La domenica della nonviolenza. 67



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 67 del 2 aprile 2006

In questo numero:
1. Paola Bono intervista Julia Kristeva
2. Fabio Gambaro intervista Julia Kristeva
3. Maria Vittoria Vittori intervista Julia Kristeva
4. Julia Kristeva: Hannah Arendt di fronte al totalitarismo

1. MAESTRE. PAOLA BONO INTERVISTA JULIA KRISTEVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2006. All'articolo e' aggiunta
la seguente scheda, che ugualmente qui riportiamo: "Semiologa,
psicoanalista, critica letteraria, Julia Kristeva - nata in Bulgaria ma
trasferitasi a Parigi nel 1965, mentre lavorava a un dottorato di
letteratura comparata - e' da tempo figura di spicco a livello
internazionale. Personalita' tra le piu' significative della stagione
strutturalista, ha fatto parte del gruppo di "Tel Quel", ed e' autrice di
testi importanti per il taglio innovativo con cui analizzano sia questioni
di lingua e scrittura, sia aspetti della psiche nelle sue pieghe oscure
(ricordiamo, tra quelli tradotti in italiano, Semeiotike'. Ricerche per una
semanalisi, Feltrinelli, 1978; La rivoluzione del linguaggio poetico,
Marsilio, 1979; Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, l986;
Stranieri a se' stessi, Feltrinelli, 1990), ma anche di romanzi come I
samurai (Einaudi, 1991), in cui ritrae la scena dell'avanguardia
intellettuale francese di cui e' stata ed e' una protagonista, e il giallo
in cui una giornalista indaga il caso de La donna decapitata (Sellerio,
1997)".
Paola Bono, prestigiosa intellettuale femminista, docente universitaria,
saggista, insegna Storia del teatro inglese presso il Dipartimento di
comunicazione letteraria e dello spettacolo dell'Universita' di Roma Tre; fa
parte della redazione della storica rivista femminista "Dwf" dal 1985, della
redazione dello "European Journal of Women's studies" e del comitato
consultivo internazionale di "Signs. A Journal of Women in Culture and
Society"; e' tra le fondatrici della Societa' Italiana delle Letterate di
cui e' stata la prima presidente. Opere di Paola Bono: (con Emanuela Dal
Fabbro, a cura di), La poesia indifesa, Carucci, 1989; (con Sandra Kemp, a
cura di), Italian Feminist Thought: A Reader, Blackwell, Oxford 1991; (con
Sandra Kemp, a cura di), Lonely Mirror: Italian Perspectives on Feminist
Theory, 1993; (con Maria Vittoria Tessitore, a cura di), Il mito di Didone.
Avventure di una regina tra secoli e culture, Bruno Mondadori, Milano 1998;
Esercizi di differenza. Letture partigiane del mondo e dei suoi testi, Costa
& Nolan, 1999; (a cura di),. Scritture del corpo. Helene Cixous, variazioni
sul tema, Roma: Sossella, Roma 2000; (a cura di), Schermi elisabettiani.
Cinema e teatro inglese tra prima eta' moderna e contemporaneita', Aracne,
Roma 2003.
Julia Kristeva e' nata a Sofia in Bulgaria nel 1941, si trasferisce a Parigi
nel 1965; studi di linguistica con Benveniste; intensa collaborazione con
Sollers e la rivista "Tel Quel"; impegnata nel movimento delle donne,
psicoanalista, ha dedicato una particolare attenzione alla pratica della
scrittura ed alla figura della madre; e' docente all'Universita'  di Paris
VII. Opere di Julia Kristeva: tra quelle tradotte in italiano segnaliamo
particolarmente: Semeiotike', Feltrinelli, Milano; Donne cinesi,
Feltrinelli, Milano; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio,
Venezia; In principio era l'amore, Il Mulino, Bologna; Sole nero,
Feltrinelli, Milano; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; I samurai,
Einaudi, Torino; Colette, Donzelli, Roma; Hannah Arendt. La vita, le parole,
Donzelli, Roma. In francese: presso Seuil: Semeiotike', 1969, 1978; La
revolution du langage poetique, 1974, 1985; (AA. VV.), La traversee des
signes, 1975; Polylogue, 1977; (AA. VV.), Folle verite', 1979; Pouvoirs de
l'horreur, 1980, 1983; Le langage, cet inconnu, 1969, 1981; presso Fayard:
Etrangers a nous-memes, 1988; Les samourais, 1990; Le vieil homme et les
loups, 1991; Les nouvelles maladies de l'ame, 1993; Possessions, 1996; Sens
et non-sens de la revolte, 1996; La revolte intime, 1997; presso Gallimard,
Soleil noir, 1987; Le temps sensible, 1994; presso Denoel: Histoires
d'amour, 1983; presso Mouton, Le texte du roman, 1970; presso le Editions
des femmes, Des Chinoises, 1974; presso Hachette: Au commencement etait
l'amour, 1985. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Julia
Kristeva e' nata il 24 giugno 1941 a Silven, Bulgaria. Nel 1963 si diploma
in filologia romanza all'Universita' di Sofia, Bulgaria. Nel 1964 prepara un
dottorato in letteratura comparata all'Accademia delle Scienze di Sofia; nel
1965 ottiene una borsa di studio nel quadro di accordi franco-bulgari e dopo
il 1965 prosegue gli studi e il lavoro di ricerca in Francia all'Ecole
Pratique des Hautes Etudes. Nel 1968 consegue il dottorato sotto la
direzione di Lucien Goldmann (con Roland Barthes e J. Dubois). Sempre nel
1968 e' eletta segretario generale dell'Association internationale de
semiologie ed entra nel comitato di redazione del suo organo, la rivista
'Semiotica'. Nel 1973 consegue il dottorato di stato in lettere sotto la
direzione di J. C. Chevalier. Dal 1967 al 1973 e' ricercatrice al Cnrs di
linguistica e letteratura francese, al Laboratoire d'anthropologie sociale,
al College de France e all'Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales. Nel
1972 tiene un corso di linguistica e semiologia all'Ufr di Letteratura,
scienze dei testi e documenti dell'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. E'
nominata direttore del Dea di Etudes Litteraires. Nel 1974 viene eletta
Permanent visiting professor al Dipartimento di letteratura francese della
Columbia University, New York. Nel 1988 e' responsabile del Draps (Diplome
de recherches approfondies en psycopathologie et semiologie). Nel 1992 e'
nominata direttore della Scuola di dottorato "Langues, litteratures et
civilisations, recherches transculturelles: monde anglophone - monde
francophone", all'Universita' di Paris VII 'Denis Diderot' e Permanent
Visiting Professor al Dipartimento di Letteratura comparata dell'Universita'
di Toronto, Canada. Nel 1993 e' nominata membro del comitato scientifico,
che affianca il ministro dell'educazione nazionale. Attualmente e'
professoressa all'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. Dal 1978 dopo una
psicoanalisi personale e una analisi didattica presso l'Institut de
psychanalyse, esercita come psicoanalista. Gli interessi scientifici di
Julia Kristeva vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi,
alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente
strutturalista francese e in particolare del gruppo di 'Tel Quel', che ha
sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni
Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia
Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle
cosiddette 'scienze umane'. Pervenuta oggi a un'estrema formalizzazione, in
cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere
alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la
lingua come sistema formale non si realizza nell'atto di parola, indagare la
diversita' dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche,
e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non
come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto
fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi. Opere
di Julia Kristeva: Semeitike'. Recherche pour une semanalyse, Seuil, Paris
l969; Le texte du roman, Mouton, La Haye l97l; La revolution du language
poetique. L'avant-garde a' la fin du XIX siecle: Lautreamont et Mallarme',
Seuil, Paris l974; Des chinoises, Editions des femmes, Paris l974;
Polylogue, Seuil, Paris l977; Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection,
Seuil, Paris l980; Le language, cet inconnu. Une initiation a' la
linguistique, Seuil, Paris l98l; Soleil noir. Depression et melancolie,
Gallimard, Paris l987; Les Samourais, Fayard, Paris l990; Le temps sensible.
Proust et l'experience litteraire, Gallimard, Paris l994. Numerosi articoli
di Julia Kristeva sono apparsi sulle riviste 'Tel Quel', 'Languages',
'Critique', 'L'Infini', 'Revue francaise de psychanalyse', 'Partisan
Review', 'Critical Inquiry' e molte altre. Tra le opere della Kristeva
tradotte in italiano, ricordiamo: Semeiotike'. Ricerche per una semanalisi,
Feltrinelli, Milano l978; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio,
Venezia 1979; Storia d'amore, Editori Riuniti, Roma 1985; Sole nero.
Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano l986; In principio era
l'amore. Psicoanalisi e fede, Il Mulino, Bologna 1987; Stranieri a se
stessi, Feltrinelli, Milano; Poteri dell'orrore, Spirali/Vel, Venezia; I
samurai, Einaudi, Torino 1991; La donna decapitata, Sellerio, Palermo 1997".
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000.
Melanie Klein, illustre psicoanalista (Vienna 1882 - Londra, 1960). Opere di
Melanie Klein: Scritti (1921-1958), Boringhieri, Torino 1978; La
psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze 1970; Nuove vie della
psicoanalisi, Il Saggiatore, Milano 1982; Il nostro mondo adulto ed altri
saggi, Martinelli, Firenze 1972; Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze
1969; Analisi di un bambino, Boringhieri, Torino 1961. Opere su Melanie
Klein: Hanna Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, Martinelli,
Firenze 1968; Hanna Segal, Melanie Klein, Bollati Boringhieri, Torino 1981,
1994; Franco Fornari (a cura di), Fantasmi, gioco e societa', Il Saggiatore,
Milano 1976.
Sidonie-Gabrielle Colette (1873-1954) e' stata la piu' apprezzata scrittrice
francese della prima meta' del Novecento]

Una giornata intensa per Julia Kristeva, il primo martedi' di primavera che
l'altroieri l'ha vista a Roma in occasione del premio Amelia Rosselli,
assegnato al suo volume su Hannah Arendt e alla casa editrice Donzelli che
l'ha pubblicato l'anno scorso, dopo quello su Colette apparso nel 2004 - una
trilogia che si completera' con il libro su Melanie Klein, in uscita a
settembre 2006. L'abbiamo incontrata in mattinata prima della sua visita
alla Casa internazionale delle donne, e poi di nuovo alla Sala S. Rita, dove
nel pomeriggio - accolta da Mariella Gramaglia a nome del Comune di Roma,
che organizza il premio Rosselli - ha parlato della sua concezione del
"genio femminile", cui si intitola la trilogia, discutendone con Nadia
Fusini, Federica Giardini, Pietro Montani ed Elisabetta Rasy. Quelli della
trilogia sono libri complessi che alternano e intrecciano diverse modalita'
di narrazione e analisi, ripercorrendo la vita e il pensiero di tre donne
straordinarie che hanno segnato il Novecento, mentre vi si iscrive anche
tutto il portato del multiforme percorso intellettuale di Julia Kristeva.
Accanto alla riflessione su temi filosofici di continuata rilevanza, e
personalmente toccanti per lei, nata nella Bulgaria stalinista, accanto alla
critica linguistico-letteraria sottilmente esercitata nel confronto attento
con il testo, e' fortemente presente - come costante che non riguarda
soltanto Melanie Klein e il suo contributo - la teorizzazione
psicoanalitica, con pagine che innovativamente riesaminano alcuni punti
nodali delle elaborazioni freudiane. Sarebbe dunque riduttivo definirli
semplicemente delle "biografie", ma certo sono anche questo.
*
- Paola Bono: La scrittura biografica, da alcuni decenni al centro di un
acceso dibattito interdisciplinare, e' stata spesso paragonata a un passo a
due - incontro di due soggettivita', possibile gioco di rispecchiamento e di
individuazione. Qual e' stato nella sua esperienza di scrittura il suo
rapporto con queste tre donne tanto diverse? Quali i ritmi, le mosse, gli
esiti del passo a due danzato con loro?
- Julia Kristeva: In Italia si ha di me un'immagine di studiosa di semiotica
interessanta alla forma piu' che alla vita; ma da tempo nel mio lavoro cerco
di sottolineare l'importanza del dato esperienziale, di rendere parlante
l'esperienza di scrittori e scrittrici nel loro situarsi nella Storia. Per
scrivere la trilogia non ho svolto ricerche d'archivio originali, mi sono
servita di biografie esistenti e insieme di una lettura attenta dei testi di
Arendt, Klein e Colette, per fare quello che davvero mi premeva, e cioe'
ripercorrere la loro traiettoria di pensiero. Nella polifonia di vita e
opere di questi libri per cosi' dire bifronti, forse ho scelto - mi hanno
detto - donne che mi somigliano; un'osservazione che mi onora e mi lusinga,
sebbene mi senta lontana dalla loro grandezza e dal loro coraggio.
Certamente e' stata una frequentazione assidua, che ora che si e' conclusa
mi lascia l'impressione di aver condiviso le loro vite in una prossimita'
sororale. Mi hanno insegnato molto: Arendt mi ha aiutato a capire meglio e
diversamente il mondo politico, Klein a penetrare piu' a fondo il rapporto
tra sessualita' e vita del pensiero, e Colette... Colette indica la strada
della gioia che non si arrende alla malinconia, e' una maestra del piacere
di vivere.
*
- Paola Bono: In che modo a suo parere, i dati biografici hanno inciso nello
sviluppo del "genio" di queste donne?
- Julia Kristeva: Assai diversamente, come diverse sono state le loro vite.
Per esempio, nel caso di Arendt, e' stata sottovalutata secondo me la
rilevanza del suo essere ebrea in Germania, subito prima e all'avvento del
nazismo. La sua era una famiglia integrata, non religiosa, e la loro
ebraicita' non era centrale nella loro vita; ma a scuola questa specificita'
veniva in primo piano in episodi di minuto antisemitismo. Racconta Hannah
Arendt che sua madre regolarmente scriveva protestando vibratamente, e lei,
Hannah, veniva sospesa per un po' (il che, allora, le faceva anche
piacere...). Ebrea di famiglia integrata, dunque, ma cosciente di un
antisemitismo mai del tutto assopito, che si sarebbe poi tragicamente
affermato; innamorata della cultura tedesca, della lingua e della filosofia
tedesca cui continua a fare riferimento anche quando e' costretta a lasciare
la Germania. E poi e' stata fondamentale la relazione amorosa con Heidegger,
di cui si e' molto scritto. Ritengo osceno ridurla al solo aspetto di
relazione sessuale, sebbene sia stata anche questo; in essa Arendt ha messo
in opera una rara capacita' di mantenere il rapporto del pensiero nella
diversita' di posizioni, la capacita' di essere, come scrive lei stessa
"fedele e infedele". Ha saputo prendere da Heidegger, ma piu' in generale
dalla cultura tedesca ed europea, quel che le appariva essenziale, sapendolo
trasformare in pensiero politico - assai modesta, non si definiva una
filosofa, ma una "giornalista politica", che pero' ci ha lasciato intuizioni
e riflessioni ancora vitali e feconde. E' stata capace di capire subito che
l'imperialismo e l'antisemitismo sono inerenti alla cultura europea, ma che
in essa ci sono anche gli antidoti, e bisogna dunque trovarli e farli agire.
Ha colto prima di chiunque i punti di contatto tra stalinismo e nazismo, la
loro essenza totalitaria di negazione del pensiero singolare, di
"banalizzazione" dell'umano che porta alla banalizzazione del male.
*
- Paola Bono: Nella trilogia torna piu' volte l'accento sulla singolarita' -
singolarita' delle "protagoniste" di ogni volume, ma anche singolarita' di
ciascuna donna; e insieme il riferimento a una comune differenza nella quale
solo si mostrano la creativita' e la specificita' delle donne. Come prende
forma nel genio singolare di Arendt, Klein, Colette, questa comune
differenza?
- Julia Kristeva: L'insistenza sulla singolarita' e' un dato fondante della
cultura europea, che la caratterizza e distingue, e che credo si debba al
suo essere incrocio di civilta' - greca, ebraica, cristiana. Dovremmo essere
piu' fieri della nostra cultura, senza naturalmente dimenticare che ha anche
grandi colpe storiche, con il colonialismo per esempio; ma saperne vedere e
rivalutare e affermare gli elementi positivi di attenzione all'umano
singolare. Un tratto comune di Arendt, Klein e Colette, un tratto che si
lega al loro genio femminile, e' che tale singolarita' non diventa mai
egotismo, e' sempre desiderosa e capace di condivisione. Penso
all'atteggiamento di Hannah Arendt verso la filosofia, quando definisce
Platone, Kant e Heidegger esponenti della "tribu' malinconica" dei filosofi
chiusi nella loro torre a lamentarsi in discorsi esoterici che non si
sforzano davvero di comunicare; a lei interesseva invece produrre un
pensiero singolare che potesse pero' essere condiviso. Questa attenzione al
legame, insieme all'insistenza sul tempo della nascita e della rinascita, e
alla preoccupazione di salvaguardare la vita del pensiero, situato al cuore
della vita, mi sembrano rintracciabili in tutte e tre, aspetti variamente
declinati di una comune differenza.
*
- Paola Bono: Anche in questa trilogia, come gia' in precedenza nel suo
lavoro, lei indaga il femminile e piu' ancora - direi - il materno, mettendo
in gioco la complessita' dei suoi molteplici aspetti. Centro dell'abiezione
per la minaccia con/fusionale che in esso si incarna; aurora del legame con
l'altro perche' luogo di un amore unico nel suo essere amore per il
"qualunque" che viene; "presa" a cui sottrarsi in una dinamica di liberta'
che passa attraverso il matricidio. Sono riconciliabili questi aspetti, e
come?
- Julia Kristeva: E' vero, la riflessione sul materno e sulla maternita' e'
centrale nel mio lavoro, credo ve ne sia grande bisogno e che troppo poco si
sia elaborato in proposito. In particolare mi interessa mettere in evidenza
la difficolta' della vocazione e della funzione materna, spesso dimenticata
o rifiutata in nome di una diversa realizzazione di se'; oppure avviene,
oggi con molta evidenza, che la maternita' venga mercificata, falsamente
idealizzata in immagine commerciale con le infinite pubblicita' di bimbi
rosei e ridenti. Come psicoanalista mi trovo davanti alla fatica della
maternita', alla crisi del se' che si vive nel rapporto con la propria
creatura, rapporto fatto di tenerezza esorbitante e di esorbitante violenza,
in cui convivono volonta' di possesso e dipendenza. Poi la madre riesce a
sublimare, lascia libero il figlio, la figlia, offrendo loro il dono del
linguaggio, che si sostituisce al contatto corporeo. Qui sono in dissidio
con Freud, secondo il quale la donna sarebbe incapace di sublimazione; credo
che Freud non abbia guardato abbastanza le madri. Certo ci sono anche grandi
scacchi della funzione materna, e credo che anche problemi sociali di grande
importanza - le rivolte nelle periferie, la tossicomania, i suicidi di
adolescenti - siano in parte legate a questi scacchi. Le madri sono lasciate
sole, e non ci si rende conto che e' un problema di civilta' capire il ruolo
chiave della maternita' e sostenere le madri nel loro difficile e
fondamentale compito.
*
- Paola Bono: Lei delinea tre fasi della battaglia delle donne per la loro
emancipazione nei tempi moderni: la rivendicazione dei diritti politici con
il suffragismo; l'affermarsi di una "uguaglianza ontologica", l'uscita dalla
secondarieta' di una coscienza sempre trascesa dalla coscienza dell'uomo,
con Simone de Beauvoir; la ricerca della differenza tra i due sessi, sulla
scia del maggio '68 e della psicoanalisi. Ma questa linearita' progressiva
si spezza se pensiamo che gia' alla fine della prima fase, senza
disconoscere la lotta per il voto e sottolineando la centralita'
dell'elemento economico, Virginia Woolf aveva messo in primo piano la
differenza, sia in Una stanza tutta per se' che ne Le tre ghinee . Eppure
Woolf ne' sottovalutava l'esemplarita' - al tempo stesso eccezionale e
diversamente ripetibile - delle molte donne di cui rintraccia il contributo
nella storia, ne' essenzializza la differenza in riduttive costanti
biologiche. Non crede che assumerne l'insegnamento - come ha fatto il
pensiero della differenza sessuale italiano - possa indicare una strada
diversa per una risignificazione del rapporto tra uguaglianza e differenza,
e anche per un altro modo di coniugare liberta' di ognuna e di tutte?
- Julia Kristeva: Sono una grande ammiratrice di Virginia Woolf, e avrebbe
facilmente potuto essere lei una delle protagoniste della mia trilogia. Non
e' stato cosi' sia perche' per una volta ho voluto sfuggire alla lingua
inglese - sia Hannah Arendt che Melanie Klein, sebbene entrambe tedesche,
hanno scritto in inglese - sia perche' con Colette avevo l'occasione di
mostrare una donna che, malgrado difficolta' e tradimenti, sa sfuggire alla
depressione, mettendo al centro della sua vita e della sua opera la gioia di
vivere. Pero' e' vero che si tratta di una linearita' artificiale, che ha
senso soltanto se pensiamo al femminismo nella sua forma di movimento di
massa; vi sono avventure intellettuali che spezzano questa linearita', e
mettono in evidenza la complessita' di intuizioni e proposte dove non vi e'
progressione ma compresenza. Sto lavorando ora su Teresa d'Avila, una donna
depressiva e malata, una suora nella Spagna del XVI secolo, che pero'
diventa una donna politica, conduce una battaglia contro la gerarchia della
chiesa per riformare il Carmelo, e sa dire alle sue sorelle - nel XVI
secolo! - che possono giocare a scacchi in convento per dare scacco matto a
Dio.

2. MAESTRE. FABIO GAMBARO INTERVISTA JULIA KRISTEVA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 marzo 2006. Fabio Gambaro, nato a
Milano nel 1958, e' saggista, corrispondente culturale a Parigi per
quotidiani e periodici italiani e francesi (tra cui "La Repubblica" e
"L'espresso), traduttore in francese di rilevanti autori italiani (tra cui
Camilleri, De Luca, Jaeggy). Opere di Fabio Gambaro: Colloquio con Edoardo
Sanguineti: quarant'anni di cultura italiana attraverso i ricordi di un
poeta intellettuale, Anabasi, 1993; Invito a conoscere la neoavanguardia,
Mursia, Milano 1993; Surrealismo, Bibliografica, 1996; Dalla parte degli
editori. Interviste sul lavoro editoriale, Unicopli, Milano 2001; L'Italie
par ses ecrivains, Laura Levi, Paris 2002]

"Il genio femminile nasce da un'individualita' che supera di continuo se
stessa, ma restando capace di condividere la propria esperienza con gli
altri". Psicanalista, semiologa, studiosa di letteratura, Julia Kristeva e'
conosciuta in Italia per i suoi numerosi saggi - da La rivoluzione del
linguaggio poetico a Le nuove malattie dell'anima - ma anche per i due
romanzi Samurai e Una donna decapitata.
A questi titoli si e' aggiunta ultimamente un'appassionante trilogia
dedicata al "genio femminile", in cui ha analizzato l'opera e le
personalita' di Hannah Arendt, Melanie Klein e Colette.
L'editore Donzelli, dopo aver tradotto il volume Colette. Vita di una donna,
ha da poco mandato in libreria quello dedicato alla filosofa scomparsa nel
1975: Hannah Arendt. La vita, le parole (pp. 396, euro 23), opera che ha
ricevuto il premio "Amelia Rosselli 2006" per la creativita' femminile. In
occasione del Premio, Julia Kristeva martedi' 21 marzo sara' a Roma per un
incontro a lei dedicato, cui interverranno tra gli altri Nadia Fusini,
Federica Giardini, Pietro Montani, Elisabetta Rasy e Mariella Gramaglia
(Sala Santa Rita del Comune, ore 17.30).
Per Kristeva, la trilogia sul genio femminile rappresenta l'approdo naturale
di un lungo percorso intellettuale e politico: "Ho partecipato alla terza
stagione del femminismo, quella venuta dopo le suffragette e gli anni di
Simone de Beauvoir. Era il periodo che ha fatto seguito al Sessantotto,
quando il movimento delle donne era focalizzato soprattutto sulla
rivendicazione della differenza femminile", spiega la studiosa nella sua
bella casa di Parigi, proprio di fronte ai giardini del Lussemburgo. "Per
via di questa passata militanza, mi e' stato spesso chiesto di scrivere un
libro sulle donne o sul femminismo. Io pero', sebbene mi sia spesso occupata
di scrittrici, ad esempio Marguerite Duras, o di questioni relative alla
psicanalisi delle donne, non ho mai voluto lanciarmi in un'opera globale
sulla questione femminile. Anche perche', oggi, una divergenza profonda mi
separa dal movimento femminista".
*
- Fabio Gambaro: Quale?
- Julia Kristeva: Tutti i movimenti profetici nati dopo la crisi delle
religioni, si sono illusi di realizzare il paradiso in terra, ponendosi in
un'ottica collettiva. Anche le femministe. Ma volendo liberare un gruppo
umano nella sua totalita', si finisce per ignorare la liberta' individuale.
Come gia' le rivoluzioni passate, anche il movimento femminista ha
dimenticato che la liberta' si declina sempre al singolare. Per me e' una
questione essenziale. Non a caso, mi sento molto vicina alla lezione di Duns
Scoto, il monaco filosofo del medioevo, per il quale verita' e liberta' sono
sempre figlie della singolarita'. Occorre sempre rispettare la specificita',
i desideri e la creativita' d'ogni individuo. Anche il femminismo deve
tenere conto della singolarita', altrimenti rischia di degenerare in un
altro totalitarismo. Ecco perche', piu' che parlare delle donne in generale,
ho preferito ricordare il genio di alcune grandi personalita', genio che
nasce da una singolarita' capace sempre di superarsi.
*
- Fabio Gambaro: Da qui la scelta di Hannah Arendt, Melanie Klein e Colette?
- Julia Kristeva: Dato che mi sono sempre occupata di filosofia, psicanalisi
e letteratura, ho scelto queste tre donne per parlare della vita, della
follia e delle parole. In loro non v'e' nulla dell'eccezionalita' del genio
romantico. Eppure, di fronte alle difficolta' della loro esistenza, hanno
saputo dare il meglio di se stesse, superandosi e fecondando felicemente la
cultura del XX secolo. Sono l'illustrazione perfetta del genio femminile.
*
- Fabio Gambaro: Hannah Arendt pero' sembrava non credere all'idea del
genio...
- Julia Kristeva: E' vero. Ricordava che l'immagine del genio e' nata nel
Rinascimento, quando l'idea del divino, dopo aver conosciuto una crisi
profonda, torna a manifestarsi nelle sembianze del genio umano che libera
l'uomo dalla banalita' e dalla noia. E' l'idea dell'artista eccezionale che
poi dominera' la cultura romantica. Il genio a cui penso io, pero', ha
caratteristiche molto diverse. Le tre personalita' che ho scelto, infatti,
non hanno nulla d'eccezionale e sono capaci di parlare a tutte le donne.
Partendo sempre dalla loro difficile quotidianita', sono riuscite a creare
un'opera lontanissima dall'ordinario, elaborando una riflessione
straordinariamente innovativa. Al contempo, in loro non cessa mai la
preoccupazione del legame con gli altri. Nel genio femminile, infatti, si
esprime sempre un sentimento del sociale, unito alla necessita di rinnovarlo
di continuo. La coscienza della differenza non si traduce mai in solitudine.
Hannah Arendt, evitando di barricarsi nella propria esperienza d'esclusione
e d'esilio, ha cercato di costruire un'opera condivisibile.
*
- Fabio Gambaro: Quali sono le altre caratteristiche del genio femminile?
- Julia Kristeva: Nel genio femminile il pensiero non e' mai separato dal
corpo. Gli uomini tendono a rinchiudersi nei palazzi ossessivi del pensiero
puro, dimenticando il dato dell'esperienza corporea. Hannah Arendt parlava
non a caso della triste tribu' dei filosofi. Per lei, invece, pensare e'
l'unica forma di felicita', proprio perche' la sua riflessione e' sempre
legata a qualcosa di concreto. Per lei, il pensiero e' indissociabile dal
corpo e dall'esperienza con gli altri.
*
- Fabio Gambaro: Il tema del corpo femminile richiama inevitabilmente la
questione della maternita'...
- Julia Kristeva: Per l'autrice delle Origini del totalitarismo, la liberta'
non e' opporsi a una norma, perche' la contestazione e' sempre determinata
da cio' a cui ci si oppone. La vera liberta' nasce nella capacita'
d'iniziativa, e' radicata nella possibilita' di cominciare e ricominciare
sempre. E il fondamento ontologico di tale liberta' risiede nella nascita.
E' proprio perche' nasciamo effimeri, mortali e differenti che siamo liberi.
Tramite la maternita', il corpo femminile diventa una condizione della
liberta'. Tale riflessione andrebbe ricordata a quelle femministe che in
passato hanno considerato la maternita' solo come un aspetto della
sottomissione al potere maschile.
*
- Fabio Gambaro: Del pensiero di Hannah Arendt, piu' che le tematiche
politiche, lei ha sottolineato quelle legate alla vita umana. Perche'?
- Julia Kristeva: Ho cercato di restituire un percorso intellettuale in
tutta la sua complessita'. Le riflessioni politiche di Hannah Arendt sul
totalitarismo e l'antisemitismo non possono essere separate dalla
riflessione filosofico-antropologica sulla condizione umana. La denuncia dei
due totalitarismi nazista e comunista si basa su considerazioni etiche che
nascono dalla comprensione del senso della vita umana. Da qui l'idea che la
vita degli uomini sia sempre un'azione politica.
*
- Fabio Gambaro: Questa riflessione sulla vita umana e' ancora d'attualita'?
- Julia Kristeva: Penso di si', anche perche' alla fine degli anni Sessanta,
la pensatrice tedesca denuncia l'automatizzazione della specie e i rischi di
una societa' ipertecnocratica dominata da un'elite che finisce per escludere
dal benessere gran parte dell'umanita'. Hannah Arendt mette in guardia
contro l'automatizzazione della specie che prepara nuove forme di
totalitarismo. Un monito piu' che mai attuale.
*
- Fabio Gambaro: Il lavoro del pensiero rappresenta un antidoto alla
negazione dell'umanita'?
- Julia Kristeva: Certo. Nella sua riflessione, l'autrice della Vita activa
non valorizza il pensiero che calcola, ma il pensiero che s'interroga. Oggi
abbiamo schematicamente due modelli: il pensiero del calcolo che ci aiuta ad
adattarci alla realta' e quello che si pone sempre nuovi interrogativi, per
non sottomettersi alla dittatura del reale, per sviluppare la liberta' degli
individui e creare nuove relazioni. Noi non abbiamo bisogno di adattarci, ma
d'innovare. In questa prospettiva, la lezione da Hannah Arendt puo' essere
fondamentale. Il suo genio e' la migliore espressione dello spirito europeo
caratterizzato da un pensiero che non rinuncia mai a interrogarsi.

3. MAESTRE. MARIA VITTORIA VITTORI INTERVISTA JULIA KRISTEVA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 22 marzo 2006. Maria Vittoria Vittori e'
critica letteraria, giornalista culturale, saggista, collaboratrice di varie
testate tra cui "Leggendaria"]

"Appetito di pensiero" e' l'espressione, davvero incisiva, che Julia
Kristeva utilizza in riferimento alla filosofa tedesca Hannah Arendt.
Espressione che s'adatta perfettamente anche a colei che l'ha coniata,
linguista e semiologa di fama internazionale, psicoanalista e autrice di
romanzi (I samurai, La donna decapitata). Ed e' proprio l'intreccio di
saperi diversi, interrogati da un fortissimo desiderio di comprendere, a
produrre quel suo inconfondibile timbro di scrittura densamente analitico e
al tempo stesso energetico, capace di sollecitare la mente e il corpo.
Da qualche anno Kristeva sta dedicando la sua attenzione a cio' che
definisce il "genio femminile", ovvero l'eccezionale individualita' di donne
che, nel cuore del tormentato Novecento, si sono confrontate con le
declinazioni fondamentali dell'essere umano quali la vita, la follia, le
parole.
Sono gia' uscite, per la casa editrice Donzelli, le prime due biografie:
Colette. Vita di una donna, la storia di chi ha saputo con amorosa levita'
di stile "dire l'indicibile", e Hannah Arendt. La vita, le parole, il
racconto della filosofa ebrea che, all'ombra del totalitarismo e della
Shoah, si e' dedicata a definire e preservare le ragioni e lo spazio della
vita, mentre e' di prossima uscita Melanie Klein, profilo di un'autentica
pioniera della psicoanalisi infantile. Per questa trilogia Donzelli ha
ricevuto il Premio Amelia Rosselli 2005, destinato all'editoria che
valorizza la scrittura femminile; ed e' in questa occasione che Julia
Kristeva e' venuta a Roma, dove l'abbiamo incontrata.
*
- Maria Vittoria Vittori: La domanda e' d'obbligo per chi ha deciso di
analizzare il genio femminile. Che cosa ha significato per lei l'irrompere
in scena del femminismo?
- Julia Kristeva: Il femminismo e' stato un grande evento culturale nato nel
cuore stesso della civilta'. Per me ha rappresentato la liberazione del
corpo e della mente. Ancor piu' significativa, questa presa di coscienza, in
quanto venivo da un paese comunista come la Bulgaria e avevo l'impressione,
come tutti, che le donne fossero uguali agli uomini. In realta' le donne
erano soltanto lavoratrici e non corpi e menti libere.
*
- Maria Vittoria Vittori: Vent'anni fa scriveva in "Storie d'amore" che
siamo tutti Narcisi alla ricerca di uno spazio psichico che e' stato
abolito. E oggi? A centocinquant'anni dalla nascita di Freud, a che punto e'
la psicoanalisi?
- Julia Kristeva: Siamo tutti alla ricerca dell'amore e ancor di piu' in
questo momento storico in cui non esistono piu' ideali politici e religiosi.
Siamo convinti che la relazione d'amore puo' salvarci. Ma nello stesso tempo
si assiste a cio' che io definisco un'inflazione, una svalutazione, una
marcescenza della relazione amorosa. In questo ambito la psicoanalisi, pur
trovando difficolta' ad imporsi nella nostra societa' dello spettacolo, del
mercato e delle pillole, continua ad occupare un posto unico. Unico perche'
ci ricorda che il legame amoroso e' il fondamento della vita, ma puo' essere
anche violenza e delirio; perche' mantiene un aspetto di interrogazione
sulla coppia, omo o etero che sia, e un'apertura non solo verso la vita
intima e familiare ma anche verso la vita sociale. Dove c'e' interrogazione
il dibattito continua e questo mi da' speranza sul ruolo della psicoanalisi
nella crisi della civilta' contemporanea.
*
- Maria Vittoria Vittori: Veniamo al genio femminile. Da questo suo lavoro
di analisi e' emersa qualche particolarita'?
- Julia Kristeva: Mi sono interessata al genio femminile per fare appello
all'individualita' di ogni donna. E' il migliore antidoto alle
massificazioni. Ho cercato di capire perche' Colette, Arendt, Klein sono
uniche, ma nel far questo ho cercato di trovare anche rimandi e incroci tra
loro. Sono emerse alcune particolarita' interessanti: la prima e' il
rapporto con l'oggetto, il richiamo all'altro che le donne, per quanto
narcisistiche possano essere, riescono comunque a conservare. E se gli
uomini tendono a rinchiudersi nel pensiero intellettuale come in una torre
d'avorio, nelle donne e' sempre forte il rapporto con il corpo, con la vita
fisica. Anche la relazione con il tempo e' sensibilmente diversa: il tempo
che per la filosofia e la religione conduce inesorabilmente alla morte
diventa, piu' frequentemente per le donne, nascita e possibilita' di inizio.
*
- Maria Vittoria Vittori: Lei scrive che l'acutezza apocalittica della
Arendt non ha smesso di essere estremamente attuale.
- Julia Kristeva: Quando la Arendt mise sullo stesso piano il totalitarismo
nazista e quello stalinista provoco' un vero e proprio scandalo. Ma cio' che
questi regimi avevano in comune e' l'aver annullato la capacita' di pensare,
l'aver dichiarato la superfluita' della vita umana. Dopo il totalitarismo,
il pericolo non e' finito. C'e' l'automazione della specie, ovvero il
dominio della tecnica che segue lo stesso percorso diretto alla
banalizzazione e, in definitiva, all'abolizione del pensiero. L'acutezza
apocalittica sta proprio in questo: ha saputo vedere nel totalitarismo il
precursore della massificazione che vuole annullare il pensiero, e della
globalizzazione che condanna intere popolazioni del mondo a vivere al di
fuori della storia. Come rifiuti della storia.
*
- Maria Vittoria Vittori: Per la Arendt le garanzie di una possibile
rinascita individuale e collettiva sono il perdono e la promessa. Ritiene
che queste modalita' abbiano possibilita', se non diritto di cittadinanza,
nella nostra societa' e nel nostro tempo?
- Julia Kristeva: Mi sono occupata di questa problematica: il mio ultimo
libro s'intitola "Odio e per/dono". Non nel senso religioso, ma nella forma
laica che ne discende e che e' l'interpretazione psicoanalitica: la
possibilita' di dar senso al dolore, al malessere, al fallimento. Non si
puo' cancellare il male, ma lo si puo' comprendere, attraversare in tanti
modi. Per quanto riguarda cio' che la Arendt definiva l'altro dispositivo
della vita pubblica, la promessa, giusto domenica scorsa, durante una
conferenza che ho tenuto a Notre Dame, mi sono interrogata sulla promessa di
Cristo. La promessa di Cristo e' la resurrezione, la possibilita' di
rinascere. Ma dopo la morte di Dio non abbiamo altra promessa al di fuori
della solidarieta': che e' possibile solo se siamo capaci di reinventare
l'umanesimo. Siamo ancora lontani da questo.

4. MAESTRE. JULIA KRISTEVA: HANNAH ARENDT DI FRONTE AL TOTALITARISMO
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 2 dicembre 2005 riprendiamo la seguente
anticipazione tratta dal libro di Julia Kristeva, Hannah Arendt La vita, le
parole, Donzelli, Roma 2005, pp. 296, euro 23]

Hannah Arendt deve la propria celebrita' all'opera di antropologia politica
intitolata Le origini del totalitarismo. Il saggio cerca di descrivere la
cristallizzazione di un male assoluto: l'idea e la sua pratica attuazione
nel XX secolo che l'umanita' sia superflua. Facendo leva sull'economia, la
politica, la sociologia, persino sulla psicologia sociale, attingendo alla
letteratura e alla filosofia, la Arendt racconta una Storia fatta di storie
personali e collettive: i "dati" transitano attraverso l'immaginario e sono
strumentalizzati dall'ideologia piu' mortifera che l'umanita' abbia mai
conosciuto, poiche' arriva al punto di decretare che alcuni essere umani
sono superflui. Alcuni, oppure, sotto la spinta dell'utilitarismo e
dell'automazione e a lungo andare tutti gli esseri umani? Questo e' il
timore, per nulla dissimulato, della Arendt.
*
L'ambizione di rintracciare le "origini" o la "natura" di tale orrore e'
temperata dalla sua perspicacia intellettuale: poiche' la categoria della
"causalita'" e' estranea al campo delle discipline storiche e politiche,
bisogna individuare alcuni "elementi" che divengono una "origine degli
eventi solo quando si cristallizzano in forme fisse e definite. Allora, e
solo allora, sara' possibile seguire all'indietro la loro storia. L'evento
illumina il suo stesso passato, ma non puo' mai essere dedotto da esso".
L'autrice ammette dunque che la "cristallizzazione", da lei individuata
ripercorrendo gli eventi a ritroso, alla ricerca nel passato degli
"elementi" premonitori, e' simile a un processo dell'immaginazione. Stendhal
non parlava forse della nascita dell'amore come di una "cristallizzazione"?
Per altro verso, rivela che la sua intenzione era quella di fornire gli
"elementi" (the elementar structure) "che alla fine si cristallizzano" nel
totalitarismo. Claude Levi-Strauss aveva appena pubblicato Le strutture
elementari della parentela (1949) e lo strutturalismo cominciava ad assumere
importanza, analizzando gli elementi costitutivi del "pensiero selvaggio".
*
Solo lo sfociare parossistico degli "elementi" in "eventi" porta a indicare
i primi come ingredienti dei secondi. Quanto al processo della
"cristallizzazione" in se', il ricercatore non puo' che raccontarne la
storia, basata su fatti incontestabili, e su interpretazioni determinate
dalle proprie personali implicazioni, dalle proprie scelte politiche e dai
propri giudizi personali, che non sono direttamente morali ma dipendono da
una serie di parametri. La Arendt ha rifiutato ogni "impegno" alla maniera
di Sartre o di qualunque altra "nuova sinistra", per rivendicare unicamente
il ruolo dello "spettatore" esterno all'azione; solo lo spettatore puo'
giudicarla con imparzialita': e' questa la condizione necessaria che
permette al giudizio di diventare un'azione, la piu' pertinente di tutte. La
lucidita' della Arendt su tale conseguenza, la sua passione per la verita',
rivelata come se fosse al tempo stesso una verita' personale (quella di
un'ebrea sfuggita alla Shoah) e una necessita' storica universale (quella
del giudizio piu' informato e piu' rigoroso, perche' non si limita a essere
coerente, ma si basa su un imperativo morale che altro non e' che l'amore
per il prossimo), fanno di questo libro una testimonianza unica. Oggi, a
distanza di tempo, senza trascurare la pertinenza delle analisi storiche e
il vigore del pamphlet moralista - salutati o criticati fin dalla
pubblicazione - la qualita' essenziale di questo testo ci sembra consistere
prima di tutto nell'arte di raccontare il romanzo del secolo. Le origini del
totalitarismo si presenta infatti come una serie di storie individuali e
collettive intervallate dalla storia personale della narratrice, anche lei
alle prese con la "cristallizzazione".
*
"La parola 'ebreo' non veniva usata quando ero bambina", ricorda Hannah
Arendt in un'intervista. Allevata da una madre che "non era affatto
religiosa", ebbe una "illuminazione" sulla sua identita' di ebrea solo
ascoltanto le battute antisemite dei bambini per strada, mentre la
raccomandazione materna era, in quei casi, di non abbassare la testa, ma di
difendersi. Martha prendeva piu' sul serio le affermazioni antisemite dei
professori di liceo: "Avevo l'ordine di alzarmi immediatamente, abbandonare
la classe, tornare a casa e fare un resoconto dettagliato [zu Protokoll
(...) geben] di cio' che era avvenuto". La madre scriveva allora una delle
sue numerose lettere di protesta, e Hannah godeva di un giorno di vacanza.
*
Accettare che si affermi qui una definizione laica, non religiosa,
dell'identita' ebraica si rivela insufficiente: io non mi definisco come
qualcuno che condivide una religione, ma accetto la mia identita'
difendendomi da sola, e io scrivo - noi scriviamo - a chi di diritto,
perche' io credo - noi crediamo - che sia possibile giudicare le
ingiustizie. In uno scambio di opinioni ormai celebre con Scholem, dopo lo
scandalo suscitato dal suo resoconto del processo a Eichmann, la Arendt
respinge un presunto rifiuto laico della religione di cui alcuni sionisti si
servivano con l'obiettivo piu' o meno confessato di trasferire in realta' lo
spirito religioso al culto dello Stato o del popolo provvidenziali: senza
Dio, il popolo e' il nostro Dio. Contraria a tale atteggiamento, sostiene
una posizione originale: rifiutando il nichilismo, per lei e' importante
ripensare la tradizione ("credere in Dio") interrogando continuamente la
trascendenza. Questa e', secondo la Arendt, la condizione indispensabile
perche' ogni individuo sia rispettato e possa rinascere all'interno di una
comunita' politica plurale.
*
Pur tenendo conto del fatto che nasciamo a ogni atto del nostro pensiero, la
Arendt si vide segnata dall'educazione dei genitori e dalla lingua materna.
A cio' si aggiunge la convinzione che l'ebraicita' sia "un dato di fatto",
siano "fattezze": il che la fa apparire tale nello spazio, sempre politico,
degli altri. Ne' determinazione biologica, sulla quale non si dilunga mai
(probabilmente la considerava una semplice zoe che ogni essere vivente, per
umanizzarsi, deve trasformare in bios) ne' particolarita' psicologica (che
chiama "vizio", accusando gli ebrei assimilati e i loro assimilatori
falsamente filosemiti di compiacersene per meglio braccare l'intruso, una
volta arrivato il momento), l'ebraicita' e' uno di quei doni che si ricevono
alla nascita, per i quali si deve essere riconoscenti e sui quali e'
opportuno riflettere e giudicare. E' quello che la Arendt definisce un
"problema politico": "Lei mi chiede se sono tedesca o ebrea. Per essere
onesta, devo dire che da un punto di vista individuale e personale, la cosa
mi e' del tutto indifferente (...); sul piano politico, parlero' sempre
soltanto a nome degli ebrei", scrive a Jaspers. Piu' avanti, ribadisce la
propria posizione: "Ora l'appartenenza all'ebraismo era diventata anche per
me un problema, e questo problema era un problema politico: puramente
politico!". Impietosa con i nemici del popolo ebraico, non lo e' di meno con
i suoi pari: il caso Eichmann ne sara' la prova.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 67 del 2 aprile 2006

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