La nonviolenza e' in cammino. 1124



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1124 del 24 novembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Fatema Mernissi: E altro e' da veder che tu non vedi
2. Roberto Ciccarelli intervista Etienne Balibar
3. Lidia Menapace presenta "Fuoco amico" di Giuliana Sgrena
4. Rossana Rossanda presenta "Alla cieca" di Claudio Magris
5. Libreria delle donne di Milano: Alcune proposte di lettura
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. FATEMA MERNISSI: E ALTRO E' DA VEDER CHE TU NON VEDI
[Dal sito della Libreria delle donne di Mlano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso su "D Donna" del 15 ottobre 2005.
Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e'
nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente
universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e
narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta,
Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e'
marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e
l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal
deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e'
www.mernissi.net]

In una delle mie ultime visite in Italia, non sono riuscita a vedere un solo
canale non occidentale. Eppure ero ospitata in un ottimo hotel di Milano. In
ogni caso, e' stato cosi' che un'ora dopo, alla presentazione del mio ultimo
libro, ho capito perche' le domande erano tutte uguali: sul velo, sul
terrorismo o su una combinazione di entrambi. La stessa cosa mi e' successa
a Madrid. Il fatto e' che in Occidente siete del tutto all'oscuro di quanto
sta accadendo nel mondo arabo, dove il tema centrale che sta mobilitando le
elites come le masse e' il caos digitale introdotto dalle tecnologie
informatiche e dal satellite, che hanno distrutto l'Hudud, quella frontiera
che divideva il mondo in due aree: una privata e nascosta, dove si supponeva
che donne e bambini fossero protetti, l'altra pubblica, dove i maschi adulti
esercitavano la loro presunta capacita' di risolvere i problemi.
Mentre voi continuate a rappresentare la donna araba come sottomessa e
velata, da noi capita che io, entrando in un caffe' vicino all'universita'
di Rabat per un appuntamento con un collega, scopra che l'intera clientela,
per la maggior parte maschile, sta seguendo a tutto volume Al Arabia, la
nuova rivale di Al Jazeera, perche' sullo schemo e' apparsa Mai Al Khalifa.
Che non e' una cantante, ne' una danzatrice del ventre, e' un'intellettuale
che scrive libri e una delle prime donne ad avere avuto una posizione
ufficiale nel ministero della cultura del Barhein. Come lei, in questi anni
nei Paesi del Golfo altre donne hanno assunto ruoli importanti. Sono quelle
che io chiamo Sheherazade digitali. La versione araba di Forbes, lo scorso
dicembre ha elencato le cinquanta fra loro che sono piu' potenti. In Kuwait,
la giovane Maha Al-Ghunaim e' vicepresidente e managing director della
Global Investment House, che nel 2004 ha avuto un profitto netto di 72,9
milioni di dollari. In Arabia Saudita, la poetessa Nimah Ismail Nawwab e'
stata il primo autore (uomini inclusi) a firmare i suoi libri in pubblico,
nella piu' grande libreria di Jedda. Quanto agli Emirati Arabi Uniti, il
ministro dell'economia e' una donna, Sheika Lubna al Qasimi. Da voi, in
Italia, avete mai avuto un ministro dell'economia donna?
E mettendo da parte le piu' brave, lo sapete che in Barhein il tasso di
occupazione femminile e' salito dal 5 per cento del 1971 al 40 per cento del
2001? In realta', chi continua a identificare il Golfo con donne velate e
arcaismi, e' destinato a non vedere l'essenziale, che stupisce me per prima:
il mondo arabo sta scegliendo l'intelligenza femminile per costruirsi un
nuovo modo di vivere e di comunicare.

2. RIFLESSIONE. ROBERTO CICCARELLI INTERVISTA ETIENNE BALIBAR
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 novembre 2005.
Roberto Ciccarelli (Bari, 1973) svolge attivita' di ricerca presso
l'Istituto Universitario Orientale di Napoli; e' autore di vari saggi. Tra
le sue pubblicazioni: con Marino Centrone, Pensare la differenza, Levante,
Bari 1999; (a cura di), Inoperosita' della politica, DeriveApprodi, Roma
1999.
Etienne Balibar, pensatore francese, nato nel 1942, docente di filosofia
alla Sorbona, collaboratore di Althusser, ha fatto parte del Pcf uscendone
nel 1981 in opposizione alla politica del partito comunista francese iniqua
verso gli immigrati; impegnato contro il razzismo, e' uno degli
intellettuali critici piu' lucidi nella denuncia delle nuove e pervasive
forme di oppressione e sfruttamento. Tra le opere di Etienne Balibar: (con
L. Althusser ed altri), Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano; Le
frontiere della democrazia, Manifestolibri, Roma; La filosofia di Marx,
Manifestolibri, Roma; (con I. Wallerstein), Razza, nazione, classe, Edizioni
Associate, Roma]

A tre settimane dall'inizio delle rivolte nelle banlieue Etienne Balibar e'
indignato, ma anche inquieto. Con la psicoanalista Fethi Benslama, la
giurista Monique Chemillier-Gendreau, il filosofo Bertrand Ogilvie e
l'antropologo Emmanuel Terray, ha sottoscritto un appello che ha individuato
"nella disoccupazione di massa, nello smantellamento dei servizi pubblici,
nella segregazione urbana e nella discriminazione professionale, nella
stigmatizzazione religiosa e culturale oltre che nel razzismo e nella
brutalita' poliziesca quotidiana" le principali cause delle rivolte.
"L'appello e' intitolato Casse-cou, la Republique! - ha spiegato Balibar in
una pausa del convegno "Spinoza: Individuo e moltitudine" tenutosi a Bologna
lo scorso fine settimana -, lo abbiamo scritto il giorno dopo l'approvazione
dello stato d'emergenza ed e' stato diffuso nell'ultima settimana su
Internet e pubblicato il 16 novembre su 'L'Humanite''".
Oggi Balibar rilancia la sua analisi sul regime di apartheid che dalle
frontiere esterne all'Unione Europea si e' installato nel cuore delle
metropoli e denuncia il razzismo istituzionale che ha provocato le rivolte.
Durante l'intervista esprime la sua perplessita' sul tentativo compiuto da
alcuni esponenti del partito comunista francese e della sinistra
anti-globalizzazione che hanno cercato "nei primi giorni di strumentalizzare
le rivolte presentandole come la dimostrazione delle loro posizioni contro
la costituzione europea e per il no al referendum del 29 maggio scorso.
Questa rivolta - continua il filosofo francese - in realta' rivela il blocco
totale del sistema politico francese. Non esiste alcuna prospettiva di
rinnovamento sia per la maggioranza al potere che per l'opposizione". Una
rivolta di cui molti governi, e non solo l'ultimo diretto da Dominique de
Villepin, "portano una grave responsabilita'". Ma la rivolta contro i ghetti
non e' una specialita' francese, e' una condizione diffusa anche nei Paesi
Bassi e in Inghilterra. "Quelle in Francia mi sembrano pero' peculiari -
risponde Balibar - perche' sono legate alla sua storia coloniale che e'
ancora oggi onnipresente nel paesaggio urbano, anche se e' stata rimossa
violentemente dal sistema politico e dalla maggioranza della societa' che
vive totalmente separata dalle banlieue".
E poi il governo. "Cio' che trovo inquietante nel suo comportamento e' che
si e' impegnato nella repressione senza riflettere attentamente sui rischi
dei conflitti sociali e le minacce aggravate alla sicurezza della
popolazione che una simile scelta comporta", osserva Balibar. La
reintroduzione della doppia pena, l'espulsione amministrativa degli
stranieri, cioe' dei residenti che possono essere "isolati" dagli altri
cittadini in base alla loro identita', annunciate dal ministro degli interni
Nicolas Sarkozy, per Balibar "e' indice della separazione tra i cittadini
nazionali e gli stranieri, ma anche tra gli stessi cittadini francesi alcuni
dei quali vengono stigmatizzati come immigrati, o come non francesi, pur
avendo a tutti gli effetti la cittadinanza. Reprimere dei gruppi isolati dal
resto della popolazione e' una politica che non solo non rispetta i diritti
umani, ma accentua al massimo le inquietudini della popolazione, moltiplica
gli aspetti securitari e produce una polarizzazione ideologica in seno alla
societa' francese che vede negli immigrati, nei giovani o negli stranieri
dei capri espiatori".
*
- Roberto Ciccarelli: Il prolungamento della legge d'urgenza per altri tre
mesi e' la creazione di uno stato di eccezione nelle citta'?
- Etienne Balibar: Questo e' l'aspetto piu' inquietante, anche per i suoi
risvolti simbolici, della reazione del governo. Quella applicata e' una
legislazione di guerra. E' l'arma assoluta e reattiva che serve a spezzare
le resistenze contro un nuovo ordine neo-coloniale, come gia' avvenne nella
guerra d'Algeria. Questa legge non autorizza solo il coprifuoco, ma crea
anche delle zone securitarie, autorizza le perquisizioni di giorno e di
notte, le sanzioni penali sbrigative. Tutto questo non ha fatto altro che
dare fuoco alle polveri a una rivolta che covava da anni e che, con ogni
probabilita', continuera' ancora a lungo. La violenza ha toccato tutti gli
abitanti delle banlieue, francesi e non. Questo e' inevitabile perche' chi
subisce la violenza giorno dopo giorno, e per anni, poi colpisce senza
operare alcuna distinzione di origine o di ceto sociale.
*
- Roberto Ciccarelli: Lei ha denunciato piu' volte l'apartheid europeo
contro i migranti. Si puo' dire che oggi, in Francia come anche in altri
paesi europei, e' venuto alla luce anche un nuovo apartheid, quello interno
alle metropoli?
- Etienne Balibar: Assolutamente si'. Non ci si puo' accontentare di dire
che la risposta del governo e' inadeguata. E' difficile evitare di credere
che, al di la' dei contrasti interni tra chi preme per una soluzione
securitaria e chi per una di tipo paternalistico, il governo abbia voluto
tracciare una specie di frontiera interna nella societa' che assume una
configurazione sociale, etnica e razzista. L'applicazione di questa legge
tende a isolare dal corpo della societa' francese una certa tipologia di
persone e a differenziare le banlieue dal resto del territorio nazionale. In
un certo senso tutto questo non e' nuovo. Anzi e' solo uno dei momenti di un
processo di emergenza progressiva di forme di segregazione in tutta Europa
che e' iniziato da tempo.
*
- Roberto Ciccarelli: In cosa consiste questo processo?
- Etienne Balibar: E' un fenomeno tendenziale, molto articolato, che si va
intensificando. Non lo considero ancora un dato acquisito, ma credo che
quella in atto sia una trasformazione dello spazio europeo sul lato esterno
e su quello interno. E' un processo che ha come risultato la costruzione di
un apartheid, cioe' la moltiplicazione, o meglio, il raddoppiamento dei
confini, quelli esterni dell'Unione Europea, e quelli interni nelle citta'.
Questo processo ha spesso delle tragiche conseguenze come abbiamo visto
nell'ultimo naufragio al largo di Ragusa di venerdi' scorso, oppure in
quello che accade a Ceuta o Melilla in Spagna. Sono tutti effetti che fanno
parte della politica protezionistica dello spazio sociale europeo che da un
lato rafforza il muro che separa l'Europa dal Mediterraneo e dall'altro
costruisce zone di controllo e di concentrazione dei migranti nell'Africa
del Nord. Quello che accade nelle banlieue e' una specie di effetto
simmetrico, correlativo, di questo processo. E' il risultato di una
"meticizzazione" dei conflitti sociali che si accompagna alla
militarizzazione delle frontiere europee. Il rischio che si corre e' che i
tentativi di sfruttare politicamente questi episodi accelerino il processo
in atto fino al punto che un giorno sara' impossibile fermarlo.
*
- Roberto Ciccarelli: A suo parere in che modo l'opinione pubblica francese
e internazionale hanno interpretato le rivolte?
- Etienne Balibar: In Francia, il tentativo di classificare i ribelli con
categorie di tipo religioso come il "fondamentalista islamico" e' fallito
immediatamente. Dall'altra parte c'e' chi segue la linea bonapartista di
Sarkozy, che cerca di controllare questa popolazione accusando una sua parte
di comunitarismo e dall'altra strumentalizzando i normali strumenti
dell'espressione della vita democratica ricorrendo alla mediazione dei
rappresentanti delle varie comunita'. Altri hanno evidenziato il fallimento
del modello repubblicano di integrazione e quello di rappresentanza politica
a livello parlamentare e municipale. Questa linea e' stata raccolta dalla
stampa inglese e americana che ha interpretato questo fallimento come la
fine dell'egualitarismo sociale che impone l'introduzione del riconoscimento
delle appartenenze comunitarie in Francia. Non so se questo sia vero o
falso, bisogna discuterne, ma credo che questi argomenti spostino
l'attenzione dalle vere ragioni delle rivolte delle banlieue, che per me
sono neo-coloniali.
*
- Roberto Ciccarelli: Perche'?
- Etienne Balibar: Nelle banlieue si concentrano la seconda e la terza
generazione degli immigrati di origine nordafricana e africana che sono
ipersensibili rispetto alle forme violente di stigmatizzazione che si
esprimono nel controllo poliziesco quotidiano e combinano la discriminazione
di classe con quella razzista di tipo neo-coloniale. Da parte loro, queste
persone non hanno alcuna intenzione di rivendicare una "separatezza"
culturale dalla societa' francese, non chiedono assolutamente la chiusura
delle loro comunita' contro la repubblica. Al contrario si appropriano del
suo linguaggio e della sua ideologia per chiedere l'uguaglianza. Per questo
le loro rivendicazioni non sono di tipo comunitario ma di tipo
universalista.
*
- Roberto Ciccarelli: Chiedono quindi una cittadinanza?
- Etienne Balibar: Proprio cosi', e non dico questo per rafforzare le tesi
che ho sostenuto negli ultimi anni, ma perche' esistono degli aspetti
culturali e sociali della cittadinanza che sono inseparabili dalla
cittadinanza intesa in senso moderno. In questo senso si puo' dire che le
forme del repubblicanesimo borghese che sono tipiche in Francia hanno
raggiunto il loro limite da tempo. La cittadinanza che la maggioranza della
popolazione delle banlieue rivendica non e' solo di tipo multiculturale, e
nemmeno solo transnazionale, ma e' una cittadinanza multilivello che deve
esprimersi a partire dal livello locale, poi su quello nazionale e anche su
quello transnazionale. In questo senso e' chiaro che oggi e' in atto una
rivendicazione di quello che definisco il droit de cite', cioe' di quel
processo di costruzione dal basso della cittadinanza. Ci sono anche altri
aspetti della cittadinanza che non si possono ignorare, anche alla luce
degli ultimi fatti. La cittadinanza si pone infatti all'incrocio con
tradizioni istituzionali diverse: quella repubblicana dello stato che
presuppone l'esistenza di un ordine pubblico e di un interesse comune e
quella rivendicativa che punta sul progresso incessante della democrazia
nella societa'. Oggi che quest'ultima tradizione e' quasi del tutto esaurita
visto che una parte della borghesia non ne ha piu' bisogno, rischiamo di
mettere a morte una serie di diritti e di tradizioni acquisite in Europa.
*
- Roberto Ciccarelli: Le rivolte possono allora essere considerate
l'espressione di una lotta piu' generale contro l'apartheid metropolitano?
- Etienne Balibar: Personalmente evito di idealizzare una rivolta di tipo
anarchico che incendia scuole, palazzi pubblici, e si scontra con la
polizia. Sono convinto che questa sia una reazione che deriva da una serie
di ragioni sociali, ma non la si puo' far passare come il sintomo di una
rivolta politica, antimperialista o anticapitalista. I giovani incendiari
non rappresentano un'avanguardia, ma il momento rivelatore di una situazione
nella quale milioni di persone vivono. Per questo non credo si possa parlare
di un movimento, ma di una rivendicazione. E' invece molto importante dire
che queste persone non sono affatto una parte isolata dalla popolazione che
vive in banlieue. Anzi, mi sembra che esprimano lo stesso disagio in cui
vive la grande maggioranza. In Europa c'e' una lunga storia di rivolte
contro i ghetti. Cio' che di nuovo c'e' oggi e' che quella attuale e' la
prima generazione che vive la contraddizione flagrante tra l'universalismo
della cittadinanza che sancisce l'eguaglianza delle opportunita' in cui sono
cresciuti i suoi genitori immigrati, e la sordida realta' del razzismo
istituzionale.
*
- Roberto Ciccarelli: Quali allora le prospettive?
- Etienne Balibar: C'e' la parola d'ordine di Gramsci, quella sul pessimismo
della ragione e l'ottimismo della volonta', che mi spinge a pensare che in
questa situazione astenersi sarebbe certamente peggiore che agire anche
sbagliando. Spero che la maggioranza dei francesi si risvegli da questo
incubo neo-coloniale. Bisogna assolutamente resistere al tentativo di
criminalizzazione e di etnicizzazione compiuto dal governo che servono alla
creazione del "nemico" di cui il sistema ha bisogno e possono essere usati
contro l'eventuale politicizzazione della rivolta. Penso che oggi il
problema principale sia, da una parte, quello di un rilancio della coscienza
e della mobilitazione nelle banlieue per dare un'espressione politica a chi
e' sempre stato marginalizzato dal sistema politico. Dall'altra parte, i
rappresentanti locali dei partiti di sinistra, insieme al tessuto delle
associazioni, dei servizi municipali, potrebbero avere un ruolo importante
nel rilancio della controffensiva democratica. Questo rilancio della
democrazia locale potrebbe avere una rilevanza nazionale in un paese
fortemente centralista come la Francia. E' solo un'ipotesi, certo, ma se
oggi un'iniziativa democratica non parte dal livello centrale, allora
bisogna farlo dalle banlieue.
*
Postilla: Un filosofo tra Spinoza e Marx
Etienne Balibar e' uno dei piu' importanti filosofi europei. E' professore
emerito all'Universita' di Paris X e insegna all'Universita' di California.
A lungo collaboratore di Louis Althusser, ha partecipato alla stesura di
Leggere il Capitale, considerato un testo fondamentale per comprendere il
marxismo europeo novecentesco. Militante del Pcf, ha preso polemicamente le
distanza da esso nel 1989, quando alcuni sindaci di banlieue di questo
partito diedero il via a un giro di vite, con l'obiettivo di garantire la
sicurezza, che colpi' francesi di origine maghrebina. In Italia ha
pubblicato Le frontiere della democrazia, Spinoza e la politica, Per
Althusser, La filosofia di Marx, L'Europa, l'America, la guerra, Noi
cittadini d'Europa (tutti per manifestolibri). Con Immanuel Wallerstein ha
pubblicato il volume Razza, nazione, classe. Suoi anche La paura delle masse
(Mimesis) e Spinoza. Il transindividuale (Ghibli).

3. LIBRI. LIDIA MENAPACE PRESENTA "FUOCO AMICO" DI GIULIANA SGRENA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 18 novembre 2005.
Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara
nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004.
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e
pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane
dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande
importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe,
durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A
Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo,
sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in
cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo
liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La
schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i
califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma
2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli,
Milano 2005]

L'avevo piu' volte detto e scritto durante le quattro settimane del suo
sequestro: da parte nostra (non potevamo far parte della squadra delle
trattative) dovevamo manifestare pubblicamente la nostra volonta', in modo
che ai sequestratori - chiunque fossero - arrivasse chiaro il messaggio che
nessun vantaggio poteva loro derivare dal farle del male. Il messaggio e'
stato forte e Giuliana registra nel suo ultimo bellissimo libro Fuoco amico
(Feltrinelli, euro 12, pp. 160), che e' stato anche efficace. Dicevo: "E'
cio' che possiamo e dobbiamo fare, anche perche' lei, quando sara' tornata
parlera', raccontera' quel che e' successo e quel che ha capito delle cause
del suo sequestro", diventando io cosi' la causa di innumerevoli e
aggiuntive richieste di dibattiti che mi venivano indirizzate perche' le
trasmettessi a Giuliana libera. Erano anche forme di scaramanzia, ma
soprattutto di affetto e interesse alle sue parole. Mi trovai percio' poi
nell'obbligo di dire che Giuliana non stava affatto bene, che era
dolorosamente ferita, stanchissima, frastornata. La sua decisione di
prendere le distanze, per quanto possibile, da quella vicenda scrivendola,
e' stata anche una forma di terapia del dolore e della paura, e ce la
restituisce non eguale, che sarebbe impossibile, ma di nuovo forte
coraggiosa presente a se stessa.
Il libro e' molto bello, scritto con quel suo dono di leggerezza percorsa da
ironia e attenzione e pieta', oltre che da intelligenza e cultura,
leggibilissimo, capace di inserire gli episodi di vita quotidiana nella
storia grande, senza mai indulgere al "colore", mai affatto al
"sensazionale", insomma continua ad essere anche un modello di scrittura
giornalistico-politica, vera, mai prescritta. Tanto che Giuliana dice alla
fine e costruisce per tutto il racconto la ragione per la quale non tornera'
in Iraq: dolorosamente deve concludere che persino il giornalismo
indipendente e addirittura favorevole alle ragioni del popolo iracheno viene
reso impossibile dalla guerra; la guerra oltreche' non poter "esportare"
nessuna democrazia, impedisce persino la semplice comunicazione, rende
sospetto uno o una per la sua provenienza geopolitica, uccide come il
diritto e la giustizia anche la conoscenza e la verita'. La guerra e' la
madre di tutte le bugie, dice un proverbio tedesco.
Giuliana ci dice pienamente che cosa le e' successo quando fu rapita, e il
nome di Falluja e dei profughi dalla citta' martoriata compare subito,
confermando i sospetti che molti e molte avevamo concepito in proposito.
Baldoni e' stato rapito - e poi ucciso - nello stesso luogo, e perche' stava
cercando di intervistare profughi di Falluja, Florence ugualmente rapita, e
infine Giuliana. Chi tocca Falluja si fa male, andavo dicendo, mentre tiravo
giu' dai radi e fuggevoli fotogrammi dei tg e dalle mie antiche memorie dei
rastrellamenti della seconda guerra mondiale e dalle immagini del napalm in
Vietnam un fastidioso e incredulo "deja vu" e salto indietro della memoria.
Ancora non era noto il reportage di Radionews 24 quando Giuliana scriveva la
sua verita', ma che Falluja sia stata la notizia sottostante il suo
rapimento a me e' apparso subito evidente. Per cui quale parte della
resistenza irachena possa essere stata a rapirla resta molto dubbio e ancora
da capire.
Le quattro settimane della prigionia scorrono nella narrazione monotone e
piene di eventi, il freddo, il buio, la sede del sequestro (una casa a
Baghdad), i carcerieri, la misteriosa donna forte e velata, molti passi
hanno la forza narrativa della scrittura di invenzione, e la finestrella e
la difficolta' di contare il tempo che passa essendo stata privata anche
dell'orologio e poi le cose incredibili, l'ammirazione che suscita anche nei
suoi sequestratori che le fanno pervenire persino una catenina d'oro come
segno e anche forse riconoscimento dell'errore fatto sequestrandola. Si
direbbe che abbiano fruito essi pure della sua personalita', anche se
aspetti della sua condizione di donna occidentale riescono loro
incomprensibili (il compagno piu' giovane di lei, il non avere figli, la
liberta').
Racconta come in un romanzo a tempi scomposti quando si trattenne piu' a
lungo dei suoi colleghi, la volta che fu rapita e aveva meno scorta per
ragioni anche economiche di altri giornalisti di pubblicazioni piu'
opulente, e come solo dopo si siano accorti dell'errore politico fatto:
segno ancora una volta di quanto la guerra annulli la ragione e produca
giudizi di puro schieramento che alla fine diventano fonte di una sorta di
razzismo: sei occidentale, dunque nemica, per quello che sei, non per quello
che fai o dici, appunto essendo la radice del razzismo di fare una persona
colpevole di cio' che e'.
Man mano che la narrazione si avvicina al momento della liberazione diventa
incalzante ed esprime anche una forma di "addestramento" al sequestro, la
capacita' di leggere gli eventi anche attraverso indizi minimi. E poi tutto
il gelido oggettivo incredibilmente eloquente - nella sua convulsa
incomprensibilita' e oscurita' - racconto della liberazione, e l'incontro
con Nicola Calipari, visto e morto, le ferite, il turbine della sparatoria.
Segue la riflessione piu' controllata del dopo, l'ospedale, le notizie
dall'Italia, l'arrivo di Pier e il ritorno a casa e le paure del dopo e il
dolore, la fatica del recupero anche fisico e l'assedio dei giornalisti e
delle tv. E lo sciacallaggio di chi quasi le rimprovera cio' che le e'
successo: insomma una donna non dovrebbe stare a casa a fare la calza o
senno' al massimo dedicarsi alla beneficenza e all'assistenza o al
giornalismo un po' allineato? E' pesante doversi difendere anche da cio'
sotto cui sta come l'accusa di avere colpa per l'uccisione di Calipari.
Le conclusioni sono affidate in parte alla splendida intervista a Pier, che
finisce originalmente il libro, e Pier esprime anche con durezza e amarezza
la sequela di sentimenti, riflessioni e decisioni di quei giorni dall'altra
parte. E anche la scoperta di uno spessore e stratificazione politica
affatto schematica di una schiera di veri "servitori dello stato" o meglio
"servitori civili" come direbbero gli inglesi, che sono cresciuti nonostante
le deviazioni, le incongruenze e gli usi politici distorti di molti apparati
in questi anni: la democrazia, persino malata e incompleta, lavora davvero
nel profondo.
Resta la domanda che ci facciamo: chi aveva interesse a far tacere una voce
libera? Solo i sequestratori che alla fine sembrano accorgersi di aver fatto
un grande errore, oppure chi non vorrebbe ancora oggi che si sapesse che
cosa e' successo a Falluja, diventata simbolo dell'orrore bellico?
A me comunque sembra di poter dire che ancora una volta con una
straordinaria prova di giornalismo politico, Giuliana ci porti alla
conoscenza, oltrepassi lo stesso velo, la coltre oscura della violenza,
esponendo se stessa alla forza degli eventi e da quel luogo infelice e
martoriato ci trasmetta ancora messaggi di umanita', rimanendo una
giornalista che parla da luoghi di guerra, non una inviata di guerra.
Le dobbiamo molto per avere mostrato cosi' eloquentemente cio' che diciamo
in modo spesso astratto. Certamente c'e' chi non voleva e non vuole che si
sappia la verita' delle guerre ed e' disposto a far tacere con le armi la
voce della verita'. C'e' riuscito con Nicola, non anche - e per merito di
Nicola - con Giuliana. E al suo mite e mai gridato coraggio e alla sua
superata e governata paura, dobbiamo una fonte di verita' storica alla quale
non si puo' rinunciare.
Questo le dobbiamo a correzione della amara convinzione di Pier che non
servira' a nulla: invece credo che serva e servira'. Senno' sara' colpa
nostra e dico colpa perche' abbiamo in mano tutte le prove del crimine
compiuto due volte, la' in Iraq e qui, se dai fatti non prendiamo lezioni,
se ancora vi e' chi pensa che si possa "trattare" il ritiro delle truppe con
chi e' disposto a crimini amici, per coprire le sue bugie, malefatte,
violazioni del diritto. O sono sottoposti alla legalita' solo i ragazzi
delle periferie?

4. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA "ALLA CIECA" DI CLAUDIO MAGRIS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 novembre 2005.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un
viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani,
Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986,
Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine
secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve.
Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine,
Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro
intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e
proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in
articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste.
Claudio Magris, nato a Trieste nel 1939, docente universitario di lingua e
letteratura tedesche, saggista e scrittore, intellettuale democratico. Opere
di Claudio Magris: segnaliamo particolarmente - tra molte altre opere tutte
appassionanti e finissime - Lontano da dove, Einaudi; Dietro le parole,
Garzanti; Itaca e oltre, Garzanti; Utopia e disincanto, Garzanti. Opere su
Claudio Magris: segnaliamo particolarmente il profilo di Magris in Pier
Vincenzo Mengaldo, Profili di critici del Novecento, Bollati Boringhieri,
Torino 1998; e il bell'articolo sempre di Pier Vincenzo Mengaldo, Saggi
contro i demoni, in "Alias", supplemento al quotidiano "Il manifesto" del 27
febbraio 1999]

Alla cieca di Claudio Magris (Garzanti, pp. 335, 18 euro) e' il lungo
racconto di se' che fa, verso la fine della vita, un comunista triestino.
Deve essere nato negli anni Venti, giusto per essere arrestato e spedito dai
tedeschi a Dachau: prima carcerazione e prima tortura. Finita la guerra,
torna a Trieste e con la sua federazione, diretta da Vittorio Vidali (il
comandante Carlos delle Brigate internazionali in Spagna e poi fin troppo
attivo in Messico), decide come molti altri di dare una mano alla
costruzione del socialismo in Jugoslavia. Sul paese cade la condanna di
Stalin, che per Vidali e' sicuramente giusta: gli italiani devono rimanere
al fine di un eventuale rovesciamento di leadership, per cui l'uomo viene
sbattuto stavolta nel tremendo bagno penale titoista di Goli Otok, dove alle
crudelta' simili a quelle di Dachau si aggiunge il rovello: dunque anche
noi, il comunismo, siamo capaci di tanto. Questo rovello non lo lascera'
perche' non rinnega niente, ma gliene viene un disincanto e una diffidenza
nel traversare la vita, di cui trova un'eco nei versi delle Argonautiche di
Apollonio di Rodi, che gli ha molto citato il compagno e maestro Blasic:
Giasone conquista il vello d'oro tra pericoli mortali, assassinio e
tradimento. Ma sempre vello d'oro resta, anche sudicio e polveroso come le
bandiere rosse cadute una per una su nel mucchio. Da Goli Otok la donna che
lo ama, Maria, gli organizza la fuga. Anche lei dovrebbe tornare in Italia,
ma all'ultimo momento e' lasciata fuori, perduta, e a lui restera' la colpa
di esserle in qualche modo mancato. Come Giasone a Medea? No, il nostro uomo
non e' l'ambizioso e sciocco Giasone: sono i fatti a tradire, le forze che
non si vedono, forse bisognava saperlo. Non vedra' piu' Maria - che e' la
tenerezza, l'amore, l'acquietamento, il coraggio, simile alla diritta polena
che taglia i flutti in capo alla nave, chiome e seno al vento, e viene ormai
definita come un relitto fra le rocce o in qualche magazzino del porto.
Perche' e' una storia di gente di mare, e tutto sa di salsedine, vento,
legno, catrame, gomene e stive, in bilico sulle onde trasparenti o crudeli.
Addio Maria. E addio a tutto, perche' i compagni vivamente lo sconsigliano
di raccontare quel che ha sopportato a Goli Otok, o che Tito sia stato
riabilitato o che qualunque socialismo vada tenuto al riparo. Anzi
preferiscono che lasci Trieste: addio partito.
Da allora, non avendo un suo luogo, Salvatore Cippico - questo sarebbe il
suo vero nome, in molti luoghi e sotto molti nomi - piu' che Giasone e' un
Ulisside in lotta per la vita, la stessa lotta di sempre: rischi, astuzie,
patimenti, brevi tregue e ricominciamenti. Dove si confondono il vissuto, o
intravisto, o saputo, dalle lezioni del professor Blasic. Ma forse e' stato
davvero in Islanda: protettore di quell'isola estrema, e poi osservatore e
sopravvissuto ai bombardamenti di Copenaghen da parte del crudele Nelson,
certo ha veduto o pensa di aver veduto, nascosto da una tenda, le fiamme
lambire le tappezzerie e arricciare i quadri del palazzo di Christian Borg.
Allora si chiamava Jorge Jorgensen. Gia' il nome era stato cambiato a Goli
Otok: da Cippico a Cipik, non conta granche'. Come Jorgensen finisce nella
prigione di Newgate ed e' condannato alla galera che trasporta ai primi
dell'Ottocento i condannati verso la terra di van Diemen, immenso
penitenziario teste' scoperto con soddisfazione dalla Gran Bretagna. La
terra di van Diemen, l'attuale Tasmania in Australia, dove sono finiti molti
triestini e istriani cacciati dalla storia dopo la seconda guerra mondiale.
E non c'e' una grande differenza tra quella deportazione dei primi
dell'Ottocento e questa, da quell'arrivo a questo. Mancano solo le
impiccagioni cui, come al lavoro dei remi e agli sballottamenti nella stiva,
il nostro Giasone, anzi Ulisside, e' sempre riuscito a sfuggire, pantoporos,
uno che se la cava sempre. E in quella terra crede di ritrovare la sua Maria
in una Nora, come lui non piu' giovane e dedita all'alcol, ma anch'essa
un'audace, una tagliavento come la polena - e nello straccio sul quale
consumano tardive strette d'amore, il vello inseguito da Giasone.
E infine da un manicomio, forse da quello aperto di Trieste, Salvatore
Cippico, ancora una volta sorvegliato, racconta la sua storia al medico o
forse la scrive. Troppo esperto delle cose del mondo per non mentire e non
mettere le mani avanti, e assieme troppo simile a se stesso per non fidarsi
e sfidare chi lo ascolta con scetticismo e compassione e pena.
*
Questo sarebbe il romanzo di Claudio Magris uscito qualche mese fa, ad
attenersi alle regole del vecchio supplemento letterario del "Times": primo,
dire di che si tratta, secondo chi e' l'autore, terzo il commento. Stavolta
l'autore e' inutile presentarlo, ma se mi ci sono volute quasi cento righe
per riassumere quel che pare il filo di un arazzo cosi' fitto e sfrangiato,
per leggere la cifra nel tappeto, vuol dire che in verita' il tappeto e' la
cifra, l'occhio fantasticante e diffidente che il narratore mette su di se'.
Il filo e' ingannatore, la storia e' il suo snodarsi fra scintille e
oscurita', ha il ritmo stesso del vivere.
Alla cieca e' un libro difficile, soprattutto nelle prime pagine perche' poi
si e' trascinati nel vortice fra spazio e tempo del narratore. Chi e'
abituato alla limpidezza del Claudio Magris critico, scrutatore dell'Europa
danubiana, che sembra da lui letta per tutti una volta per sempre, si
interroga sulla scrittura densa e senza alcuna semplificazione
nell'intrecciarsi continuo di narrazione, di immaginazione, di vissuto,
delle sue scritture creative. E' stato cosi' anche per la piece di Magris,
La mostra. Perche', credo, una cosa e' avere a che fare con i testi che sono
stati fissati una volta per sempre in una forma, altra cosa e' affrontare il
groviglio del vivente che forma non ha, e nel pieno delle tragedie del
Novecento di cui Magris aveva gia' detto in Utopia e disincanto. Le pagine
acute e acquietate di Microcosmi qui non hanno posto. La pace tradisce quel
che e' disordine, sdoppiamento, perdita - alla cieca. Che sia la ricerca del
vello d'oro o che sia il comunismo, sempre si tratta di tentativi nei quali
devi scontrarti con te stesso e col mondo affascinante fra sfavillii e
tenebre, desolazione e incanto e pieta'.

5. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO: ALCUNE PROPOSTE DI LETTURA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente serie di proposte di lettura]

Care amiche, cari amici,
anche quest'anno vi proponiamo qualche idea per i vostri regali (e per le
vostre letture delle vacanze di Natale). Potete venire in libreria (via
Pietro Calvi 29, Milano), oppure ordinarli per telefono (0270006265). Vi
verranno spediti in contrassegno.
Alcune di noi vi suggeriscono un paio di libri che hanno letto di persona e
che vogliono condividere con altre/i.
*
Luisa Muraro
- Franca D'Agostini, Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza. Dieci
lezioni sulla filosofia contemporanea, Carocci, Roma 2005, 18,20 euro.
L'argomento si capisce dal titolo. Parlero' dell'autrice: Franca D'Agostini
e' torinese, e' stata allieva ma non seguace di Vattimo, non ha fatto
carriera accademica, e' molto dotata anzi direi tagliata per la filosofia;
quando m'incontro con lei, approfitto per imparare e imparo sempre qualcosa,
sa poco di femminismo e di pensiero della differenza: peccato per lei e per
il femminismo, mi viene da dire.
- Rosetta Stella, Sopportare il disordine. Una teologia fatta in casa,
Marietti, Genova-Milano 2005, 15 euro. Il libro esce in una collana fondata
da Romana Guarnieri, "diretta" si legge a p. 1, ma purtroppo non e' piu'
vero perche' Romana e' morta un anno fa. Rosetta e io abbiamo perso un'amica
e una maestra. Anche questo libro, come quello che lo ha preceduto nella
stessa collana, e' una raccolta di testi gia' pubblicati ma sparsi in giro,
a cominciare da un articolo su "Via Dogana" n. 49 (maggio 2000), il numero
intitolato generare-non generare. Romana Guarnieri voleva che Rosetta
raccogliesse i suoi testi in libri, e aveva ragione, intanto perche' questi
testi sparsi si intrecciano e si parlano, e poi per la qualita' della
scrittura e del pensiero, che in lei si danno il cambio e s'incrementano.
Dove non arriva l'uno, arriva l'altra o viceversa. Lo scopo e' sempre lo
stesso, riuscire a parlare di Dio. Stranamente, da qualche anno in qua Dio
e' diventato l'argomento preferito di Rosetta, lei dice che c'entro anch'io.
Io comunque la leggo e ammiro la sua spontaneita' (la parola l'ho scelta con
cura, secondo il piu' puro significato filosofico).
- Dino Campana. Un po' del mio sangue, a cura di Sebastiano Vassalli, Bur,
Milano 2005, 9 euro. Che cosa c'entra questo libro con la Libreria delle
donne? Che contiene, oltre alla biografia di Campana, uomo sfortunato e
grande poeta, tutte le opere di lui, e fra le sue opere c'e' la
corrispondenza con Sibilla Aleramo, la donna che fu l'unico amore della sua
vita. Forse c'entra anche per altri motivi, ma questo puo' bastare, no?
- Edith Wharton, La casa della gioia, Editori Riuniti, Roma 1996, 14,50
euro. Da pensionata tornero' a leggere romanzi, ho cominciato quest'estate e
mi sono imbattuta in questo romanzo affascinante e inquietante, che mi ha
fatto pensare a Il rosso e il nero, per certe somiglianze e per le
differenze che tanto piu' risaltano: Sorel, l'eroe francese, intraprende
carriere molto strutturate in mondi chiusi e potenti, Lily Bart, personaggio
comico e tragico senza precedenti femminili, s'inventa una carriera in un
mondo ambiguo e instabile (la New York della borghesia finanziaria di cento
anni fa). La traduzione e' di Clara Lavagetti Sforni.
- Anna Scacchi (a cura di), Lo specchio materno. Madri e figlie tra
biografia e letteratura, Luca Sassella editore, Roma 2005, 12 euro. Come
dice la quarta di copertina, le autrici di questo volume esplorano la
relazione tra madre e figlia nei testi e nella vita di alcune scrittrici al
centro del canone femminista. Raccontano rapporti intensi e conflittuali,
che si intrecciano alla loro stessa storia di donne e critiche letterarie,
con una scrittura che si allontana tranquillamente dai modelli accademici e
dalle dottrine patriarcali.
*
Renata Dionigi
Vanessa Curtis, Virginia Woolf e le sue amiche, La Tartaruga, Milano 2005,
14 euro. La biografia di Virginia Woolf raccontata attraverso il rapporto
con le sue amiche, donne insolite e inquiete che le sono state accanto
condividendone affetto, interessi e piacere. Un mondo femminile pieno di
tenerezza, attenzione e stima reciproca che ha permesso a tutte loro di
esprimersi al meglio nella vita e nelle opere.
- Elizabeth Von Arnim, Lettere di una donna indipendente, Bollati
Boringhieri, Torino 2005, 19 euro. E' un romanzo tipicamente inglese,
garbatamente ironico e pungente, che racconta attraverso le lettere scritte
da una giovane donna al suo innamorato l'evoluzione di una storia d'amore.
Dall'autrice di Un incantevole aprile da cui e' stato tratto un incantevole
film, un romanzo-epistolario scritto nel 1906 che rende possibile il
confronto tra i due sessi e registra con lucidita' l'inevitabile eterno
conflitto.
*
Liliana Rampello
Segnalo due libri che a me piacciono perche' rimandano ad altre letture e
visioni; sono epistolari, che attraverso "aeree" conversazioni ci fanno
conoscere nella luce di un'intimita' speciale chi scrive e richiamano cosi'
alla mente tanto altro, di loro e del loro mondo.
- Djuna Barnes, Camminare nel buio, Archinto 2004, 16 euro. Sono lettere a
Emily Holmes Coleman, tra il 1934 e il 1938, sull'orlo del precipizio della
guerra mondiale, mentre sta finendo di scrivere il suo capolavoro,
"Nightwood" (trad. it. La foresta della notte, Adelphi 1983).
- Vladimir Majakovskij - Lili Brik, L'amore e' il cuore di tutte le cose,
Neri Pozza 2005, 15,50 euro. Finalmente una buona edizione per centinaia di
lettere, biglietti, telegrammi fra un poeta tutto da rileggere e una donna
che ha saputo vivere con intensita' la sua passione senza escludere il
marito e senza neppure costruire un banale menage a' trois; storia di una
grande complicita' e di un grande amore.
L'ultimo: Anna Achmatova, Amedeo Modigliani e altri scritti, SE 2004, 18
euro. Leggere con gli occhi di una grande poeta e' un magnifico regalo per
la mente, la Achmatova non tradisce nella lingua della prosa il raffinato
rigore della sua poesia; da Modigliani a Puskin, da Blok a Mandel'stam la
sua mano ci guida tra memorie e critica di poche pagine sempre di grande
intensita'.
*
Vita Cosentino
Le sirene intonano un canto armonioso: la collana Sirene (edizioni E. Elle)
pensata per le adolescenti, ma letta anche dalle adulte, racconta in forma
romanzata biografie di donne che in ogni epoca hanno preso in mano la loro
vita. Attraverso una lettura accattivante ci si puo' avvicinare a Maria
Montessori, Margaret Mead, Cristina di Belgioioso, Artemisia Gentileschi e
altre donne famose.
*
Clara Jourdan
- Clarice Lispector, Come sono nate le stelle. Storie e leggende brasiliane,
Donzelli, Roma 2005, 20 euro. Dodici ministorie, una per ciascun mese
dell'anno (quella di dicembre e' il racconto del natale), accompagnate da
dodici coloratissime illustrazioni originali di Chiara Carrer. E' un libro
che potete regalare a bambine e bambini senza averlo letto prima, ma vi
consiglio di leggerlo, si sente che a questa grande scrittrice brasiliana
"piace molto scrivere storie per bambini e per adulti". Nel volume ci sono
anche tre racconti gia' usciti in Italia e ormai introvabili: "La donna che
uccise i pesci" (ma giura che non l'ha fatto apposta, lei che non ammazza ne
mmeno gli scarafaggi); "La vita intima di Laura" (Laura e' una gallina) e
"Una storia quasi vera" (ben abbaiata da Ulisse, il cane di Clarice).
- Fred Vargas, Parti in fretta e non tornare, Einaudi, Torino 2004,14 euro.
- Fred Vargas, Sotto i venti di Nettuno, Einaudi, Torino 2005,14,80 euro.
Sono due gialli, percio' non dico niente delle trame ne' dei personaggi. La
struttura e' quella classica, ma sviluppata con straordinaria originalita'.
E' sorprendente, anche per chi ha letto i romanzi precedenti della giallista
francese. Si respira una grande liberta' e intelligenza del mondo. E
lasciano un godimento che ti resta dentro e anche a distanza di tempo torna
a riscaldare il cuore e la mente. Da leggere in sequenza e da regalare a chi
volete far felice.
*
Marta Cucchiani
- Lia Celi, L'angelo disubbidiente. La leggenda di Marlene Dietrich, EL
2004, 12 euro. Non conoscevo Marlene Dietrich: sono rimasta colpita dalla
complessita' della sua figura. Una vita affascinante, una donna dalle mille
sfaccettature, un'artista. Un libro ben scritto, scorrevole, coinvolgente,
ricco di spunti. Non solo per ragazzine.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1124 del 24 novembre 2005

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