La nonviolenza e' in cammino. 1288



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1288 del 7 maggio 2006

Sommario di questo numero:
1. L'unico modo di rendere omaggio alle persone uccise
2. Oggi a Firenze
3. Severino Vardacampi: Eulogia per Lidia Menapace al Quirinale
4. Ancora uno sforzo
5. Enrico Peyretti: Contro la minaccia atomica
6. Paolo Candelari: L'impegno del Mir contro la follia atomica
7. Eugenio Melandri: Contro il nucleare, io ci saro'
8. Augusto Graziani ricorda John Kenneth Galbraith
9. Carla Ravaioli ricorda John Kenneth Galbraith
10. Enrico Peyretti: Pensiero forte, pensiero debole
11. Edoarda Masi: I fili
12. Simone Weil: Il bello
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. L'UNICO MODO DI RENDERE OMAGGIO ALLE PERSONE UCCISE

E' non uccidere piu'.
Mettere la guerra fuori dalla storia.
Cessare di produrre le armi.
Abolire gli eserciti.
A tutti gli esseri umani riconoscere tutti i diritti umani.

2. INCONTRI. OGGI A FIRENZE

Domenica 7 maggio, ore 10: percorso attraverso i luoghi della nonviolenza a
Firenze.
- Partenza da Piazza dellaSignoria, luogo storico della democrazia a
Firenze; Palazzo Vecchio, dove lavorarono Giorgio La Pira e Enriquez
Agnoletti;
- Chiesa Metodista, nei pressi del luogo dove predico' Ferdinando Tartaglia,
via de' Benci;
- Cappella Pazzi, luogo caro ad Alexander Langer, piazza Santa Croce;
- Casa di Pio Baldelli, collaboratore di Capitini, via Oriuolo 9;
- Piazza San Marco, convento dove La Pira abito', sede dell'Universita' dove
insegno' Aldo Capitini;
- Chiesa di San Giovannino degli Scolopi, dove predico' padre Ernesto
Balducci, via Martelli;
- Palagio di Parte Guelfa, sede del primo Centro di Orientamento Sociale a
Firenze;
- arrivo e termine a Piazza della Signoria, ore 13.
*
L'inizativa e' promossa dal Movimento Nonviolento.
Per informazioni: tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

3. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: EULOGIA PER LIDIA MENAPACE AL QUIRINALE

Per molti buoni motivi proponiamo Lidia Menapace alla Presidenza della
Repubblica.
Perche' e' una donna.
Perche' ha preso parte alla Resistenza.
Perche' e' un'amica della nonviolenza.
Perche' e' femminista.
E tanto basterebbe ad ogni persona di retto sentire per dare il suo assenso.
*
Sed etiam
Ma vi sono altri motivi ancora che questa proposta suffragano.
Perche' ha altresi' assai contribuito alla coscienza e alle lotte del
movimento dei lavoratori, e nelle sue esperienze piu' preziose e feconde: la
via consiliare, la democrazia progressiva, l'ispirazione libertaria, nel
solco delle idee piu' profonde e aggettanti di Rosa Luxemburg e di Antonio
Gramsci.
Perche' ha altresi' assai contribuito alla coscienza e alle lotte in difesa
dell'ambiente, per un modello di sviluppo sostenibile, autocentrato, equo e
solidale, con tecnologie appropriate, adeguato alla dignita' umana,
rispettoso della biosfera e garante dei diritti delle generazioni future (un
suo articolo, che noi attempati non abbiamo dimenticato, quello sulla
"spontanea scelta di morte", resta trent'anni dopo una delle cose migliori
che la coscienza ambientalista abbia espresso in Italia).
Perche' ha altresi' assai contribuito alla coscienza e alla lotte dei
movimenti di solidarieta' internazionale con i popoli oppressi, sapendo che
non si puo' difendere la liberta' qui imponendo o accettando la servitu'
altrove. E viceversa. La lotta per la dignita' e la liberazione
dell'umanita' e sempre internazionale ed internazionalista, o non e'.
Ed anche perche' nella sinistra italiana e' tra le poche persone che non ha
mai esitato a denunciare la violenza totalitaria dei regimi delle societa'
postrivoluzionarie, quando molti gentiluomini che oggi sono in preda a
strane amnesie illo tempore erano entusiasti assertori della bonta' sublime
dei gulag.
Perche' ha costantemente preso parte alle lotte per i diritti delle persone
come dei popoli, alle iniziative per il diritto alla salute e
all'assistenza, alle azioni costruttive per la cooperazione e il dialogo.
Perche' ha molto contribuito alla critica dei saperi, delle ideologie e
delle istituzioni della trasmissione delle conoscenze e della
socializzazione; propugnando un punto di vista concreto e solidale,
femminista e schierato dalla parte degli oppressi, degli esclusi, delle
persone la cui lingua i potenti mozzarono; formulando e praticando proposte
alternative e schiudenti a piu' alto e profondo conoscere e condividere.
Perche' conosce e rispetta ed e' curiosa e sollecita della pluralita' delle
visioni del mondo, insieme restando intransigentemente ferma nella difesa di
tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.
Perche' ama le relazioni che riconoscono l'altro e l'altra, ne inverano la
dignita' e ne hanno cura: perche' applica con serena sollecitudine l'etica
dei volti e il principio responsabilita'.
Perche' propone una condotta ispirata alla saggezza e alla sobrieta',
all'ascolto e alla condivisione, al prendersi cura e alla reciprocita';
nitida nel ripudio di ogni guerra, di ogni uccisione, di ogni sopraffazione,
di ogni menzogna; nitida nell'opporsi alla violenza flagrante come a quella
occulta, a quella facilmente riconoscibile come criminale e a quella che per
essersi cristallizzata in longeve strutture - rapporti di produzione e di
proprieta', istituzioni, ideologie, mentalita' - sovente e' meno facile da
individuare e da contrastare.
Perche' pratica la difficile arte di interrogare e di interrogarsi, di
camminare e fermarsi, di ascoltare le voci e i silenzi, di vedere le luci e
le ombre, di cercare le radici degli eventi, di opporsi al male con la forza
della verita'.
*
Dai tetti
Certo, esistono naturalmente anche altre persone ben degne di essere
chiamate al Quirinale. Alcune - ormai poche - persone che vengono dalla
Resistenza. Pochissime che sono amiche della nonviolenza - un altro grande
nome sarebbe Pietro Pinna, che solo l'assurdita' del tempo presente fa si'
che non sia ancora senatore a vita. Alcune straordinarie intellettuali e
militanti femministe che hanno dato contributi straordinari alla liberta' di
tutte e tutti.
Ma solo Lidia unisce in se' tutte queste caratteristiche.
Certo, anche per motivi anagrafici, ma anche per aver saputo ogni volta fare
la scelta giusta, dalla parte della verita' calpestata, dalla parte delle
vittime, dalla parte dell'umanita' in lotta per la solidarieta' e la
liberazione di tutte e tutti. Ed ogni volta pagando di persona il prezzo
delle sue scelte, della sua coerenza, della sua irriducibile opposizione ad
ogni potere che opprime: e non di rado sono stati prezzi tutt'altro che
lievi.
Solo Lidia. E questo e' quel che ci detta il cuore e che in un sussurro
erompe, o in un grido. Dai tetti, naturalmente.
*
Gia' e non ancora
Gia' il solo fatto di aver proposto Lidia al Quirinale e' forse una delle
poche vere novita' politiche di questo confuso e teso momento: non ci si
lasci ingannare dalle agenzie della societa' dello spettacolo: questa nostra
iniziativa, pensata da tante e tanti - e ciascuna persona vi ha pensato per
suo conto, senza fogli d'ordine, sessioni di comitati centrali, timbri e
sigilli -, e' gia' oggi di gran lunga piu' rilevante di tante querimonie e
di tanti teatrini da cui pure si lasciano ipnotizzare e quindi stordire
tante brave persone.
Non solo: il fatto che tante persone si riconoscano nella ragionevolezza di
questa proposta e' gia' elemento che sposta equilibri, che apre una
prospettiva a sinistra, un'alternativa all'asfissia della delega totale alla
poltiica politicante entro cui la democrazia langue e la partecipazione
muore.
*
Principio speranza e utopia concreta
E infine: la proposta di Lidia Presidente della Repubblica non costituisce
un'iniziativa astratta, ma concreta: anche nella sua testimonialita', anche
nel suo essere per cosi' dire fortemente connotata da una caratterizzazione
simbolica, ed ermeneutica, ed assiologica.
Perche' nell'ambito della lotta politica e delle scelte istituzionali il
simbolico e' gia' concreto, e nella storia dell'umanita' i simboli hanno
sovente contato molto piu' degli interessi materiali nel determinare gli
eventi (e purtroppo cio' e' stato vero anche e soprattutto nell'eziologia di
inenarrabili catastrofi). Quante tragedie, quanto sangue versato, in nome
della croce, in nome della patria, in nome della civilta', in nome della
rivoluzione... Contano, eccome, i simboli, e l'ordine simbolico (e
basterebbe leggere la grande filosofia contemporanea - non a caso pensata
quasi solo da donne - per rendersi conto di quanta parte della nostra vita
individuale e collettiva al simbolico eminentemente afferisce).
Ermeneutica, poiche' questa iniziativa disvela la miseria della delega
rassegnata e complice alle gerarchie di palazzo, e altra via invece propone:
quella della partecipazione di tutte e tutti alle decisioni che tutte e
tutti riguardano, certo nelle forme opportune e coerenti, e con le
mediazioni ragionevoli e ricompositrici, valorizzando il complesso gioco di
equilibri e garanzie che e' la forza e l'orgoglio della democrazia fondata
sulla rappresentanza revocabile e sulla divisione dei poteri, sullo stato di
diritto e sui controlli giurisdizionali, sul reciproco scambio -
consentimento e adeguazione - tra istituzioni e mondi vitali quotidiani,
leggi e costumi, pubblica amministrazione e deliberazione in comune,
ordinamento giuridico e societa' civile. Una democrazia o e' articolata e
procedurale o non e'. Ed insieme: una democrazia o e' partecipata - e per
cosi' dire permanentemente assembleare e inclusiva fino all'ultima persona -
o non e'.
Assiologica, perche' questa iniziativa richiama ciascuna persona ad essere
responsabile di cio' che e' pubblico, cioe' di tutti. Uscire dalla
subalternita', uscire dall'apatia, uscire dalla rassegnazione, uscire dalla
marginalita'. Come fu scritto sui muri parigini in quel mese che duro' un
anno: nous sommes le pouvoir. Che e' la stessa opinione dei "giovani
americani migliori" il cui motto era su una parete della scuola di Barbiana:
I care.
*
Nous sommes le pouvoir
La cosa forse piu' bella di questa iniziativa per Lidia Menapace Presidente
della Repubblica e' che le persone che la stanno animando lo stanno facendo
senza subalternita' e senza presunzioni, paghe di fare la cosa giusta senza
attendersene meriti o vantaggi, persuase di essere forza politica autentica,
e forza politica autentica proprio perche' non irreggimentate, non
disponibili a farsi inquadrare, guidare o rappresentare da nessuno.
Sono persone che dal femminismo hanno imparato che autonomia e solidarieta'
vanno bene insieme. E che vi sono forse ancora piu' forme della politica,
per dirla scespirianamente, di quante cose non vi siano tra cielo e terra. E
che oggi la politica ricomincia dalla critica pratica dell'autoritarismo,
della gerarchia, del militarismo e del patriarcato che lungamente hanno
anche inquinato e sfigurato gli stessi movimenti di liberazione degli
oppressi.
Oggi la politica ricomincia dalla scelta della nonviolenza: la scelta
dell'opposizione la piu' nitida e la piu' intransigente a tutte le
uccisioni, a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutte le mafie, a
tutti i terrorismi, a tutti i totalitarismi, a tutte le violenze assassine,
a tutte le violenze denegatrici della splendente umana dignita' che ogni
persona incarna e reca.
Oggi la politica deve darsi forme coerenti con i fini altri e piu' alti,
piu' profondi, piu' decisivi, che la scelta della nonviolenza propone come
necessaria linea di resistenza contro la barbarie bellica e sopraffattrice
che sta devastando le vite, il mondo, la civilta' umana.
Forse piu' di ogni altra persona in Italia Lidia Menapace ha riflettuto - e
con la sua viva pratica, nel corso di una lunga appassionata vicenda di
impegno nei movimenti, non solo sul piano dell'elaborazione teorica - su
questo tema delle forme pattizie e plurali della politica come relazione
liberatrice, sul legame tra mezzi e fini, sull'intersecarsi delle dimensioni
quotidiane, esistenziali e conviviali con la progettualita' e con
l'organizzazione politica e sociale. Anche su questo alla sua scuola molte e
molti di noi sono cresciuti.
*
Last, but not least
Non solo: ci sembra che le persone che stanno animando questa iniziativa di
sensibilizzazione e dibattito che ha alimentato e fatto crescere la proposta
che Lidia Menapace sia eletta Presidente della Repubblica Italiana, lo
stiano facendo non solo per un pubblico dovere, ma anche per il personale
piacere di farlo: per fare una cosa bella, oltre che buona.
Abbiamo una sola vita: ci piace fare le cose che ci sembrano belle. Ci
sembrano belle le cose che ci sembrano buone. Ci sembrano buone le cose
giuste e vere: lottare contro la violenza, recare aiuto all'umanita'. Ma e'
bello anche contemplare il pesco in fiore, o lasciarsi affascinare dalla
musica di Mozart, dalla voce di Billie Holiday, dalle lettere di Rosa
Luxemburg, o raccontarsi intorno al fuoco antiche storie. E questa e' la
vita.
*
Inchino
E adesso aggiungo questo due righe di commiato solo perche' mi piaceva
concludere l'articolo con un paragrafo che avesse per titolo la parola
"inchino"; in gioventu' devo aver letto troppo Moliere e Marivaux. A tutte e
tutti coloro che hanno dato una mano a diffondere e sostenere l'appello per
Lidia Menapace presidente anche chi scrive queste righe dice grazie.

4. ANCORA UNO SFORZO
[Riproponiamo il seguente invito]

A tutte le persone che ci leggono rivolgiamo una preghiera ancora: di
scrivere lettere, brevi e garbate, ai membri del Senato della Repubblica e
della Camera dei Deputati che ritenete vostri preferenziali interlocutori o
interlocutrici per chiedere loro di proporre e sostenere Lidia Menapace come
Presidente della Repubblica.
Gli indirizzi di posta elettronica dei senatori, delle senatrici, delle
deputate e dei deputati sono assai agevolmente reperibili nei siti del
Senato (www.senato.it) e della Camera (www.camera.it).
Come sapete le votazioni per l'elezione del Presidente della Repubblica
cominceranno lunedi' 8 maggio. Se vogliamo far sentire la nostra voce, o
adesso o mai piu'.

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CONTRO LA MINACCIA ATOMICA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Questo appello di Alex Zanotelli [pubblicato su "La nonviolenza e' in
cammino" n. 1286 - ndr] e' assolutamente grave e importante.
Se anche questa volta la minaccia atomica potra' essere - speriamo! -
sventata o sospesa, rimane il fatto che il solo ventilare la possibilita'
dell'uso dell'arma atomica e' una minaccia criminale, da chiunque venga. E'
necessario che voci della ricerca morale umana dicano chiara questa verita',
che giudica la violenza dei potenti, chiunque essi siano.
Come fare udire questa verita'? La proposta di Zanotelli, di una riunione
delle varie associazioni per la pace, forse non e' indispensabile, perche'
richiede qualche tempo, e perche' non c'e' molto da aggiungere a quello che
abbiamo sempre saputo e detto sugli armamenti in generale, ma in modo
particolarissimo sull'arma atomica, grande o piccola che sia, sempre
arcimicidiale, arcistragista, nello spazio e nel tempo.
Forse un testo breve e chiaro, stilato da Zanotelli stesso, sottoscritto dai
rappresentanti e dagli impegnati in tutto il movimento culturale e politico
per la pace, indirizzato al Segretario dell'Onu, al governo italiano e a
tutte le forze politiche, all'attuale e al prossimo Presidente della
Repubblica - nella funzione irrinunciabile di massimo garante di democrazia,
di pace, di politica della vita - sarebbe un intervento piu' rapido,
immediato, largo, significativo ed esigente contro ogni possibile
coinvolgimento italiano e contro qualsiasi avallo internazionale alla
criminale minaccia atomica. Propongo che si proceda cosi', subito.
Parliamone senza ritardo.

6. RIFLESSIONE. PAOLO CANDELARI: L'IMPEGNO DEL MIR CONTRO LA FOLLIA ATOMICA
[Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at libero.it) per questo
intervento. Paolo Candelari, presidente del Movimento Internazionale della
Riconciliazione, e' una delle piu' conosciute e stimate figure della
nonviolenza in Italia. Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (in
sigla: Mir in Italia, Ifor - International Fellowship of Reconciliation - a
livello internazionale) e' uno dei principali e piu' autorevoli movimenti
nonviolenti]

Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (parlo per esso),
quantunque minuscolo movimento, e' sempre attento ad argomenti ed impegni
come quelli proposti da Alex Zanotelli; solo che dall'esterno e' difficile
vederlo.
Abbiamo gia' tentato delle azioni per il disarmo atomico dell'Italia;
abbiamo cercato, nella nostra piccolezza, di rendere coscienti le persone
del movimento per la pace dell'estrema pericolosita' della situazione
connessa all'Iran. Ciononostante, non mi sembra siamo ancora alla vigilia di
un attacco militare americano all'Iran, forse siamo all'antivigilia.
Cio' che e' grave e' che comunque, pur senza alcuna dichiarazione ufficiale,
si faccia circolare coscientemente l'ipotesi che potrebbe essere usata
l'arma atomica: cosi' l'opinione pubblica incomincia a farsi l'idea che
questa e' in fondo un'arma come le altre, un po' piu' potente, ma molto
efficace contro i malvagi di turno. E se per stavolta non sara' usata,
intanto essa incomincia ad entrare nel novero delle possibilita': e a
perdere quell'alone di tabu' che finora l'ha circondata nelle menti e nei
cuori di tutti gli esseri umani.
Come dice Enrico Peyretti, e' criminale gia' il solo ventilare la
possibilita' di usarla.
Con l'aggiunta che differentemente dall'epoca della guerra fredda oggi non
siamo piu' di fronte alla "mutua distruzione assicurata", che la rende
veramente inutile, ma essa potrebbe essere usata contro nazioni come l'Iran,
che non possono certo reagire contro gli Usa, per cui la distruzione
verrebbe assicurata a una parte sola.
Per queste ragioni ritengo che il Movimento Internazioanle della
Riconciliazione sia disposto ad iniziare una campagna che veda finalmente
unite tutte le componenti nonviolente del movimento per la pace: con onesta'
devo dire che noi da soli non saremmo in grado di organizzare grandi
mobilitazioni; ma insieme ad altri, e con un po' di tempo a disposizione
potremmo benissimo cercare di smuovere la troppo assonnata, su questi temi,
opinione pubblica italiana.

7. RIFLESSIONE. EUGENIO MELANDRI: CONTRO IL NUCLEARE, IO CI SARO'
[Ringraziamo Eugenio Melandri (per contatti: eugenio.melandri at tele2.it) per
questo intervento. Eugenio Melandri, religioso saveriano, giornalista,
impegnato nei movimenti di pace, di solidarieta', contro il razzismo, per la
nonviolenza. Tra gli animatori di "Chiama l'Africa". Opere di Eugenio
Melandri: segnaliamo almeno I protagonisti, Emi, Bologna 1984]

Credo che l'appello all'unita' lanciato da Alex sia da prendere in seria
considerazione.
Credo peo' anche che occorra insieme studiare meglio l'obiettivo. Non e'
utile che il pacifismo o l'impegno per la nonviolenza e la pace si faccia
dettare l'agenda dai capricci dei grandi e dei meno grandi a livello
internazionale. Anche perche' altrimenti rischiamo di stare sempre a
rincorrere. Occorre invece darsi una programma e degli strumenti per cercare
di indirizzare la politica su altri binari.
Certo il problema della presenza di armi nucleari e' gravissimo, certo pure
che la crisi iraniana, pur avendo alcune caratteristiche geopolitiche che la
rendono, a mio avviso, non direttamente pericolosa, fa stare tutti con il
fiato sospeso. Ma occorre anche stare attenti a seguire in toto questa crisi
per non cadere nella trappola di chi sostiene la non proliferazione nucleare
solo per gli altri e non per se stessi. Se si vuole davvero fare in modo che
non ci sia proliferazione nucleare i primi a smetterla devono essere Usa,
Francia, Cina, India, Pakistan, eccetera e tutto il club delle potenze
nucleari.
Perche' dovrei sentirmi piu' sicuro se l'arma nucleare ce l'ha Israele e gli
Usa e non l'Iran o la Corea?
Forse e' il tempo di una riflessione nuova, che poggi seriamente e
concretamente sulla nonviolenza e che parta da un impegno serio per la
giustizia e per il superamento delle divaricazioni profonde che esistono in
questo mondo. Non e' la bomnba soltanto a doverci interpellare, ma le
motivazioni politiche che stanno dietro la bomba. Da una parte ci si arma
per difendere il proprio modello di vita basato sull'economia di ingiustizia
e sullo sfruttamento delle risorse altrui. Dall'altra ci si vuole armare
perche' si vuole averla vinta su chi si ritiene domini in modo ingiusto il
mondo.
Io credo che una seria riflessione, con conseguente impegno politico, non
possa non passare da una rivoluzione copernicana delle relazioni tra popoli
ricchi e popoli che aspirano alla ricchezza, cominciando innanzitutto a
denunciare le ipocrisie. Come quella, ad esempio, del "millennio contro la
poverta'", In cui si pretende di risolvere il problema delle condizioni di
vita impossibili in cui tanta gente vive, senza per nulla toccare la
ricchezza. In questo modo si inganna la gente semplice, i problemi restano
irrisolti, ma si da' l'idea di volerli risolvere. Oggi il problema piu'
grande del mondo non e' la troppa poverta', ma la troppa ricchezza. Sono i
patrimoni speculativi, i consumi dei ricchi che crescono sempre di piu', le
leggi dell'economia i cui conti tornano solo per le tasche dei ricchi.
Per quanto possa contare, io ci saro' in questo impegno. Ma vorrei che
insieme si avesse il coraggio, tutti, di guardarci in faccia e, senza avere
posizioni da difendere, si cercasse di riannodare i fili di un ragionamento
che e' andato sfilacciandosi. Trovando insieme degli obiettivi coomuni e
impegnandoci tutti insieme per perseguirli, qualunque sia il colore politco
di chi ci governa.
Forse il punto di partenza puo' anche essere l'emergenza atomica. Ma da sola
questa emergenza rischi di essere letta da chi per disperazione giunge
perfino a pensare a forme terroristiche di lotta - non dimentichiamoci la
rabbia dei poveri di cui parla la "Populorum progressio" - come una
battaglia fatta da chi sta fondamentalmente bene e ha paura che un'arma
tanto distruttive vada a finire in mani non affidabili.
In ogni caso ci saro'.

8. MEMORIA. AUGUSTO GRAZIANI RICORDA JOHN KENNETH GALBRAITH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 maggio 2006. Augusto Graziani, nato a
Napoli nel 1933, economista, ha studiato particolarmente lo sviluppo
economico italiano e i problemi del Mezzogiorno. Opere di Augusto Graziani:
L'economia italiana dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna 1989; I conti senza
l'oste, Bollati Boringhieri, Torino 1997]

Chi lo ha conosciuto ricorda la sua capacita' di colloquiare e tenendo
sempre testa all'interlocutore. Sorridente e benevolo, largamente prodigo di
parole cortesi, ma non alieno da frasi mordenti e (ahime' per
l'interlocutore) sempre infallibilmente centrate.
Galbraith ebbe una formazione teorica solida. Nato in Canada, fece i suoi
studi all'Universita' di California. Successivamente fu accolto come
professore di economia delle universita' piu' prestigiose: dapprima
Princeton e infine Harvard. Durante la seconda guerra mondiale, Galbraith
presto' la sua opera come consulente governativo ed ebbe la responsabilita'
del controllo dei prezzi e del contenimento dell'inflazione.
All'universita' di Harvard, Galbraith teneva un seminario settimanale, nel
quale, dalle due alle quattro del pomeriggio, si accalcavano gli studenti
piu' avanzati. Era un privilegio farne parte; ma anche un rischio, perche'
non di rado il professore, interrompendo improvvisamente il suo dire, si
rivolgeva al primo che gli capitava a tiro e gli poneva un quesito
fulminante. Se il malcapitato non rispondeva prontamente, la stessa domanda
veniva girata a un altro, e cosi' via fino a che non si trovava qualcuno
che, avendo avuto qualche istante per riflettere, riusciva a trovare una
risposta soddisfacente.
I contributi che hanno assicurato a Galbraith la maggiore popolarita' non
sono nel campo della teoria pura. Tre titoli segnano le tappe della sua
attivita' di pubblicista: Il capitalismo americano, il grande crollo (dove
viene analizzata la crisi del 1929 che mise in ginocchio l'economia degli
Stati uniti), e La societa' opulenta. Quest'ultima opera, rimasta la piu'
celebre e quella che gode della maggiore diffusione, contiene una critica
instancabile del capitalismo moderno. L'economia nella quale viviamo,
osserva Galbraith, ci ha assicurato un benessere materiale crescente e
diffuso. Il governo delle grandi imprese assetate di profitto, produce senza
tregua nuovi beni materiali (automobili, frigoriferi, lavatrici, e via
dicendo), dei quali, grazie alla pubblicita', siamo indotti a sentire un
bisogno insaziabile. Chi riflette sulla miseria dei secoli passati, non puo'
che considerare questa evoluzione come un indiscutibile progresso. Ma la
disponibilita' di beni materiali non e' tutto; una societa' che voglia dirsi
davvero avanzata deve porsi mete, forse meno tangibili, ma certamente piu'
ambiziose, a cominciare dalla diffusione della cultura; e qui le lacune sono
ancora vistose.
Galbraith formulo' questo messaggio rivolto ai suoi concittadini
statunitensi alla fine degli anni Cinquanta. Messa a confronto con le idee
dominanti nella cultura americana del tempo, la sua posizione risulto'
innovativa e per alcuni osservatori addirittura rivoluzionaria. Negli Stati
Uniti, la stragrande maggioranza della popolazione riceve una formazione di
base estremamente limitata, mentre gli studi piu' avanzati sono riservati a
una minoranza destinata a formare una ristretta classe intellettuale di
elite. Questo assetto viene generalmente considerato soddisfacente e
adeguato a una societa' moderna, dedita alla produzione di beni materiali.
Il messaggio di Galbraith invertiva le priorita': anzitutto diffusione della
cultura e successivamente preoccupazione per la ricchezza materiale. Si
trattava di un richiamo a finalita' non soltanto piu' nobili, ma anche
pienamente accessibili per una societa' che, come quella americana, aveva
largamente vinto la battaglia contro la miseria. In che misura il suo
messaggio sia stato compreso e accettato dai suoi concittadini resta ancora
cosa discutibile.
Galbraith era dotato di una penna felice e i suoi scritti sono sempre
avvincenti. Questa dote gli permise di spaziare su temi assai vari. Nel
1958, egli compi' un viaggio nei paesi d'oltrecortina, dov'era stato
invitato a tenere un ciclo di conferenze: era la prima volta che il compito
di parlare del capitalismo americano veniva affidato ad un economista
estraneo alla scuola sovietica. Nel suo itinerario, Galbraith non tocco' la
Russia, ma visito' a fondo Polonia e Jugoslavia. Ne risulto' un gustoso
volumetto di impressioni di viaggio: a partire dall'arrivo a Varsavia,
quando il malcapitato Galbraith fu costretto a una lunga serie di brindisi
per ognuno dei quali era d'obbligo ingoiare il bicchierino di vodka tutto
d'un sorso, fino al commiato finale, quando ebbe la soddisfazione di
sentirsi dire in pubblico che le sue lezioni erano state profondamente
istruttive, perche' il quadro del capitalismo americano che egli aveva
tracciato era ben diverso da quello che veniva abitualmente descritto nelle
universita' e nei dibattiti scientifici.
Galbraith lascia il ricordo di un uomo che seppe essere uno studioso
accurato e capace di coniugare aspetti diversi della teoria economica pura,
ma al tempo stesso un osservatore acuto della realta' e un profondo
conoscitore dei fatti. Chi ripercorrera' i suoi scritti trovera' non
soltanto una larga messe di idee originali ma anche un prezioso insegnamento
di metodo: che e' quello di perseguire insieme rigore logico e realta'
storica.

9. MEMORIA. CARLA RAVAIOLI RICORDA JOHN KENNETH GALBRAITH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 maggio 2006. Carla Ravaioli e'
un'autorevole giornalista e saggista, si e' occupata principalmente di
movimenti sociali, dell'oppressione sulle donne, di economia e di ambiente.
Tra le opere di Carla Ravaioli: La donna contro se stessa, Laterza 1969;
Maschio per obbligo, Bompiani 1973; La questione femminile, 1976; Il quanto
e il quale. La cultura del mutamento, Laterza 1982; Tempo da vendere, tempo
da usare, Angeli 1986; (con Enzo Tiezzi), Bugie, silenzi, grida. La
disinformazione ecologica in un'annata di cinque quotidiani, Garzanti 1989;
Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia contro il pianeta, Isedi
1992; Un mondo diverso e' necessario, Editori Riuniti, Roma 2003]

"Se si eccettua il pericolo di una guerra nucleare, la questione
dell'ambiente e' la minaccia piu' grave per il mondo". Il solito
ambientalista rompiscatole, catastrofista e anche un po' menagramo? No. John
Kenneth Galbraith. Sono parole che affido' al mio microfono nella sua bella
casa di Boston il 31 gennaio 1991. Tema dell'intervista: la posizione della
scienza economica di fronte alla crisi ecologica planetaria. Tema su cui
intendevo fare un libro, e che andavo proponendo a un buon numero di
economisti di grande prestigio (ben sei Nobel tra gli altri) spesso
ricevendone reazioni quanto mai stupite: "Ambiente? Ma io sono un
economista", fu ad esempio la prima risposta di Milton Friedman. Lui no. Mi
fisso' immediatamente una data. E subito, dal primo scambio di battute, fu
evidente che, a differenza dei suoi colleghi, riteneva la materia tutt'altro
che estranea agli interessi specifici della sua disciplina, e che gia' aveva
considerato l'incompatibilita' del modello economico attivo in tutto il
mondo con la salvaguardia degli equilibri naturali.
In anni in cui, eccettuati i padri della bioeconomia (Georgescu-Roegen,
Boulding, Daly, e pochissimi altri) tutti gli economisti opponevano il piu'
reciso rifiuto anche ad accettare la discussione sulla crescita, lui gia'
con piena consapevolezza parlava degli "effetti negativi della crescita
sull'ambiente", e della necessita', anzi del dovere dell'Occidente di
rivedere il proprio stile di vita e di ridurre drasticamente i livelli di
consumo. Aggiungendo - da sperimentato conoscitore del Sud del mondo, e
sdegnato testimone del suo sfruttamento - che sarebbe indecente pretendere
dai poveri un'attenzione all'ambiente che noi stessi non abbiamo. "Tocca a
noi", ripeteva convinto, e - da severo antesignano della critica al
consumismo - notava che dopotutto anche noi ne avremmo tratto vantaggio.
Per concludere con una affermazione che al momento chioso' come "fuori
tema": "Il capitalismo e' una macchina inbattibile nel produrre ricchezza,
ma assolutamente incapace di distribuirla decentemente". Io osservai che non
mi pareva un discorso tanto fuori tema. Rispose con un gesto, come a dire:
lasciamo perdere.
Sul problema, a differenza della grande maggioranza degli economisti, aveva
riflettuto seriamente, e ne vedeva tutta la complessita': cio' che -
diceva - avrebbe richiesto da parte di ciascun paese un'impegnata analisi
della propria situazione ecologica, non solo per un adeguato trattamento dei
rifiuti, quelli nucleari in primis, un severo sistema di tassazione di ogni
tipo di inquinamento, decisi interventi fino alla proibizione delle
industrie piu' inquinanti, e cosi' via. Soprattutto si rendeva conto di
qualcosa di cui ancora oggi anche gli ambientalisti piu' qualificati
raramente sembrano avvertiti. Non bastano i provvedimenti dei singoli paesi,
diceva: "Cio' che manca finora, e che la situazione urgentemente richiede,
e' una politica globale". E citava il buco nell'ozono, le piogge acide,
l'effetto serra, fenomeni che riguardano l'intero pianeta, che si
manifestano sovente agli antipodi del luogo in cui se ne producono le cause,
che esigono pertanto una strategia sovranazionale, che solo "un'autorita'
globale" puo' affrontare in modo adeguato. E parlo' perfino (cosa allora
presa in esame solo da pochi specialisti) dell'assurda contabilizzazione del
Pil: "Computare in positivo il valore dell'acciaio prodotto e non il valore
negativo degli scarichi inquinanti provenienti dall'acciaieria, e' un modo
ingannevole di fare i conti". E aggiunse, quasi commovendomi: "Inoltre il
Pil omette molte cose importanti: ad esempio l'enorme contributo che
proviene dal lavoro delle donne".
Continuo' a parlare a lungo, senza piu' bisogno di sollecitazioni, quasi
riflettendo ad alta voce, mentre nel pomeriggio invernale scendeva il buio
sui boschi che circondavano la casa. Era chiaro che la sua attenzione al
problema era dovuta anche a una sorta di aristocratica sofferenza di fronte
al deterioramento estetico dell'ambiente, a "quel particolare tipo di
polluzione che non lede la salute, ma offende chiunque abbia sensibilita'
alla bellezza del paesaggio, che deriva dall'uso incontrollato del
territorio, dalla manomissione delle campagne", senza dire dei monumenti
antichi "oggi gravemente a rischio". L'Italia per esempio, disse: "Era molto
piu' bella quando la visitai le prime volte, tanti anni fa". Nel coro
elogiativo che ha commentato qualche giorno fa la sua morte quasi nessuno ha
notato la sua attenzione alla crisi ecologica. Ma la cosa non stupisce.

10. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: PENSIERO FORTE, PENSIERO DEBOLE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento]

Questa opposizione ha un senso corrente che merita di essere analizzato e
discusso. Per "forte" si intende comunemente un pensiero rigido, dogmatico,
che tende ad imporsi, fino - al limite - ad usare la violenza. Tale e' il
pensiero "unico", strumento di un sistema di poteri.
Con "debole" si intende un pensiero che ha i pregi e le virtu' opposte a
quei difetti e vizi.
Propongo di scalfire il luogo comune, riflettendo sul fatto che la forza non
e' un vizio, e la debolezza non e' una virtu'.
La forza non e' un vizio, se comprendiamo che forza e violenza non sono
termini sinonimi, anche se come tali li usa il linguaggio corrente.
Il linguaggio corrente, impreciso, e forse volutamente confusionario, copre
la violenza-vizio col manto della forza-virtu', come quando dice "forze
armate" per dire l'organizzazione statale della violenza omicida, oppure
"uso della forza" per dire l'uso della violenza armata.
Pur ammettendo zone miste di realta' e dei corrispondenti significanti,
sembra di poter dire che il polo di senso "forza" e il polo di senso
"violenza", sono distanti e opposti l'uno all'altro: la forza e' resistente,
difensiva e costruttiva; la violenza e' intollerante, offensiva e
distruttiva. La forza produce vita. La violenza produce offesa e morte.
La forza umana e' una qualita' e una virtu' morale. La violenza e' un male,
un vizio.
Pensiero forte, in questo senso e non nel senso solito, e' un pensiero
critico, impegnato a resistere alla falsificazione, a difendere e comunicare
idee valide e umanizzatrici, ad argomentare con tutto il rigore possibile, a
superare gli schemi ricevuti per procedere verso una maggiore verita'. Di
questo pensiero forte c'e' bisogno in ogni societa' in via di umanizzazione.
La qualifica di "debole" attribuita ad un pensiero e' ambigua. Se
significasse il contrario di quanto ho appena detto del pensiero "forte",
sarebbe una carenza, sarebbe cedimento e rinuncia al compito della ricerca e
della critica. Con una certa cattiveria e' stato detto bene, a suo tempo,
che "dove la Fiat e' forte il pensiero e' debole". Se il pensiero e' debole
davanti ai poteri forti (qui nel senso che si impongono anche con violenza)
e' un pensiero vile, non fedele al suo compito critico.
*
Piuttosto che "debole" opposto a "forte", sarebbe bene denominare "mite"
quel tipo di pensiero che vuole essere davvero alternativo al pensiero
rigido, dogmatico, violento.
La mitezza, infatti, e' il vero contrario della violenza. Pensare con
mitezza, radice dell'agire con mitezza, e' la vera antitesi del pensare con
violenza, radice dell'agire con violenza.
La mitezza e' la nonviolenza positiva (ben piu' che la mera astensione dal
fare violenza). La quale nonviolenza e' una forza, una progressiva
liberazione dai propri impulsi violenti, una capacita' di resistenza e di
lotta. La nonviolenza positiva e' il "satyagraha" gandhiano, "forza della
verita'", o "forza dell'anima", o "forza di amare", o forza della fedelta'
alla verita' conosciuta: cioe' una forza e non una debolezza, una forza che
e' tutto l'opposto della violenza; un atteggiamento verso la verita' che e'
tutt'altro dalla pretesa di possederla, come sa chi ha accostato un poco
l'idea gandhiana di "satyagraha".
Gandhi e' stato un fortissimo lottatore, e ha avviato un movimento mondiale
di lotta nonviolenta forte. Ma ha insegnato che non possiamo fare violenza
proprio perche' non siamo mai sicuri di essere nel vero, pur con le piu'
sincere convinzioni. Percio' la sua vita e' stata una serie continua di
"esperimenti con la verita'", una instancabile ricerca, pienamente
consapevole della comune fallibilita'. Percio' il suo pensiero e'
tipicamente "mite", ma forte, e non debole.
*
Se e' giusto chiarire il termine "debole" nel senso positivo di "mite", un
chiarimento e' da fare anche su "forte", detto di un pensiero.
Oggi sono in largo uso i termini "fondamentalismo" e "integralismo", per
dire appunto modi di pensare "forti" nel significato di "violenti", o
tendenti alla violenza.
Fondamentalismo mi pare che dica attaccamento eccessivo a determinati
fondamenti, fino alla fissazione, percio' alla incapacita' di pluralismo, di
dialogo e convivenza, e semmai con la tendenza all'aggressivita'.
Integralismo mi pare che dica mania di conservazione integra di un
determinato intoccabile quadro di idee e comportamenti, con gli  stessi
pessimi effetti del fondamentalismo.
Ma i due termini dicono soltanto la degenerazione maniacale e disastrosa di
certe qualita' positive del pensiero: avere un fondamento, conservare un
patrimonio. In se', non e' male che un pensiero coerente e vivo abbia dei
fondamenti e non perda dei valori trasmessi dalla tradizione.
La negativita' che oggi si usa esprimere con fondamentalismo e integralismo,
sarebbe espressa meglio se si scegliesse il termine "totalitarismo".
Questo termine e' sequestrato, ben comprensibilmente, dal linguaggio
politico, ma si presta con precisione a significare ogni pretesa di avere
tutto (come il totalitarismo politico e' la pretesa di possedere concentrato
tutto il potere politico).
Il fondamentalismo sbaglia nel restare tutto e solo accanitamente sui propri
fondamenti; l'integralismo sbaglia nel conservare tutto e solo accanitamente
il patrimonio ricevuto.
Una cultura, una civilta', e' totalitaria, quando ritiene di realizzare
"tutti" gli sviluppi di umanita' che altre culture e civilta'
realizzerebbero solo in parte o in modo distorto. Una religione e'
totalitaria quando ritiene di avere "tutte" le luci e le virtu' religiose
che altre religioni non avrebbero o avrebbero solo parzialmente o in modo
viziato.
*
Credo che il pensiero debba essere forte, nel senso di resistente e
combattivo, con la forza della ragione, contro le forze irrazionali e
brutali; e che debba essere debole, nel senso di mite, che non offende e non
inganna, che sa imparare e correggersi.
Allora, se valgono qualcosa queste osservazioni, piuttosto che di pensiero
forte e pensiero debole dovremmo parlare di pensiero "totalitario" e di
pensiero "mite", pensiero "violento" e pensiero "nonviolento".
Violento e' anche il pensiero che per non essere dogmatico rinuncia a
giudicare e combattere i poteri violenti. Nonviolento e' anche il pensiero
forte e combattivo nel difendere valori umani offesi dalla violenza.
Mi pare che parlando di violenza e nonviolenza, invece che di forza e
debolezza, riusciremmo ad esprimere meglio questa differenza davvero
decisiva per arrivare a pensare meglio e agire meglio.
Panikkar ha scritto che il compito della filosofia e' oggi "disarmare la
ragione armata". Arturo Paoli ha scritto: dire che una religione e' vera e
le altre false e' una dichiarazione di guerra.
Ci sono tanti modi "totalitari" di pensare una "verita'" tale che ne nascono
violenza e guerra. Ci occorre sopra ogni altra cosa imparare un modo "mite"
di pensare la verita', che produca l'agire giusto e pacifico.

11. MAESTRE. EDOARDA MASI: I FILI
[Da Edoarda Masi, Il libro da nascondere, Marietti, Casale Monferrato (Al)
1985, p. 104. Edoarda Masi e' nata a Roma nel 1927, intellettuale della
sinistra critica, di straordinaria lucidita', bibliotecaria nelle
biblioteche nazionali di Firenze, Roma e Milano, ha insegnato letteratura
cinese nell'Istituto Universitario Orientale di Napoli; ha vissuto a Pechino
e a Shangai, dove ha insegnato lingua italiana all'Istituto Universitario di
Lingue Straniere. Ha collaborato a numerose riviste, italiane e straniere,
tra cui "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Kursbuch", "Les temps
modernes". Tra le opere di Edoarda Masi: La contestazione cinese, Einaudi,
Torino 1968; Per la Cina, Mondadori, Milano 1978; Breve storia della Cina
contemporanea, Laterza, Bari 1979; Il libro da nascondere, Marietti, Casale
Monferrato 1985; Cento trame di capolavori della letteratura cinese,
Rizzoli, Milano 1991. Tra le sue traduzioni dal cinese in italiano: Cao
Xuequin, Il sogno della camera rossa, Utet, Torino 1964; una raccolta di
saggi di Lu Xun, La falsa liberta', Einaudi, Torino 1968; e Confucio, I
dialoghi, Rizzoli, Milano 1989]

Vanno ormai annodati i fili che legano le storie alla Storia.

12. MAESTRE. SIMONE WEIL: IL BELLO
[Da Simone Weil, Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano 1999, p. 221. Simone
Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante
sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di
fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice
agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

Il bello testimonia che l'ideale puo' passare nella realta'.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1288 del 7 maggio 2006

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