Nonviolenza. Femminile plurale. 54



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 54 del 9 marzo 2006

In questo numero:
1. Giuliana Sgrena: La Fondazione Calipari e l'impegno per un'altra
intelligence
2. Maruja Torres: Davanti ai credenti
3. Due postille al testo che precede
4. Marina Terragni colloquia con Paola Tavella e Alessandra Di Pietro
5. Marisa Rodano: Fu liberazione e conquista di un diritto
6. Angelo D'Orsi: Un convegno in ricordo di Madeleine Reberioux
7. Beatrice Busi presenta "Il femminismo degli anni '70" a cura di Teresa
Bertilotti e Anna Scattigno

1. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: LA FONDAZIONE CALIPARI E L'IMPEGNO PER
UN'ALTRA INTELLIGENCE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2006.
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e
pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane
dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande
importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe,
durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A
Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo,
sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in
cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo
liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La
schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i
califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma
2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli,
Milano 2005.
Nicola Calipari, nato a Reggio Calabria, laureato in giurisprudenza, con una
straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze dell'ordine con ruoli di
grande responsabilita' nella lotta contro il crimine, da due anni
funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita a Giuliana Sgrena;
e' stato ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad. Opere su Nicola Calipari: AA.
VV., Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Nuova iniziativa editoriale,
Roma 2005.
Rosa Villecco Calipari, vedova di Nicola, sta svolgendo un fondamentale
ruolo nell'impegno civile per ottenere verita' e giustizia sull'omicidio del
marito e per promuovere una cultura e una prassi della legalita', della
democrazia e del rispetto della vita e della dignita' umana]

Abu Ghraib e Guantanamo ci proteggono dal terrorismo, aumentano la nostra
sicurezza o contribuiscono ad alimentare il sostegno ai terroristi?
Questa e' solo una delle domande retoriche che Rosa Villecco Calipari
propone al pubblico concludendo la tavola rotonda organizzata lunedi' dal
Centro studi strategie internazionali (Cesint) e dalla Provincia di Roma - a
conclusione di numerose iniziative che si sono svolte nell'anniversario
della morte dell'agente del Sismi, ucciso da "fuoco amico" il 4 marzo 2005 a
Baghdad. "Nicola Calipari e le sfide della nuova intelligence", il tema
proposto dalla "Rivista di intelligence" diretta da Gianni Cipriani e del
cui comitato scientifico Rosa Villecco e' entrata a far parte. Sviluppare un
nuovo approccio ai problemi di sicurezza dello stato con la "cultura del
limite", a partire proprio dall'esperienza di Nicola Calipari, di cui tutti,
anche il direttore del Sismi Niccolo' Pollari (che ha inviato un proprio
messaggio letto da un compagno di Nicola), hanno sottolineato la grande
capacita' di dialogo. Nicola Calipari e' diventato il simbolo - purtroppo
dopo la sua tragica scomparsa - di quella trasformazione che i servizi di
intelligence stanno operando: un ripensamento anche degli assetti
organizzativi dopo cinquanta anni di guerra fredda, ha detto Pollari,
basandosi sulla forza delle idee piu' che sull'idea della forza.
*
Una trasformazione che ha comportato maggiore trasparenza rompendo la
cortina di diffidenza che ha circondato il mondo dell'intelligence e che
permette ora un confronto aperto come quello che si e' svolto lunedi' a
Palazzo Valentini a Roma e che ha visto intervenire esperti di tutti i
campi: rappresentanti delle istituzioni segrete e non, giuristi, giornalisti
e universitari. Si tratta di un approccio "rivoluzionario" alla questione
del terrorismo e della sicurezza rispetto alla realta' esistente, quello
proposto dalla nascente "Fondazione Nicola Calipari", che sara'
ufficialmente costituita solo dopo le elezioni. Rivoluzionario a fronte di
una realta' dove la lotta al terrorismo si combatte troppo spesso con la
violazione dei diritti umani e di tutte le convenzioni internazionali,
soprattutto da parte degli Stati Uniti, come ha ben illustrato il professor
Robert Goldman, dell'American university's Washington college of law.
Quella proposta dalla Fondazione Calipari e' una nuova cultura
dell'intelligence basata sulla capacita' di analisi e di prevenzione del
terrorismo, aperta al mondo delle universita' e dei giovani. Una
intelligence che non e' incompatibile con il rispetto dei diritti umani: la
sicurezza dello stato deve essere la sicurezza di tutti i cittadini. "La
sicurezza deve essere vissuta come tutela, non come nemico", ha detto Rosa
Villecco illustrando gli obiettivi della Fondazione che sviluppera' la sua
attivita' attraverso seminari, borse di studio a studenti, master.
*
Alla conferenza di Roma era presente anche Javier Couso, fratello di Jose',
l'operatore di Telecinco ucciso a Baghdad l'8 aprile del 2003 da una
cannonata sparata da un carro armato americano contro l'hotel Palestine.
L'avvocata della famiglia Couso, Maria del Pilar Hermoso, ha illustrato
l'azione giudiziaria intrapresa contro i tre soldati della Terza divisione
di fanteria dell'esercito Usa considerati "responsabili dell'attacco
all'hotel Palestine" e che ha portato all'emissione di mandati di cattura
internazionali. Ma sia i responsabili dell'uccisione di Jose' Couso come
quelli di Nicola Calipari continuano ad essere coperti dalle autorita' degli
Stati Uniti, in violazione dei principi fondamentali della Quarta
convenzione di Ginevra, che impone la protezione dei civili anche durante le
guerre.

2. RIFLESSIONE. MARUJA TORRES: DAVANTI AI CREDENTI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "El pais
semanal" del 26 febbraio 2006. La traduzione e' di Clara Jourdan.
Maruja Torres, nata a Barcellona nel 1943, e' giornalista e inviata speciale
del quotidiano "El Pais". Opere di Maruja Torres: Amor America, Feltrinelli,
Milano 1994, 2001.
Karen Armstrong, nata nel 1944, scrittrice e giornalista, e' stata suora per
sette anni; dopo aver smesso il velo nel 1969, si e' laureata a Oxford in
letteratura moderna ed e' stata docente all'Universita' di Londra;
considerata tra i maggiori esperti di questioni religiose in Gran Bretagna e
Stati Uniti, attualmente insegna al Leo Baeck College for the Study of
Judaism and the Training of Rabbis and Teachers; nel 1999 ha ricevuto il
Muslim Public Affairs Council Media Award. Tra le opere di Karen Armstrong:
Storia di Dio. 4000 anni di religioni monoteiste, Marsilio, Venezia 1995;
Gerusalemme. Storia di una citta' tra ebraismo, cristianesimo e Islam,
Mondadori, Milano 1999; Gerusalemme, Mondadori, Milano 2000; L'Islam,
Rizzoli, Milano 2001; In nome di Dio, Il Saggiatore, Milano 2002; Buddha.
Una vita, Rizzoli, Milano 2002; Storia di Dio. Da Abramo ad oggi: 4000 anni
alla ricerca di Dio, Marsilio, Venezia 2003; Maometto. Vita del profeta, Il
Saggiatore, Milano 2004.
Clara Jourdan, prestigiosa intellettuale femminista, e' particolarmente
impegnata nelle esperienze  della Libreria delle donne di Milano e della
rivista "Via Dogana".
Ci preme esprimere subito - ed argomenteremo piu' ampiamente nella seconda
delle due postille redazionali che seguono questo articolo - la nostra
opposizione alla proposta di sanzioni con cui questo per altri versi
apprezzabile intervento si chiude. Siamo contrari alle sanzioni, e non solo
nei confronti di Israele, ma anche nei confronti di altri paesi. Dopo
l'infamia del semisecolare embargo assassino contro il popolo cubano, dopo l
'orrore dei dieci anni di embargo genocida contro il popolo iracheno, dopo
tante altre esperienze catastrofiche, e' evidente a chiunque che lo
strumento delle sanzioni internazionali che vanno sempre a detrimento dei
popoli e delle persone, anziche' dei governi e dei regimi, e' una opzione da
definitivamente rigettare e sostituire con un'alternativa costruttiva,
efficace, nonviolenta. Altra e' infatti la politica internazionale che
occorre in un mondo interdipendente: a tutti i popoli e a tutte le persone
garantire aiuti umanitari e diritti fondamentali (in primis il fondamentale
dei fondamentali: il diritto a vivere, e quindi ad aver di che vivere una
vita dignitosa); adottare una politica globale fondata sulla nonviolenza,
sull'incontro, sulla cooperazione, sulla comune responsabilita' per l'intera
umanita' e per l'unico mondo che abbiamo; ripudiare sempre la guerra, il
terrore, le uccisioni, le armi; contrastare sempre l'impoverimento e
l'ignoranza, il pregiudizio e le discriminazioni, la sopraffazione, la
denegazione di umanita' (p. s.)]

Mi piacerebbe raccomandarvi, in questa appena iniziata era di non incontri e
di differenze sempre piu' profonde, l'opera saggistica di Karen Armstrong,
una ex monaca cattolica che da quando ha abbandonato l'abito ha scritto piu'
di una dozzina di libri che studiano le tre madri dell'agnello: le tre
religioni monoteiste e le culture (altri le chiamerebbero civilta') che
rappresentano. Ma se avete poco tempo, la cosa piu' urgente e' darsi alla
lettura di Le origini del fondamentalismo nel giudaismo, nel cristianesimo e
nell'islam (L'intolleranza religiosa rispetto al progresso).
Se e' sempre gratificante leggere gli storici, perche' relativizzano gli
avvenimenti piu' convulsi, addentrarsi nello studio della tematica a cui si
riferisce il titolo ci fornisce anche l'informazione sommamente necessaria e
per niente distorta perche' possiamo capire (e forse migliorare?) il futuro
che ormai fa parte del nostro presente, e la nostra perplessita' laica
davanti al malessere degli altri. Karen Armstrong e' una credente. Io no. Ma
se il panorama attuale include credenti da tutte le parti, mi pare che la
cosa intelligente da fare sia cercare di comprendere le loro ragioni.
Per l'autrice, i frutti del razionalismo europeo a oltranza risultano poco
convincenti. Se l'Europa cristiana (nelle sue varie varieta') si e'
dissanguata per secoli in guerre di religione, non dimentichiamo che
l'Europa sorta dall'Illuminismo, l'erede del Secolo dei Lumi, si e' lanciata
nel 1914 in una guerra selvaggia. Vale la pena trascrivere qualche
paragrafo: "Le nazioni piu' colte e sviluppate d'Europa si erano mutilate
tra loro con la nuova tecnologia militare, e la guerra stessa sembrava una
orribile parodia della meccanizzazione portata da tale ricchezza e potere.
Una volta stabilito e messo in moto l'apparato di reclutamento, di trasporto
di truppe e di fabbricazione di armi, questo continuo' da se' e fu difficile
fermarlo. L'insensatezza e la futilita' della guerra di trincea sfidavano la
logica e il razionalismo dell'epoca, non avevano niente a che vedere con le
necessita' umane". Effettivamente, la ragione ha ucciso tanto quanto il
fanatismo religioso, perche' mai si uccise con armi piu' efficaci che nel
razionale XX secolo e nella illuminata Europa.
Per Armstrong, la modernita' rappresentata dall'Occidente e' stata
"benefica, benevola e umana, ma a volte ha sentito il bisogno di essere
crudele, specialmente nelle sue prime tappe. Questo e' piu' notorio nel
mondo in via di sviluppo, che ha vissuto la cultura occidentale moderna come
imperialista, invasora ed estranea". L'autrice comprende l'estraneita', il
fatto che risulta difficile a noi europei di oggi "apprezzare questo
risorgere della fede, specialmente quando si e' espresso in modo violento e
crudele". Ma afferma che non dobbiamo dividerci in due nazioni, i laicisti e
i religiosi, che "si sentono minacciati tra loro, e quando sorge un
conflitto tra due prospettive inconciliabili, come nel caso di Salman
Rushdie, la sensazione di lontananza e separazione e' solo esacerbata".
La ex monaca termina il libro con questa conclusione: "Benche' i
fondamentalisti debbano sviluppare una visione piu' compassionevole dei loro
nemici per essere fedeli alle loro tradizioni religiose, anche i laicisti
hanno bisogno di essere piu' fedeli alla benevolenza, alla tolleranza e al
rispetto per l'umanita' che caratterizzano la cultura moderna, e avere un
approccio piu' comprensivo ai timori, alle angosce e ai bisogni che provano
i fondamentalisti, e che nessuna societa' puo' mettere da parte senza
rischi".
Io, che non sono credente, aggiungerei che un buon modo di calmare queste
angosce e spezzare i fanatismi, favorendo i democratici dell'islam, sarebbe:
a) andare via dall'Iraq e chiedere scusa, e b) esigere da Israele che
adempia a tutte le risoluzioni dell'Onu e applicargli sanzioni se non lo fa.
E cioe', abbandonare i due pesi e due misure una volta per tutte.

3. RIFLESSIONE. DUE POSTILLE AL TESTO CHE PRECEDE

La prima: la differenza tra credenti e non credenti, chiediamo venia, ci
sembra di gran lunga meno essenziale rispetto alla questione per noi
cruciale: quella tra violenza e nonviolenza, che ugualmente interpella tutti
gli esseri umani quali che siano i loro convincimenti filosofici e/o
religiosi.
Massime dopo Auschwitz ed Hiroshima, l'ammissione della violenza come mezzo
di regolazione sociale e organizzazione politica ci sembra una scelta
palesemente scellerata e catastrofica per l'umanita' intera; non solo alla
luce della riflessione morale e politica, ma anche in base al piu' banale e
gretto calcolo di convenienza, il piu' seccamente realistico e utilitario:
scegliere di stoltissimamente continuare con l'ammissione dell'esercizio
della violenza come criterio effettualmente principe (e conseguentemente -
nel piu' atroce dei circoli viziosi - come prassi onnipervasiva) nelle
relazioni umane, significa la distruzione dell'umanita' e del mondo.
Scegliere la nonviolenza e' il compito dell'ora per l'umanita' intera, per
ogni persona, ciascuna a partire dal suo vissuto, dai suoi convincimenti,
dalle sue credenze che se orentate al bene comune non possono che convergere
verso il medesimo impegno di salvaguardia del mondo, di riconoscimento di
umanita'.
*
La seconda: esprimiamo il piu' netto dissenso dalla proposta di sanzioni a
Israele. E non solo.
Ci sembra che la strategia delle sanzioni dia esiti catastrofici ovunque.
Invece di perseverare a proporla, anche nei confronti degli stati dominati
da regimi fascisti, razzisti e assassini, crediamo che occorra mettere
all'ordine del giorno una opposta strategia di incentivi alla scelta della
pace e della democrazia, promuovendo la cooperazione dal basso, rafforzando
la societa' civile, recando aiuti umanitari a tutti gli esseri umani, e a
fortiori alle persone e alle comunita' che vivono in stati le cui politiche
governative in quanto oppressive riteniamo siano da contrastare.
Crediamo cioe' che la comunita' internazionale degli stati e la societa'
civile globale debbano porsi l'obiettivo di una strategia nonviolenta (per
dirla con una locuzione ossimorica essendo il primo termine di essa
inadeguato e obsoleto rispetto al novum concettuale e assiologico che la
seconda parola veicola), quindi meglio: un progetto nonviolento, che a tutti
i popoli, a tutti i paesi, a  tutti gli ordinamenti giuridici sappia
esprimere una volonta' di concreto aiuto al diritto alla vita delle persone,
un aiuto materiale che ipso facto faccia crescere fiducia reciproca tra le
persone e i popoli, faccia crescere la democrazia, faccia crescere relazioni
internazionali, interculturali e interdipendenti fondate sull'incontro, il
dialogo, la cooperazione.
Una politica internazionale, sia degli organismi e delle agenzie
internazionali, sia statuale tanto multilaterale quanto bilaterale, sia
pubblica decentrata, sia associativa nelle piu' variegate forme, che si basi
non su criteri punitivi (che reduplicano l'oppressione che le popolazioni
vittime di regimi non democratici gia' subiscono) ma costruttivi: la
solidarieta' e l'aiuto umanitario gratuito alle persone e ai popoli; una
politica internazionale che si opponga a ogni guerra, a ogni riarmo, a ogni
embargo, a ogni discriminzione e abbandono, e che invece promuova autentici
e concreti aiuti umanitari a chi ne ha bisogno, e cosi' costruisca la pace e
sconfigga ogni razzismo, ogni terrorismo, ogni forma di vessazione, di
ignoranza, di pregiudizio.
Una politica internazionale nonviolenta, di una nonviolenza
giuriscostituente.
Di quella nonviolenza politica e globale che, giusta l'espressione di Aldo
Capitini, e' - essa si' - "il varco attuale della storia".
La nonviolenza in cammino di cui - se ci e' lecito concludere riaffermando
questa nostra fondamentale persuasione - la piu' luminosa, concreta e
coerente incarnazione storica autocosciente e' stata ed e' il movimento e la
riflessione delle donne.

4. RIFLESSIONE. MARINA TERRAGNI COLLOQUIA CON PAOLA TAVELLA E ALESSANDRA DI
PIETRO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente intervista originariamente apparsa su "Io Donna" del
25 febbraio 2006.
Marina Terragni, giornalista, e' editorialista di "Io Donna" e scrive sul
"Corriere della Sera" e su "Il foglio". Opere di Marina Terragni: ha curato
il libro di Vittorino Andreoli, E vivremo per sempre liberi dall'ansia,
intervista di Marina Terragni, Rizzoli, Milano 1997.
Alessandra Di Pietro, giornalista e saggista, ha lavorato ad "Avvenimenti" e
a "Noi donne", attualmente scrive per "Amica"; ha curato i rapporti con la
stampa e la comunicazione delle ministre per le Pari opportunita' dei
governi di centrosinistra. Opere di Alessandra Di Pietro: (con Paola
Tavella), Madri selvagge, Einaudi, Torino 2006.
Paola Tavella e' nata a Genova e vive a Roma; giornalista e scrittrice, e'
stata per molti anni redattrice dei quotidiani "Il manifesto" e "Il lavoro"
e collaboratrice di "Noi donne", attualmente scrive per "Amica" e "Io
donna"; e' stata portavoce del primo Ministero per le pari opportunita'.
Opere di Paola Tavella: Gli ultimi della classe, Mondadori, Milano 2001;
(con Anna Braghetti), Il prigioniero, Feltrinelli, Milano 2003; (con Livia
Turco), I nuovi italiani, Mondadori, Milano 2005; (con Alessandra Di
Pietro), Madri selvagge, Einaudi, Torino 2006]

Madri selvagge sono quelle che hanno "concepito i figli nel piacere, li
hanno partoriti accucciate nel dolore e nel sangue". Sono quelle scellerate
che continueranno a fidarsi di se stesse, si ostineranno a spingere fuori i
figli quando basterebbe un taglio nella pancia, e a concepirli tra gli umori
dell'amore quando basterebbe una siringhetta. Tutto piu' lindo,
disinfettato, scientifico, apocalitticamente sicuro. Le madri selvagge
potrebbero diventare presto una rarita', con una scienza che si inchina
cortesemente al servizio delle donne per farle concepire anche quando non
potrebbero.
Dopo aver messo al mondo "Madri selvagge" (Einaudi, in libreria il 21
febbraio), in coppia con Paola Tavella, Alessandra Di Pietro sta per dare
alla luce la sua seconda bambina. Quasi una messa alla prova di quello che
ha scritto: che le tecniche di procreazione assistita si presentano "come un
servizio alle donne, ma in realta' costituiscono un pericolo grave per
loro". Perche' sono l'estrema depredazione, dopo la medicalizzazione dalla
gravidanza e del parto.
Paola e Ale hanno cominciato a parlarne durante la campagna per il
referendum abrogativo della legge 40. Tutt'e due non capivano che fine
avesse fatto la critica femminista, unanime e puntuale, alle meraviglie del
biotech. Tante di queste femministe si sono impegnate sul fronte
referendario e tante altre hanno fatto un sorprendente silenzio.
Paola e Ale decidono invece di parlare. In una lettera on line ricordano
tutto il lavoro fatto illo tempore. Rinnovano il loro radicale impegno
anti-biotech. Dichiarano che si asterranno, "come i preti": perderanno molte
amiche per questo. Nel libro spiegano diffusamente le loro ragioni,
rilanciando un dibattito "in pausa".
*
- Marina Terragni: Cosa dovrebbe fare, secondo voi, una donna che non riesce
ad avere figli?
- Paola Tavella: Puo' tentare con la procreazione assistita, figuriamoci. Ma
puo' anche adottare. Godersi i nipoti. Viaggiare. Praticare le sue passioni.
Provare a non considerare l'infertilita' come una tragedia: un tempo era una
cosa che le donne si risolvevano tra loro, nelle relazioni. Un'altra
possibilita' e' fare i figli prima: ma bisogna costruire le condizioni per
farli prima, non ultima una maggiore disponibilita' dei maschi a diventare
padri. Ci sarebbe anche la prevenzione dell'infertilita'. Le strade sono
molte. Quello che contestiamo e' che di fronte a un problema di infertilita'
l'unica soluzione sia la provetta. E' questo l'immaginario che sta passando.
Come se il successo fosse scontato. Come se non ci fossero problemi per la
salute. E anche conseguenze sul nascituro.
*
- Marina Terragni: Bene. Parliamo di salute.
- Paola Tavella: Per avere qualche probabilita' di concepire ci si deve
sottoporre a vari cicli di iperstimolazione ovarica. E le sindromi da
iperstimolazione non sono rare. Possono esserci problemi di funzionalita'
renale. Trombosi. In qualche caso si rischia la vita. Alla lunga si puo'
sviluppare un tumore.
*
- Marina Terragni: E per quello che riguarda i bambini?
- Alessandra Di Pietro: Si comincia a vedere che tra i nati in vitro certe
patologie sono piu' frequenti: malformazioni congenite, ritardo mentale,
retinoblastoma, sindromi come la large offspring syndrome. Non e' escluso
che possano dipendere da anomalie cromosomiche presenti in parte delle
coppie sterili: forse il fatto che non riescano a procreare e' un meccanismo
di selezione naturale contro il quale noi interveniamo, senza tenere conto
delle conseguenze.
*
- Marina Terragni: Parlate anche di prevenzione dell'infertilita'.
- Paola Tavella: Ai primi del secolo scorso era dell'1 per cento. Oggi siamo
al 25 per cento, un aumento esponenziale. Le cause principali stanno
nell'inquinamento ambientale e alimentare, negli estrogeni che assumiamo con
il cibo, in certi additivi. Sono soprattutto gli uomini a risentirne, la
qualita' del loro seme e' sempre piu' scarsa. Non e' che manchino studi a
riguardo. Ma non hanno nessun appeal sui media e sulla pubblica opinione. La
provetta e' molto piu' erotica.
- Alessandra Di Pietro: C'e' anche il fatto che non si riesce a riprodurre
esattamente il meccanismo della natura: quanto va tenuto l'embrione in
coltura prima di trasferirlo? Nessuno lo sa con precisione. O ancora: tra
milioni di spermatozoi solo uno riesce a raggiungere l'ovulo e nessuno sa
perche' proprio lui. Nella tecnica denominata Icsi si sceglie
arbitrariamente uno spermatozoo e lo si inserisce nell'ovulo: sulle
conseguenze di questo arbitrio non si sa nulla.
*
- Marina Terragni: La critica femminista al biotech ha almeno vent'anni, ma
in occasione del referendum ha sostanzialmente taciuto.
- Alessandra Di Pietro: Una "referendaria" ci ha spiegato che dal momento
che era sceso in campo il Vaticano le donne dovevano stare dall'altra parte.
Negare se stesse e il proprio pensiero in nome di una superiore ragione
politica. Ma il nemico principale non era il Vaticano.
*
- Marina Terragni: Poi il quorum non e' stato raggiunto.
- Paola Tavella: Con mio grande sollievo. In quel periodo parlavo con molte
donne normali, sentivo questa resistenza diffusa.
*
- Marina Terragni: Un tenersi lontano, intendi, un rifiuto in blocco di
queste cose?
- Paola Tavella: Non credo che la gente si sia astenuta per salvare la legge
o per ubbidire ai preti, ma per un'istintiva diffidenza nei riguardi della
procreazione assistita.
*
- Marina Terragni: Eppure molte donne hanno una grande fiducia nel biotech.
- Paola Tavella: Siamo costrette a una vita cosi' poco femminile? La
maternita' diventa l'unico luogo in cui agire la femminilita', e per averla
si e' disposte a tutto. Ma ci sono anche sacche di resistenza che non
vengono indagate: donne che non vogliono, che smettono, che si fermano
prima. Di loro non sappiamo niente, e' un'esperienza difficilissima da
scovare. Questo sottrarsi diventa l'obiezione della donna muta. Credo che ci
troviamo in un momento di conflitto terribile tra femminile e maschile. Una
partita decisiva. Ma se il maschile non si inchinera' alla grazia del
femminile moriremo tutti.
*
- Marina Terragni: Nel libro denunciate anche il mercato degli ovociti,
donne e ragazze spesso in difficolta' - ucraine, rumene - che vendono il
loro materiale biologico.
- Alessandra Di Pietro: C'e' il rischio di una nuova schiavitu'. Quando si
parla di uso delle cellule staminali embrionali per la terapia di gravi
malattie, tutti si concentrano sui diritti dell'embrione. Ma prima di
produrre quell'embrione devi trovare una donna che metta gli ovuli. Per
"aprire una linea", cioe' per curare un singolo paziente, secondo alcune
stime ci vogliono almeno 3.000 ovociti, possibilmente freschi, cioe' appena
prelevati. E dove si prenderebbero, tutti questi ovuli?
*
- Marina Terragni: Certo che e' paradossale: da un lato c'e' questo
furibondo attaccamento al biologico, si e' disposti a tutto per un figlio
biologico almeno a meta'. Dall'altro il materiale biologico, ovociti e
spermatozoi, viene ceduto con disinvoltura?
- Alessandra Di Pietro: L'amica Eugenia Roccella lo chiama "cortocircuito
del biologico". Si perdono i riferimenti, si produce un disturbo.
*
- Marina Terragni: La cosa piu' impopolare che dite ha a che fare con
l'eugenetica, con quello che definite "dovere" di far nascere un figlio
sano. Bisogna ammettere che questa possibilita', nel momento in cui c'e',
esercita un'attrazione irresistibile.
- Alessandra Di Pietro: Io sto per partorire. Ho fatto un bitest, e se si
fosse evidenziato un problema forse avrei fatto l'amniocentesi, anche se non
e' detto che avrei abortito. Noi non siamo contrarie alla medicina
prenatale, e nemmeno alla diagnosi preimpianto tout court. Siamo contro chi
sostiene che quella e' la panacea di tutti i mali: al momento non e' cosi'.
- Paola Tavella: Talassemici e microcitemici dovrebbero poter fare la
diagnosi preimpianto: la legge non lo consente ma su questo punto e'
sbagliata. Pero' bisognerebbe anche riflettere su quale tipo di cultura
stiamo legittimando. Una cultura di intolleranza, di non accoglienza, di
ripugnanza verso l'imperfezione e la malattia.
- Alessandra Di Pietro: Far nascere figli sani e' una legittima ambizione.
Ma si puo' nascere sani e poi crescere malati. Accettare la vita significa
accettarne ogni evento. Cosa sara' di quella cultura dell'accoglienza e
della cura che noi donne abbiamo sempre praticato? Il rischio e' che tutto
vada perduto: ma su questo si e' sempre retto il mondo.

5. TESTIMONIANZE. MARISA RODANO: FU LIBERAZIONE E CONQUISTA DI UN DIRITTO
[Da "Noi donne" del marzo 2006 (disponibile anche nel sito:
www.noidonne.org). Marisa (Maria Lisa) Cinciari Rodano, nata a Roma il 21
gennaio 1921, ha partecipato al movimento antifascista dei cattolici
comunisti all'Universita' di Roma, fu arrestata nel maggio 1943, ha diretto
il movimento femminile della Sinistra cristiana nella Resistenza romana;
deputata al Parlamento dal 1948 al 1968, vicepresidente della Camera nel
1963, senatrice della Repubblica nel 1968-1972, successivamente deputata al
Parlamento europeo, e' una delle figure piu' vive della vita civile
italiana, della solidarieta' internazionale, delle lotte per la democrazia]

Ero molto emozionata quel 2 giugno 1946. Anche per me era il primo voto. E
soprattutto lo sentivo come una conquista, cui, sia pur poco, avevo
contribuito.
Nell'autunno del '44, nell'Italia liberata, noi del Comitato pro voto
eravamo convinte che il diritto di eleggere e di essere elette le donne
italiane lo stavano conquistando nell'Italia occupata, combattendo nelle
formazioni partigiane e nei "Gruppi di difesa della donna" per la
liberazione dall'occupazione nazista, per la pace, la liberta' e la
democrazia.
Sembrava scontato che, restaurato un regime democratico, le donne avrebbero
avuto automaticamente diritto al voto. In realta' non era cosi'. Infatti, a
parte le dichiarazioni favorevoli di alcuni leaders, era prevalente nel
mondo politico il disinteresse; addirittura un'ostilita' appena mascherata.
I liberali ad esempio volevano rinviare la decisione circa il diritto di
voto delle donne alla futura Assemblea Costituente. Fu necessaria una
pressione e una petizione popolare. Il decreto del 31 gennaio 1945 fu
percio' un risultato importante. Le donne il 2 giugno si avvalsero del loro
diritto, votando nella stessa percentuale degli uomini e 21 donne vennero
elette all'Assemblea Costituente.
Fu grazie a loro che nella Costituzione furono inseriti diritti fondamentali
per le donne e fu introdotto quell'articolo 3 che, oltre a dichiarare che
tutti i cittadini erano eguali indipendentemente dal sesso, stabiliva che la
Repubblica avrebbe dovuto agire per rimuovere gli ostacoli che a
quell'eguaglianza si frapponevano.
Ci sono volute molte lotte delle associazioni femminili, battaglie nel paese
e nel parlamento per tradurre in realta' i principi costituzionali, ma in
sessanta anni la vita delle donne italiane e' cambiata. Parita', ingresso
nel lavoro, nelle professioni, nell'universita' e nella ricerca, diritti
propri delle donne, come l'autodeterminazione nella maternita' e nell'aborto
sono stati sanciti.
Era un'illusione invece che il diritto di voto attivo e passivo avrebbe
comportato di per se' l'ingresso paritario delle donne nelle istituzioni.
Ancora oggi il divario tra la posizione che esse occupano nella societa', le
molteplici funzioni che esse vi esercitano e il posto che esse hanno nella
vita politica, nei luoghi dove si decide, nel parlamento, nel governo, nelle
direzioni dei partiti e' assai grande: in sessant'anni le percentuali delle
donne elette in parlamento e nelle assemblee locali, sia pur con alti e
bassi, sono poco cambiate.
Purtroppo negli ultimi decenni e' emersa una disaffezione dal voto. Le
vicissitudini del sistema politico italiano negli ultimi anni della storia
della Repubblica, hanno logorato il rapporto delle donne con la democrazia.
Molte oggi avvertono una contraddizione tra il loro bisogno di concretezza e
di operativita' e moduli, schemi, ritualita' e linguaggi in cui esse non si
riconoscono.
Ma, soprattutto, negli ultimi cinque anni le forze di governo hanno diffuso
a piene mani, in particolare attraverso il controllo dei media, il veleno di
una cultura reazionaria, becera, antifemminista. Si e' cercato di imporre
un'immagine della donna tutta moda e seduzione: una preda offerta al
maschio, non una persona, una cittadina. Si e' voluto creare il clima per
demolire le conquiste delle donne, per spingerle indietro: per migliaia di
giovani donne un lavoro non precario, la parita' di retribuzione, il diritto
a programmare la propria vita e il proprio futuro, a coniugare lavoro e vita
familiare sono ormai un'utopia. I consultori, la legge di depenalizzazione
dell'aborto, persino il principio che la violenza sessuale e' un delitto
contro la persona sono sotto attacco. La penosa vicenda delle cosiddette
"quote rosa" e' emblematica. Mai come ora, percio', il voto torna ad essere
per le donne un'arma decisiva.
Tra le donne ci sono tante diversita', di cultura, di visione del mondo, di
collocazione sociale, esse pero' hanno un interesse che le accomuna:
difendere la loro dignita' di persone, il loro diritto a scegliere, ad
autodeterminarsi, a costruirsi un futuro, salvaguardare le conquiste
ottenute, liberare il paese dai miasmi dei veleni reazionari e
antifemministi. Col voto possono farlo.

6. MEMORIA. ANGELO D'ORSI: UN CONVEGNO IN RICORDO DI MADELEINE REBERIOUX
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 marzo 2006.
Angelo D'Orsi e' docente di storia del pensiero politico contemporaneo
all'Universita' di Torino; si occupa da anni, oltre che di questioni di
metodo e di storia della storiografia, di storia della cultura e dei gruppi
intellettuali. Tra le sue opere: La cultura a Torino tra le due guerre,
Einaudi, Torino 2000; Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino
2001.
Madeleine Reberioux (1920-2005), storica llustre, docente universitaria,
militante del movimento operaio, impegnata nella solidarieta' con i popoli
oppressi e per i diritti umani, autrice di fondamentali studi,
indimenticabile una nostra maestra e compagna.
Maria Grazia Meriggi, prestigiosa intellettuale, e' docente all'Universita'
di Bergamo, storica delle culture politiche e dei movimenti sociali europei,
saggista, partecipe di molte vivissime esperienze di impegno civile e
intellettuale. Tra le opere di Maria Grazia Meriggi: Composizione di classe
e teoria del partito nel marxismo degli anni '60, Dedalo, Bari 1978; La
Comune di Parigi e il Movimento rivoluzionario e socialista in Italia
(1871-1885), La Pietra, Milano 1980; Il Partito Operaio Italiano. Attivita'
rivendicativa, cultura e formazione dei militanti in Lombardia, Franco
Angeli, Milano 1985; Forme di sociabilita' nelle societa' tradizionali e
nella modernita'. Alle origini del partito politico, Baroni, Viareggio 1997;
(a cura di, con David Bidussa), Enzo Sereni - Emilio Sereni, Lettere, La
Nuova Italia, Firenze 2000; L'invenzione della classe operaia. Conflitti di
lavoro, organizzazione del lavoro e della societa' in Francia intorno al
1848, Franco Angeli, Milano 2002; Gli operai della Dalmine e il loro
sindacato. Momenti della pratica sindacale della Fiom in una "zona bianca",
Il filo di Arianna, Bergamo 2002; Cooperazione e mutualismo. Esperienza di
integrazione e conflitto sociale in Europa fra Ottocento e Novecento, Franco
Angeli, Milano 2005]

L'Universita' di Bergamo, per iniziativa di Maria Grazia Meriggi, ha avuto
la lodevole idea di ricordare una luminosa figura della storiografia del
secondo Novecento, Madeleine Reberioux, in occasione del primo anniversario
della scomparsa, avvenuta, a Parigi, il 7 febbraio 2005, a ottantaquattro
anni (era nata l'8 settembre del 1920 a Chambery).
Eta' rispettabile, certo, ma avremmo voluto averla ancora con noi, questa
straordinaria studiosa, che alla ricerca, condotta con passione e rigore,
non volle sacrificare gli affetti, e mai si acconcio' a subordinarla ad
esigenze di presenza accademica o di visibilita' intellettuale. Non nascose
la propria simpatia, nel senso letterale, per i deprivati, in particolare i
lavoratori dell'industria, e cio' che dalla loro forza era animato, e che
una volta eravamo avvezzi a chiamare "movimento operaio e socialista", ma
anche i popoli soffocati dal colonialismo europeo, a cominciare da quello
francese. Nel Partito comunista francese e in altri organismi (fondo', con
altri, nel 1955, insegnante liceale, un Comitato contro la guerra di Algeria
e fu presidente nella prima meta' degli anni Novanta della Lega per i
diritti dell'uomo, diventandone poi presidente onorario), Madeleine
Reberioux non solo rimase a sinistra, anche dopo aver abbandonato il Pcf, ma
non getto' alle ortiche il significato pregnante di una milizia
intellettuale. Cerco' sempre con onesta' e intransigenza, senza fanatismi e
senza doppiezze, di conciliare il dovere della verita', essenza del lavoro
storico, con la sua scelta di campo.
In tal senso, forse ha peccato di ottimismo Maria Grazia Meriggi ad
osservare che i percorsi come quelli della Reberioux, all'insegna
dell'engagement, certo senza mettere la sordina agli scrupoli metodologici
del fare storia, "non sono una peculiarita' irripetibile ma assumono tuttora
dei contorni di esemplarita'". Lo assumono, ma in piccole e sempre piu'
esangui pattuglie assediate dalle mille Sanremo pseudo nazional-popolari e
dalla compromissione di potere (accademico, mediatico o direttamente
politico) che inquina irresistibilmente il lavoro degli studiosi, ivi
compresi coloro che si ostinanano a fare gli storici. Difficile, in effetti,
trovare nel panorama della storiografia del secondo dopoguerra figure
altrettanto coerenti tra il loro essere da una parte, sul piano ideale, e il
lavoro svolto negli ambiti dell'indagine storica, dell'organizzazione
culturale, dell'insegnamento (fu professoressa a Paris VIII, la mitica
Vincennes, uno dei luoghi della contestazione, universita' che proprio lei
contribui' a creare); difficile trovare altrettanta - vorrei dire - purezza
di intendimenti e di azione politica, intellettuale e storiografica.
*
A Bergamo, con la partecipazione, oltre che della Meriggi, di Gilles Candar,
il successore della Reberioux alla guida della Societe' d'Etudes
Jauressiennes (l'istituzione dedicata alle ricerche su Jean Jaures, il
grande leader socialista), Francoise Blum, David Bidussa, Patrizia Dogliani,
Mariuccia Salvati, Rossana Vaccaro, Francesca Melzi d'Eril, Luigi Cortesi,
Bruno Cartosio, Paolo Favilli, Marco Gervasoni, Giovanni Scirocco (altri
hanno assicurato la loro partecipazione agli atti, come Christophe
Prochasson e Alceo Riosa), la personalita' della Reberioux, amica
dell'Italia e di tanti italiani, come dimostra la lista dei partecipanti al
seminario, e' stata ricostruita con ampiezza...
Lo scopo dell'incontro, come ha dichiarato in esordio la sua organizzatrice
Meriggi, e' stato quello di mostrare come la ricerca di Madeleine Reberiouxs
non e' stata tanto indirizzata, in termini di storia politica, banalmente,
al versante riformistico e/o a quello rivoluzionario della vicenda del
movimento socialista, ma ai soggetti sociali "in cui si sono incarnati i
loro intrecci, i loro compromessi e le letture possibili delle diverse
esperienze sociali e istituzionali". In tale ottica, Jaures, il grande
leader del socialismo d'Oltralpe, e fermo oppositore della guerra, al punto
da essere assassinato per mano di un fanatico nazionalista suo connazionale
(non gia' suo compatriota nella ideale, libera citta' dello spirito,
dell'intelligenza e dell'autonomia del pensare), rappresenta davvero - e'
ancora Meriggi a parlare - "un percorso esemplare in cui si sono sviluppati
gli intrecci e le contraddizioni fra l'individualismo e il collettivismo,
l'inclusione del cittadino e l'autonomia del lavoratore, la repubblica
possibile e quella reale".
*
La Reberioux, dunque, ha lavorato, fra ricerca pura e organizzazione, nella
terra delle rivoluzioni, la sua Francia, spesso in stretto collegamento con
centri, istituti e singoli studiosi di casa nostra, contribuendo non poco
alla nascita della storia sociale. Il fervore degli anni Sessanta-Settanta,
con le loro piccole grandi rivoluzioni culturali che toccarono profondamente
il modo di fare storia, e spesso gli oggetti della ricerca, la videro
protagonista a pieno titolo, sempre in una felice sintesi di ricerca e
passione politica. In Francia "Le Mouvement Social"; l'amata Societa'
jauressiana; gli studi sulla Comune e sui suoi simboli; quelli sulla crisi
del socialismo davanti alla prima guerra mondiale; la ricostruzione,
attraverso i luoghi e le letture, le abitudini e le mitologie, della figura
del militante socialista, e i suoi modelli pedagogici... In Italia riviste
come "Classe" del compianto Stefano Merli, la nuova serie della genovese
"Movimento operaio e socialista", le innovative indagini sulla Grande
guerra, una pur tardiva attenzione al socialismo francese fuori dell'immenso
perimetro della Revolution, e allo stesso Jaures, una prima, episodica
riflessione sulla fotografia e il suo rapporto con la storia, il tema dei
luoghi della memoria (di grande rilievo la sua vicepresidenza del Musee
d'Orsay, sotto tale riguardo), e i loro simboli, la definizione di uno
spazio europeo, ed anche extraeuropeo, della cultura operaia, e la questione
della sua autonomia e molto altro ancora: furono tutti frammenti di un
discorso storiografico e civile che fu una boccata d'aria in un mondo
viziato da schieramenti un po' cristallizzati (liberali, cattolici,
comunisti di partito...), in cui ciascuno coltivava il suo orticello legato,
pur in senso lato, agli orizzonti della sua parte.
*
Oggi ci dicono che gli operai siano una specie in via d'estinzione e ad
altri ceti bisogna che le forze di sinistra - la famosa sinistra
"responsabile" - si rivolgano, se intendono giungere a governare: e forse
una Madeleine Reberioux non potrebbe piu' nemmeno esistere. Anche per questo
la rimpiangiamo. Forse un po' per nostalgia di un mondo in cui essere a
sinistra significava una scelta netta dalla parte di quelle classi e delle
loro rivendicazioni, delle loro attese e delle loro speranze.

7. LIBRI. BEATRICE BUSI PRESENTA "IL FEMMINISMO DEGLI ANNI '70" A CURA DI TE
RESA BERTILOTTI E ANNA SCATTIGNO
[Dal quotidiano "Liberazione" dell'8 marzo 2006.
Beatrice Busi, giornalista e saggista, impegnata nell'esperienza di
"A/Matrix", collabora con varie testate.
Teresa Bertilotti, storica, lavora presso l'Universita' Lumsa di Roma, fa
parte del direttivo della Societa' italiana delle storiche e della redazione
della rivista "Genesis"; i suoi principali interessi di ricerca riguardano
la storia delle istituzioni scolastiche nell'Italia liberale con particolare
attenzione all'istruzione femminile, la storia delle donne e gli studi di
genere.
Anna Scattigno, storica, insegna Cristianesimo e storia di genere presso
l'Universita' di Firenze; si occupa di storia religiosa dell'eta' moderna e
contemporanea, e di storia delle donne; fa parte della Societa' italiana
delle storiche, di cui e' stata presidente nel biennio 2001-2003]

"Il femminismo e' ancora in silenzio" era il titolo di un articolo
pubblicato su "Liberazione" alla fine del 2004, nel quale Lea Melandri si
domandava quanto il femminismo sia ancora una pratica di modificazione di
se' e del mondo. Se "Usciamo dal silenzio" e' la formula magica che il 14
gennaio scorso ha accompagnato piu' di 200.000  persone per le strade di
Milano, quella domanda rimane ancora aperta: rappresenta precisamente la
volonta' di rilanciare delle donne, che in questi mesi sono fortemente
tornate sulla scena pubblica come soggetto politico collettivo. Tante volte
abbiamo detto e sentito dire che il femminismo e' la rivoluzione piu' lunga
e forse e' vero se e' bastato nominare il silenzio per interromperlo. Allo
stesso modo sembra che sia bastato nominare il vuoto storiografico sul
neofemminismo italiano perche' lo si potesse cominciare a colmare. Un'altra
domanda aperta alla quale sarebbe interessante rispondere e' quali siano le
continuita' e quali le discontinuita' tra il movimento di questi mesi e
quello degli anni Settanta.
Qualche indicazione possiamo provare a rintracciarla negli atti della Scuola
estiva della Societa' italiana delle storiche che si e' tenuta a Firenze nel
2004 e che aveva per tema "La sfida del femminismo ai movimenti degli anni
Settanta". Da questo testo a molte voci di differenti generazioni, Il
femminismo degli anni '70, a cura di Teresa Bertilotti e Anna Scattigno
(Viella, pp. 256, euro 22) emerge con forza che la grande questione
irrisolta del femminismo e' il rapporto con le forme tradizionali della
politica.
Ma se gli anni Settanta sono stati il momento piu' alto dell'invenzione e
della potenza creativa femminista di cui la pratica dell'autocoscienza e' un
esempio paradigmatico, gli anni Ottanta e Novanta sono stati invece gli anni
dell'"estraneita'" e della "perdita della politica". Il ripiegamento della
ricerca sull'ordine simbolico e la chiusura dell'elaborazione nei luoghi
separati hanno influito anche sulla capacita' di trasmettere e rappresentare
l'esperienza radicale del femminismo.
Lo pone molto chiaramente come problema Anna Rossi-Doria, mentre sottolinea
il carattere diffuso e capillare della pratica politica femminista e la
novita' dell'evento che il movimento ha rappresentato: "Le elaborazioni
femministe prevalenti in Italia negli anni Ottanta e Novanta, legate
all'impostazione filosofica del 'pensiero della differenza' che comportava
un implicito rifiuto della storia, hanno costruito e trasmesso una visione
paradossale per cui proprio il femminismo italiano che aveva avuto un
carattere di massa superiore a quello di ogni altro paese, e' stato
rappresentato come un percorso teorico di piccoli gruppi o di singole
pensatrici, sia pure grandi (Carla Lonzi su tutte)".
Rossi-Doria continua molto lucidamente individuando due peculiarita' del
neofemminismo tra loro connesse, sulle quali costruire ipotesi di ricerca
storica: l'essere stato un fenomeno innanzitutto politico, non solo sociale
e culturale, e l'aver posto l'accento sulla differenza piu' che
sull'uguaglianza, declinando la lotta in termini di liberazione e non di
emancipazione. Come ricorda Lea Melandri, "la sfida che il femminismo degli
anni Settanta fa alla politica non e' tanto una domanda di maggiore
democrazia, liberta', uguaglianza - non si tratta solo di 'allargare le
maglie della citta'' - quanto la pretesa che le forme della politica, che si
sono costruite in assenza della donna, cambino in profondita'".
Nella letteratura per lo piu' sociologica che si e' occupata del femminismo
italiano degli anni Sessanta e Settanta, il periodo tra il 1975 e il 1977
viene spesso indicato come quello della svolta, allo stesso tempo apice e
inizio della parabola discendente del movimento.
In effetti sono gli anni in cui quel rapporto problematico con la "politica"
diviene vero e proprio conflitto. Da un lato, nelle elezioni politiche del
1976 il movimento delle donne, Udi compresa, decise di marcare nettamente la
propria distanza dalla sinistra storica non esprimendo precise indicazioni
di voto. Dall'altro, sono anche gli anni in cui si verifica una vera e
propria "emorragia della partecipazione" delle donne ai gruppi della nuova
sinistra, in particolare da quelli di matrice operaista. Se ne occupa Elena
Petricola sottolineando l'estrema difficolta' di questi gruppi "nel fare
fronte all'esigenza, sentita da molte militanti, di un'autoesclusione dalla
politica tradizionale e dalle forme di potere esercitate all'interno dei
gruppi misti, per affermare e costruire spazi per sole donne e portare
all'interno delle organizzazioni un approccio meno strettamente e
tradizionalmente maschile".
Secondo Liliana Ellena la sfida che il femminismo lancio' alla categoria
stessa di politica e lo spostamento dei confini tra politico e personale,
pubblico e privato, deve trovare un'espressione anche nel lavoro di
interpretazione storica: "L'investimento della relazione tra donne di un
significato direttamente politico si scontra spesso con i limiti di
categorie derivate dall'analisi tradizionale dei movimenti sociali, in
particolare ad esempio per quanto riguarda l'idea di militanza". Al centro
del rapporto politico tra le donne c'era il "corpo in concreto", non solo i
discorsi sul corpo, ma i corpi stessi: Luisa Passerini si rammarica che
l'autorappresentazione del femminismo e la sua memoria che ancora fatica a
farsi storia sia proprio sulla questione del corpo che spesso si e'
"espurgata ed edulcorata, mentre gli scritti danno come uno schiaffo in
faccia, tanto sono forti ed esplosivi, ancora incandescenti".
Un'incandescenza che gia' alla fine degli anni Settanta era diventata
difficile da governare. Nel convegno nazionale che si svolse nel 1976 a
Paestum emersero quei conflitti e quelle differenze tutte interne al
movimento delle donne su come cercare e costruire una nuova identita'.
Conflitti e differenze che negli anni successivi porteranno alla chiusura
del femminismo in se stesso, in un "alveo rassicurante" come lo definisce
Emma Baeri, "che offriva trascendenza, affidamento e voglia di vincere".
Probabilmente in questo primo scorcio del terzo millennio il femminismo
potra' tornare ad essere modificazione di se' e del mondo se sapra'
recuperare e risignificare la radicalita' del materialismo corporeo esploso
con e nel neofemminismo. Se vorra' liberare i corpi schiacciati tra i
mutamenti antropologici imposti dalla tecnoscienza e le metafisiche dei
nuovi fondamentalismi, falsamente opposte nello "scontro di civilta'" ma
alleate nel tentativo di normalizzare e addomesticare la carica sovversiva
dei soggetti che eccedono dalle logiche binarie ed oppositive. Se sapra'
prefigurare nuovi modelli di "convivenza globale" in opposizione al vangelo
neoliberista del dominio dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla donna, delle
verita' integraliste e delle morali univoche. Questa la nuova sfida che il
femminismo si propone di lanciare alla "politica". E non ci saranno piu'
quote rose che tengano.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 54 del 9 marzo 2006

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