La nonviolenza e' in cammino. 1177



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1177 del 16 gennaio 2006

Sommario di questo numero:
1. Simone Weil: Quando
2. Danilo, o dell'azione nonviolenta
3. Hannah Arendt: Ideologie
4. Donatella Di Cesare: Il viaggio di Levinas
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. SIMONE WEIL: QUANDO
[Da Simone Weil, Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano 1999, p. 260. Simone
Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante
sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di
fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice
agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

Quando si impedisce a se stessi di porsi delle domande, si e' stati corrotti
dal sofisma collettivo.

2. MEMORIA. DANILO, O DELL'AZIONE NONVIOLENTA
[Il seguente articolo su Danilo Dolci e' stato scritto da un collaboratore
di questo foglio nel 2004 su richiesta di un amico. L'autore non piu'
ricorda se poi sia stato pubblicato o meno, ma avendolo ritrovato ha pensato
potesse essere non disutile proporlo ora qui. Nella lettera che lo
accompagnava scriveva: "Una sola osservazione sulla forma di scrittura che
ho scelto dopo altri tentativi e persistendo nel dubbio: mi e' parso che la
prosa trattatistica non fosse adeguata ad esprimere cio' che sento
essenziale nel dire e nel fare di Danilo in relazione all'azione diretta
nonviolenta. Ho tentato quindi un modello che rimandasse all'oralita'
dialogica e alle modulazioni del discorso formulare - allitterativo ed
iterativo. L'intenzione mi e' parsa buona, l'esito mi sembra
insoddisfacente, ma forse e' meglio di niente".
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43
dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di
Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale
(Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente
contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'.
Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di
massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del
1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica
scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento"
ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e
botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il
28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver
lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a
Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu'
povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio
al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la
denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si
impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la
costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a
Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le
disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro
intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2
febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di
disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una
strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958)
si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del
fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli
attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a
Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci
e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a
processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo
metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E'
convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non
nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di
costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro
economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che
faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento
di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per
tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno
necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni,
per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di
migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e
cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per
valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti
internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto,
frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con
numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla
distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci
evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi
al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di
effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione
capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della
complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone
"all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a
tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco
adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu'
recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra
esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica
e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge
della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30
dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo
spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel
portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita".
Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento
segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e
di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di
poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di
riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988;
La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le
opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze
1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988
(sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe
Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo
Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro
fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e
la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali
audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo
Dolci. Memoria e utopia, 2004]

1. Passi
La nonviolenza e' lotta, ma e' quello specifico tipo di lotta che e' insieme
dialogo ed educazione, ascolto e comunicazione, conflitto che costruisce ed
invera, umanizzazione di tutte le parti coinvolte, trasformazione
strutturale e reciproco disvelamento. E' quella lotta che istituisce umana
relazione, creaturale e compartecipe, ordinata al convivere, all'esserci
insieme, al conoscere insieme (consapevolezza, coscienza), al riconoscere e
riconoscersi: speranza che si fa esperienza.
La nonviolenza e' condivisione: della sofferenza, e del sentire, del sapere
delle vittime. Chi non condivide la vita delle vittime, chi non si fa parte
del loro patire, del loro cercare, del loro lottare, non pratica la
nonviolenza. Ma la nonviolenza e' anche il rifiuto del perdurare di questo
soffrire, e' anche protesta e indignazione contro la violenza e contro la
rassegnazione e contro l'apatia: la nonviolenza e' infatti, gia' lo
sappiamo, lotta: la lotta delle vittime della violenza per abolire la
violenza in se' e nell'altro, dell'altro e propria. E per abolire altresi'
quelle forme di violenza cristallizzata ed introiettata che sono la menzogna
e la sottomissione, la protervia come la sudditanza: il consenso ad un
ordine iniquo come l'azione che invece di trasformare ed evolvere tutto
distrugge. La nonviolenza nel suo nocciolo e' questo: salvare le vite, e
tutto il resto viene dopo.
La nonviolenza e' maieutica, e' ascolto reciproco e comune, e' autoanalisi
popolare, e' progettazione dal basso, e' comunicazione, "palpitare di
nessi".
La nonviolenza e' riconoscimento di umanita', prassi che umanizza, lotta
benedicente e degnificante. Aiuto al mondo, "vittoria al mondo" dice Vinoba.
*
2. Sul digiuno, il silenzio, la sera
La nonviolenza sa che il digiuno di questo e' simbolo e traccia ed
esperienza e appello: dell'assunzione di responsabilita', del riconoscimento
della dialettica dell'io e del tu, del se' e dell'altro, che fin
nell'interiorita' di ciascuno ha luogo e prende forma e sostanza.
Luogo della condivisione della fame e della ricerca, esperienza di esistenza
nell'intreccio di solitudine e comunita', di apertura che scaturisce
dall'intimo, radura e rilucere della creaturalita'.
La lotta contro l'ingiustizia, l'accostamento alla verita', comincia nel
digiuno. E' nel digiuno che ti avvicini all'umanita'.
E la nonviolenza sa che anche il silenzio e' parola. Sa che tutto e' gesto,
tutto e' azione, tutto e' relazione. E tutto e' musica. E tutto e' grazia.
E' solo nella propria capacita' di silenzio che si da' ascolto, che si
restituisce altrui la parola. Chi non sa farsi silenzio non sa fare verita'.
Ma vi e' anche un silenzio che e' vile e complice della menzogna: e' il
silenzio che non chiede, il silenzio che non da', il silenzio che non
ascolta, il silenzio dell'indifferenza, e quello dell'ipocrisia.
La nonviolenza sa che la via e' nell'interrogare. Ma che l'interrogare non
basta, occorre saper ascoltare, e li' e' la via. Ma non basta neppure saper
ascoltare, occorre che quel cercare diventi agire, cercare insieme, insieme
agire. Poiche' cercare e' gia' agire, ma solo agire e' cercare. E solo
nell'insieme, nel considerare insieme, nel tenere insieme, nello stare
insieme, e' la verita'. E la via.
A sera gli amici di Danilo e Danilo s'incontrano, parlano, ascoltano,
raccontano storie, s'interrogano sulle cose e le cause, sui fatti e il da
fare, cercano e trovano.
Senza questo parlarsi e ascoltarsi, non esiste nonviolenza.
*
3. Del comunicare
La nonviolenza e' comunicare, ma quale comunicare?
Il comunicare che e' prassi del nascere e del sostegno al nascere da parte
della levatrice: la maieutica, ed equivalente in campo morale del rapporto
persona-natura mediato dal lavoro come poesia: l'appercezione
dell'esistere - proprio e dell'umanita' e dell'essere-nel-mondo - come
creatura di creature.
Il comunicare che e' spinta integrativa come riconoscimento che e'
inveramento, ed e' contributo alla creazione, e nel circolo (ontologico,
ermeneutico) creaturalita'-creativita' e' uno dei nuclei del sentire, del
fare, del progettare che Danilo ci ha insegnato.
Il comunicare che si oppone all'annientamento.
*
4. Ove scompaiono
Ha scritto Danilo: "ove scompaiono schiavi scompaiono padroni".
La nonviolenza e' questo: quando tu cessi di esprimere il consenso (sia pure
solo passivo) al potere iniquo, quel potere - per forte che sia - gia'
s'incrina e cede. Quando la vittima rifiuta di accettare la relazione
sacrificale, si apre la via che puo' riscattare altresi' l'umanita'
dell'oppressore.
Ha scritto Hannah Arendt: "si può sempre dire un si' o un no". Quando tu
dici no alla violenza e alla menzogna, la lotta di liberazione e' gia'
cominciata, l'ordine dell'orrore gia' vacilla.
Ove scompaiono schiavi, scompaiono padroni, esseri umani appaiono.
*
5. Nec nec, aut aut, et et
La nonviolenza non e' ne' stupida ne' furba, e' innocente. Rifiuta di
nuocere. E poiche' rifiuta di nuocere, essa e' la resistenza piu' forte
contro ogni violenza e ingiustizia, contro ogni menzogna e vilta'.
Non-nocente, ripudia il far male, il mal fare, il farsi male, il rendersi,
arrendersi al male, il cedere al male e lasciarsene insignorire; essa lotta
contro l'alienazione: alienazione di cio' che e' piu' proprio di ogni essere
umano: la propria - e comune - umanita'. La nonviolenza e' riconoscimento e
quindi restituzione di umanita'. Di contro alla techne che aliena la psiche
essa e' critica pratica delle ideologie e dello sfruttamento; e pratica
critica, e appello, e moto, di liberazione ordinata al convivere in
condizioni di riconoscimento di dignita', di condivisione e rispetto di se',
degli altri, del mondo.
La nonviolenza sa che - come in quella visione di Alce Nero - ogni luogo e'
il centro del mondo.
La nonviolenza sa che ogni parola, ogni gesto, e' esemplare. La nonviolenza
sa che la sua lotta e' sempre anche educazione. Nutre, apre vie, sostiene,
restituisce.
La nonviolenza e' compresenza dell'io e del tu, del singolo e dei tutti.
La nonviolenza e' l'umanita' in cammino.
*
6. Congedo
La nonviolenza e' lotta ed e' colloquio, comunica e restaura umanita'. Non
e' concetto astratto ma pratica concreta, ed e' pensiero che solo nel
conflitto si fa atto. Pensiero che si pensa solo insieme: di resistente e
levatrice l'arte.
La nonviolenza non vuole che tu cambi i tuoi pensieri, ma che piu' in
profondo li pensi; non ti chiede di rinunciare a te per qualcos'altro, ma di
raggiungerti e cosi' trovare in te l'umanita', e negli altri te.
La nonviolenza non e' un corpo di regole, non ha ricette, sedi, probiviri,
non vende nulla e nulla vuol comprare; la nonviolenza sei tu che ti apri al
volto a un tempo sofferente e luminoso dell'altro, dell'altra persona.
La nonviolenza sa che tutti recano la verita', ed interroga incessante. A te
lo chiede di salvare il mondo.
Ha scritto Danilo: "quanto non c'e' ancora va creato".

3. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IDEOLOGIE
[Da Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano 1967, 1996,
pp. 643-644. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906,
fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la
costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America;
e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice,
intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello
svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare
alcunche' dato che tutto e' compreso in questo processo coerente di
deduzione logica. Il pericolo inerente al passaggio dall'inevitabile
insicurezza del pensiero filosofico alla spiegazione totale di un'ideologia
e della sua Weltanschauung non consiste tanto nel lasciarsi irretire da
un'ipotesi spesso volgare, ma sempre acritica, quanto nell'abbandonare la
liberta' implicita nella capacita' di pensare per la camicia di forza della
logica, mediante la quale l'uomo puo' farsi violenza quasi con la stessa
brutalita' usata da una forza esterna.

4. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE: IL VIAGGIO DI LEVINAS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 gennaio 2006.
Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del
linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea;
dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di
Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di
Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito
il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di
filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha
ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer
all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche
anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il
concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario.
Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta'
di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa'
italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul
secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi,
della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International
Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore
della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica
dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di
filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti
volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von
Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999;
Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag
Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma
1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza,
comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo,
Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio.
Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova
2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura
di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La
diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari
1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache,
hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB,
1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica
del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon
grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen
1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di
Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il
linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993;
Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano
1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800,
a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990".
Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il
12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e
gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania,
Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in
Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora
Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult.
L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati
adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un
nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si
può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici.
Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia'
cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg.
L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel.
L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la
sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal
1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di
cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita
Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'
Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita
quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani,
maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze
annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali
ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza
all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di
Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una
biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore
nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a
Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua
riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva
importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En
decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina);
Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it.
parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo);
Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr.
it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee
(tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance
et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per
una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo
stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la
bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere
et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino,
La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas,
ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas.
Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas,
Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB,
Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg &
Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della
modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo'
non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di
quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in
L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese
cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François
Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel
Levinas. La vita e la traccia, JacaBook, Milano 2003]

L'annuncio della scomparsa di Emmanuel Levinas fu dato all'indomani della
morte, il 25 dicembre 1995: "Liberation" mise la sua foto in prima pagina,
France 2 diede la notizia nelle "Ore Venti", il "New York Times" gli dedico'
un lungo articolo. La mattina del funerale al cimitero israelitico di
Pantin, a Parigi, davanti alla folla raccolta dei parenti, degli allievi,
degli amici, dei lettori anonimi, fu Jacques Derrida a pronunciare
l'orazione funebre, confluita poi nel libro Addio a Emmanuel Levinas. A
cento anni dalla nascita e' ancora difficile valutare l'influsso che la sua
opera ha esercitato sulla filosofia degli ultimi tre decenni. E si puo'
essere d'accordo o no con le sue idee, le sue intuizioni, le sue
aspirazioni, o perfino con la sua impostazione. Certo e' che, come pochi
altri, questo filosofo cosi' insolito ed eccentrico lascia una traccia
profonda, il segno dell'ebraismo nel pensiero occidentale.
*
Dalla Lituania a Strasburgo
Eccentrico Emmanuel Levinas era gia' per la sua provenienza. Nato il 12
gennaio del 1906 (il 30 dicembre 1905 secondo il calendario giuliano allora
vigente nell'impero russo) a Kaunas, citta' della Lituania al confine tra
l'occidente europeo e l'oriente russo, era cresciuto in una famiglia ebraica
ortodossa. Il padre Yehiel gestiva una libreria-cartoleria. La madre, Dvora
Gurvitch, trasmise al figlio la passione per la letteratura. Turghenev e
Puskin, Lermontov, Tolstoj e Dostoevskij costituirono una parte
significativa nella sua formazione intellettuale. "Il romanzo russo e' stato
la mia preparazione alla filosofia" - ammettera' in un'intervista. In casa
d'altronde si parlava russo; ma gia' a sei anni Levinas leggeva la Bibbia in
ebraico. E studio' in seguito nelle scuole ebraiche della citta'. A Kaunas
convivevano tutte le correnti dell'ebraismo moderno: da quelle ortodosse,
testimoniate dalla presenza di importanti scuole talmudiche, a quelle
illuministiche che si richiamavano a Moses Mendelssohn, dai sionisti, che
guardavano a Theodor Herzl, ai seguaci del Bund, del movimento operaio
ebraico. Per quanto possa essere sorprendente, nella citta' non c'erano ne'
ghetti ne' quartieri ebraici e di quegli anni Levinas non conservo' ricordi
di antisemitismo.
Nel 1923 lascio' la Lituania per trasferirsi a Strasburgo, citta' europea,
ma a sua volta al confine, e percio' piu' adatta a un esilio destinato a
essere definitivo. La scena filosofica francese, allora molto eclettica, era
dominata da Henri Bergson la cui riflessione costitui' per Levinas un primo
punto di riferimento. L'evento piu' significativo fu pero' l'incontro nel
1926 con Maurice Blanchot da cui scaturi' l'amicizia di una vita. Amicizia
paradossale perche' e' difficile immaginare due personaggi piu' distanti:
l'uno immigrato russo, attratto dalla cultura europea ma fortemente legato
alla tradizione ebraica; l'altro proveniente da una famiglia della borghesia
francese, nazionalista, molto vicino agli ambienti di estrema destra. Negli
anni trenta la rottura fu inevitabile. Mentre Blanchot proclamava la sua
avversione al parlamentarismo e alla democrazia, Levinas avvertiva che a
essere in gioco con Hitler non era piu' una determinata forma politica, ma
l'umanita' stessa. A partire dal 1938 mutarono pero' le posizioni di
Blanchot che intitolo' Aminadab - il nome del fratello minore di Levinas -
il suo secondo romanzo uscito nel 1942; in seguito, dopo aver aderito nel
1968 al "Comitato degli scrittori e degli intellettuali", scrisse due testi
che hanno Auschwitz come sfondo: L'intrattenimento infinito e La scrittura
del disastro.
Tra il 1928 e il 1929 Levinas si reco' per due semestri a Friburgo, in
Germania. "Sono venuto per vedere Husserl e ho incontrato Heidegger" -
avrebbe scritto dopo. La costellazione della filosofia di quegli anni e'
complessa: la critica alla metafisica occidentale viene delineandosi sullo
sfondo del nazismo. Levinas sapeva di trovarsi imprevedibilmente al centro
di eventi epocali. Non tento' di sottrarsi. Al contrario. Con la sua tesi
del 1930 La teoria dell'intuizione nella fenomenologia di Husserl, e con la
traduzione francese delle Meditazioni cartesiane di Husserl, introdusse in
Francia la fenomenologia in tempo reale. E altrettanto rapidamente intui'
che lo sviluppo della fenomenologia passava anche per l'analitica
esistenziale di Essere e tempo. Ma il rapporto che lo avrebbe legato a
Husserl e a Heidegger sarebbe stato del tutto diverso.
*
La condanna della filosofia occidentale
Resto' fedele al metodo fenomenologico scelto come stile di pensiero - anche
le sue letture talmudiche furono interpretazioni fenomenologiche;
radicalizzo' pero' sin dall'inizio la "intenzionalita'" di Husserl che,
guardata con "diffidenza", indica che la coscienza e' sempre coscienza di
qualcosa, che il suo movimento intenzionale e' dunque eccentrico, perche' la
spinge fuori dal suo centro - senza ritorno.
La eccentricita', filo conduttore della sua filosofia, venne precisandosi
attraverso la critica a Heidegger documentata nel bellissimo saggio del 1935
Dell'evasione. Qui evasione non significa fuga o disimpegno; piuttosto e' un
modo ebraico per dire il nostro "essere gettati" nel mondo, secondo il
linguaggio di Heidegger. Cosi' Levinas compie un ribaltamento che tocca la
filosofia di Heidegger nel suo centro nevralgico. L'essere costituisce per
Heidegger il luogo del senso ultimo; al contrario, per Levinas dall'essere
occorre evadere, allontanarsi, liberarsi. L'esistenza umana e' descritta nel
suo urto contro l'essere che assume qui i contorni di una potenza neutra,
spaventosa e anonima. La prigione dell'essere e' per Levinas la prigione
dell'identita': "l'essere e'". Cosi' e' cominciata la filosofia occidentale,
che sembra non riuscire ad andare piu' in la' di questa brutale affermazione
dove l'esistenza e' un assoluto che non richiede nient'altro. L'evasione e'
allora il bisogno di uscire da se', "di spezzare l'incatenamento piu'
radicale, piu' irremissibile, il fatto cioe' che l'io e' se stesso". Ma la
condanna della filosofia occidentale non si ferma qui. "Ogni civilta' che
accetta l'essere, la disperazione tragica che comporta e i crimini che
giustifica merita il nome di barbara". Nel 1936, ancora trentenne, Levinas
pubblico' un breve saggio dal titolo Alcune riflessioni sulla filosofia
dell'hitlerismo - tentativo riuscito, come sottolinea Giorgio Agamben, di
indicare nel nazismo la possibilita' estrema della barbarie del tutto
contigua alla filosofia del Novecento. Il nazismo non e' un incidente, la
follia di qualche anno. Piuttosto scaturisce da una ontologia dove l'uomo e'
pronto ad accettare il proprio modo d'essere che rischia di trasformarsi in
una trappola. Anche perche' di qui a considerare l'eredita' biologica come
un destino storico il passo e' breve.
Negli anni fra le due guerre Levinas si stabili' a Parigi. Dopo aver
ottenuto la cittadinanza francese, nel 1932 sposo' Raissa Levi, una sua
vecchia compagna di Kaunas, dalla quale ebbe due figli. A partire dal 1931
comincio' a lavorare presso la Scuola normale israelitica. Pur restando ai
margini della vita universitaria, incontro' Jacques Lacan, Maurice
Merleau-Ponty, Raymond Aron e partecipo' al circolo filosofico organizzato
da Gabriel Marcel.
*
La logica che porto' a Auschwitz
Nel 1940 fu richiamato come interprete nell'esercito francese ma, preso
prigioniero, fu internato nel campo militare tedesco di Fallingsbotel dove
resto' fino al 1945. A questi anni risale in gran parte l'opera
Dall'esistenza all'esistente, uscita nel 1947, che si apre con un'epigrafe
provocatoria: dove non e' questione di angoscia - un modo per denunciare
l'esistenzialismo di Heidegger, ma anche quello di Sartre, astrattamente
lontano dalla condizione di coloro che sono rinchiusi nei campi di
internamento o, peggio, di sterminio. All'indomani della Shoah - in cui
perse i genitori e i due fratelli, assassinati in Lituania - Levinas ando'
precisando la sua accusa rivolta a tutta la filosofia occidentale attraverso
un lungo ed intenso lavoro sfociato nell'opera forse piu' significativa
Totalita' e infinito, pubblicata nel 1961. C'e' un tratto violento nella
coscienza filosofica ed e' la volonta' di appropriarsi di cio' che e' altro
da se', di inglobarlo, assimilarlo, totalizzarlo. Incapace di uscire da se',
la coscienza filosofica occidentale persegue l'ideale dell'autonomia,
indicato da Kant, e giunge infine a realizzare il sogno dell'autocoincidenza
proclamato da Hegel. La coscienza filosofica e' conciliata con il mondo,
prima ancora che con se stessa, perche' e' a casa ovunque, anche in cio' che
a prima vista sembrava lontano e alieno. In questo sistema chiuso si
realizza la totalita' di un sapere assoluto che presume di sapere tutto e
invece afferma solo se stesso esercitando una violenza totalizzante e
totalitaria sull'altro. Attraverso la contrapposizione tra il medesimo e
l'altro per la prima volta la filosofia occidentale viene accusata a chiare
lettere di un totalitarismo ego-centrico sempre vittorioso sulle differenze
altrui. Auschwitz non e' che la conclusione "logica" di questa filosofia
della totalita' dove il sapere si e' sempre identificato con il potere:
quello del soggetto che ha preteso di essere il legislatore dell'universo,
di istituirne il senso, di sistemarlo chiudendolo intorno a se' ed
annientando l'altro.
Pensare dopo Auschwitz vuol dire per Levinas uscire dall'egocentrismo della
filosofia. Per l'esistenza umana la meta e' non tanto quella di essere
altrimenti, di delinearsi in modo diverso, quanto semmai quella di
oltrepassare l'essere, di andare al di la' - Altrimenti che essere, secondo
il titolo di una delle opere piu' famose di Levinas pubblicata nel 1974. Il
passaggio dall'essere in direzione dell'altro segna anche il passaggio
dall'ontologia all'etica che diventa qui filosofia prima. Sarebbe una grave
banalizzazione credere che il discorso di Levinas sia un sermone edificante
sull'altruismo.
Etica e' il movimento continuo dell'io, il suo passo in fuori verso l'altro,
compiuto prima ancora di chiedersi: come devo comportarmi, che cosa devo
fare? Senza questa uscita da se', verso l'altro, l'io non esisterebbe
neppure. L'inversione del cammino seguito dalla filosofia e' una eversione
che segna la rottura "nell'asse dell'essere". E' qui che Levinas fa agire
l'ebraismo all'interno della tradizione occidentale.
*
Una via alternativa nella filosofia
Ulisse e Abramo diventano le figure paradigmatiche di due modi del tutto
diversi, e perfino opposti, di esistere. Smanioso di vivere, avido di tutto,
di gustare, di sentire, di provare, di esperire, Ulisse non mette mai
davvero a repentaglio la propria sicurezza. Dopo i suoi viaggi in terra
straniera fa ritorno a Itaca, a casa, presso di se', presso i suoi. Il suo
non e' stato un esilio, ma un allontanamento da se' per far ritorno a se',
un movimento dal proprio verso l'estraneo, per ritornare al proprio.
L'odissea dell'eroe non e' che questo movimento di riappropriazione che
contraddistinguera' la tradizione eurocentrica e rispondera' all'economia
del ritorno. Al contrario, nel cammino di Abramo non c'e' ritorno. "Lecha'!
Va!" - gli comanda Dio sin dall'inizio. Chiamato all'erranza nomadica
Abramo, svuotato di cio' che possiede, muove verso la terra che e' solo
promessa, terra messianica della giustizia - luogo non-luogo, al di la' di
Itaca, sempre ancora al di la'. Il cammino di Abramo dal se' all'altro,
senza ritorno, traccia per Levinas una via alternativa nella filosofia. E'
la via verso l'infinito dell'altro, che e' tale, che e' infinitamente altro,
perche' oltrepassa sempre la sfera del se'. L'idea dell'infinito mantiene
l'esteriorita' inappropriabile dell'altro. Con una mossa radicale Levinas fa
apparire il "volto" dell'altro al centro della scena filosofica. Nella sua
unicita' irriducibile il volto dell'altro, impedendo ogni progetto
totalizzante, spinge l'io oltre se', lo sottopone a una eteronomia. E la
direzione verso l'altro e' senza ritorno perche' il faccia-a-faccia non e'
una relazione di reciprocita', di riconoscimento, d'amore. Piuttosto e' una
relazione sempre asimmetrica. Il volto dell'altro non e' circoscrivibile,
non e' afferrabile; e' l'irruzione del nuovo che ci sorprende, che e' al di
la', che e' trascendenza. Rispetto al paganesimo, che e' "l'impotenza di
uscire dal mondo", il compito dell'ebraismo sarebbe poca cosa se si
limitasse ad insegnare ai popoli il monoteismo. Privo di radici definitive,
tormentato da una sorda inquietudine, l'ebreo vive nel mondo sempre anche
fuori dal mondo, guardando alle tracce della sua provvisorieta'. Questo
guardare e' anche un salvaguardare l'erranza che porta sempre oltre. Per
Levinas diventa necessario per un verso attingere alle fonti ebraiche per
rileggere criticamente la filosofia occidentale; ma per altro verso appare
indispensabile anche "tradurre in greco" il Talmud, leggerlo
filosoficamente. Sta probabilmente qui piu' che altrove l'originalita' del
suo pensiero. Nella filosofia occidentale trovano allora cittadinanza nuovi
concetti come quelli di citta'-rifugio, ospitalita', rito, profezia,
messianismo.
Nel 1946 Levinas fu chiamato a dirigere la Scuola normale israelitica di
Parigi, incarico che lascio' solo nel 1979. Il suo impegno nella
ricostruzione dell'ebraismo in Francia e in Europa si fece piu' intenso e
consapevole. Occorre dire che Levinas ebbe un maestro d'eccezione: il
misterioso Mordechai Chouchani, talmudista e matematico, di cui ancora oggi
si ignora pressoche' tutto, l'origine, il luogo di nascita e perfino il vero
nome. Dotato di una memoria fuori del comune e di competenze vastissime,
Chouchani viveva quasi come un clochard vagabondando da Strasburgo a New
York a Gerusalemme per insegnare Bibbia e Talmud in cambio di vitto e
alloggio.
*
Dalla saggezza millenaria del Talmud
"L'incontro con quest'uomo - affermo' Levinas in un'intervista - mi ha
ridato fiducia nei libri". Che cosa gli insegno' Chouchani? Non lo riporto'
alle sue origini, perche' Levinas aveva sempre considerato l'ebraismo come
una parte di se'. E non lo distolse neppure dalla filosofia, perche' in
quegli anni si fece anzi piu' stretto il rapporto con il filosofo Jean Wahl
che gli apri' le porte della carriera accademica - nel 1964 fu chiamato come
professore di filosofia all'universita' di Poitiers, poi a quella di
Paris-Nanterre e dal 1973 alla Sorbona. Chouchani gli insegno' che il Talmud
e' il contributo ebraico alla cultura universale. E dunque dal Talmud,
rimasto per secoli patrimonio esclusivo delle sfere intellettuali e
rabbiniche nell'Europa dell'est o nel Magreb, bisognava ripartire per
leggerne i trattati alla luce della filosofia e per interrogare quella
saggezza millenaria muovendo dalle questioni attuali. Opere come Quattro
letture talmudiche o L'al di la' del versetto testimoniano l'impresa di
Levinas che riusci' a seguire la doppia ispirazione della sua vita portando
la filosofia nel Talmud, il Talmud nella filosofia.
*
Scheda: Il dibattito su Levinas
Emmanuel Levinas e' stato il filosofo del Novecento che con piu' coerenza ha
riconsiderato la tradizione occidentale dal punto di vista ebraico. Ma resta
ancora difficile una valutazione complessiva della sua opera. A inaugurare
il dibattito e' stato nel 1964 Jacques Derrida con il saggio Violenza e
metafisica, piu' tardi compreso nella raccolta La scrittura e la differenza.
Con una critica serrata Derrida - che per il filosofo e germanista Stephane
Moses e' "il solo che, molto presto, ha capito tutto" di lui - mette in
dubbio l'idea di una alterita' assoluta che rende impossibile un rapporto
con quello straniero che e' il prossimo. Si discute ancora sul ruolo svolto
da questa critica nello sviluppo del pensiero di Levinas. Di certo, il
merito di avere introdotto la sua filosofia nell'orizzonte contemporaneo,
soprattutto in America, spetta a Derrida. All'inizio degli anni settanta nel
numero del "Magazine litteraire" dedicato ai filosofi francesi contemporanei
mancava ancora il nome di Levinas. Solo nel 1980 usci' la raccolta Textes
pour Emmanuel Levinas in cui comparivano fra l'altro saggi di Blanchot,
Derrida, Jabes, Lyotard, Peperzak, Ricoeur. Forse anche per la singolarita'
della sua scrittura, il riconoscimento e' arrivato tardi. Ed e' stato
problematico. Malgrado Derrida, si e' affermata una lettura confessionale
sostenuta dagli ambienti cattolici. Levinas e' stato cosi' strappato alla
fenomenologia, ma anche al mondo ebraico. Il centenario della nascita e'
l'occasione per ridiscutere con una prospettiva piu' critica l'immagine
stereotipata del filosofo dell'etica. Numerosissime sono le iniziative prese
soprattutto nel mondo della filosofia. Dal 16 al 20 gennaio avra' luogo alla
Hebrew University di Gerusalemme un congresso internazionale intitolato Un
secolo con Levinas. Le risonanze della sua filosofia. Un altro importante
convegno avra' luogo a maggio alla Facolta' di Filosofia della Sapienza di
Roma.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1177 del 16 gennaio 2006

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