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La nonviolenza e' in cammino. 1189
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1189
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 28 Jan 2006 07:10:27 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1189 del 28 gennaio 2006 Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana ricorda Gracco Spaziani 2. Guido Caldiron intervista Amos Luzzatto 3. Clotilde Pontecorvo: Alcuni appunti per la didattica della Shoah 4. Duccio Zola intervista Johan Galtung 5. Donatello Santarone presenta due recenti libri sul Sudafrica 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. MAO VALPIANA RICORDA GRACCO SPAZIANI [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo ricordo. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario. Gracco Spaziani, nato nel 1884, avvocato, antimilitarista, antifascista, deportato nel lager di Mauthausen in cui mori' nel febbraio 1945. Opere su Gracco Spaziani: Ortensia Spaziani, Scarpe rotte eppur bisogna andar - ovvero mio padre, mia madre e i fascisti, Casa editrice Mazziana, Verona 1997; cfr. anche il profilo scritto da Mao Valpiana in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino - Verona 1999] Avvocato, uomo di grande cultura, socialista, antifascista e antimilitarista. Oggi lo definiremmo un nonviolento, ma allora - durante il ventennio fascista - questo termine non si usava e le persone che lo conobbero lo descrivevano come un uomo buono, con grande sensibilita' d'animo. Dietro la sua scrivania campeggiavano i ritratti di Mazzini e Garibaldi e un'immagine di Gesu' con la scritta "Cristo uomo"; spesso interrompeva il lavoro per sbriciolare il pane alle formiche che scorrevano in fila sul rozzo pavimento del povero studio. Ai figli ancora adolescenti leggeva brani dalla Lettera allo Zar di Tolstoj, i Fioretti di San Francesco e i Miserabili di Victor Hugo. * Gracco Spaziani e' nato a Lonigo (Vicenza) il 18 maggio 1884. La famiglia si trasferi' presto ad Isola della Scala (Verona) dove suo padre fu segretario comunale. Studio' al liceo classico di Verona e poi fu impiegato alle poste, prima a Padova e poi a Venezia. Contemporaneamente si preparo' agli esami di segretario comunale, superati i quali ottenne il posto a Correzzo (Mantova) dal 1909 al 1919. In quegli anni si iscrisse alla facolta' di giurisprudenza di Camerino per poi laurearsi all'Universita' di Bologna. Conobbe Giuseppina Sardini, figlia di contadini, che sposo' ed insieme ebbero cinque figli. Fu poi trasferito al comune di Casteldario dove rimase dal 1919 al 1923. Fin da giovanissimo la sua grande passione fu la politica. Il suo ideale era il socialismo: idee di uguaglianza e fraternita', che esprimeva anche concretamente aiutando in ogni occasione contadini e operai, difendendo le loro cause e stringendo con loro sincere amicizie, la sera all'osteria, giocando a carte e bevendo insieme un bicchiere di buon vino. Nel 1913 si iscrive al Partito Socialista, manifestando subito le sue idee contro la guerra. Durante il conflitto del '15-'18 rischia di essere deferito al Tribunale Militare. Un giovane soldato del paese era stato condannato a morte per essere rientrato in ritardo dalla licenza. Nulla aveva smosso i giudici. Il condannato fu costretto a passare attraverso le vie sopra un camion con una cassa da morto accanto. Al macabro passaggio le porte e le finestre si chiudevano, nessuno osava parlare. Solo lui, il segretario comunale, aveva gridato che era un delitto fucilare quel povero giovane. Per questo fu accusato di disfattismo e si difese dicendo che i socialisti, sempre pronti ad ogni lotta contro l'oppressione, erano anche antimilitaristi, contrari per principio alla guerra di cui denunciavano la profonda immoralita'. * Dopo la prima guerra mondiale non fa mistero della sua opposizione all'ascesa di Mussolini e alle prepotenze dei fascisti. Nel 1922, con la cosiddetta "rivoluzione fascista" arrivarono a Casteldario le squadracce ad imporre con il manganello il loro "ordine". Gracco Spaziani fu sistematicamente perseguitato, minacciato, osteggiato. Le camicie nere arrivano perfino al ridicolo di intimargli di non portare piu' la cravatta rossa. Nella piazza centrale del paese i fascisti accendono il falo' per bruciare tutto cio' che avevano trovato nella Cooperativa Socialista. Anche la sua casa viene piantonata, lo cercano per ammazzarlo: "M'ammazzino pure, ma non potro' mai tacere davanti all'ingiustizia che e' divenuta regola di vita. Bisogna che qualche voce si levi per denunciare la liberta' calpestata. E' vergognoso che in Italia ci sia tale asservimento alla tirannide, che il silenzio dei piu' giustifichi perfino l'assassinio dei deputati...". E' il delitto Matteotti. Il clima in paese ormai e' pesante. Teme anche per la famiglia. Nel dicembre del 1923 a causa della sua fede socialista viene allontanato dall'impiego e si trova sul lastrico. Con un carretto e le poche cose che riesce a mettere in salvo, torna al paese paterno di Isola della Scala. Utilizzando la laurea in giurisprudenza da' gli esami di procuratore e apre lo studio di avvocato. Sono anni difficili, di miseria, e anche per le sue note idee politiche nello studio si presenta solo la povera gente, che non ha soldi per pagare. Lui difende ugualmente tutti e guadagna solo qualche salame e verdura dell'orto insieme alla stima di tanta parte del popolo. Nel 1926 in occasione di un viaggio di Mussolini nel veronese, Spaziani subisce il primo "fermo preventivo": tre giorni rinchiuso in carcere. Seguirono altri arresti. I clienti si diradavano, per non compromettersi con un avvocato antifascista. La miseria e la paura crescevano insieme alle bocche dei figli da sfamare. Gli amici consigliavano l'esilio, emigrare in un paese libero come avevano fatto Turati, Pertini, Rosselli, Nenni. Ma lui non accettava: "Ci vuole chi rimanga per alimentare qui in Italia la resistenza, per tenere desto lo spirito di liberta'". Nel 1930 subisce un altro arresto. Un pomeriggio carabinieri e poliziotti di colpo fanno irruzione nello studio, frugano, perquisiscono, gettano a terra carte, fascicoli, quadri e libri, cercano stampa sovversiva e clandestina. Sequestrano alcuni opuscoli tra cui "Idee sociologiche e politiche di Dante, Nietzsche e Tolstoj" e "Gli orrori del militarismo" di Lev Tolstoj. Viene portato in carcere a Verona e poi trasferito a Udine, denunciato al Tribunale Speciale "per aver appartenuto al partito comunista gia' disciolto". Stessa sorte subiscono i suoi due fratelli, Leonida ed Elio. Dopo tre mesi di carcere duro viene liberato. Torna a casa con i vestiti sudici, pieni di pidocchi: l'ampio mantello lo aveva lasciato ad un compagno di cella affinche' si riparasse dal freddo. Il cappellano del carcere dira' alla moglie: "Suo marito si dichiara non credente, ma soffre per la giustizia, per l'amore dei poveri, per gli oppressi: egli e' gia' con Cristo". Fu prosciolto in istruttoria per insufficienza di indizi, ma viene diffidato dalla Questura "a non associarsi a sovversivi e a disinteressarsi completamente di politica". Invece la sua attivita' politica clandestina, antifascista e poi anche antinazista, proseguiva con sempre maggior impegno e coinvolgimento nell'organizzazione della resistenza civile, nella quale stringe rapporti particolarmente con alcuni giovani cattolici. Gracco Spaziani come tutti i socialisti dell'epoca era anticlericale, scandalizzato per il silenzio e la connivenza della Chiesa ufficiale con la dittatura, ma si sentiva profondamente e spiritualmente unito con i tanti cattolici coerenti, perseguitati perche' riconoscevano che la fede in Cristo era inconciliabile con l'ideologia nazifascista. Sua moglie e i figli frequentavano assiduamente la parrocchia e lui era confortato quando anche dai preti si levavano voci in dissenso con il regime. La stampa libera era stata soppressa e in casa Spaziani si ascoltava Radio Londra e circolava l'Osservatore Romano: "e' il solo giornale che dica qualche verita', che denunzi l'inquadramento obbligatorio e l'istruzione paramilitare della gioventa'". Quando Mussolini stringe il patto con Hitler, Spaziani grida che lo spirito militarista e' proprio di quei regimi che educano il popolo alla guerra come alla suprema aspirazione dell'uomo e poi scatenano i conflitti per imporre il loro dominio sul mondo. I conoscenti ed i familiari lo invitavano alla prudenza, a non esporsi troppo: "Se ognuno attendesse gli altri non si farebbe nulla... La nostra generazione ha bisogno di esempi piu' che di parole, di martiri piu' che di maestri. Le parole non hanno efficacia perche' la coscienza e' dura, indifferente; il sacrificio invece commuove e trascina". Anche in questo e' stato testimone e profeta. * Il 22 novembre del 1944, all'alba, militari della brigata nera irrompono nella casa della famiglia Spaziani con le armi spianate. Salgono in camera e a forza portano via l'avvocato insieme al figlio minore. Con altri dieci antifascisti e' condotto al vicino comando tedesco ed interrogato. Un ufficiale delle SS, maniche rimboccate e sguardo pieno d'odio, lo apostrofa: "Siete un avvocato voi? no, siete un porco" e poi viene torturato, alla presenza del figlio. L'accusa e' di aver organizzato il Comitato di Liberazione. Vogliono i nomi di tutti, vogliono conoscere i piani e i programmi. Inizia il calvario, prima alla federazione fascista di Verona e poi nella sede delle brigate nere. Chiuso in celle luride e fredde per un mese di efferate torture ed interrogatori senza fine. Viene quindi trasferito al campo di concentramento di Bolzano. Spaziani ormai e' stremato, ha sessant'anni. Il 22 dicembre '44 scrive l'ultima lettera alla famiglia: "Il mio maggior tormento e' di esservi lontano. Pregate per me. Mandatemi, ma subito, un pacco con del pane. Mi dispiace imporvi dei sacrifici, ma e' necessario a qualunque costo". Prima di essere trasferito da Bolzano confida ad un compagno di prigionia: "Fai sapere a mia moglie e ai miei figli che non rimpiangano quel che ho arrischiato, che non rimpiangano nulla; sono vissuto, ho lottato e moriro' per il mio ideale. Dite loro che ho l'anima preparata e tranquilla nella fede in Dio". Il giorno dell'epifania Gracco Spaziani aveva voluto ricevere la Comunione. Poi avviene il trasferimento, in camion e in treno, nei carri bestiame, fino al campo di sterminio di Mauthausen. Viene messo nella baracca dell'infermeria. Resiste poco piu' di un mese e il 9 febbraio del 1945, con il braccio ormai in cancrena per le sevizie subite, entra con molti altri nella camera a gas. Muore senza veder realizzato il sogno della sua vita: "Vorrei godere un giorno, un giorno solo di liberta', e poi non m'importerebbe di morire". * Il Comitato di Liberazione di Isola della Scala faceva capo alla Brigata partigiana "Anita" ed era in collegamento con la Missione R.Y.E. degli Alleati; riuniva rappresentanti di tutti i partiti politici e aveva svolto attivita' di propaganda, raccolto fondi, prestato aiuto ai prigionieri alleati e alle famiglie dei perseguitati. Gracco Spaziani era il riferimento ideale del Cln di tutto il basso veronese. L'intero gruppo fu arrestato in seguito ad una delazione. Ai figli ripeteva sempre: " Il vero coraggio non e' non avere paura, ma avere paura e andare avanti lo stesso". Con la Liberazione del 25 aprile Gracco Spaziani fu proclamato primo sindaco alla memoria di Isola della Scala. Pochi giorni dopo sua moglie Giuseppina e' intervenuta pubblicamente affinche' i partigiani lasciassero libero un capo locale delle brigate nere che stava per essere giustiziato con la fucilazione: "Basta! Fermi! De morti no ghe ne volemo altri". La "siora Pina", moglie dell'avvocato, riusci' nel suo intento, e al fascista fu salvata la vita. * Bibliografia: Ortensia Spaziani, "Scarpe rotte eppur bisogna andar - ovvero mio padre, mia madre e i fascisti", Casa Editrice Mazziana, Verona 1997. 2. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA AMOS LUZZATTO [Dal quotidiano "Liberazione" del 27 gennaio 2006. Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale, Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002. Amos Luzzatto, medico e biblista, e' presidente dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane. Opere di Amos Luzzatto: segnaliamo almeno Una lettura ebraica del Cantico dei cantici, Firenze 1997; Leggere il Midrash, Brescia 1999; Il posto degli ebrei, Torino 2003] Capire il passato per evitare che possa tornare. Studiare i meccanismi e la cultura che hanno prodotto Auschwitz per combattere, oggi, ogni forma di razzismo e di esclusione dell'"altro". Per Amos Luzzatto presidente dell'Unione delle Comunita' ebraiche italiane il "Giorno della memoria" che si celebra oggi in tutta Europa nell'anniversario della liberazione nel 1945 del campo di sterminio di Auschwitz, e' un'occasione per guardare al futuro. "Quando sento parlare del 'buco nero' di Auschwitz, dell'impossibilita' di una spiegazione razionale degli orrori che hanno accompagnato lo sterminio, peggio ancora quando sento parlare della follia hitleriana, della pazzia del razzismo - spiega Luzzatto -, mi preoccupo molto, perche' rinunciando a comprendere davvero cio' che e' accaduto allora, e' come se rinunciassimo alla possibilita' di prevenire i pericoli futuri". * - Guido Caldiron: Professor Luzzatto, si discute molto del valore e del significato di questa "Giornata della memoria", dell'utilita', dei limiti e perfino dei rischi che puo' rappresentare. Da una parte si annuncia il pericolo che avendo fissato una data istituzionale per ricordarlo, ci si occupi di Auschwitz, e con toni retorici, solo il 27 gennaio. Dall'altro si sottolinea che proprio per aver stabilito un giorno dell'anno "dedicato" all'Olocausto, si e' sottratta la sua memoria al rischio dell'oblio. Qual e' la sua opinione? - Amos Luzzatto: Mi sembrano fondate sia le preoccupazioni che le speranze. Il problema mi sembra pero' piuttosto quello di stabilire o meno una data valida per tutti i paesi per parlare della Shoah: perche' se si riesce a fare questo e' chiaro come l'iniziativa acquisti una valenza addirittura internazionale, un rilievo evidente. Se in paesi e luoghi diversi si ricorda nello stesso momento, nelle stesse ore, il medesimo evento, non possiamo dubitare di essere in presenza di un avvenimento importante. Detto questo, proprio l'indicazione di una data fissa contiene in se' il rischio della ritualita', di far prevalere gli aspetti formali su quelli sostanziali. Ma credo che questo sia un pericolo che corre ogni sorta di celebrazione. Nel caso del giorno dedicato alla memoria dell'Olocausto, credo che l'unica possibilita' di sottrarsi a questo rischio, sia quella di attualizzare l'analisi, partendo da quei fatti. Capire come le strutture e le condizioni sociali, le relazioni tra classi e gruppi di individui, tra chi puo' accedere al potere e chi vi e' invece escluso, possono aver prodotto o meno una simile tragedia. Capire cioe' come si e' arrivati a Auschwitz. Questo perche' senza identificare una causa precisa per cio' che accadde allora, nulla ci puo' garantire che quei fatti non si possano ripetere. Ed e' chiaro come per fare questo, per poter condurre un'indagine e un'elaborazione permanente, anche grazie ai ricordi e alle testimonianze dei sopravvissuti e alla memoria collettiva di quegli eventi, un solo giorno sia insufficiente. In questo senso il 27 gennaio, da solo, non puo' bastare per ricordare Auschwitz e lo sterminio degli ebrei d'Europa. * - Guido Caldiron: Quindi la memoria di Auschwitz puo' aiutarci a comprendere cio' che accade oggi intorno a noi, in un periodo dominato nuovamente dall'emergere del razzismo e dell'odio per ogni diversita'? - Amos Luzzatto: Piu' che aiutarci a capire, ci stimola a indagare, a fare ricerche, ci aiuta a porci delle domande. Il senso piu' profondo di questa giornata e' un invito esplicito a non mollare mai, a non abbassare la guardia davanti al razzismo. Uno stimolo a continuare nelle ricerche, nelle analisi, per comprendere cio' che e' stato e impedire che si possa ripetere. * - Guido Caldiron: La memoria della Shoah ci puo' aiutare percio' a comprendere anche altri fenomeni storici, altre forme di discriminazione, razzismo e violenza? - Amos Luzzatto: Assolutamente, questo e' uno degli aspetti piu' importanti di questo momento di riflessione collettiva. Anche perche' la storia ha gia' conosciuto altri fenomeni terribili. Penso alla guerra etnica nei Balcani, e mi sembra che definirla cosi' sia quasi generoso rispetto alla tragedia che la' si e' consumata. Ma penso anche ai massacri del Ruanda e a molte altre tragedie che si sono compiute dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo la liberazione del campo di Auschwitz. Non si puo' del resto dimenticare come la cultura europea, che non perde occasione per richiamarsi ai propri alti valori, ha coltivato in se' le deportazioni degli africani in America, lo schiavismo, il massacro delle popolazioni precolombiane, i roghi degli eretici durante l'Inquisizione e via dicendo. Si tratta di un'eredita' pesante di cui non possiamo dimenticarci. * - Guido Caldiron: C'e' pero' anche un evidente paradosso in questa giornata: in Europa si celebrano le vittime della barbarie nazista mentre l'antisemitismo e' ancora oggi una minaccia concreta in paesi come la Russia - i dati resi noti a Mosca la scorsa settimana parlano di attentati alle sinagoghe, violenze e perfino di omicidi perpetrati contro la comunita' ebraica - o l'Iran - basta pensare alle minacce avanzate dal presidente della repubblica islamica Ahmadinejad contro Israele ma anche contro gli ebrei di tutto il mondo. L'antisemitismo continua a rappresentare una minaccia concreta? - Amos Luzzatto: Senza dubbio. Continua a conoscere una fase di espansione e di sviluppo. Questo anche se spesso cio' avviene attraverso un linguaggio diverso da quello del passato, da quello a cui ci rimanda la memoria di Auschwitz. Le forme nuove che puo' assumere non devono pero' indurre nell'errore: alcune caratteristiche di fondo dell'antisemitismo restano costanti. Si tratta, infatti, di rivolgere la propria violenza e la propria aggressivita' contro una minoranza che e' tale dappertutto e che proprio per questo si presenta ovunque indifesa. * - Guido Caldiron: Ma come e' possibile che tutto cio' abbia ancora luogo dopo Auschwitz, vale a dire dopo che il mondo ha conosciuto attraverso la "soluzione finale" pianificata dai nazisti la punta piu' alta della lunga costruzione dell'antisemitismo che ha origini culturali, politiche e religiose ancora piu' lontane nel tempo? - Amos Luzzatto: Le rispondo girando la domanda. Ma come e' stato possibile che in un paese che si vantava di essere l'avanguardia della cultura europea, l'avanguardia nella filosofia, nelle arti, nella musica, nella scienza, come e' stato possibile che in un paese come la Germania "improvvisamente" sia successo tutto cio'. Evidentemente non e' successo in modo improvviso, ma si e' trattato dell'evoluzione di un certo tipo di pensiero e di cultura. E' difficile spiegarlo in poche battute, ma e' chiaro come il nazismo tedesco affondi le proprie radici in una serie di movimenti politici, ma anche culturali antecedenti. Penso a certe forme del romanticismo tedesco gia' presenti tra il Settecento e l'Ottocento. Ma anche al fatto che l'unita' nazionale della Germania sia stata guidata da un paese come la Prussia che era supermilitarizzato e che attraverso la conquista di nuovi territori e nell'espansione del proprio dominio vedeva l'obbiettivo stesso del proprio governo. Il nazismo ha, per cosi' dire, "razionalizzato" questo retaggio della cultura tedesca e non solo tedesca. * - Guido Caldiron: Il "Giorno della memoria" e' stato istituito nel 2000 in un'Europa attraversata nuovamente, anche se in forme diverse, da inquietanti segnali di razzismo. Questo mentre il vecchio continente riflette da tempo su come definire la propria identita'. Nel suo libro Il posto degli ebrei (Einaudi, 2003) lei suggerisce un'ipotesi, quella di un'"Europa delle componenti" che rifiuti sia la formula di un'unione di nazioni sia quella fondata sulle sole "radici cristiane". La riflessione su Auschwitz ci puo' in questo senso aiutare anche a immaginare un altro futuro per l'Europa? - Amos Luzzatto: In effetti credo si tratti di uno dei nodi piu' importanti che dobbiamo affrontare. Credo che la costruzione dell'Europa non possa che tener conto delle diversita' di lingue, culture e religioni che sono presenti sul suo territorio. Questo anche per evitare la supremazia di una cultura sulle altre, che e' esattamente cio' che ha prodotto in passato odio e tragedie. Ciascuno dovrebbe accettare di rappresentare solo una delle componenti di questa nuova Europa, rinunciando ad aspirare invece all'egemonia sull'intero continente. Mi sembra questa l'unica strada possibile per evitare che si ripetano drammi e lacerazioni. O l'Europa unita inseguira' l'idea dell'omogeneita' culturale, l'essere cioe' tutti uguali ma nel senso del predominio di una sola cultura o, invece, accettera' la molteplicita' delle proprie componenti, ognuna delle quali potra' cosi' contribuire al bene comune. Per fare questo bisogna pero' sforzarsi di vivere insieme anche tra persone che a stento si capiscono e, allo stesso tempo, cercare di capire a fondo il linguaggio e la cultura del "vicino di casa". 3. MATERIALI. CLOTILDE PONTECORVO: ALCUNI APPUNTI PER LA DIDATTICA DELLA SHOAH [Riproponiamo nuovamente questo testo estratto dal sito www.ucei.it/giornodellamemoria/ Clotilde Pontecorvo e' docente all'Universita' "La Sapienza" di Roma. Tra le opere di Clotilde Pontecorvo: Una scuola per i bambini, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1990; (a cura di), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1993; (a cura di), Un curricolo per la continuita' educativa dai quattro agli otto anni, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1989, 1990; (a cura di), Writing development. An interdisciplinary view, John Benjamins, Amsterdam 1997; con Anna Maria Ajello, Cristina Zucchermaglio, Discutendo si impara, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1991, Carocci, Roma 1999; con Maurizio Pontecorvo, Psicologia dell'educazione. Conoscere a scuola, Il Mulino, Bologna 1986; con Luigia Fuse' (a cura di), Il curricolo: prospettive teoriche e problemi operativi, Loescher, Torino 1981, 1990; con Gastone Tassinari, Luigia Camaioni (a cura di), Continuita' educativa dai quattro agli otto anni, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1990; con Anna Maria Ajello, Cristina Zucchermaglio (a cura di), I contesti sociali dell'apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, Led Edizioni, Milano 1995; con Margherita Orsolini, B. Burge, L. Resnick (eds), Children's early text construction, Hillsdale, NJ 1996; con E. Ferreiro, N. Moreira, I. Garcia Hidalgo, Cappuccetto Rosso impara a scrivere. Studi comparativi in tre lingue romanze, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; (a cura di) Writing Development. An interdisciplinary view, John Benjamins Publishinh Company, Amsterdam 1997; con A. Fasulo, Come si dice? Linguaggio e apprendimento in famiglia e a scuola, Carocci editore, Roma 1999; (a cura di), Manuale di psicologia dell'educazione, Il Mulino, Bologna 1999] 1. Evitare la rappresentazione realistica dell'orrore. Utilizzare invece le rappresentazioni mediate, offerte da monumenti, musei, testi letterari, opere d'arte. 2. Evitare resoconti troppo analitici e raccapricccianti. 3. Evitare quindi anche il racconto di eventi, che possano essere troppo persecutori. 4. Adeguare le proposte alle possibilita' di comprensione e di empatia degli allievi, che sono variabili in funzione dell'eta' e della maturita' psicologica. 5. Favorire lo sviluppo di somiglianze e differenze con i perseguitati di allora: in questo ambito possono darsi dei processi di identificazione e a questo scopo si possono usare le storie delle vicende di bambini (quali quelle raccontate da Lia Levi) o di ragazzi, per quegli aspetti meno angosciosi e piu' comprensibili: ad esempio, il dover celare la propria identita', il dover trovare un rifugio per nascondersi, l'essere costretti a lasciare la propria casa e affrontare delle fughe un po' avventurose. 6. Far vivere in modo reale qualche aspetto della discriminazione: quella che e' sempre in agguato in qualsiasi gruppo nei confronti dei diversi o in generale del gruppo estreaneo, ed ha luogo facilmente anche nei gruppi di bambini piccoli, oltreche' di ragazzi. Va anche ricordato che c'e' stato qualcuno che si puo' avvantaggiare (economicamente o socialmente: vedi esclusione dalle scuole, dalle universita', dagli uffici pubblici) della discriminazione contro gli ebrei o altri "diversi". 7. Collegare questa esperienza alle discriminazioni di allora e di adesso, nei confronti degli ebrei, ma anche degli altri, attuali "diversi". 8. Ricordarsi che tutti i cattolici nel nostro paese, bambini e adulti, ricevono una prima informazione (gia' molto distorta) sugli ebrei come popolo antico, attraverso le vicende della vita e soprattutto della morte di Gesu': questa e' stata (per secoli) la base di quell'antigiudaismo cristiano bimillenario, magistralmente ricostruito e condannato da Jules Isaac e da noi narrato assai bene da Cesare Mannucci (libro molto utile per qualsiasi insegnante italiano). 9. Consentire ai bambini e ai ragazzi (di qualsasi eta') di esprimere tutti i loro dubbi e interrogativi sulle cose (per molti versi incredibili) che sono loro raccontate. A partire dalle loro domande farli discutere tra loro quanto piu' liberamente possibile. Va ricordato che su questa tematica, possono entrare in gioco pregiudizi, a volte trasmessi direttamente o inconsapevolmente dal linguaggio (si pensi alla connotazione negativa del termine "ebreo" o "giudeo", erratamente associato a Giuda Iscariota, o "rabbino", cosi' come e' usato negli stadi italiani). 10. Far riflettere i bambini e in modo particolare i ragazzi piu' grandi sulla funzione della memoria, che e' in parte individuale (basta fare una piccola esercitazione su un ricordo personale, magari dell'estate precedente), in parte familiare o del gruppo-classe, ma in parte anche collettiva e pubblica: questo del resto e' uno dei significati di questa giornata che non a caso si chiama "della memoria": come ricordo collettivo del fattore unificante della Repubblica Italiana e della piu' vasta Europa libera, che sono nate dalla lotta contro il fascismo e il nazismo, e quindi dal rifiuto di ogni discriminazione, di tipo razziale o etnico. Alla memoria collettiva servono i luoghi (i ghetti, i campi di sterminio, ad esempio), i monumenti, le opere d'arte, i musei. 11. Collegare l'antisemitismo al razzismo, che allora venne alimentato (in Italia) dalle vicende della guerra d'Etiopia: si veda la mostra e il volume su "La menzogna della razza". Puo' essere efficace citare la frase di Einstein, che a chi gli chiedeva qual era la sua razza, rispondeva: "razza umana". Ai ragazzi piu' grandi puo' essere offerta anche una storia culturale essenziale del razzismo e dell'antisemitismo, nei loro sviluppi piu' recenti in Francia, in Germania, e in Europa in genere. 12. E' essenziale che gli insegnanti - qualunque sia l'eta' dei bambini - dedichino a questa tematica (quando l'hanno gia' definita tra loro) un incontro con i genitori dei loro allievi, per informarli del loro programma e per coinvolgerli, laddove sia possibile: possono esserci ancora dei nonni che sono in grado di portare delle testimonianze significative, attraverso i loro ricordi. Ma possono esserci anche posizioni contrarie e presenza di pregiudizi: e' bene essere preparati, facendo riferimento alla legge dello Stato, che ha istituito la giornata dalla memoria, approvata dal Parlamento italiano all'unanimita'. 4. RIFLESSIONE. DUCCIO ZOLA INTERVISTA JOHAN GALTUNG [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 gennaio 2006. Duccio Zola e' un ricercatore impegnato nel progetto Globi dell'associazione Lunaria di Roma. Johan Galtung, nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research e una delle piu' autorevoli figure della nonviolenza. Una bibliografia completa degli scritti di Galtung e' nel sito della rete "Transcend", il network per la pace da lui diretto, cui rinviamo: www.transcend.org Dal quotidiano da cui abbiamo ripreso la seguente intervista riprendiamo anche la seguente scheda su Galtung: "Johan Galtung (Oslo, 1930) e' il piu' insigne teorico dei moderni studi della pace. Fondatore nel 1959 dell''International Peace Research Institute' di Oslo, consigliere presso le Nazioni Unite, professore onorario in numerose universita', tra cui la Princeton University e la Freie Universitaet di Berlino, e' attualmente titolare della cattedra di 'Peace Studies' presso l'Universita' delle Hawaii. Galtung ha dato vita nel 1964 al 'Journal for Peace Research' e nel 1987 e' stato insignito del 'Right Livelihood Award' (il cosiddetto 'Premio Nobel alternativo per la pace'). Fondatore e direttore di 'Transcend' (www.transcend.org), un'organizzazione internazionale per la risoluzione nonviolenta dei conflitti che opera in tutto il mondo, e' il rettore della Transcend Peace University. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia e' La pace con mezzi pacifici (Esperia Edizioni)"] Di ritorno da una missione di mediazione in Birmania e in Kashmir, Johan Galtung ha fatto recentemente scalo a Roma in occasione della giornata conclusiva dell'iniziativa "Pace e diritti umani. Un'utopia concreta", promossa dalla presidenza del Consiglio Provinciale in collaborazione con l'associazione Lunaria e con il Forum provinciale per i diritti umani. In un affollato incontro alla sala convegni di piazza Montecitorio, ha parlato di come raggiungere la pace con mezzi pacifici, concentrandosi sulla situazione mediorientale e offrendo un punto di vista opposto al paradigma della guerra preventiva e permanente incarnato dalla politica estera dell'amministrazione Bush. Incontrato a margine della conferenza, Galtung ha confermato la profondita' analitica e la capacita' propositiva che lo hanno reso noto tra gli attivisti pacifisti di mezzo mondo. * - Duccio Zola: Professor Galtung, come uscire da una crisi che sta investendo tutta la regione mediorientale? - Johan Galtung: Innanzitutto aprendo il dialogo tra Occidente e mondo arabo, esattamente cio' che non stanno facendo gli Stati Uniti e i loro alleati, che amano presentarsi come difensori dei valori democratici. Eppure la democrazia presuppone che nessuno puo' avere il monopolio della verita' e che le ragioni di tutti devono essere ascoltate. Risolvere un conflitto significa uscire dal passato e aprire al futuro, ma proprio per questo non bisogna dimenticare che le vittime hanno una memoria da elefante, al contrario dei carnefici. Le umiliazioni che gli arabi hanno subito da parte degli occidentali nel corso del secolo scorso generano ancora oggi sofferenze e sono alla base di vendette violente. * - Duccio Zola: A quali umiliazioni si riferisce? - Johan Galtung: Esse sono legate a tre episodi storici in particolare, che qui da noi nessuno sembra ricordare. Il primo e' la costruzione artificiale dello stato iracheno da parte del governo britannico nel 1916, per garantirsi una posizione di dominio imperiale in Medio Oriente. Il secondo e' la sigla del trattato tra il presidente americano Roosevelt e la casa regnante saudita nel 1945, che prevedeva la protezione americana alla casa regnante nell'eventualita' di una rivoluzione popolare in cambio dell'accesso alle riserve petrolifere saudite. Questo accordo tradiva completamente la dottrina religiosa wahabita fondata sulla parola di Maometto, che vieta la presenza di infedeli in Arabia Saudita, considerata la terra promessa. L'ultimo episodio si riferisce alla guerra del Rif, combattuta dalla Spagna in Marocco, e precisamente al bombardamento aereo del 1925 sulla citta' marocchina di Chauen, guidato da un generale spagnolo di nome Francisco Franco, che ha causato migliaia di vittime tra i civili. Gli attentati di New York, Madrid e Londra, sono legati assieme dal filo rosso dell'umiliazione e si rimandano a vicenda. Ma a differenza degli Stati Uniti e del Regno Unito, la Spagna ha saputo reagire nel modo giusto, scongiurando cosi' il rischio di futuri attacchi. * - Duccio Zola: Lei quindi sostiene la linea di Zapatero sul ritiro immediato delle truppe dall'Iraq... - Johan Galtung: Certo. Ma il ritiro delle truppe e' stata solo la prima mossa di Zapatero. Pochi giorni dopo la sua elezione, e' volato a Rabat per discutere con il re del Marocco la situazione di Ceuta e Melilla, protettorati spagnoli sulla costa marocchina. Oggi, si sta profilando per questi due territori un cambio di sovranita', come e' gia' successo a Hong Kong. Dopo aver avviato questa mediazione, Zapatero non si e' fermato. Ha promulgato una legge che regolarizza la posizione dei clandestini marocchini che hanno un impiego in Spagna, aprendo loro le porte per l'integrazione. Poi, lo scorso ottobre ha dato inizio a un dialogo di civilizzazione facendo incontrare esponenti di primo piano, per meta' arabi e per meta' occidentali, del mondo politico, economico e accademico. In questo modo la Spagna ha avviato quel processo di riconoscimento e sconfessione del suo passato imperialista nei confronti del mondo arabo e ha aperto le porte all'integrazione e al dialogo. Mediazione, conciliazione e dialogo costituiscono i cardini della risoluzione nonviolenta dei conflitti. Bush, Blair e Berlusconi non hanno fatto nulla di tutto questo, non e' nel loro interesse. Se, come credo, in Italia il centro-sinistra vincera' le prossime elezioni, spero che prenda esempio da Zapatero. * - Duccio Zola: Tornando alla situazione mediorientale, le dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad contro Israele non lasciano presagire nulla di buono... - Johan Galtung: Una cosa e' la retorica, un'altra sono i fatti. E i fatti testimoniano del progressivo allargamento di Israele ai danni della Palestina, che occupa oggi solo il 7,5% del territorio che le era stato assegnato nel 1947. Con questo non voglio assolutamente giustificare le provocazioni di Ahmadinejad, ma solo riportare l'attenzione sulla drammatica situazione palestinese. Sia Israele che la Palestina hanno diritto ad uno stato, ma per garantire pace e stabilita' in quella zona e' necessario istituire, sul modello della Comunita' economica europea del 1958, una Comunita' di paesi mediorientali che comprenda Israele, Palestina, Siria, Libano, Giordania ed Egitto. Solo cosi' si potra' garantire la sopravvivenza dello stato palestinese, minacciato dallo strapotere israeliano. D'altra parte, la sicurezza di Israele non puo' dipendere dalla sua forza militare o dall'alleanza con gli Stati Uniti, ma deve essere conquistata definitivamente attraverso la capacita' di istituire buone relazioni con i paesi vicini. Il modello federativo di cui sto parlando risponde esattamente a queste esigenze. * - Duccio Zola: Concludiamo con le vicende dell'Unione Europea. Come giudica il fallimento del referendum sull'approvazione della Costituzione in Francia e in Olanda? - Johan Galtung: Il fatto e' che il testo costituzionale e' complicatissimo, scritto da burocrati per altri burocrati, frutto di una cattiva opera di mediazione, in cui compare l'obbligo di armamento ma non una parola sull'uguaglianza tra uomo e donna. Francesi e olandesi non hanno bocciato la Costituzione europea perche', come lascerebbe supporre il voto nel referendum, sono anti-europei, ma semplicemente perche' hanno letto quel testo impossibile e hanno agito di conseguenza. 5. LIBRI. DONATELLO SANTARONE PRESENTA DUE RECENTI LIBRI SUL SUDAFRICA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 gennaio 2006. Donatello Santarone insegna Teorie e tecniche della mediazione culturale all'Universita' Roma Tre. Tra le opere di Donatello Santarone: Multiculturalismo, Palumbo, Palermo 2001; La mediazione letteraria. Percorsi interculturali su testi di Dante, Tasso, Moravia, Fortini, Arbasino, Defoe, Tournier, Coetzee, Emecheta, Ken Saro-Wiwa, Palumbo, Palermo 2005; Donatello Santarone, Educare diversamente. Migrazioni, differenze, intercultura, Armando, Roma 2006. Itala Vivan, studiosa e docente universitaria di letteratura comparata; ha svolto ricerche sulle societa' coloniali anglofone e sulla transizione al postcolonialismo, analizzandone le espressioni letterarie e le forme culturali; e' stata osservatrice internazionale durante le elezioni del 1994 in Sudafrica; ha dedicato particolare attenzione alle letturature africane e all'impegno contro il pregiudizio e le persecuzioni razziste. Tra le opere di Itala Vivan: Caccia alle streghe nell'America puritana, Rizzoli, Milano 1972; Interpreti rituali, Dedalo, Bari 1978; (a cura di), Il nuovo Sudafrica, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; (a cura di), Corpi liberati in cerca di storia, di storie. Il Nuovo Sudafrica dieci anni dopo l'apartheid, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005. Maria Solimini e' antropologa presso l'universita' di Bari. Tra le opere di Maria Solimini: (a cura di), Dal Sudafrica, Edizioni dal Sud, 2005] Quando nel 1989 il rifugiato politico sudafricano Jerry Masslo venne assassinato a Villa Literno, l'Italia "scopri'" di essere razzista. La reazione democratica di sdegno per l'omicidio del giovane sudafricano favori' lo sviluppo di un movimento a favore dei diritti dei migranti e si accompagno' ad una rinnovata attenzione verso le vicende politiche del Sudafrica che proprio in quegli anni stava faticosamente uscendo da quella che Frantz Fanon aveva definito "la piu' grande prigione del mondo". E' storia nota che nel 1990 Nelson Mandela venne liberato dopo 27 anni di carcere, che nel 1994 si tennero le prime elezioni democratiche e che nel 1996 fu approvata la nuova Costituzione, ritenuta da molti studiosi tra le piu' avanzate al mondo per cio' che riguarda i diritti umani e sociali. Non furono pochi quelli che sottolinearono come la "lunga marcia" dell'African National Congress (Anc), del Congress of South African Trade Unions (Cosatu) e di tutte le altre forze sindacali, politiche, religiose, culturali schierate contro l'apartheid aveva conseguito un risultato straordinario: avviare una transizione democratica senza guerre "tribali" (ad eccezione di quella fomentata dal partito zulu di Buthelezi, l'"Inkata Freedom Party"), senza genocidi "etnici", senza, insomma, quell'orrendo copione che ha insanguinato l'ex Jugoslavia, il Ruanda e tante altre parti del pianeta (e che tuttora mette l'un contro l'altro armati i poveri del mondo). * A dieci anni dalle prime elezioni democratiche, esce un prezioso e documentato volume tutto dedicato al Sudafrica contemporaneo, curato dall'africanista ed esperta di studi culturali e postcoloniali Itala Vivan (Corpi liberati in cerca di storia, di storie. Il Nuovo Sudafrica dieci anni dopo l'apartheid, Baldini Castoldi Dalai, pp. 446, euro 15). Scritti da alcuni dei migliori specialisti in materia - italiani, inglesi, sudafricani - i quindici saggi presenti nel volume consegnano al lettore uno panorama molto articolato del paese africano, spaziando dal negoziato di pace (Kader Asmal) all'analisi del lavoro della Commissione per la Verita' e la Riconciliazione (Marcello Flores, Roberto Pedretti), dal retaggio del passato coloniale (Thomas W. Bennett, Giampaolo Calchi Novati) alle relazioni e al diritto internazionali (Mike Terry, Gabriella Venturini), dai problemi dello sviluppo economico (Alan Hirsch) a quelli della politica della sicurezza (Cristiana Fiamingo) e del rapporto tra stato e societa' (Jo Beall), dalla cultura (Itala Vivan) alla letteratura del dopo-apartheid (Andries W. Oliphant), dal cinema (Martin P. Botha) all'urbanistica (Lucien le Grange) e alla stampa (Tiziana Cauli). Va pure ricordato che il volume e' accompagnato da un'utilissima cronologia delle vicende storiche del Sudafrica dal Seicento ad oggi, da un'altrettanto preziosa carta geografica del paese e da una ricchissima bibliografia (quasi interamente in lingua inglese a conferma del persistente provincialismo della nostra cultura). Un volume dunque molto ricco di contributi e di punti di vista, ma del quale vanno sottolineati alcuni dei temi affrontati. Il primo aspetto riguarda gli aspetti socio-economici del paese africano a dieci anni dalla fine del regime segregazionista. Su questo punto, purtroppo, nonostante il paese sia governato dall'Anc, i diversi autori sottolineano la lunga strada ancora da percorrere per arrivare ad una maggiore eguaglianza economica che garantisca a tutti i fondamentali diritti sociali: casa, istruzione, sanita', lavoro, reddito adeguato. Di questo e' consapevole il pur discusso presidente sudafricano Thabo Mbeki - negli anni scorsi, molti movimenti sociali hanno definito la sua politica neoliberista - il quale, in una lettera settimanale del 24 agosto 2003 riportata dall'economista Alan Hirsch, affermava: "Il compito che ci troviamo ad affrontare e' (...) quello di ideare e mettere in atto una strategia che agisca direttamente sull''economia del terzo mondo', e non dare per scontato che gli interventi sull''economa del primo mondo' debbano necessariamente avere un impatto positivo sul terzo mondo". Ma questo significherebbe appunto abbandonare i dogmi neoliberisti, presenti, anzi in questo momento egemoni all'interno dell'Anc, e dichiararsi a favore di politiche economiche e sociali che favoriscano la riduzione delle disuguaglianze. Va naturalmente ricordato, come fa Calchi Novati nel suo contributo storico sulla guerra anglo-boera, che quattro secoli di penetrazione e di oppressione coloniale, di razzismo istituzionalizzato, di politiche subalterne agli interessi delle imprese sudafricane e non solo, di una politica estera "imperialista" verso i paesi vicini, pesano come macigni nella vicenda sudafricana. Come sostiene infatti Calchi Novati, per tante paesi che hanno conosciuto la supremazia coloniale europea e stanno conoscendo quella neocoloniale statunitense ci vorranno tempi lunghissimi per superare tali condizionamenti. Ancora oggi, il capitalismo globale del XXI secolo, sia che si presenti in salsa africanista sia che assuma la ferocia classista dei nuovi ricchi cinesi, continua ad aver bisogno di materie prime, di manufatti a basso costo e di tanti eserciti industriali di riserva nelle metropoli e nelle periferie. E se le eredita' coloniale e dell'apartheid continuano indubbiamente a pesare nel Sudafrica contemporaneo, non va tuttavia dimenticata la contraddittorieta' delle politiche economiche e sociali dei vari governi sudafricani, che continuano a sostenere la necessita' di superare la diseguale redistribuzione della ricchezza e, al tempo stesso, hanno fatto propri in alcune occasione gli inviti del Fondo monetario internazionale ad applicare politiche di "aggiustamento strutturale" che favorissero il libero mercato. Molto denso e' anche il contributo della curatrice Itala Vivan, la quale si occupa di Sudafrica da oltre vent'anni, e ha partecipato, in qualita' di osservatore internazionale, alle prime elezioni democratiche del 1994. La Vivan ricorre ad un'immagine dello scrittore sudafricano Zakes Mda, esule per molti anni durante il regime dell'apartheid, il quale racconta che dopo il suo ritorno in patria si e' sentito il corpo libero di viaggiare per il paese e scoprire le storie della sua gente: "Il Sudafrica e' pieno di storie che attendono di essere raccontate". Da qui l'importanza della parola orale e scritta, del ricordo e dell'espressione creativa, della testimonianza e del racconto: nell'arte, nella politica, nella vita. Una notazione finale a margine su questo volume. Nel saggio su "Stato e societa' in Sudafrica", Jo Beall, docente presso la London School of Economics, scrive: "Un pensatore italiano tra i piu' autorevoli in Sudafrica e' Antonio Gramsci, che ha fortemente influenzato la sinistra intellettuale in diversi periodi". E prosegue utilizzando la categoria gramsciana di "crisi" per esaminare gli ultimi anni dell'apartheid. * Un altro volume dedicato al Sudafrica e' quello curato da Maria Solimini (Dal Sudafrica, Edizioni dal Sud, pp. 255, euro 15). Maria Solimini, antropologa presso l'universita' di Bari, sottolinea con forza le gravi ingiustizie sociali che affliggono la giovane repubblica sudafricana multietnica e multiculturale, ingiustizie provocate da un capitalismo fatto di bianchi sudafricani, di un'esigua minoranza di neri ricchi e di bianchi delle multinazionali che continuano a considerare il Sudafrica terra di conquista di materie prime, con il conseguente impoverimento (cioe' inquinamento) dell'ambiente e degli uomini e donne sudafricane. E che ci sia stato un nesso tra regime segregazionista e sviluppo economico capitalista lo testimoniano molti degli interventi presenti in questo volume. "Gli investimenti di capitale straniero in Sudafrica - sosteneva la sociologa sudafricana Ruth First, assassinata nel 1982 da sostenitori dell'apartheid, e ampiamente citata dalla Solimini - avrebbero comportato lo sviluppo del capitalismo ma non lo sviluppo sociale". Colpiscono a questo proposito i dati e le statistiche presenti nel libro, che tendono a stabilire un legame tra impoverimenti della popolazione e sviluppo, ad esempio, di veri e proprie "epidemie", come ad esempio l'aumento delle morti per aids, cresciute del 57% dal 1997 al 2003. La sfida lanciata a suo tempo da Nelson Mandela alle multinazionali dei farmaci ha infatti trovato resistenze fortissime dentro e naturalmente fuori il Sudafrica. Un braccio di ferro durato anni, da quando il Sudafrica aveva annunciato di voler produrre medicinali violando le norme internazionali sui brevetti. Il governo sudafricano fu portato in tribunale dalle multinazionali farmaceutiche, che ritirarono le accuse dopo l'avvio di una campagna mondiale a sostegno del Sudafrica. Un esito positivo che e' stato pero' ridimensionato dalle successive scelte di Pretoria, giudicate rinunciatarie dai gruppi di lotta all'Aids. Il filo conduttore del volume dal Sudafrica e' di guardare alla storia del Sudafrica come un modello specifico di sviluppo capitalistico. Come sostiene infatti la curatrice del libro, i Bantustans servivano a dividere e ghettizzare la popolazione africana per controllare meglio la composizione e la mobilita' della forza lavoro. Gli altri saggi presenti nel volume raccontano del "Global forum" del 2002 (Laura Marchetti), di un progetto di elettrificazione in un villaggio rurale (Rocco Stefanelli), dei nuovi diritti previsti dalla Costituzione (Armida Salvati), dei nuovi movimenti sociali (Anna Simone), delle donne sudafricane (Manuale Messina). Da segnalare, infine, una preziosa appendice di testi che presenta, tra gli altri, la nuova Costituzione del 1996 (in inglese), le statistiche sudafricane sulla diffusione dell'hiv e dell'aids, la prefazione ai lavori della Commissione per la Verita' e la Riconciliazione scritta dal suo presidente, l'arcivescovo Desmond Tutu. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1189 del 28 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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