
se proviamo ad accostare l'Albania all'Indonesia, o il Marocco
all'Afghanistan.
Trattare di islam in generale non aiuta dunque la comprensione di una
realta' complessa e in continuo mutamento. Le societa' islamiche di oggi
sono assai diverse da quel che erano solo trent'anni fa, quando l'identita'
si declinava non tanto in riferimento all'appartenenza confessionale, quanto
a quella nazionale, e ad accendere gli animi non erano gli ideali religiosi,
ma quelli secolari.
Attribuire all'islam un carattere monolitico e immodificabile contribuisce
ad alimentare l'ostilita' tra fronti contrapposti. Lo stesso avviene quando
da parte musulmana si guarda con timore e sospetto alla contaminazione con
la cultura occidentale. In questo caso sono i musulmani a dimenticare come
la loro stessa cultura non si sia formata tutta in una volta e una volta per
sempre, ma sia invece il frutto del contatto e dell'appropriazione, nel
corso della storia, di culture differenti, quali quella persiana, greca,
romana e bizantina, che sono anche alla radice della cultura europea, e che
la stessa religione musulmana si inserisce, per sua stessa ammissione, nel
solco del monoteismo ebraico e cristiano.
*
Oggetto del convegno e' il rapporto tra islam e laicita'. Si tratta di due
nozioni complesse che vanno analizzate separatamente e in combinazione tra
loro. Le questioni sollevate saranno affrontate con un approccio
interdisciplinare, che tenga conto dei molteplici aspetti teorici,
giuridici, storici e sociali.
Le domande che ci poniamo sono: esiste veramente nell'islam un nocciolo duro
e immodificabile, che consiste nel preteso intreccio tra religione e
politica? Che cosa si intende con il termine laicita'? E' pensabile un islam
laico? Si tratta di un ossimoro o di una realta' che ha avuto precedenti
storici? Puo' costituire una prospettiva per il futuro? Qual e' il ruolo dei
musulmani d'Europa per l'affermazione e la diffusione, anche nei paesi
islamici, di un dibattito sull'argomento? L'Europa puo' contribuire a
favorire lo sviluppo dell'islam in questa direzione?
*
Nella prima sessione del convegno, "Teoria e diritto", si affronteranno i
nodi del dibattito teorico sulla laicita' all'interno dell'islam; questo
principio, inteso come separazione della politica dalla religione, si puo'
rintracciare tanto nella storia quanto nel pensiero musulmano (G. Turroni).
Particolare attenzione verra' dedicata alla Turchia, in primo luogo perche'
e' il paese musulmano che ha recepito piu' profondamente il principio della
laicita'; in secondo luogo a causa della controversia sul suo ingresso
nell'Unione Europea, che solleva, all'interno dei paesi europei, questioni
non solo economiche e politiche ma anche culturali e religiose (S. Vaner).
Il diritto ha poi un'importanza essenziale se si cerca di comprendere quale
rapporto intercorra nell'islam tra religione e politica; l'applicazione
della legge sacra costituisce infatti uno degli argomenti principali della
propaganda islamista, ma anche un principio generale di cui i governanti
musulmani si servono per la legittimazione del proprio potere (R. Aluffi).
Dal canto suo, l'Europa si trova di fronte a nuovi problemi di ordine
giuridico: le crescenti diversita' culturali e religiose pongono infatti la
questione dei diritti, secondo modalita' che costringono a ripensare
principi fondamentali come la tolleranza, la liberta', la democrazia, e la
laicita' (S. Ferrari).
*
La seconda sessione, "Societa' e storia", riprende la questione della
democrazia: quale tipo di democrazia e' concepibile oggi per il mondo
musulmano? quali mutamenti politici e sociali consentono di affermarla e di
consolidarla (R. Guolo)? Lo sguardo socio-politico torna poi a focalizzarsi
sulle societa' europee, nel tentativo di capire se qui la crisi dello Stato
laico sia determinata dalle religioni in se', e in particolare dall'islam,
oppure dalle nuove forme di religiosita', e se non siano piuttosto queste a
costituire il vero problema politico del mondo contemporaneo (O. Roy).
Infine, verra' preso in considerazione il subcontinente indiano come esempio
storico, rappresentativo da un lato di una forma di islam caratterizzata da
una forte tradizione laica e dall'altro di come questa tradizione sia stata
offuscata dalle politiche coloniali a partire dal XIX secolo (M. Torri).
*
A conclusione della giornata, ci auguriamo che l'osservazione incrociata dai
diversi angoli prospettici possa contribuire alla sostituzione almeno
parziale degli specchi deformanti con altri, che riflettano piu' fedelmente
la realta'. Potremo ritenerci soddisfatti se saremo riusciti a mettere in
luce le contraddizioni e le ambiguita' interne ai singoli sistemi
socio-culturali e a mostrare come questi siano meno lontani e diversi gli
uni dagli altri di quanto non si creda.

6. LIBRI. MARCO REVELLI PRESENTA "UN PAESE MIGLIORE. VITA DI ALESSANDRO
GALANTE GARRONE" DI PAOLO BORGNA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 maggio 2006.
Marco Revelli, storico e saggista, figlio di Nuto Revelli, e' docente di
scienza della politica all'Universita' del Piemonte Orientale. Opere di
Marco Revelli: Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; (con Giovanni De
Luna), Fascismo/antifascismo, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1995; Le due
destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La sinistra sociale, Bollati
Boringhieri, Torino 1997; Fuori luogo, Bollati Boringhieri, Torino 1999;
Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001; La politica perduta, Einaudi,
Torino 2003; (con Fausto Bertinotti e Lidia Menapace), Nonviolenza. Le
ragioni del pacifismo, Fazi, Roma 2004; Carta d'identita', Intra Moenia -
Carta, Napoli-Roma 2005. Ha anche curato l'edizione italiana del libro di T.
Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino 1993; un suo importante saggio e'
in Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Appuntamenti di fine secolo,
Manifestolibri, Roma 1995.
Paolo Borgna, torinese, e' magistrato e storico. Opere di Paolo Borgna: (a
cura di), Alessandro Galante Garrone, Il mite giacobino. Conversazione su
liberta' e democrazia raccolta da Paolo Borgna,  Donzelli, Roma 1994; (con
Margherita Cassano), Il giudice e il principe. Magistratura e potere
politico in Italia e in Europa, Donzelli, Roma 1997; (a cura di), Piero
Fassino, Sicurezza e giustizia. Conversazione con Paolo Borgna, Donzelli,
Roma 2001; (con Marcello Maddalena), Il giudice e i suoi limiti. Cittadini,
magistrati e politica, Laterza, Roma-Bari 2003; Un Paese migliore. Via di
Alessandro Galante Garrone, Laterza, Roma-Bari 2006.
Alessandro Galante Garrone, nato a Vercelli nel 1909, scomparso nel 2003,
magistrato, partigiano, docente universitario, storico. Scrivemmo di lui su
questo foglio in occasione del decesso nel 2003: "Dei piu' grandi maestri di
vita civile che l'Italia abbia avuto, Alessandro Galante Garrone era uno dei
piu' grandi. Uomo della Resistenza, magistrato, storico, limpido e strenuo
difensore dei valori della civilta', del rigore morale e intellettuale,
della dignita' umana, del buono e del vero cultore, sollecito sempre del
pubblico bene, fraterno con tutti e generoso sempre. Ed avversario sempre
alla menzogna e alla sopraffazione, nemico sempre e per sempre di ogni
violenza ed oltraggio e degradazione. Una persona civile, una persona buona,
un nostro maestro". Opere di Alessandro Galante Garrone: Buonarroti e
Babeuf; Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento; Gilbert Romme.
Storia di un rivoluzionario; I radicali in Italia. 1849-1925; Cavallotti;
Salvemini e Mazzini; I miei maggiori; Padri e figli; Calamandrei; L'albero
della liberta'. Dai giacobini a Garibaldi; Amalek: il dovere della memoria;
Liberta' liberatrice; Un affare di coscienza; L'Italia corrotta. 1895-1996.
Opere su Alessandro Galante Garrone: Paolo Borgna, Un Paese migliore,
Laterza, Roma-Bari 2006. Dal sito www.torinoscienza.it/accademia riprendiamo
la seguente scheda biografica a cura di L. Guerci: "Alessandro Galante
Garrone, 1909 - 2003. Fu magistrato per un trentennio, dedicandosi al tempo
stesso agli studi storici. Nel 1969 divenne professore ordinario di Storia
del Risorgimento nell'Universita' di Torino. Esponente della cultura laica e
democratica torinese. Nato a Vercelli nel 1909, si laureo' nel 1931 presso
la Facolta' di Giurisprudenza con Federico Patetta, ma i suoi veri maestri
furono Gioele Solari e Francesco Ruffini, piu' volte ricordati nei suoi
scritti. Entrato in magistratura nel 1933, esercito' la funzione di
magistrato per trent'anni, coltivando al tempo stesso gli studi storici.
Durante la Resistenza rappresento' il Partito d'Azione nel Comitato di
liberazione del Piemonte. Il suo primo libro fu Buonarroti e Babeuf (1948),
dedicato a Franco Venturi; segui' nel 1951 il fondamentale lavoro Filippo
Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento, 1828-1837 (II edizione 1972).
Studio' la storiografia rivoluzionaria e curo' la traduzione e
l'introduzione de L'Ottantanove di Georges Lefebvre (1949), cosi' come di La
Rivoluzione di Edgar Quinet (1951; splendido il saggio introduttivo). Fece
parte della Societe' des etudes robespierristes e intrattenne rapporti con i
piu' importanti storici della Rivoluzione francese, da Georges Lefebvre a
Albert Soboul, a Richard Cobb. Del 1959 e' la biografia di Gilbert Romme
(Gilbert Romme. Storia di un rivoluzionario, con prefazione di Georges
Lefebvre; traduzione francese 1971), frutto di lunghe ricerche. Sul
personaggio torno' in anni successivi. Professore incaricato dal 1953-'54
presso la Facolta' di Giurisprudenza dell'Ateneo torinese, poi vincitore,
nel 1965, di concorso a cattedra, insegno' a Cagliari, e nel 1969 fu
chiamato a ricoprire la cattedra di Storia del Risorgimento presso la
Facolta' di Lettere dell'Universita' di Torino. Nel secondo dopoguerra
divenne uno dei punti di riferimento della cultura laica e democratica
torinese, in fecondo sodalizio con Norberto Bobbio e Franco Venturi. Sia sul
piano dell'attivita' scientifica sia su quello delle scelte etico-politiche
due dei suoi ispiratori furono Adolfo Omodeo e Gaetano Salvemini. Di
Salvemini si occupo' in libri appositi (Salvemini e Mazzini, 1981;
Zanotti-Bianco e Salvemini. Carteggio, 1983), e a lui riservo' ampio spazio
nel volume I miei maggiori (1984). Altro maestro fu Piero Calamandrei,
largamente presente in I miei maggiori e in Padri e figli (1986), nonche'
oggetto di una monografia nel 1987. Studioso espertissimo della tradizione
democratica italiana, in cui si sentiva inserito, pubblico' i volumi I
radicali in Italia, 1849-1925 (1973) e Felice Cavallotti (1976). Occorre
altresi' segnalare L'albero della liberta'. Dai giacobini a Garibaldi
(1987), raccolta di contributi apparsi nell'arco di molti anni. Preziosa
testimonianza della sua personalita' e delle sue idee e' Il mite giacobino.
Conversazione su liberta' e democrazia raccolta da Paolo Borgna (1994)"]

Questo bel libro di Paolo Borgna sulla vita e il pensiero di Alessandro
Galante Garrone non poteva avere titolo piu' giusto: Un Paese migliore
(Laterza, pp. 480, 26 euro). Non solo perche' un'Italia diversa da quella in
cui gli e' toccato di vivere, piu' giusta e piu' degna, era l'obiettivo e il
desiderio di "Sandro" e di quelli come lui. Ma anche perche' la sua vicenda
individuale disegna davvero la biografia collettiva di un'altra Italia,
cosi' lontana e per molti versi contrapposta a quella che ancor oggi
continua a prevalere, e tuttavia non meno tenace e reale.
E' il resoconto di una vita che corre diritta attraverso tutto il secolo - e
quale secolo -, a testa alta, tagliandone con coerenza i nodi. Affrontandone
con responsabilita' le minacce e le sfide. Ed e' insieme la storia di
un'Italia - d'elite, certo, minoritaria, ma non per questo meno radicata nel
nucleo storico profondo della formazione della nazione -, che a partire
dall'originario liberalismo di stampo risorgimentale, ne' autoritario ne'
notabiliare, e' costretta a misurarsi con lo sconvolgimento dei tempi nuovi,
con la torsione della precedente idea di nazione in nazionalismo aggressivo,
e poi con la vergogna dell'esperienza fascista, e la ferocia di due guerre
mondiali, ritrovando nuove ragioni d'impegno - la Resistenza, in primo
luogo. Nuovi valori: la Giustizia, in particolare la giustizia sociale,
inevitabile corollario della Liberta'. E nuove passioni: la Democrazia, da
interpretare con intransigente determinazione. Un'Italia, insomma, che non
si deve vergognare del proprio Novecento.
*
In questa biografia ideale un ruolo di primo piano lo dovettero giocare,
senza dubbio, le radici familiari. La sobria solidita' di quella famiglia di
"contadini e professori", in cui si era educati alla durata degli affetti e
alla religione del dovere. E in cui un segno indelebile era stato lasciato
dalla morte in guerra dei due zii materni (i fratelli Garrone, partiti
volontari e caduti entrambi, decorati con la medaglia d'oro), simbolo del
prezzo da pagare alla propria responsabilita' storica.
Ma non meno importante fu l'ambiente torinese del tempo, soprattutto quello
universitario, dove era ancor viva la memoria di Piero Gobetti (morto in
esilio, pochi anni prima, nel 1926, a Parigi). E dove impartivano le proprie
lezioni di civilta' maestri come Francesco Ruffini (uno dei tredici che non
giurarono), Gioele Solari, Luigi Einaudi, Mario Carrara (un altro che non
giuro'). Li' si stringono i primi nodi di una rete di amicizie destinate a
durare tutta la vita, con uomini (allora ragazzi) come Giorgio Agosti, Dante
Livio Bianco, Aldo Garosci, a cui si aggiungeranno via via Vittorio Foa,
Leone Ginzburg, Franco Venturi... Un gruppo coeso, socialmente omogeneo, con
gusti, letture, esperienze condivise, per cui l'antifascismo era un fatto
esistenziale prima che un'opzione politica. Una dimensione di vita prima che
una scelta ideologica. Del fascismo li infastidiva tutto: le buffonate del
sabato, che li distoglievano dallo studio e dalle letture preferite, la
volgarita' del linguaggio, l'ignoranza dei gerarchi e dei gregari. Opporsi,
trasgredire, prendere le distanze era piu' un modo per difendere la propria
dignita' che non la dichiarazione di un'appartenenza politica: "Loro non
amano la 'volgarita' studentesca' e il 'solito servilismo' che serpeggia tra
i giovani fascisti. Mentre i coetanei cantano Giovinezza, loro scoprono e
leggono tutto d'un fiato Ibsen. Discutono sulle Confessioni di
Sant'Agostino. Studiano la democrazia inglese e si scambiano i libri di
William Gladstone. Divorano, appena uscito, A l'Ouest rien de nouveau di
Remarque... Loro sono fuori dal gregge. E se ne compiacciono: fuori dal
gregge stanno benissimo".
Li troviamo cosi' (i due fratelli Galante Garrone, Sandro e Carlo, Giorgio
Agosti, Livio Bianco, Ludovico Geymonat, un figlio di Einaudi, Mario...) nel
gruppo che nell'ottobre del 1928 difese Ruffini dall'aggressione di un
manipolo di camicie nere che non gli avevano perdonato la denuncia ex
cathedra delle leggi liberticide. Li ritroviamo ancora, nella prima meta'
degli anni Trenta, tutti piu' o meno implicati nella rete clandestina di
"Giustizia e Liberta'" torinese (alcuni piu' strettamente, cosi' da essere
costretti all'esilio come Garosci, o al carcere come Foa, altri in posizioni
per ora piu' periferiche come i Galante Garrone o Norberto Bobbio). E quando
verranno prima la guerra, poi il 25 luglio e l'8 settembre, e il momento
delle scelte, l'entrata nella Resistenza appare un passaggio naturale, un
esito scontato. Allora quella rete amicale, si trasformera' in una
straordinaria macchina al servizio della guerra partigiana, con Livio sulle
montagne del cuneese, "in banda", e Giorgio Agosti in citta', a tessere le
fila della cospirazione, e "Sandro" in Tribunale a organizzare la latitanza
dei ricercati, preparare documenti falsi, ricevere staffette e portaordini
sotto la copertura di Presidenti di Corte d'Appello amici e con l'appoggio
di giudici complici. L'insurrezione di Torino sara' "il capolavoro" di
quella generazione (cosi' lo definisce Borgna). La Liberazione sara' il
momento alto, e irripetibile, in cui per un breve istante l'"altra Italia" -
minoritaria, sommersa - sovrappose il proprio profilo a quello della
nazione: ne interpreto' - per un frammento temporale - l'identita' storica.
E tuttavia quel modello politico-culturale non esauri', allora, il proprio
ruolo. Ha continuato, a lungo, a lavorare, sottotraccia, nella vicenda
italiana.
*
Mi sono chiesto piu' volte in che cosa consistesse il suo nucleo profondo.
Quale fosse il segreto di quella cultura politica che - con un qualche
schematismo - viene ricondotta al ruolo e all'esperienza del Partito
d'Azione (dell'"azionismo"). E mi pare di poter concludere che esso consiste
in quel particolare intreccio tra pratica personale e visione pubblica, tra
vita vissuta e valori politici, che in un uomo come Alessandro Galante
Garrone e' particolarmente evidente. Egli e' - il libro lo mostra assai
bene - di quelli che hanno fatto della propria vita un manifesto politico o,
forse meglio, civile: nel senso che ha interpretato un tipo umano in cui il
privato costituisce, al tempo stesso, un esempio pubblico. In cui cioe' la
propria vita personale e' vissuta con il rigore, la sobrieta' e la vigilanza
su di se' di chi sa di essere giudicato storicamente: di essere portatore
anche nella propria dimensione privata, di una responsabilita' pubblica.
E' il concetto che esprime Piero Calamandrei quando a proposito di Ferruccio
Parri scrive che "la politicita' di Parri faceva tutt'uno con la sua
moralita' di uomo". O che comunica Giorgio Agosti quando dichiara che "Parri
e' l'unico uomo per cui ci si puo' non vergognare di essere italiani". Il
che non e' "moralismo" (come il cinismo machiavellico di destra e di
sinistra tenta di liquidarlo). E', al contrario un modello di agire politico
che intende lavorare non solo sulla dimensione superficiale del potere ma su
quella piu' profonda dei fondamenti antropologici - su quella che un tempo
si chiamava la sfera dell'eticita'. E che per questo non misura il proprio
valore sul successo immediato, ma guarda lontano. Con l'occhio del
precursore. O del seminatore.
Si spiega cosi' - con questa attualita' inattuale di quella cultura -
l'accanimento con cui, di recente, essa e' stata aggredita. Il tentativo di
damnatio memoriae che figure come Galante Garrone, ma anche Bobbio e in
generale l'azionismo hanno subito dal cosiddetto fronte revisionista e in
particolare di quel bell'esempio di teppismo culturale incarnato da "Il
Foglio": perche' lo sdoganamento dell'Italia peggiore, con il passaggio
dalla prima alla seconda repubblica, presupponeva necessariamente la
liquidazione di quell'antropologia alternativa. E il trionfo della vecchia
"autobiografia della nazione" richiedeva, per compiersi, la sterilizzazione
della nostra identita' da ogni traccia di virtu' civili.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1296 del 15 maggio 2006

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