Nonviolenza. Femminile plurale. 55



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 55 del 16 marzo 2006

In questo numero:
1. "Usciamo dal silenzio": Lettera all'Unione
2. Paolo Finzi ricorda Luce Fabbri
3. Guido Caldiron intervista Anita Desai
4. Anna Maria Merlo presenta "Le livre noir de la condition des femmes"

1. APPELLI. "USCIAMO DAL SILENZIO": LETTERA ALL'UNIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2006 riprendiamo questo
intervento dell'assemblea delle donne "Usciamo dal silenzio"]

La manifestazione di Milano del 14 gennaio 2006 e' nata sotto la spinta di
un'insofferenza che andava molto oltre la difesa della legge 194, della
laicita' dello stato e di altre essenziali liberta' individuali. I due
slogan piu' gridati nel corso della manifestazione del 14 gennaio - "nessuno
decida piu' per noi" e "siamo uscite dal silenzio", hanno indicato quali
sono i punti irrinunciabili di un soggetto politico che realizza oggi un
nuovo incontro, ma certo non nasce oggi alla vita pubblica e nemmeno alla
parola, un soggetto formato da una molteplicita' di singole, ma anche da
gruppi e associazioni, che ha dietro di se' piu' di un secolo di storia e di
fronte una comunita' di uomini tenacemente aggrappati ai loro poteri, ai
loro pregiudizi, alla loro maschera, sempre piu' traballante, di
neutralita'.
Fondamentale per noi diventa percio' che venga ripensata alla radice la
collocazione che la politica maschile da sempre ha riservato alla donna:
soggetto esterno/estraneo al contratto sociale, vincolata al suo stato
biologico e alla funzione riproduttiva, individualita' imperfetta e percio'
costretta a vivere della relazione con l'altro: moglie di, madre di, figlia
di; questa stessa ottica colloca adesso la donna, arrivata ultima alla scena
pubblica, nell'elenco dei gruppi sociali considerati soggetti deboli,
svantaggiati, da proteggere e tutelare.
La nostra critica al programma dell'Unione parte da qui, ovvero
dall'assoluta continuita' che dimostra con la logica della donna soggetto
debole, rifiutando di vedere cio' che invece noi vediamo e abbiamo mostrato
nelle piazze di questi mesi, e cioo' che le donne sono la meta' del mondo
che sceglie liberamente ed esercita responsabilita' e non possono certo
essere ridotte a "questione femminile".
Il programma dell'Unione ci ha innanzitutto stupefatto per il tradimento
dell'impegno gia' assunto sui Pacs, che ci allontana dall'Europa laica e
ignora quanto la liberta' delle persone si sia fatta strada, quanto i
soggetti diano importanza all'amore e all'autodeterminazione anche quando
cio' non rientra nelle convenzioni e negli istituti sociali previsti. Ma
anche la frammentarieta' sui temi del lavoro e l'accento familista sulle
politiche sociali motivano la nostra critica.
E' uno schema che non vede che le donne, quando parlano di lavoro, dicono
delle condizioni dell'esistenza e rivendicano il nesso necessario tra
liberta' di scegliere e liberta' di essere; cosi' quando parlano di salute
riproduttiva non difendono solo la legge 194, ma partono dalla
consapevolezza che la liberta' di disporre del proprio corpo e' alla base di
tutte le liberta' e della liberta' di tutti.
Le donne giudicano oggi punto irrinunciabile e preliminare un'effettiva
eguaglianza di statuto tra uomini e donne nella sfera politica,
istituzionale e sociale e ritengono inderogabile l'impegno a adottare misure
immediate per il conseguimento della pari presenza in tutti i campi
decisionali a partire dal governo del paese.
Su questo orizzonte le donne che hanno manifestato a Milano, a Roma e a
Napoli hanno detto chiaramente che dagli uomini non vogliono solidarieta',
ma l'impegno a volgere lo sguardo su di se', a interrogare la propria
storia, a riconoscere i nessi tra logiche di guerra, modi della politica,
modelli di produzione e consumo. Qualcuno lo ha fatto, in una relazione di
condivisione e corresponsabilita' che - insieme alla forte presa di parola
delle donne piu' giovani e delle donne straniere e' uno dei segni di novita'
delle piazze di questi mesi.
Su tutto questo l'assemblea delle donne "Usciamo dal silenzio" vuole
confrontarsi con le eleggibili e gli eleggibili dell'Unione: forma questa
imposta da una pessima legge elettorale che espropria gli elettori, che
delega ai soli partiti la definizione del Parlamento, che ha visto, nella
formazione delle liste, una miserevole rappresentazione della presenza di
genere.
Vi chiediamo percio' di uscire dal silenzio, a partire dalla prima,
fondamentale domanda sul significato che per ciascuna e ciascuno di voi
hanno avuto le manifestazioni del 14 gennaio e dell'11 febbraio. Vi
invitiamo anche a collegare questo quesito con l'agenda proposta
dall'elaborazione dei gruppi di lavoro che l'assemblea "Usciamo dal
silenzio" si e' data, per meglio riflettere su alcune delle questioni chiave
emerse negli incontri di questi mesi e dalla piazza del 14 gennaio.
E' questo il primo passo di un impegno che noi esigiamo: e cioe' il
confronto costante con gruppi e movimenti esistenti, partendo dal
presupposto che si tratta di pratiche politiche che vanno riconosciute,
sostenute e considerate. E che giudicheranno, passo passo e in piena
autonomia di giudizio, le scelte che voi compirete.
L'assemblea delle donne "Usciamo dal silenzio" di Milano

2. MEMORIA. PAOLO FINZI RICORDA LUCE FABBRI
[Da "A. rivista anarchica", anno XXXVI, n. 315, marzo 2006 (disponibile
anche nel sito www.arivista.org) riprendiamo il seguente intervento (svolto
a braccio, e nella trascrizione se ne avverte tutta la vivacita', la
vividezza) di Paolo Finzi a un convegno su Luigi e Luce Fabbri tenutosi a
Fabriano lo scorso novembre.
Paolo Finzi (Milano, 1951) giornalista e saggista, politologo e
conferenziere, e' una delle figure piu' prestigiose e autorevoli della
cultura libertaria in Italia; fa parte della redazione di "A. rivista
anarchica" fin dalla sua fondazione nel 1971. Tra le opere di Paolo Finzi:
La nota persona. Errico Malatesta in Italia, La Fiaccola, Ragusa 1990;
Insuscettibile di ravvedimento. L'anarchico Alfonso Failla (1906-1986), La
Fiaccola, Ragusa 1993; amico fraterno di Fabrizio De Andre' fin dal 1974, ha
pubblicato, dopo la sua morte, il dossier "Signora liberta', signorina
anarchia" (2000), il cd "Ed avevamo gli occhi troppo belli" (2001), il dvd
"Ma la divisa di un altro colore" (2003) e il doppio cd "Mille papaveri
rossi" (2004), tutti dedicati alla figura del cantautore genovese.
Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e
generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e
della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande
militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929
in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America
Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente
molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla
fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre
limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio
segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti in
questo foglio riproposta. Tra le sue opere in volume ed in opuscolo
segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos
Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la
revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de
Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore,
Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali,
Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union
Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo
e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni
Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL,
Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la
historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962;
El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos
Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una
strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la
historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona
1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo
1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica
letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense
(1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della
letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena &
Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad
de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati
nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli
interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli
traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra
cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e
l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce
Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce
Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41
(disponibile anche nel sito: www.arivista.org)]

Diamo a Cesare quel che e' di Cesare: la rivista anarchica "A", di cui
appunto mi occupo dalla preistoria, cioe' dal 1971 (quando e' nata), in
realta' ha preso un po' il posto in qualche maniera di "Volonta'", prima che
"Volonta'" chiudesse, in tempi diversi e ruoli diversi. Ma forse non e' un
caso che la collaborazione di Luce con "Volonta'", che con tanto acume ha
appena analizzato Lorenzo, si sia spostata in forme diverse sulla rivista
"A".
Ma - dicevo - diamo a Cesare quel che e' di Cesare, e io trovo giusto
ricordare che e' grazie a tre compagni, tutti e tre qui presenti, Gianpiero
Landi, Cristina Valenti e Massimo Ortalli, se Luce si e' espressa sulla
rivista. Questo e' certo avvenuto nell'ambito di un rapporto che si e'
stabilito anche con me quando e' venuta a Milano, chiacchierate lunghe, ecc.
Se un rimpianto ho, personalmente, e senza nessun culto della personalita',
e' esattamente nella linea di quello che sottolineava prima Lorenzo rispetto
al gruppo milanese di cui io allora, giovane, giovanissimo, facevo parte,
che nello scoprire, o forse riscoprire, il tema della tecnoburocrazia non
dette a Luce quello che era di Luce (e invece lo dette ad altri).
In realta' quello che penso e' che se anch'io allora avessi colto, e negli
anni successivi soprattutto, mentre gli anni passavano e la maturita'
cresceva, se avessi colto allora l'importanza di Luce, mi sarei dato molto
piu' da fare, e prima, per cercare di averla come collaboratrice.
In effetti io sono pienamente d'accordo con Lorenzo, sono convinto che Luce
sia una persona assolutamente eccezionale, anche nella storia del movimento
anarchico.
*
Oltre Malatesta, oltre Luce
Tante considerazioni: sul piano umano parlare con lei voleva dire avere
davanti l'intera storia del movimento anarchico, perche' lei era nata nel
1908, ma era figlia, e in quale modo, di Luigi Fabbri e aveva giocato da
piccola al meccano con Malatesta. E aveva respirato quest'aria anarchica fin
da bambina. Questi erano dati esistenziali, dati biografici. Ma soprattutto
Luce aveva saputo filtrare, col cuore e col cervello, aveva saputo
distillare il meglio dell'anarchismo.
Non basta essere figli di Luigi Fabbri, non basta essere stata a cinque anni
sulle ginocchia di Malatesta, e' gia' un bel privilegio. Ma Luce e' andata
ben oltre, Luce non e' solo la figlia di Luigi Fabbri, e' anche la figlia di
Luigi Fabbri. Ma Luce e' Luce Fabbri.
E' andata, e questa e' gia' una prima grossa lezione che ci ha dato, lei e'
andata, a mio avviso personale, oltre Malatesta, e' andata oltre Luigi
Fabbri, e ci ha insegnato che noi dobbiamo andare oltre Luce Fabbri. Ci ha
insegnato una continuita' di pensiero saldamente radicata nell'anarchismo
che in Luce non viene mai messo in discussione.
Ma l'anarchismo per lei non e' mai un dogma, non e' un principio religioso:
e questo lo si vede, grande differenza rispetto ad altri anarchici, anche
bravi, anche interessanti, proprio dal suo rapporto con gli altri, con gli
altri filoni di pensiero, con le altre forze politiche.
In Luce c'e', se vogliamo usare delle parole grosse, che forse aiutano a
capire, c'e' di sicuro l'orgoglio dell'essere anarchici, ma non c'e' la
spocchia, che invece tante volte c'e' fra gli anarchici, la convinzione che
noi abbiamo la verita' in tasca, il ripetere gli slogan.
Noi adesso, in questo convegno, parlando di Luce e di Luigi Fabbri,
chiaramente abbiamo parlato della parte diciamo migliore, che io
personalmente definisco migliore, del movimento anarchico. Noi sappiamo bene
che nell'anarchismo, piccolo movimento, convivono tante anime, tante
posizioni, tante polemiche.
Luce e' stata anche un esempio, forse favorita dal distacco uruguaiano,
forse, pero' in realta' il "distacco uruguaiano" e' solo un distacco
rispetto all'Italia. Ma Luce e' militante anarchica in Uruguay, partecipa ai
dibattiti, alle discussioni, penso solo a quella cosi' importante, ancor
piu' importante che da noi, cosi' importante in Sud America sul castrismo.
Luce e', voglio dire, lontana da Roma, da Fabriano e da Milano, ma forse un
po' piu' vicina a Cuba, piu' vicina ai problemi dell'America Latina.
E Luce e' tutta dentro a questa dimensione anarchica, militante, ma senza un
atteggiamento di superiorita' che in realta' spesso poi e' la scusa per non
approfondire le cose. Lorenzo Pezzica ci ha parlato prima dell'attenzione di
Luce a studiosi a pensatori di altri filoni di pensiero.
E anche rispetto ai sacri principi dell'anarchismo, in Luce c'e', almeno io
personalmente ho ritrovato, un'adesione sempre con una riflessione
rinnovata, niente viene dato per scontato e questa e' una cosa, a mio
avviso, molto importante.
Una piccola considerazione, che val la pena fare, e' che Luce e' una donna e
anche in un movimento, come quello anarchico, libero, libertario, piu'
avanti di tutti in tutto, in realta' sappiamo che il ruolo della donna ha
faticato a farsi spazio. Guardiamo le foto dei gruppi anarchici degli anni
Cinquanta e Sessanta, guardiamo anche l'oggi: uomini, uomini, uomini,
qualche compagna, poche eccezioni, Giovanna Caleffi Berneri, una donna, una
persona importante, anche lei forse non valutata sufficientemente, ne' in
vita, ne' dopo, secondo me. Come Luce e come poche altre.
E' vero che lei era la figlia di Luigi Fabbri, ma questo poteva essere, era
certamente un vantaggio in termini esistenziali, ma poteva anche essere un
aspetto negativo. Luce e' andata oltre e si e' proposta come una persona con
una sua personalita'. Se si legge il suo libro, quel bellissimo libro, la
biografia del padre, ci sarebbe da fare una relazione, io non sarei
assolutamente in grado, ma varrebbe la pena di riflettere solo sul rapporto,
su questa bellissima storia di un rapporto fra un padre e una figlia.
E' bellissima. e' bellissima perche' non c'e' sudditanza da parte di Luce e
c'e' quindi un rapporto veramente invidiabile. Invidiabile e' un termine che
io personalmente ho usato quando e' morta Luce e scrissi sulla rivista "A"
un pezzetto e mi ricordo che dissi che non riuscivo ad essere triste, poi
ognuno ha il rapporto che vuole con la morte voglio dire, ma rispetto alla
scomparsa di Luce mi sembrava che questa donna avesse avuto una vita cosi'
piena, certo piena anche di sofferenze, piena di dolori, insomma una vita di
novanta e passa anni quindi non puo' essere una vira facile, e poi l'esilio
e tutto quel che sappiamo.
Pero' talmente ricca in termini intellettuali e contemporaneamente in
termini affettivi che, certo mi dispiaceva pensare che da quel momento non
ci sarebbe stata piu', ma aveva dato talmente tanto e aveva vissuto talmente
tanto, che mi aveva dato umanamente l'impressione di essere cosciente di
questa ricchezza della sua vita, che non riuscivo a provare tristezza ma
invece, non dico gioia perche' e' un termine stupido in questo caso, ma la
coscienza che veramente era una persona che aveva segnato di se', anche se
non sufficientemente apprezzata, la cultura, la cultura dell'anarchismo, ma
anche la Cultura quella con la "C" maiuscola che non e' dell'anarchismo, ne'
del non-anarchismo, ma e' un patrimonio generale dell'umanita'.
*
Una concezione alta
Cio' che a me interessa qui sottolineare e', oltre la sua ricca umanita', la
capacita' critica, il pensiero, ecc.: il fatto che Luce abbia saputo porsi
come un punto di equilibrio alto in un movimento come quello anarchico, che
fatica spesso a trovare questo punto di equilibrio. Un punto di equilibrio
alto, riconosciuto quasi universalmente all'interno del nostro ambiente e'
quello raggiunto da Malatesta, e non e' solo un aspetto etico, ma anche
sugli aspetti politici. I soliti vecchi, ma radicati dibattiti fra gli
anarchici, fra individualismo e organizzazione, fra violenza e nonviolenza,
mezzi-fini, fra sindacalismo, modalita' del sindacalismo, ecc. Rispetto a
questi temi Luce ha detto delle cose assolutamente sensate con cui uno puo'
essere piu' o meno d'accordo. Ma quello che mi interessa e' la metodologia
del suo intervento e la serenita' del suo modo di porsi di fronte alle cose.
Mi ricordo le discussioni sulla partecipazione degli anarchici al governo
durante l'esperienza spagnola, si poteva essere d'accordo o meno con lei, ma
il suo modo, sempre col cervello e col cuore, con l'equilibrio, con il
rispetto, con la coscienza che altro era discutere come facevamo noi seduti
su una poltrona, o forse anche su una sedia a Montevideo, ed altro era
esserci, senza peraltro ritenere che solo per il fatto che gli altri fossero
stati allora nel cuore della lotta avevano ragione. Difficili equilibri...
chi conosce un po' la storia, i dibattiti fra gli anarchici, capisce che
cosa intendo.
Un movimento come il nostro che ha spesso perso tempo, energie e ha sofferto
per questa mancanza di equilibrio, penso solo ad alcune drammatiche vicende
del movimento anarchico argentino, che tanto angustiarono il padre Luigi,
Luce e tutti gli anarchici di buonsenso. Momenti proprio di scontro, anche
violento, fra compagni, rispetto al quale era difficile prendere posizioni,
dire parole sensate. Ma dai Fabbri, in questo caso Luigi e poi Luce, vennero
parole di buonsenso e l'indicazione di un metodo.
Quello che voglio dire e' che Luce Fabbri e' una di quelle persone della
quale andare veramente fieri.
Mi ricordo una notte, per caso io spesso sento la radio, sara' stata una
decina d'anni fa, una quindicina d'anni fa, a mezzanotte, a Rai Uno, sentii
per caso un'intervista a Luce Fabbri che veniva intervistata sugli italiani
che onoravano l'Italia all'estero. Quindi a Montevideo intervista a Luce
Fabbri. Era una cosa che sentii casualmente, una trasmissione assolutamente
alta, Luce Fabbri non fece propaganda anarchica, cito' solo una volta il
fatto dell'anarchismo, parlo' di Machiavelli, parlo' di altre cose, ecc.
Era veramente una persona assolutamente spendibile nei rapporti con gli
altri: mai autoreferenziale, mai chiusa nel mondo degli anarchici. Quindi la
riflessione di Luce e' una riflessione che ci interessa come anarchici, ma
vorrei dire che quasi sempre e' aperta anche all'interesse degli altri. E se
ci pensiamo bene, ci sono altri anarchici e anarchiche che hanno svolto
questo tipo di riflessione, ma non tanti.
Spesso i nostri dibattiti, e qui mi rivolgo proprio direttamente ai
compagni, ai militanti anarchici, hanno un sapore di deja' vu e di una cosa
tutto sommato interna al movimento. Luce aveva proprio questa alta
concezione del movimento che era tale proprio perche' il movimento
anarchico, specifico, la "militancia anarquista" era vista in un contesto
piu' generale. In Luce, Machiavelli e Malatesta erano parte della stessa
cultura. Adesso ho citato Machiavelli come un esempio della cultura, della
tradizione culturale italiana, ma anche internazionale.
In questo senso il discorso delle fonti e' fondamentale: Luce e' una persona
con una grande apertura mentale, una persona che sa che per cambiare il
mondo, per costruire una prospettiva diversa, l'anarchismo e' fondamentale,
originale e unico, ma non e' sufficiente.
L'anarchismo ha senso in relazione con gli altri filoni di pensiero. Questo
almeno e' quello che io ho capito personalmente dalle chiacchierate con
Luce.
Vorrei fare un'altra considerazione, senza nessun mito del giovanilismo. Io
ho conosciuto Luce che aveva circa settant'anni, era vecchia, una
vecchiettina, sembrava una vecchia maestra elementare piu' che un'insegnante
universitaria, nel mio ricordo. E nel ricordo mio personale, affettivo, la
lego fisicamente, diverse le altezze, ma stessa la tipologia del
personaggio, a Emma Neri Garavini; bellissima figura, anch'essa citata
stamattina, del movimento anarchico di lingua italiana. E Luce aveva dietro
di se', dentro di se', centotrenta, centoquarant'anni di storia
dell'anarchismo distillata, ma era giovane, era aperta.
A volte qualcuno di noi ha un pezzo di carta che gli ricorda qualcosa nella
vita, io ho passato un'ora alla Mostra del motociclo per aver la firma del
motociclista Max Biaggi per mio figlio - allora bambino - che era
entusiasta. Io invece ho un altro pezzettino di carta, ho una e-mail che mi
ha mandato Luce e mi diceva "Caro Paolo" - non credo l'abbia fatto per
scelta, credo sia stata una casualita' - "questa e' la prima e-mail che
mando".
In genere i vecchi hanno un atteggiamento, anche comprensibile, ce l'ho
anch'io che inizio ad entrare nella fascia d'eta' "si stava meglio quando si
stava peggio...", e c'e' una certa chiusura, l'sms, il telefonino, c'e'
questo atteggiamento... Luce Fabbri, di fronte all'e-mail, impara, vuole
imparare e comincia ad usare l'e-mail. Nessuna, ripeto nessuna cosa mitica,
pero' e' importante, e' il segno dell'apertura, e' il corrispettivo in un
certo campo della sua apertura mentale generale. E questa e' un'altra
lezione importante, riuscire ad invecchiare, sul piano personale, senza
legarsi alle proprie esperienze passate.
Non pochi vecchi compagni, anche quelli che io ho amato tanto, eccetera...
che mi hanno formato e che hanno formato la nostra generazione del
Sessantotto, erano un po' "due palle", erano un po' "la Spagna, la
Resistenza", e a volte un po' fissi in questo. Ne avevano tutte le ragioni
esistenziali, certo, ma...
Luce no. Luce, e pochi altri, no. Non era un reduce. Non ti faceva pesare
quella sua esperienza che ti trasmetteva, e ti stava a sentire. Io me la
voglio immaginare, inventandomi la situazione, parlare con un punk e cercare
di capire le sue ragioni, perche' cosi' io ricordo Luce Fabbri. Come una
persona aperta.
*
Da Tokyo a Montevideo
Vorrei aprire una parentesi che non c'entra assolutamente niente, che qui
pero' poi forse c'entra. C'e' una persona che non e' qui presente, e che
avrebbe voluto esser presente.
In questi due giorni noi abbiamo parlato molto di Italia, Francia,
Argentina, Uruguay. Bene: questa persona e' invece una giapponese e si
chiama Misato Toda. Datemi un minuto, per quelli che non lo sanno, per
spiegare chi e'.
Sessantasei, sessantasette anni, giapponese, ora in pensione, ma prima
docente all'Universita' delle Donne di Tokyo, anarchica e buddista zen.
Questa persona trent'anni fa, aveva trentacinque anni cosi', aveva simpatie
per gli anarchici, passeggia in un giardino pubblico di Tokyo e vede un
opuscoletto in giapponese di Malatesta, lo legge e dice: "Quest'uomo e'
eccezionale", lei non sapeva neanche che fosse morto, dice: "Io devo
conoscerlo". A questo punto questa donna, mia carissima amica e persona a
mio avviso eccezionale, decide di studiare l'italiano, perche' Malatesta e'
italiano, lei e' giapponese e dice: "Ma avra' scritto qualcos'altro, intanto
cerco di informarmi...", e studia, studia Malatesta.
Questa donna che non e' stata a cinque anni sulle ginocchia di Malatesta
come Luce Fabbri, sta in Giappone. Studia l'italiano, viene a Milano nel
1976 quando a Venezia c'e' il Convegno internazionale su Bakunin, viene in
Italia, prende contatti con me, con Pier Carlo Masini, con questo, con
quell'altro, si stabilisce per dei periodi in Italia e con l'Universita'
degli Studi Orientali di Napoli pubblica anche un libro, in italiano, su una
fase giovanile di Malatesta. Spesso e' a casa mia. Ad un certo punto le
parlo di Luce Fabbri e lei, diciamo, si illumina e dice: "Io devo andarla a
trovare". E a questo punto si organizza, contatta Luce Fabbri per posta e va
a Montevideo... "Io devo conoscerla prima che scompaia", visto che gia'
allora aveva una discreta eta'. E nasce una grande amicizia fra le due. Fra
questa anarchica giapponese, buddista zen, che ripeto ha conosciuto
Malatesta leggendo un opuscoletto nei giardinetti, e quest'altra che era la
"nipote" di Malatesta, eccetera.
*
Potenzialita' inalterate
Ho raccontato questo semplicemente per dire due cose.
Primo, se una donna come Luce e' riuscita ad entusiasmare una mia amica come
Misato, di cui vi ho dato questi brevi tratti biografici, ma che vi danno
certamente la particolarita', se non l'eccezionalita' di un percorso umano,
vuol dire che Luce sapeva veramente trasmettere, al di la' di quello che
aveva vissuto, al di la' del termine "tecnoburocrazia", al di la' di quello
che aveva scritto, sapeva veramente influenzare le altre persone.
Seconda considerazione, per cui ho citato questa breve storia (me l'ero
segnata): e' perche' Misato, l'ho sentita tre, quattro settimane fa, non
sapeva niente di questo convegno, appena l'ha saputo mi ha mandato una mail
dicendo: "ma io sono iscritta negli stessi giorni ad un convegno qui in
Giappone, d'altra parte mi sono gia' iscritta, ho pagato, ma rinuncio a
tutto, prenotami la pensione perche' vengo". Purtroppo ha avuto un'emiparesi
sul lato sinistro, e' attualmente ricoverata in ospedale, ma sta meglio. Poi
le mandero', credo in maniera non abusiva, a nome del convegno due righe di
saluto perche' questo so che farebbe piacere anche a Luce Fabbri.
Avrei altre cose da dire, ma ci tengo a restare nel tempo assegnatoci.
Spogliandomi dei panni ufficiali del "relatore" e vestendo quelli del
"compagno tra il pubblico", un po' anticipando il dibattito che spero ci
sara', voglio solo esprimere il mio dissenso da una cosa sostenuta dal mio
caro amico Lorenzo Pezzica, e cioe' che con la Spagna si chiuda
definitivamente la fase "rivoluzionaria" dell'anarchismo. Avremo occasione
di riparlarne. Ma resto convinto del fatto che anche in un mondo cosi'
diverso da quello in cui nacque e si sviluppo' l'anarchismo, quest'ultimo
mantenga sostanzialmente inalterate le proprie potenzialita' di
trasformazione della societa'.
Grazie.

3. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA ANITA DESAI
[Dal quotidiano "Liberazione" del 4 marzo 2006.
Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli
squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les
chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale,
Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002.
Anita Desai, scrittrice indiana, nata a Mussorjee nel 1937 da madre tedesca
e padre bengalese, e' cresciuta e ha studiato a Delhi; vive tra l'India e
gli Stati Uniti. Tra le opere di Anita Desai: Il villaggio vicino al mare,
Sei, Torino 1987, poi in nuova traduzione Il villaggio sul mare, Einaudi,
Torino 2002; In custodia, La Tartaruga, Milano 1990, poi Einaudi, Torino
2000; Notte e nebbia a Bombay, La Tartaruga, Milano 1992; Fuoco sulla
montagna, Donzelli, Roma 1993; Giochi al crepuscolo, e/o, Roma 1996; Chiara
luce del giorno, Einaudi, Torino 1999; Digiunare, divorare, Einaudi, Torino
2001; Il villaggio sul mare, Einaudi, Torino 2002; Polvere di diamante e
altri racconti, Einaudi, Torino 2003; Viaggio a Itaca, Einaudi, Torino 2005]

"Se la letteratura, se l'arte hanno uno scopo, ebbene questo scopo e' di
mostrare, con coraggio e senza compromessi, la nuda faccia della verita'; e
qui a ovest, come a est, dobbiamo imparare a distinguere, a riconoscere e a
valutare. Una volta che si sia detta la verita', ci si sara' liberati della
societa', delle sue prigioni. Si sara' entrati nel regno della liberta'".
Scrittrice di confine, lei stessa testimone di un'esistenza condotta sulla
frontiera, tra l'India e gli Stati Uniti, Anita Desai ha scritto quasi
sempre di donne, molto spesso della sua terra natale, talvolta del confronto
tra i generi e le culture. Sara' lei la protagonista della dodicesima
edizione di "Dedica", la rassegna monografica che si apre questo pomeriggio
a Pordenone per concludersi il 18 marzo.
Nata a Mussoorie in India nel 1937 da madre tedesca e padre bengalese, Desai
e' cresciuta e ha studiato a Delhi e oggi vive tra l'India, il Messico e gli
Usa. In meno di trent'anni di attivita' ha scritto, in inglese, una decina
di romanzi, un'antologia di racconti e tre libri per bambini, e e' oggi
considerata come la voce piu' autorevole della letteratura indiana. Einaudi
ha appena pubblicato una nuova traduzione italiana, firmata da Anna Nadotti,
di Fuoco sulla montagna (pp. 185, euro 12), uno dei primi romanzi della
scrittrice.
*
- Guido Caldiron: Signora Desai, al centro di buona parte delle sue storie
ci sono delle donne indiane, quale e' la condizione che vivono oggi
concretamente quelle che sembrano essere le protagoniste di molte sue
pagine?
- Anita Desai: In India ci sono ben mezzo miliardo di donne, percio' e'
difficile parlare delle loro condizioni in termini generali, senza tener
conto delle differenze economiche, del tipo di famiglia da cui provengono e
di quale livello di istruzione hanno raggiunto. Ognuna di loro ci
racconterebbe una storia diversa se avessimo il tempo di ascoltarle tutte.
Percio', accettando questa generalizzazione che ci e' imposta dalla realta',
dai numeri, direi che la condizione della donna indiana e' certo molto
cambiata negli ultimi anni, del resto e' la stessa condizione del paese ad
essere mutata profondamente. Non mi riferisco tanto all'idea, tutta
occidentale, che ci sia stato un miglioramento della vita delle donne
perche' a queste ultime e' stato permesso di uscire di casa per andare a
lavorare: in India le donne povere hanno sempre lavorato perche' era questo
l'unico modo per potersi sfamare. Hanno sempre guadagnato pochissmo, fatto i
lavori piu' umili e spesso molto pesanti, nei campi come nell'edilizia, e
questo fianco a fianco con gli uomini. Il vero cambiamento risiede piuttosto
nel livello di istruzione delle donne indiane che e' cresciuto notevolmente,
permettendo a molte di loro di avere delle chance lavorative nuove piu'
vicine a quelle delle donne occidentali.
*
- Guido Caldiron: Lei ha spiegato di scrivere con molta difficolta' di
uomini e di ambienti occidentali, mentre i suoi romanzi sono legati
fortemente alle donne e all'India. Lo "scontro di civilta'" passa anche per
la letteratura?
- Anita Desai: Quando ho cominciato a scrivere, mi sono concentrata su cio'
che conoscevo di piu' e che mi dava piu' sicurezza nell'esprimermi, vale a
dire il mio mondo, quello in cui sono cresciuta, l'India e l'universo delle
donne, dei bambini e delle famiglie. Poi, passo dopo passo, di romanzo in
romanzo, acquisendo maggiore sicurezza in me stessa, ho cominciato a
sentirmi limitata, quasi ghettizzata, in questi ambienti e ruoli. Cosi' ho
cominciato a scrivere anche di altri luoghi e di altre condizioni. E con
ogni nuovo romanzo, ho aggiunto nuovi elementi, ho scelto che i protagonisti
delle mie storie fossero anche degli uomini e che le loro azioni si
svolgessero anche fuori dall'India. Cosi' mi sono trovata ad operare anche
al di fuori di quello che potrei definire il mio ambito familiare. Quanto al
tema di fondo della sua domanda, non so se lo chiamerei davvero un
"clashing" tra civilta', nel senso che spesso nel mondo non assistiamo
soltanto a uno scontro tra culture. Mi sembra che siano piu' le occasioni di
incontro e di interazione tra le civilta', di quelle in cui invece emerge
una frattura o una contrapposizione. Un tempo le culture si sfioravano
soltanto, oggi, grazie alle nuove forme di comunicazione, si incontrano
direttamente. Certo, tutto cio' produce una maggiore comprensione ma anche
maggiori equivoci. Del resto credo sia inevitabile quando gruppi e individui
che provengono da luoghi e background molti diversi tra loro si cominciano a
frequentare.
*
- Guido Caldiron: Nel suo romanzo "Digiunare, divorare" le storie di due
donne che vivono una negli Usa e l'altra in India sono esaminate, nella loro
distanza, quasi in parallelo. Eppure si ha l'impressione che piu' che alle
differenze esistenti tra le due, percepibili immediatamente, lei abbia
voluto guardare a cio' che le accomuna. Di cosa si tratta?
- Anita Desai: Effettivamente ho scelto di descrivere due persone che almeno
a un primo sguardo non potevano apparire piu' diverse tra loro. Mentre
scrivevo pensavo proprio che il risultato sarebbero state due istantanee
raffiguranti ciascuna non solo un determinato modo di vivere, ma anche due
personalita' in contrasto l'una con l'altra per via dell'ambiente in cui
vivevano. Alla fine pero' mi sono resa conto di quante somiglianze
emergessero tra le due donne. Non parlo di somiglianze pratiche, nella loro
vita quotidiana, quanto piuttosto sul piano emotivo, della loro umanita'.
Entrambe erano "affamate", ma non di cibo come il titolo del romanzo
spingerebbe a credere, ma di sentimenti, di vicinanza emotiva e di
comunicazione. Cosi' mi sono trovata quasi involontariamente a riflettere
sul fatto che al di la' degli elementi che sembrano distinguere in tutto o
in molte cose una donna indiana da una americana, il loro desiderio di
comunicazione, e forse di amore, le rende piu' simili di quanto si sarebbe
disposti ad ammettere a prima vista.
*
- Guido Caldiron: Lei ha scritto un'introduzione a una nuova edizione di "Le
parole sono pietre" di Carlo Levi di prossima pubblicazione. Si ha quasi
l'impressione che lo sguardo che Levi portava sulla realta' del Mezzogiorno,
dominata dalla tradizione e apparentemente distante da ogni eco della
modernita', le abbia ricordato qualcosa dell'India. E' cosi'?
- Anita Desai: Carlo Levi aveva un modo di scrivere e sceglieva degli
argomenti che non me lo hanno mai fatto considerare alieno alla mia
tradizione e alla mia mentalita'. Certo molto meno lontano da me perfino di
certi autori indiani con cui dovrei condividere molte cose. Forse perche'
parla di una terra desolata e sterile, di un periodo storico e politico
cosi' duro, ma mi sembra proprio di cogliere in lui molti tratti simili alla
realta' indiana. Ricordo ancora l'impatto enorme che ebbe su di me Cristo si
e' fermato a Eboli, che lessi da ragazza. Mi aveva talmente colpito in
particolare la scoperta fatta da Levi di questa civilta' e di questa terra,
il Sud rurale dell'Italia, cosi' diversa da quella a cui era abituato e da
cui proveniva. Cosi' mi ha fatto molto piacere poter scrivere questa
introduzione che considero anche una sorta di mio omaggio personale a uno
scrittore che ho davvero amato molto.
*
- Guido Caldiron: Nanda Kaul, la protagonista di "Fuoco sulla montagna",
sceglie di fuggire dal mondo, cerca l'isolamento ma anche la rinuncia a ogni
responsabilita' verso gli altri. L'epilogo della sua storia sara' tragico:
un modo per riflettere su cio' che ci lega necessariamente agli altri?
- Anita Desai: Per scrivere questo romanzo sono partita dall'idea di
raccontare la storia di una donna che decideva di allontanarsi dal caos, dal
frastuono, ma anche dalle disillusioni che il vivere in mezzo alla societa'
le aveva provocato. Una donna che voleva esiliarsi volontariamente per non
essere intaccata da tutte le brutture del mondo. Un'aspirazione che del
resto e' molto comune tra gli indu', che sognano questa vita da eremita,
trascorsa nel silenzio. Questa donna vivra' per molto tempo isolata e senza
legame alcuno, ma a un certo punto, e sara' un evento drammatico come la
morte di un'amica a rivelarglielo, capira' che la sua scelta e' in fondo
sbagliata: non ha infatti rinunciato soltanto ad ogni legame, chiudendosi in
se stessa, ma ha anche scelto di rinunciare a ogni responsabilita' verso gli
altri. Solo alla fine capira' l'egoismo profondo insito nella sua scelta e,
proprio per questo, traccera' un bilancio negativo della propria vita. Dico
questo perche' credo che tutti noi dovremmo sentirci un po' responsabili
anche per cio' che accade agli altri.
*
- Guido Caldiron: Lei vive tra l'India e gli Stati Uniti, come guarda al
mondo dopo l'11 settembre e l'inizio della "guerra permanente"?
- Anita Desai: Trovo che vi sia una tragica ironia in quanto e' accaduto
negli ultimi anni. Proprio nel momento in cui, penso a prima dell'11
settembre, si cominciava a parlare davvero di globalizzazione e di
multiculturalismo, c'era un grande scambio a tutti i livelli sul piano
planetario, e' arrivato questo avvenimento sconvolgente che ha fatto tornare
tutti indietro. Dopo l'attacco alla Twin Towers ogni paese, ogni gruppo,
ogni cultura sembrano essersi richiusi nella propria fortezza, tirato su il
ponte levatoio e schierato l'artiglieria contro gli avversari. Oggi credo
che il sentimento piu' diffuso nel mondo sia la paranoia: tutti sono
terrorizzati, non cessano di guardarsi le spalle, guardano con timore e
preoccupazione al domani. Quando tutto sembrava finalmente sul punto di
aprirsi, ciascuno ha invece finito per rinchiudersi un po' di piu' in se'.

4. LIBRI. ANNA MARIA MERLO PRESENTA "LE LIVRE NOIR DE LA CONDITION DES
FEMMES"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 marzo 2006. Anna Maria Merlo e'
corrispondente da Parigi del quotidiano "Il manifesto" e acuta osservatrice
delle vicende politiche, sociali e culturali francesi]

Nel terzo millennio, malgrado le dichiarazioni di principio - a cominciare
dalla carta dei diritti uomani delle Nazioni Unite - la parita' uomo-donna
e' ancora lungi dall'essere raggiunta, e le donne, dappertutto nel mondo
anche se con diverse sfumature, vivono situazioni di ineguaglianza, che in
numerosi paesi del sud prendono aspetti drammatici. Le livre noir de la
condition des femmes (XO Editions, pp. 777, euro 24,50), appena uscito in
Francia, raccoglie 40 saggi che fanno il giro del mondo della condizione
femminile.
Constata, nelle diverse parti del mondo anche se a gradi differenti, una
situazione nera dove, "se la violenza non ha sesso, ha pero' un genere",
come scrive nella postfazione la storica Francoise Gaspard, che ora
rappresenta la Francia al Cedaw (Convenzione sull'eliminazione di tutte le
forme di discriminazione nei confronti delle donne, stabilita dall'Onu e
ratificata oggi da 181 paesi).
Questa raccolta di interventi e testimonianze non vuole essere un cahier de
doleances sulla situazione delle donne nel mondo - anche se nel periodo che
ha preceduto la Rivoluzione francese questi cahiers di denuncia della
condizione femminile sono esistiti - ma al contrario l'espressione di una
determinazione a cambiare le cose.
*
Il soffitto di vetro
Da un lato, c'e' la storia della secolarizzazione del diritto dei tempi
moderni, che e' arrivato all'eguaglianza tra i sessi solo dopo lunghe lotte.
Ma dall'altro, anche quando la legge garantisce l'eguaglianza, c'e' la sua
applicazione lacunosa, ci sono le mentalita' che non evolvono, si va dal
soffitto di vetro in occidente, che blocca senza spiegazioni le carriere,
alle tragedie dei paesi poveri, come ha messo in luce il recente dramma di
Chittagong.
Perche' le donne sono una posta in gioco di primo piano delle guerre
contemporanee? Quali saranno le conseguenze economiche ed umane dello
squilibrio demografico di un'Asia privata, a causa della preferenza data ai
bambini maschi, di circa 90 milioni di donne? E' un caso se l'aids in Africa
uccide oggi piu' donne che uomini? Perche', in materia di stupro e di
violenze coniugali, vengono privilegiate le spiegazioni di carattere
culturale o religioso per i paesi del sud mentre vengono preferite cause di
ordine psicologico e individuale nei paesi del nord? Sono alcune delle
domande a cui cerca di rispondere il libro.
Intanto c'e' un dato: il mondo ha dovuto aspettare il '93 perche' venisse
definita internazionalmente la violenza sessista e venisse proclamata
l'urgenza dell'applicazione alle donne dei diritti del genere umano:
sicurezza, integrita', liberta', dignita', eguaglianza, "cinque parole
fondamentali e universali - scrive Sandrine Treiner, che ha coordinato
l'opera, curata dalla giornalista Christine Ockrent - per declinare tutto
cio' che fa ancora difetto a moltissime donne all'inizio del terzo
millennio".
Dal '93, tra l'altro, ci sono stati dei passi indietro anche negli organismi
internazionali, cosa che porta ad interrogarci sulla perennnita' dei diritti
acquisiti: ne e' la prova la polemica sulla terminologia che ha avuto luogo
alla conferenza di Pechino, nel '95, quando un'alleanza tra alcuni paesi
cattolici, altri musulmani e gli Stati uniti ha introdotto la concorrenza
tra il tradizionale termine di "eguaglianza" e quello di "equita'", per
limitare i diritti delle donne (anche sul fronte economico, per quanto
riguarda l'eredita') o quando al vertice di Johannesburg sull'ambiente nel
2002 l'ormai solita alleanza tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Vaticano ha
approfittato per cercare di mettere in discussione il diritto ai servizi
sanitari di base, con lo scopo di colpire le legislazioni che legalizzano
l'interruzione volontaria di gravidanza.
Il primo dei diritti fondamentali e' quello alla vita. Ma in Asia ci sono
milioni di "donne mancanti", un fenomeno identificato dal premio Nobel per
l'economia Amartya Sen, che ne valuta l'ampiezza tra i 60 e i 100 milioni,
causato da un cumulo di carenze - dalla sopressione prima della nascita a
una peggiore alimentazione o alla mancanza di cure rispetto ai maschi - che
significa che per ogni donna mancante ce ne sono decine che vivono in un
contesto di grande vulnerabilita'. Secondo l'Unicef, "una morte di bambina
su dieci, in India, in Pakistan e in Bangladesh e' direttamente legata alla
discriminazione". In Cina si registra una situazione analoga: le donne
mancanti sarebbero intorno ai 50 milioni. L'irruzione degli strumenti della
modernita', come l'amniocentesi, non ha fatto che aggravare il fenomeno, al
punto che il ricorso sistematico a questa pratica e' stato proibito in
India, paese dove la ratio uomini/donne e' la piu' debole al mondo. Lo
scrittore Amin Maalouf ha immaginato in Le premier siecle apres Beatrice,
l'estrema conseguenza di questa pratica discriminatoria radicale:
"l'autogenocidio della popolazioni misogine".
*
Due esempi terrificanti
Ex Jugoslavia e Ruanda sono solo i due esempi piu' terrificanti, tra gli
ultimi di una lunga serie per un altro aspetto della violenza sulle donne:
lo stupro diventato ormai un'arma di guerra come un'altra. Uno stupro che
assume dimensioni non pulsionali, ma e' un mezzo per intervenire sulla
trasmissione identitaria collettiva del "nemico". Per lottare contro "lo
stupro come tattica di guerra" e' ora in corso una riflessione
internazionale, su iniziativa del Secours catholique, che ha gia' prodotto
una "cartografia" del dramma, dal '37 a oggi.
Ma lo stupro e' anche una violenza quotidiana in paesi non in guerra:
secondo un'inchiesta realizzata negli Usa, il 14,8% delle donne di piu' di
17 anni interrogate ha affermato di essere stata vittima di uno stupro o di
un tentativo di stupro, nei tre quarti dei casi commessi da familiari o
conoscenti (dati analoghi sono stati raccolti nella Repubblica Ceca). In
Sudafrica, paese tra i piu' colpiti, 1,5 milioni di stupri avrebbero luogo
ogni anno (sono 50.000 in Francia, con 150.000 tentativi).
*
Delitti d'onore
Il diritto alla vita e' poi schiacciato dai delitti d'onore, che hanno luogo
anche in Europa. In Messico, uno dei casi piu' misteriosi della storia
criminale (piu' di 400 donne uccise a Ciudad Juarez dal '93 a oggi), questa
fattispecie ha dato vita a un nuovo termine: "femminicidio". Il rispetto
dell'integrita' fisica e' un diritto spesso negato alle donne. Ne sono prova
le mutilazioni sessuali, diffuse in tutta l'Africa - dove ci sono passi
avanti nella legislazione, visto che sono numerosi i paesi dove e' ormai
illegale, mentre le mentalita' evolvono a un ritmo molto piu' lento - ma ne
e' prova anche, in occidente, il numero elevato di violenze coniugali, che
toccano tutte le classi sociali. Del rispetto dell'integrita' fisica fanno
anche parte tutte le questioni che riguardano la salute, mentre la
mortalita' per parto, ad esempio, e' ancora molto elevata nei paesi poveri.
In molte societa', le donne sono meno libere degli uomini: non viene
garantita la liberta' di scelta nel matrimonio, per esempio; in alcuni paesi
addiritttura quella di circolazione, in molti l'interruzione volontaria di
gravidanza e' illegale. In una regione come il Maghreb, che pure e' entrata
a pieno titolo nella modernita' - e dove esistono da decenni dei movimenti
femministi - le donne continuano ad essere mantenute legalmente in una
posizione di inferiorita'.
L'avvocata Wassyla Tamzali ricorda che in Algeria, dopo le speranze
sollevate dalla lotta per l'indipendenza, "la poligamia e' quadruplicata in
trent'anni, senza parlare del velo, che ha invaso le universita', le strade,
i caffe'", mentre sul piano internazionale i paesi del Maghreb hanno cercato
di rimettere in questione "uno dei principi di base della comunita'
internazionale, cioe' l'universalita' e l'indivisibilita' dei diritti
dell'uomo", con l'offensiva a favore dell'"equita'" al posto
dell'"eguaglianza". Come riassume la scrittrice Taslima Nasreen, significa
essere considerate "esseri di seconda classe nel paese dove la sharia sta al
posto della legge".
Senza infine dimenticare la tratta degli esseri umani a scopo di
prostituzione, il turismo sessuale (che oggi viene progressivamente
giudicato nei paesi d'origine dei responsabili) e addirittura la schiavitu'
(non solo nei paesi poveri ma anche nei grand hotel e nei bei quartieri
parigini, come denuncia da anni il Movimento contro la schiavitu' in
Francia, che e' gia' riuscito a far liberare varie persone tenute in stato
di servaggio, con il passaporto sequestrato, obbligate ad orari di lavoro e
a condizioni di vita totalmente illegali).
Anche nei paesi occidentali piu' avanzati, poi, la presenza femminile in
politica e nei posti di potere e' limitata: in Svezia - paese dove al
parlamento le donne sono il 47% e l'80% delle donne ha un lavoro - Gudrun
Schyman, fondatrice del partito femminista, afferma che "resta molto da
fare" persino in questo paese modello. Anche in Svezia il sistema
patriarcale continua e questo, secondo Schyman, avra' delle conseguenze
economiche considerevoli, perche' "il paese va verso la stagnazione
economica". Il legame tra eguaglianza dei sessi e sviluppo economico e'
centrale, spiega l'economista Esther Duflo: "la discriminazione sistematica
contro le donne rischia di frenare lo sviluppo di un paese, come sostiene in
modo convincente Amartya Sen. In altri termini, il miglioramento della
condizione delle donne e' suscettibile di accelerare lo sviluppo".
*
Le conseguenze economiche
Dal punto di vista teorico, finora e' prevalsa l'interpretazione che quando
si verifica un miglioramento economico, migliora anche la condizione
femminile. Ma oggi gli economisti stanno esplorando la strada inversa di
questa relazione: il miglioramento dello status delle donne come fattore di
sviluppo. Da un lato resta vero che lo sviluppo economico porta a un
miglioramento della condizione delle donne (uno studio della Banca mondiale
realizzato su 41 paesi mostra che la differenza di scolarizzazione tra
ragazzi e ragazze e' piu' grave per il 40% dei paesi piu' poveri che per il
20% dei piu' ricchi). Ma i dati raccolti dagli economisti dimostrano anche
che la crescita economica non e' sufficiente per superare le
discriminazioni. Un buon esempio e' la Cina: malgrado una crescita economica
folgorante, addirittura la prima discriminazione - quella che nega il
diritto alla vita - e' aumentata, con gli aborti selettivi, cosa confermata
anche nelle regioni piu' ricche dell'India. Secondo James Wolfensohn, ex
presidente della Banca mondiale, "l'istruzione delle ragazze ha un effetto
catalizzatore in tutti i campi dello sviluppo: favorira' il calo della
mortalita' infantile e materna, l'aumento della riuscita scolastica sia dei
ragazzi che delle ragazze, la crescita della produttivita', il progresso
nella gestione dell'ambiente. Tutti questi miglioramenti si tradurranno in
una crescita economica piu' rapida e, cosa che e' altrettanto importante, in
una piu' ampia ripartizione dei frutti della crescita. Piu' le ragazze
saranno istruite, piu' le donne potranno accedere a posti di
responsabilita', a tutti i livelli della societa'".

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 55 del 16 marzo 2006

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