La nonviolenza e' in cammino. 1219



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1219 del 27 febbraio 2006

Sommario di questo numero:
1. Domenico Jervolino: Giulio Girardi, uomo del dialogo
2. Anna Maffei: Radici cristiane? Una riflessione
3. Sergio Paronetto: Un pessimo appello
4. Federica Fabbiani intervista Anna Bravo
5. Lea Melandri: I tram di notte
6. Ida Dominijanni presenta "Zapatero. Il socialismo dei cittadini" di Marco
Calamai e Aldo Garzia
7. Marforio Decafoni: Una dichiarazione di voto
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. AMICIZIE. DOMENICO JERVOLINO: GIULIO GIRARDI, UOMO DEL DIALOGO
[Ringraziamo Domenico Jervolino (per contatti: djervol at tin.it) per averci
messo a disposizione questo suo intervento apparso sul quotidiano
""Liberazione" del 24 febbraio 2006.
Domenico Jervolino, nato a Sorrento nel 1946, discepolo di Pietro Piovani,
studioso ed amico di Paul Ricoeur e Hans Georg Gadamer, due fra i maggiori
filosofi del Novecento, insegna ermeneutica e filosofia del linguaggio
all'Universita' di Napoli Federico II. Fa parte degli organismi dirigenti
dell'Associazione internazionale per la Filosofia della  Liberazione (Afyl)
e della International Gramsci Society (Igs). E' stato recentemente eletto
membro della Consulta filosofica italiana (organismo rappresantivo della
comunita' scientifica nel campo degli studi filosofici). Nell'ambito
dell'impegno politico e nelle istituzioni e' stato consigliere regionale
della Campania dal 1979 al 1987 e membro della presidenza del Consiglio
regionale. E' stato anche nel corso degli anni tra i promotori del movimento
dei Cristiani per il socialismo, dirigente delle Acli e della Cisl
Universita', membro della direzione nazionale della Lega delle Autonomie
Locali e della segreteria nazionale di Democrazia Proletaria di cui e' stato
a lungo responsabile nazionale cultura e scuola. In Rifondazione Comunista
e' attualmente membro del Comitato politico nazionale e responsabile
nazionale Universita'. Assessore all'educazione del Comune di Napoli dal
marzo 2000 al marzo 2001. E' autore, nel campo degli studi filosofici, dei
volumi: Il cogito e l'ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur,
Procaccini,  Napoli 1984, Marietti, Genova 1993  (tradotto in inglese presso
Kluwer nel 1990); Pierre Thevenaz e la filosofia senza assoluto, Athena,
Napoli 1984; Logica del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman,
Blondel, Piovani, Morano, Napoli 1994; Ricoeur. L'amore difficile, Studium,
Roma 1995; Le parole della prassi. Saggi di ermeneutica, Citta' del sole,
Napoli 1996 (in una collana dell'Istituto italiano per gli studi
filosofici); Paul Ricoeur. Une hermeneutique de la condition humaine,
Ellypses, Paris 2002; Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003. Ha
curato e introdotto l'antologia ricoeuriana Filosofia e linguaggio, Guerini,
Milano 1994, e una scelta di scritti di Ricoeur sulla traduzione: La
traduzione. Una scelta etica, Morcelliana, Brescia 2001. Ha curato, inoltre,
i volumi: Filosofia e liberazione, Capone, Lecce 1992 (con G. Cantillo); e
Fenomenologia e filosofia del linguaggio, Loffredo, Napoli 1996 (con R.
Pititto); L'eredita' filosofica di Jan Patocka, Cuen, Napoli 2000. Ha
partecipato ai principali volumi collettivi pubblicati su Ricoeur negli
ultimi anni in Francia, Spagna, Inghilterra  e Stati Uniti e continua,
attualmente, i suoi studi, lavorando in particolare sull'opera di Jan
Patocka e sugli sviluppi della fenomenologia di lingua francese nonche' sul
raporto ermeneutica-traduzione. Complessivamente i suoi saggi e articoli di
filosofia sono circa ottanta in italiano o tradotti in sette lingue
straniere. Nel campo della saggistica politica e' autore dei volumi:
Questione cattolica e politica di classe, Rosenberg & Sellier, Torino 1969;
Neoconservatorismo e sinistra alternativa, Athena, Napoli 1985; e di una
vasta produzione pubblicistica. Collabora a numerose riviste italiane e
straniere, tra cui  "Concordia" di Aachen, "Actuel Marx" di Parigi,
"Filosofia e teologia" e "Studium" di Roma, "Segni e comprensione" di Lecce;
dirige la  rivista "Alternative" di Roma. E' condirettore della rivista "Il
tetto" di Napoli, di cui fa parte da circa trent'anni.
Giulio Girardi (per contatti: g.girardi at agora.it) e' nato al Cairo nel 1926,
filosofo e teologo della liberazione, durante il Concilio Vaticano II
partecipo' alla stesura dello schema XIII; membro del Tribunale permanente
dei popoli, particolarmente impegnato nella solidarieta' con i popoli
dell'America Latina. Opere di Giulio Girardi: presso la Cittadella sono
usciti: Marxismo e cristianesimo; Credenti e non credenti per un mondo
nuovo; Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe; Educare: per quale
societa'?; Il capitalismo contro la speranza; Cristiani per il socialismo:
perche'?; presso Borla sono usciti: Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la
confluenza, (a cura di) Le rose non sono borghesi, La tunica lacerata, Fede
cristiana e materialismo storico, Dalla dipendenza alla pratica della
liberta', Il popolo prende la parola (con J. M. Vigil), La Conquista
dell'America, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Cuba dopo il crollo
del comunismo; presso le Edizioni Associate: Rivoluzione popolare e
occupazione del tempio; presso le Edizioni cultura della pace: Il tempio
condanna il vangelo; presso Anterem: Riscoprire Gandhi; presso le Edizioni
Punto Rosso: Resistenza e alternativa; presso Sperling & Kupfer: Che Guevara
visto da un cristiano]

Giulio Girardi ha compiuto ieri 80 anni.
Nato al Cairo da famiglia italo-libanese, in un crogiuolo cosmopolita di
culture e di fedi, salesiano e professore di filosofia a Roma, negli anni
Sessanta partecipo' come esperto del Segretariato vaticano per il dialogo
coi non credenti al rinnovamento conciliare e alle prime esperienze di
confronto fra cristiani e marxisti. Un suo libro su "Marxismo e
cristianesimo" divenne un classico di quella stagione che fu appunto detta
del dialogo. Ma ben presto le posizioni si radicalizzarono, mentre nel campo
del marxismo ufficiale venivano archiviati e repressi i tentativi di
"socialismo dal volto umano", nella Chiesa cattolica si manifestava una
crescente spinta restauratrice, rispetto alle aperture giovannee e
conciliari, gia' nel pontificato di Paolo VI.
Nel Sessantotto e negli anni seguenti un numero crescente di credenti passo'
dal dialogo alla scelta di classe e all'adozione, in forme originali, del
marxismo. Quegli anni memorabili, densi di esperienze tragiche ma anche di
grandi speranze (dal Cile all'Argentina, dal Centroamerica al Portogallo)
videro nascere nuovi movimenti come i Cristiani per il socialismo e le
Comunita' di base. Un nuovo ecumenismo abbatteva storiche barriere fra
cattolici e protestanti, fra credenti e non credenti. Sorgeva la "teologia
della liberazione" nel contesto di un piu' ampio movimento intellettuale che
coinvolgeva una pluralita' di culture della liberazione (dalla sociologia
della dipendenza alla pedagogia degli oppressi).
Di tutti questi fermenti Giulio Girardi fu uno dei protagonisti, al livello
internazionale, entrando sempre piu' dall'interno nel movimento operaio e
marxista e problematizzando il suo rapporto con la teologia e con la Chiesa.
A Santiago del Cile, nel 1972, lo ritroviamo tra i fondatori dei Cristiani
per il socialismo, che si espandono rapidamente in Europa, in particolare in
Italia e in Spagna. Quando l'anno successivo si organizzo' a Bologna il
primo convegno italiano di quel movimento fu naturale rivolgersi a lui per
la relazione di apertura. Ricordo quella sera di settembre in cui, insieme
ad un altro compagno del gruppo promotore, accolsi Giulio alla stazione di
Bologna, pochi giorni dopo il golpe cileno, quando gia' quel sogno si era
macchiato di sangue. Non sapevamo quanti compagni avrebbero accolto il
nostro appello, non si trattava infatti di un movimento organizzato, e tutto
era affidato alla generosita' e all'impegno volontario. Ci saremmo
accontentati di trecento persone, ne arrivarono quasi duemila. Poi sapemmo
che il fenomeno nuovo che quel movimento rappresentava (e che fu amplificato
l'anno seguente dal voto di milioni di cattolici contro la proposta di
cancellare il divorzio) era stato persino oggetto di dibattito nell'ufficio
politico del Pci, allora guidato da Berlinguer. Il Pci ebbe per lungo tempo
difficolta' a capire e a entrare in sintonia col dissenso cristiano (a
differenza di personalita' come Basso, Foa e Ingrao, di una parte della
nuova sinistra e della sinistra sindacale trasversale di quegli anni).
Comunque quell'incontro a Bologna fu per me l'inizio di una lunga amicizia
con Giulio, che in seguito non e' venuta mai meno.
Egli ben presto fu costretto a lasciare l'ordine e il sacerdozio e scelse di
dedicarsi sempre di piu' in modo volutamente antiaccademico ad una
elaborazione intellettuale in ascolto alle esperienze di base: non solo
quelle delle comunita' cristiane ma anche quelle dei metalmeccanici
torinesi, presso i quali trovo' rifugio per un certo tempo, svolgendo una
memorabile inchiesta, e ancora quelle delle comunita' di recupero dalla
tossicodipendenza, alla ricerca di una pratica della liberta', affidata
all'educazione liberatrice. E sempre con grande costanza e speranza
(dividendo il suo tempo fra Europa e America Latina) con una grande
attenzione ai movimenti nuovi di liberazione, dai sandinisti allo zapatismo,
ai movimenti indigenisti, a una Cuba sempre amata, senza ignorare le zone
d'ombra di quella esperienza, rileggendo e facendo sua la lezione del Che.
Sarebbe troppo lungo l'elenco dei libri e degli articoli prodotti da Giulio.
Chi avesse la pazienza di rileggerli troverebbe straordinarie anticipazioni
di scelte che poi sono diventate patrimonio di molti, come per esempio una
riflessione sul valore rivoluzionario della nonviolenza compiuta in
comunione e non gia' in contrapposizione coi movimenti di liberazione
latinoamericani, che la violenza hanno sempre patito sulla propria carne ma
che anche sono stati costretti dalla situazione storica a considerarla come
un'opzione con cui confrontarsi. La scelta prioritaria della prassi
liberatrice diventa criterio che travalica e chiarifica molti dibattiti che
spesso restano al livello meramente ideologico e astratto. Questa prassi
diventa anche criterio discriminante per una comprensione nuova della
propria fede da parte dei credenti e per un incontro coi compagni non
credenti che sia riconoscimento reciproco e non riproposizione di vetuste
diffidenze e incomprensioni. Queste cose compagni come Giulio Girardi
possono ancora insegnarcele, soprattutto in momenti in cui questione
religiosa e questione cattolica tornano all'ordine del giorno, e percio' e'
importante che essi restino fra noi a testimoniarle e ad aiutarci nella
nostra ricerca per ancora molti anni.

2. RIFLESSIONE. ANNA MAFFEI: RADICI CRISTIANE? UNA RIFLESSIONE
[Ringraziamo Anna Maffei (per contatti: anna.maffei at ucebi.it) per questo
intervento. Anna Maffei, presidente dell'Unione Cristiana Evangelica
Battista d'Italia (in sigla: Ucebi), prestigiosa teologa e saggista,
appartiene alla tradizione nonviolenta espressa dal pastore battista e
martire per la pace e la dignita' umana Martin Luther King]

Ho una viscerale avversione verso questa idea, che e' gia' ideologia, delle
radici cristiane della nostra storia e cultura. Se ne e' parlato in
abbondanza quando si voleva introdurre questo concetto nel Trattato
dell'Unione europea e rispunta ora in chiave ancor piu' sfacciatamente
anti-islamica.
Non ci dovrebbe essere bisogno ogni volta di richiamare l'intolleranza, le
crociate, i roghi, le guerre che hanno contrapposto nazioni e imperi
sedicenti cristiani per dire i tradimenti degli insegnamenti di Cristo e di
Cristo stesso nella storia europea, ma vi si e' costretti invece, ogni volta
di nuovo.
La predicazione e la vita del Cristo testimonia una volonta' di smascherare
l'ipocrisia dei poteri forti, compresi quelli di matrice religiosa, ed
incarna un appello appassionato alle coscienze a lasciarsi trasformare dalla
grazia di Dio.
Il rapporto con Dio ci disarma, non ci rende piu' violenti.
So benissimo che non si puo' impedire a nessuno di bestemmiare il nome di
Cristo per legittimare nuovi steccati o per indire moderne crociate. Ma
quando lo si fa, ci si assume la propria responsabilita' di aver trasformato
il Dio vivente in un simulacro patetico sordo e muto.
La fede cristiana non ha bisogno di simboli da imporre per legge o da
brandire a mo' di spada contro qualcun altro, perche' se e' vera fede ha
nella riconciliazione e nel perdono il suo centro e il suo motore. Se non
partiamo da qua, non so proprio di cosa stiamo parlando.
Per quanto riguarda la questione dei diritti di tutti e di ciascuno di
professare liberamente il proprio credo (o il proprio ateismo), questo
diritto e' sancito dall'articolo 18 della Dichiarazione universale dei
diritti umani. L'appello a rispettare questo principio non deve essere
basato sul concetto di reciprocita' che porta in se' un pericoloso seme di
ricatto, ossia: se tu non rispetti i miei principi, io non rispetto i tuoi.
La nostra Repubblica che e' fondata sulla Costituzione, deve rispettare quel
principio perche' esso e' centrale per noi, per la nostra storia e per la
nostra democrazia, insomma perche' e' un dovere. Su questa base deve
adoperarsi perche' tale principio di liberta' sia rispettato dovunque per
tutte le minoranze e non solo per i cristiani.
Dunque, si vada avanti con decisione nella stipula delle Intese, anche
quelle con i musulmani e con i Testimoni di Geova e si faccia per la prima
volta nella storia del nostro paese una legge che tuteli davvero la liberta'
religiosa e di coscienza di tutti, anche di coloro che non vogliono o non
possono stipulare intese. La definitiva abrogazione della legge fascista sui
culti ammessi del 1929-'30 non potrebbe che giovare a rasserenare il clima
incandescente che viviamo oggi, innescato anche da persone che dovrebbero
considerare prioritario il principio responsabilita'.

3. RIFLESSIONE. SERGIO PARONETTO: UN PESSIMO APPELLO
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com)
per questo intervento.
Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico "Luigi Einaudi" di Verona
dove coordina alcune attivita' di educazione alla pace e ai diritti umani.
Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il servizio civile
alternativo del militare con un gruppo di volontari di Cooperazione
internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al servizio militare gli
viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di Lorenzo Milani e
di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva amazzonica presso
gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al vescovo degli idios
(quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi di alfabetizzazione
secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli anni '80 e'
consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il
disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena suscitate
dall'Appello dei Beati i costruttori di pace. In esse incontra o reincontra
Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo,
Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e tanti
testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva gia'
conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale fa parte. E'
membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e, ultimamente, del Sinodo
diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto, La nonviolenza dei volti.
Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004.
Marcello Pera (Lucca, 1943), docente universitario e saggista, e' presidente
del Senato. Dal sito del Senato della Repubblica riportiamo alcuni stralci
del profilo biografico di Marcello Pera: professore ordinario di Filosofia
della Scienza all'Universita' di Pisa dal 1992; senatore della XIII
legislatura, rieletto nella XIV legislatura, eletto presidente del Senato il
30 maggio 2001; Visiting Fellow al Center for Philosophy of Science,
University of Pittsburgh (Pennsylvania), 1984, al The Van Leer Foundation,
Gerusalemme (Israele), 1987, al Department of Linguistics and Philosophy,
Mit, Cambridge (Massachusetts), 1990, Centre for the Philosophy of Natural
and Social Sciences, London School of Economics, Londra, 1995-'96; membro
dei comitati scientifici e collaboratore di diverse riviste, tra cui:
"Physis. Rivista internazionale di storia della scienza", "Epistemologia",
"Perspectives on Science, Philosophical, Historical, Social", Chicago
University Press, Chicago (Illinois); direttore della collana Filosofia e
problemi d'oggi (1985-1990); ha collaborato a quotidiani e settimanali:
"L'Espresso" (1980-1984), "Corriere della Sera" (1984-1988), "La Stampa"
(1988-1993), "Panorama" (1994-1995), "Il Messaggero" (1994-2001); ha
partecipato a numerosi seminari, convegni e congressi scientifici in Italia
e all'estero, in varie universita' e centri di ricerca, tra cui: Pittsburgh,
Montreal, Berkeley, Salonicco, Gerusalemme, Tel Aviv, Coimbra, Cincinnati,
Baltimora , Harvard , Berlino, Londra. Ha scritto molti articoli e saggi su
riviste italiane e internazionali, in particolare sul metodo scientifico, la
teoria della prova, l'argomentazione scientifica. E' autore di vari libri,
tra cui Induzione e metodo scientifico (Editrice Tecnico Scientifica, Pisa
1978), Popper e la scienza su palafitte (Laterza, Roma-Bari 1981, 1982 -
seconda edizione), Hume, Kant e l'induzione (Il Mulino, Bologna 1982),
Apologia del metodo (Laterza, Roma-Bari 1982), La rana ambigua. La
controversia sull'elettricita' animale tra Galvani e Volta (Einaudi, Torino
1986), Scienza e retorica (Laterza, Roma-Bari 1992), The Discourses of
Science (Chicago University Press, Chicago 1994); ha curato diverse
pubblicazioni, tra cui I modi del progresso. Teorie e episodi della
razionalita' scientifica (in collaborazione con J. Pitt, Il Saggiatore,
Milano 1985), L'arte della persuasione scientifica (in collaborazione con W.
Shea, Guerini e Associati, Milano 1992), Il mondo incerto (Laterza,
Roma-Bari 1994), Rational Changes in Science (in collaborazione con J. Pitt,
Reidel, Dordrecht-Boston 1987) e Scientific Controversies (in collaborazione
con P. Machamer e A. Baltas, Oxford University Press, Oxford 2000)]

Ho appena letto l'"Appello all'Occidente" di Marcello Pera. Molto brutto. In
esso si mescolano riduzioni storiche, manovre politiche e contraddizioni
culturali di vario tipo (sul concetto di individuo, di persona, di civilta',
di cristianesimo). A mio parere, suoi elementi centrali sono: una visione
compatta dell'Occidente sempre univoco e fedele ai suoi "costumi millenari";
una sindrome da assedio provocata da nemici interni ed esterni in agguato;
l'idea della propria superiorita' culturale che degrada a crisi
autodistruttiva, a una bestemmia neoconservatrice, la rilevazione
antropologica e laica dell'"uguale valore di tutte le culture"; una visione
solo militarizzata della sicurezza. E' il documento della paura. Il suo
linguaggio piu' che tradizionalista (lo firmano anche esponenti del
neofascismo cattolico) e' totalitario.
*
Tra le molte cose, mi indigna una citazione abusiva e strumentale di
Benedetto XVI.
In realta', in molti discorsi del papa incontriamo un respiro universale che
i clericali di qualunque orientamento non vogliono e non possono conoscere.
Tra i tanti, vorrei citarne tre:
1. l'enciclica "Deus caritas est" che contiene, come scrive il papa
nell'introduzione, "un messaggio di grande attualita'" proprio oggi "in un
mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il
dovere dell'odio e della violenza";
2. l'intervento del 9 gennaio 2006 al Corpo diplomatico della S. Sede in cui
si citano i "gravi errori" commessi dai cristiani favorevoli a "guerre di
religione" (rinnovando, cosi', la "purificazione della memoria" di Giovanni
Paolo II) e si riprende il tema della "menzogna selettiva e tendenziosa" che
produce continue violenze (riflessione gia' presente nel Messaggio per la
Giornata mondiale della pace del primo gennaio);
3. il discorso a Colonia dell'agosto 2005 agli "amici musulmani": "quante
pagine di storia registrano le battaglie e le guerre affrontate invocando,
da una parte e dall'altra, il nome di Dio, quasi che combattere il nemico e
uccidere l'avversario potesse essere cosa a Lui gradita. Il ricordo di
questi tristi eventi dovrebbe riempirci di vergogna, ben sapendo quali
atrocita' siano state commesse nel nome della religione. Le lezioni del
passato devono servirci a evitare di ripetere gli stessi errori. Noi
vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere
rispettando ciascuno l'identita' dell'altro [...]. Insieme, cristiani e
musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci
propone. Non c'e' spazio per l'apatia e il disimpegno e ancor meno per la
parzialita' e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura ne' al
pessimismo. Dobbiamo piuttosto coltivare l'ottimismo e la speranza".
*
Ecco, l'appello di Pera mi pare proprio rassegnato, impaurito, parziale e
settario.
Mi dispiace molto che l'abbia firmato la ministra dell'Istruzione. Io sono
un insegnante. Vorrei dire alla ministra che non posso proprio insegnare
quanto ha sottoscritto. Ne va della mia credibilita' professionale oltre che
della mia fede cristiana.

4. RIFLESSIONE. FEDERICA FABBIANI INTERVISTA ANNA BRAVO
[Da "Server donne" (sito: www.women.it) riprendiamo questa intervista di
Federica Fabbiani ad Anna Bravo, ivi pubblicata il 25 gennaio 2006 col
titolo "Il lavoro storico sulla violenza e la riflessione attuale
sull'aborto: intervista ad Anna Bravo"; l'intervista e' stata realizzata in
collaborazione con M. Pia Brancadori, Giancarla Codrignani, Elda Guerra,
Annamaria Tagliavini, Paola Zappaterra. "Server donne" e' una testata
giornalistica diretta da Giancarla Codrignani.
Federica Fabbiani, laureata al Dams di Bologna, e' corrispondente di un
quotidiano locale; ha scritto libri di informatica ed ha diretto la
redazione on line del sito di una grande azienda italiana di e-commerce. Tra
le opere di Federica Fabbiani: Un mare di notizie. Le nuove competenze del
giornalismo on line, Etas libri, MIlano 2003.
Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it), storica e docente
universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si
occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata
e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su
questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha
fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie
di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del
Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati
scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della
Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna
Bravo:  (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e
uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla),
Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia,
Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie
di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia),
Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta
Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza,
Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta
Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza,
Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003.
Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it), presidente della
Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia'
parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di
solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della
cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di
Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989;
Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura
della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com
nuovi tempi, Roma 2005]

Torniamo a parlare di Anna Bravo, ora che le polemiche seguite alla
pubblicazione dell'articolo sugli anni Settanta (Noi e la violenza,
trent'anni per pensarci) sulla rivista "Genesis" si sono progressivamente
stemperate.
Ne parliamo con la diretta interessata, Anna Bravo appunto, che e' stata
professore associato di storia sociale all'Universita' di Torino e ha
lasciato anticipatamente l'insegnamento, e che si occupa di deportazione e
genocidio, di resistenza armata e civile, di violenza e nonviolenza. Appena
pubblicato, il saggio ha aperto un fronte di discussione acceso e, a tratti,
doloroso, perche' metteva in primo piano il rapporto controverso tra le
donne attive negli anni Settanta e la violenza, quella verso il corpo
femminile ed il feto, agita attraverso l'aborto, e quella della sinistra
extraparlamentare, praticata nelle manifestazioni di piazza e negli scontri
con i neofascisti. Per Anna Bravo, in nome di un'idea di estraneita', la
maggior parte delle femministe non ha visto come problema il dolore inflitto
alla parte politicamente avversa e non lo ha affrontato nei decenni
successivi, come non ha affrontato la questione della potenziale sofferenza
del feto oltre un certo stadio della gravidanza, neppure dopo che ginecologi
e neonatologi avevano cominciato a discuterne.
*
"Negli anni '70 - conferma Anna Bravo - la violenza riguardava tutte le
donne attive nella sinistra extraparlamentare. Per anni nessuna ha reagito
pubblicamente con decisione, e/o presentato una posizione alternativa
articolata che favorisse un dibattito diverso. Non basta non aver fatto
niente, la responsabilita' personale comprende l'omissione, molto spesso si
identifica proprio con l'omissione. Certo non si puo' non tenere conto del
clima di allora e della responsabilita' collettiva nel favorire la perdita
di autocoscienza e di immaginazione; ma io intendo la responsabilita'
collettiva nell'accezione di Jean Amery, secondo cui questo termine ha senso
soltanto se lo si considera come la somma dei comportamenti colpevoli
individuali, attivi o omissivi, non come colpa di un popolo, una
generazione, un genere sessuale; altrimenti, verrebbe meno lo stesso
concetto di responsabilita' personale per quel che si compie o non si compie
in prima persona.
"Certo, non sono temi facili, anzi angosciano, ma prendiamo almeno atto che
le cose non dovevano andare necessariamente cosi'. Provo a fare la storia
con i se. Mettiamo che il femminismo nelle sue varie espressioni non solo
avesse proposto un lavoro politico diverso, ma si fosse immischiato di piu'
e piu' visibilmente nella politica 'maschile'; mettiamo che si fosse
smarcato dal marxismo e dal leninismo, capisaldi della teoria della violenza
rifondatrice, che compisse azioni di testimonianza, che desse valore al
filone riformista della propria genalogia (le emancipazioniste fra Otto e
Novecento stavano prevalentemente in quell'alveo). Mettiamo che, invece di
rifiutare di schierarsi fra lo Stato e le Br, come facevano alcune, questo
femminismo avesse cercato rapporti con l'area della nonviolenza, avesse
preso seccamente posizione anche contro la distruttivita' della parte
politica cui era piu' vicino, i gruppi extraparlamentari (come hanno fatto
alcune, consapevoli che la violenza era la maggiore minaccia al movimento
delle donne). Alcune precondizioni c'erano, magari disseminate,
intermittenti - la critica al patriarcato che si estendeva alla sua matrice
violenta, il rifiuto del sacro duo marxismo/psicanalisi formulato da Carla
Lonzi, una certa capacita' di rapporto con le istituzioni, soprattutto il
discorso sul corpo: la prima mossa della cattiva politica a' sottomettere il
corpo individuale al corpo collettivo - nazionale, sociale, politico. Forse
qualcosa sarebbe cambiato, e di certo sarebbe diversa la memoria. Che il
problema della violenza sia irrisolvibile in tempi brevi, non ci esenta
affatto dal ripensarci".
*
Un rapporto irrisolto e difficile da superare: questo il punto di partenza
dell'analisi del vuoto storiografico sul femminismo. "Sono passati
trent'anni - prosegue Bravo - ed il dibattito sulle responsabilita' degli
anni Settanta ha coinvolto molto poco le donne, come se l'approdo al
femminismo avessero cancellato azioni e prese di posizione. Diversamente
dalla discussione sulla violenza dell'oggi, che registra molte voci
femminili. Penso che questo silenzio sugli anni Settanta sia soprattutto una
questione di biografia individuale e collettiva. A me non piacciono alcune
cose che eravamo, e non sono la sola. Conta anche il fatto che non ci siamo
create le precondizioni per costruire la nostra storia: sapevamo che la
stavamo facendo, la storia, e abbiamo pensato troppo poco a conservare
documenti che la facessero vivere nel tempo. La circolazione delle idee e
delle pratiche era molto spesso orale, la costruzione degli archivi e'
cominciata molto dopo. Ma questo 'silenzio' storiografico non deve
sorprendere: si e' trattato di un'esperienza difficile da trasmettere nella
sua 'unicita'', cosi' come avviene per ogni grande esperienza collettiva".
*
Si registra, quindi, una memoria puntiforme disseminata in un flusso
emozionale. "Ognuno ricorda il suo pezzo - precisa la storica torinese - ed
e' nel giusto chi dice di 'non fidarsi di chi sostiene di ricordarsi bene
del '68, perche' probabilmente non l'ha vissuto'. Vale anche per il
femminismo. Una ricognizione d'insieme deve essere ancora affrontata
compiutamente sul piano storiografico. Anche se io non sono poi cosi'
favorevole alle storie 'complessive', ma credo maggiormente nei filoni
tematici e/o locali. Penso che tocchi alle nuove generazioni fare domande
'inopportune' per sapere su quegli anni anche quello che interessa oggi. E'
giusto farle, quando si indaga su un oggetto, come se non si sapessero le
cose. Sono le domande fuori tema, quelle che apparentemente non c'entrano, a
far riemergere la storia e avanzare la conoscenza. In fondo tra generazioni
ci sono gradi di 'inopportunita'', di 'incomprensione' che non implicano
necessariamente un atteggiamento antagonista. A meno che si pensi che alle
giovani tocchi solo ricevere 'la liberta' che noi abbiamo consegnato loro':
e' una frase che ho letto di recente, e mi ha stupito, la liberta' non e'
qualcosa che si consegna, ognuna se la guadagna a modo suo".
*
Giovani generazioni che hanno (r)accolto Anna Bravo dopo la bagarre
scatenata dalla pubblicazione del saggio su "Genesis". Certo, non far parte
di quel "noi" che campeggia nel titolo (Noi e la violenza, ndr) aiuta a
stemperare le reazioni ed a prendere le distanze da un'identificazione
emotiva. "Principalmente credo che le tante persone giovani che ho
conosciuto in questi mesi siano curiose e non rigide - interviene Bravo -,
come invece lo sono state le mie coetanee, che mi hanno accusato di falso,
pentitismo, revisionismo, incompetenza, e spesso senza aver letto l'articolo
sotto accusa; l'ironia e' che gli insulti venivano da (una parte ampia
della) sinistra e anche da (una parte della) destra. E pensare che una
probabilmente ex amica, cui avevo scritto di temere proprio di trovarmi tra
due fuochi, mi aveva liquidato cosi': 'al contrario, piacera' molto a tutti,
e lo sai. Non dice cose veramente scomode, solo lievi varianti della
vulgata'!. L'ostilita' nei miei confronti credo sia legata anche al fatto
che il discorso veniva da una persona 'di nessuna fede'. A una credente, in
particolare se cattolica, si sarebbe riconosciuto il diritto/valore del fare
riferimento a una tradizione e a un'appartenenza, di possedere una
spiritualita' e una sensibilita' consolidate e 'rispettabili'. Una come me,
di cosa si immischiava, e a che titolo? I non credenti, e' noto, hanno meno
anima dei credenti.
"Ma deve aver contato soprattutto il rapporto tra essere una donna e essere
una studiosa delle donne - un rapporto che e' una conquista, ma non se
diventa troppo vincolante. Forse oggi e' di nuovo vincolante come un tempo.
Io sentivo che mi si voleva distruggere non solo come studiosa, ma come
donna, forse quelle che mi hanno attaccato piu' duramente si sentivano
minacciate allo stesso modo. Sara' un caso che non un solo centro
femmminista mi abbia chiamato a discutere di violenza e nonviolenza, mentre
lo hanno fatto scuole e istituzioni culturali e di ricerca, di donne e
miste? Qualcuna ha poi cambiato idea, come Lea Melandri, che ha detto di
aver scoperto che non avevo affatto buttato via tutta la nostra storia. Ma
l'ho letto su 'Repubblica'; perche' non dirmelo direttamente? Mi avrebbe
fatto piacere: dopo tante tensioni, perche' non cercare una mediazione anche
con me? Ma queste sono cose passate, il problema vero e' che nel femminismo,
accerchiamento di destra o no, non c'e' un buon modo di gestire i conflitti.
O si rimuovono (io a volte lo faccio perche' ne ho paura) oppure si arriva
allo scontro frontale, alla delegittimazione reciproca, il che crea fratture
irreversibili, e fa soffrire inutilmente. Nel mio caso, e' stato proprio un
dolore non necessario. A che cosa e' servito? Solo ad incancrenire le cose e
le rotture. E non ha senso scaricare tutto sui media. Da parte nostra rilevo
la difficolta' nel fare storia e nel far capire il clima: non e' facile
liberarsi da una sorta di memoria identitaria e dal conseguente difensivismo
per la paura di essere 'accusate di'. Una cosa che mi ha stupito: temevo che
il discorso sul dolore del feto fosse angosciante, invece e' stato giudicato
semplicemente inopportuno o frutto di elucubrazioni personali (proprio in
questi giorni stanno uscendo sui quotidiani i resoconti di dibattiti in
materia, con relative spaccature fra medici americani e britannici)".
*
Quel "noi" appare assolutamente frammentato in sostanza. Una frammentazione
delle posizioni, nel femminismo e nella sinistra, che puo' essere
considerata all'origine della sconfitta al referendum sulla fecondazione
assistita. "Non credo che le divisioni siano risolvibili - sottolinea
Bravo -. Sulla legge 40, sono giustificate dalla differenza delle idee. Ma
anche con questa frammentazione si potrebbero trovare modi comuni di agire,
se solo accettassimo una accezione non totalizzante di politica. Penso ai
movimenti per un solo obiettivo, che riuniscono/assemblano posizioni e
persone molto diverse. Per me, questo e' il momento di assumere tutto il
problema della credibilita' della scienza, su cui mi hanno fatto molto
pensare, fra le altre, Alessandra Di Pietro e Paola Tavella. Torna in primo
piano anche la visibilita' delle donne, il rapporto con la violenza e la
presa di responsabilita' delle parole".
*
Tutto torna alla fine: il lavoro storico su guerra, violenza, resistenze,
riduzione del danno e la riflessione attuale sulle questioni del corpo e
dell'aborto. "Si parte da un dato - conclude Anna Bravo -: il corpo
femminile non e' militarizzabile come quello maschile, e noi siamo meno
forti fisicamente. Le donne non vincono sul piano della forza bruta, il che
non significa che non sappiano fare del male. Tuttavia e' un vantaggio,
perche' spinge a spostarsi sul terreno della parola, e perche' garantisce
che, senza la protesi di un'arma propria o impropria, non si puo' fare
veramente del male a nessuno. Tranne ai bambini e ai piccoli animali, pero',
su cui alcune e alcuni infieriscono. Io lavoro sul rapporto con la violenza
e la distruttivita' degli anni Settanta e sui modi in cui e' stato, se lo e'
stato, ripensato. E non mi va di considerarlo un caso unico.
"Se dico che il corpo femminile e' vittima di manipolazione cruenta da parte
del potere medico-scientifico, e potenziale tramite di sofferenza del feto,
non sto equiparando aborto e terrorismo, come e' stato detto. Non solo li ho
tenuti divisi, ma in ogni caso sarebbe stata una comparazione, e si
comparano cose diverse. E non sarebbe stato neanche creare un'analogia:
l'analogia non sta nella realte', e' una forma del pensiero per verificare
se esistono connessioni o no; in fondo e' un modo di negoziare con le
proprie ipotesi, pregiudizi, cecita' (e intuizioni di cui ci si innamora
troppo), e' un modo di verificarsi. Il movimento delle donne ha parlato di
liberta' e autodeterminazione come capacita' di negoziare la propria
adesione ai modelli e di prenderne le misure e le distanze. Non una
questione di diritti, ma di soggettivita'. E vale anche nel fare storia. Per
molte di noi, la depenalizzazione dell'aborto era una forma di riduzione del
danno. Perche' non fare di questo concetto uno degli strumenti per ulteriori
discussioni su punti controversi?".

5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: I TRAM DI NOTTE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo di Lea
Melandri apparso su "D di Repubblica" il 12 dicembre 2005. Lea Melandri,
nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della
rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e'
impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne.
Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria,
L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come
nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli
1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

I tram di notte parlano lingue straniere e, al tempo stesso, familiari.
Spesso sono proprio i suoni e le intonazioni dal significato incomprensibile
a tracciare le linee di un paesaggio che ci accomuna agli altri esseri
umani, al di la' delle culture e delle appartenenze diverse.
Il popolo dei lavoratori immigrati, che di giorno si muove invisibile negli
interstizi della citta', nell'ora in cui si chiudono i negozi esala come un
vapore colorato dalle bocche delle metropolitane e trasforma i mezzi di
superficie nella grande casa del mondo. Se non ci si lascia prendere dallo
smarrimento e dall'ombra minacciosa che sembra portarsi dietro ogni
"forestiero" che appare improvviso all'orizzonte, la memoria non tarda a
riconoscere, dietro la diversita' di un colore di pelle o di taglio degli
occhi, figure di parenti.
La citta' "rende liberi" ma anche smemorati, e tocca agli ultimi venuti
ravvivare il ricordo di un paese, di una campagna, di un interno di
famiglia, caduti fuori dal tempo per troppo dolore o per insopportabile
nostalgia. Il contrappunto delle voci che finalmente possono alzarsi senza
timore, sicure dell'indifferenza complice del passeggero vicino, porta l'eco
di dolori, fatiche e speranze che attraversano quasi senza variazioni la
storia dei singoli e dei popoli, racconta di quella piccola morte e
rinascita che e' l'abbandono del luogo dove si e' cresciuti, evoca angosce,
umiliazioni, e la felicita' di incontri inattesi.
Mondi che si sono fatti la guerra, il Nord e il Sud, la citta' e la
campagna, seduti accanto nell'atmosfera ovattata del tragitto sospeso tra la
stanchezza del giorno e il tempo del riposo, scoprono inavvertitamente di
avere passioni condivise, corpi segnati dalle stesse ferite, ricordi che
parlano la stessa lingua.
La xenofobia insidia oggi una convivenza che si fa ogni giorno piu'
difficile, divisa dalle crescenti disuguaglianze sociali e dall'incrocio di
culture diverse. Piu' si stringono vincoli di bisogno reciproco e piu' si fa
intima la vicinanza, in quel corpo a corpo che e' la cura di un malato o di
un anziano, piu' si ingigantisce la figura dell'"intruso" posto ambiguamente
tra la nostra morte e la nostra sopravvivenza.
La tentazione di separare con un taglio netto il "noi" e il "voi" e' la
minaccia che incombe su una collettivita' che vede il lontano farsi sempre
piu' prossimo, l'estraneo divenire familiare, e cio' che e' proprio perdere
la nettezza dei suoi confini.
Desertificando la storia e la memoria, il fantasma del "nemico" che turba i
sonni dell'Occidente, rischia di cancellare l'unica terra su cui gli umani
possono riconoscersi al medesimo tempo simili e diversi.

6. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "ZAPATERO. IL SOCIALISMO DEI CITTADINI"
DI MARCO CALAMAI E ALDO GARZIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 febbraio 2006.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005.
Marco  Calamai, nato a Firenze nel 1940, gia' militante e dirigente
sindacale (nella Fiom, nella Flm, nella Cgil) e redattore di "Rinascita",
giornalista e studioso di questioni internazionali, ha scritto libri, saggi
e articoli sulla transizione democratica in Spagna, Portogallo, America
latina, Kosovo e Iraq; operatore per conto di istituzioni internazionali, ha
lavorato per le Nazioni Unite ed e' stato consigliere speciale della
Coalition provisional authority (in sigla Cpa, il braccio politico
dell'occupazione militare in Iraq) a Nassiriya, in Iraq, incarico da cui
dopo l'attentato contro gli italiani del 12 novembre 2003 si e' dimesso in
aperta polemica con la politica americana in Iraq. Tra le opere di Marco
Calamai: La lotta di classe sotto il franchismo. Le Commissioni operaie, De
Donato, Bari 1971; Storia del movimento operaio spagnolo dal 1940 al 1975,
De Donato, Bari 1976; Il fantasma di un'altra Cuba. L'America latina dopo la
rivoluzione sandinista, De Donato, Bari 1979; Diario da Nassiriya. Fine di
una illusione, Nuova Iniziativa Editoriale, Roma 2003.
Aldo Garzia e' nato nel 1954, giornalista e saggista, gia' caposervizio
esteri del quotidiano "il manifesto" (per il quale ha seguito come inviato
la prima fase della transizione spagnola a meta' degli anni settanta), da
sempre impegnato nella sinistra critica e nella solidarieta' internazionale,
dirige la rivista mensile "Aprile" e il quotidiano telematico
"aprileonline". Opere di Aldo Garzia: Da Natta a Natta, Dedalo, Bari 1985;
Il vento di destra, Datanews, Roma 1994; Cuba, viaggio nell'identita' di
un'isola, Teti 1997; Cuba, appunti di viaggio, Edizioni Associate, Roma
1998; C come Cuba, Elleu Multimedia, Roma 2001.
Luis Rodriguez Zapatero e' il primo ministro spagnolo]

Quando Luis Rodriguez Zapatero annuncio' il ritiro immediato delle truppe
spagnole dall'Iraq erano passate appena cinque settimane dalla vittoria del
Psoe alle elezioni del 14 marzo 2004 e dalla sua elezione a premier. Colpi'
allora, oltre al fatto, lo stile: scarno e diretto, sobrio e definitivo. Non
c'erano se, ma, forse, potremmo, chissa'. Davanti alle telecamere il giovane
premier disse semplicemente: "Ho ordinato al ministro della difesa di
ritirare le nostre truppe dall'Iraq", punto e fine della trasmissione. Dai
commentatori italiani che da lustri invocano, a ragione e a torto, la virtu'
della decisione nella leadership politica ci si sarebbe aspettato qualche
apprezzamento, invece comincio' la denigrazione sistematica, perche' il
giovane Bambi aveva osato troppo. Poi Bambi oso' sempre di piu', sulle donne
al governo, sui rapporti con la chiesa, sui matrimoni omosessuali, sul
sistema televisivo, e la denigrazione continuo' fra i benpensanti di destra,
mentre fra i benpensanti di sinistra caddero il silenzio e l'imbarazzo.
Zapatero, basta la parola e il centrosinistra italiano entra nel panico:
ogni cosa che lui fa in Spagna e' una scossa di terremoto per una coalizione
attaccata con lo scotch, nella quale puo' accedere che siano candidati in
contemporanea Vladimir Luxuria e la presidente del comitato "Scienza e
vita".
Leggendo la lunga intervista al premier spagnolo che costituisce la parte
centrale di Zapatero. Il socialismo dei cittadini (Feltrinelli) di Marco
Calamai e Aldo Garzia, si capisce adesso che quello stile sobrio e deciso
del ritiro dall'Iraq non era occasionale ma e' una cifra del personaggio. Il
quale ha una risposta sobria e decisa, senza se, ma, forse, potremmo,
chissa', per ogni grande questione - democrazia, liberta', globalizzazione,
guerra, memoria - che gli intervistatori gli pongono e che in altri
intervistati eventuali di casa nostra provocherebbero un numero infinito di
circonlocuzioni evasive e diversive. Esempi. Sui rapporti con la Chiesa: "Il
mio governo non desidera in alcun modo scontrarsi con la chiesa cattolica
ne' con altre organizzazioni religiose. Ma e' la nostra Costituzione a
stabilire il carattere aconfessionale dello stato spagnolo". Sui matrimoni
gay: "Abbiamo riconosciuto un diritto a coloro che prima non lo avevano,
senza ridurre di una virgola la liberta' di coloro che a quel diritto non
sono interessati". Sulla riforma che accelera le procedure per il divorzio:
"Il diritto al matrimonio comprende anche la liberta' di scioglierlo, quando
il progetto di coppia e' fallito". Sul ritiro dei simboli franchisti dai
luoghi pubblici: "Non mi risulta che esistano paesi democratici dove si
conservino le statue dei dittatori. La cosa normale e' che questi simboli
non ci siano. Mi sembra un fatto ovvio". Sulla riforma del sistema
televisivo: "Durante la campagna elettorale avevo detto: 'Voglio essere il
politico che strappa la televisione ai politici e la restituisce ai
cittadini'. Sto facendo cio' che avevo detto". E via cosi'.
Ne viene fuori non solo l'immagine di un leader che pratica quello che
predica, cioe' che in politica il primo comandamento e' "non tradire la
parola data". Ma anche e soprattutto quella di un socialista senza sensi di
colpa rispetto alla sua provenienza. Zapatero non si sente in obbligo di
scusarsi per essere dalla parte dei diritti di liberta', del welfare dei
piu' deboli, della democrazia partecipata; ne' sente il bisogno di prendere
ogni poco le distanze dal socialismo novecentesco, dai suoi errori e dai
suoi fallimenti. Tutt'al contrario, dice e comunica l'orgoglio sereno di chi
lavora per rilanciare il nocciolo della sua tradizione. Che per lui e' un
nocciolo di liberta': "Il socialismo e' liberta'. Non ci puo' essere
socialismo senza liberta' e senza democrazia", e se una colpa ha avuto il
socialismo novecentesco e' stata quella di mettere questo fronte in secondo
piano rispetto a quello dell'economia e della giustizia sociale.
*
Calamai e Garzia, entrambi ottimi conoscitori della storia e della sinistra
spagnole, giustamente inquadrano queste posizioni di Zapatero all'esito
della lunga vicenda che va dall'uscita dal franchismo al Psoe di Gonzales
all'ascesa e declino della destra di Aznar. A chi legge, viene spontaneo
invece il confronto con i sensi di colpa della sinistra italiana di oggi e
con il suo conseguente moderatismo; e non suonano stonati i riferimenti a
Bill Clinton e a Tony Blair che Zapatero fa pur rimarcando le diversita'
della sua politica rispetto alle loro. In tutti e tre i casi - fatte salve
le distanze, specie da Blair, su questioni cruciali come l'Iraq e l'Europa -
ha funzionato un rapporto fra discontinuita' e tradizione che ha saputo
imprimere un colpo di accelerazione e di inventiva alla politica, mentre nel
caso italiano quel rapporto s'e' bloccato, producendo insieme cattiva
continuita' e cattiva innovazione.
Vale la pena dunque di leggere con attenzione le parti dell'intervista
dedicate agli ingredienti culturali del laboratorio Zapatero: l'idea di
liberta' come "non dominio", ben diversa da quella liberal-liberista di
liberta' come affrancamento dallo stato e dal pubblico; la concezione del
rapporto fra governo e autogoverno che regge l'impalcatura istituzionale
delle autonomie e delle municipalita'; l'accento sul "quarto pilastro" del
welfare per i cittadini meno autonomi di altri per ragioni di reddito, di
salute, di eta', di carico familiare; la salda convinzione che dal
coinvolgimento femminile sia la democrazia a guadagnarci, prima che le
donne. Idee che contano - "per me le idee sono molto importanti in politica
come nella vita" -, anche se "non abbiamo alcuna ortodossia da offrire,
perche' la maggior parte della vita sta fuori da qualsiasi ortodossia". Poi
c'e' lo stile, come un messaggio in bottiglia per chi voglia raccoglierlo:
"Penso che le persone che meglio sanno esercitare il potere sono quelle che
non lo amano, non lo rincorrono con ansia, non sentono nei suoi confronti un
attaccamento insano. Chi ama molto il potere non e' capace di correre rischi
e non realizza il cambiamento. La sinistra non puo' arrivare al potere per
gestirlo un po' meglio della destra. Deve andarci per realizzare i suoi
principi, e dimostrare che la sua differenza porta benefici alla
maggioranza". Se e' potuto accadere, come osservano Calamai e Garzia, che
mentre a fine anni '70 la sinistra italiana era un punto di riferimento per
quella spagnola, e oggi e' l'inverso, qualche ragione c'e'.

7. CONTROEDITORIALE. MARFORIO DECAFONI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO
[Ringraziamo il nostro buon amico Marforio Decafoni per questo intervento]

Alle prossime elezioni politiche andro' a votare per cacciare dal governo i
manipoli e i manutengoli della mafia, del duce e del klan.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1219 del 27 febbraio 2006

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