La nonviolenza e' in cammino. 1100



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1100 del 31 ottobre 2005

Sommario di questo numero:
1. Dopo il referendum
2. Emir Sader: Dopo il referendum
3. Ida Dominijanni colloquia con Luisa Muraro
4. Brunetto Salvarani: Una lettera alle donne e agli uomini che Dio ama, in
occasione della quarta giornata del dialogo ecumenico cristiano-islamico
5. Irene Alison: Una rosa contro il nazismo
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. DOPO IL REFERENDUM

E' bene, e' necessario, che continui la riflessione sul referendum
brasiliano del 23 ottobre e che continuino le iniziative a sostegno sia
della Campagna per il disarmo, iniziativa vieppiu' necessaria - e necessaria
ovunque, sia dello Statuto del disarmo, la legge che oggi piu' che mai e'
necessario che sia applicata nel migliore dei modi.
Le sorelle e i fratelli brasiliani che hanno animato la campgna per il si'
al referendum per proibire il commercio delle armi ci chiedono oggi di
continuare nell'impegno. E un segnale assai positivo viene dal Consiglio
Comunale di Trento, che il 26 ottobre ha approvato l'ordine del giorno a
sostegno della campagna per il disarmo presentato da Flavio Santini, lo
stesso documento gia' approvato all'unanimita' dal Consiglio Provinciale di
Viterbo e da varie altre istituzioni in varie parti d'Italia.
Ed ovviamente al sostegno all'impegno per il disarmo in Brasile va unito
l'impegno nostro per il disarmo qui: innanzitutto sostenendo le campagne
gia' in corso, per le quali punto di riferimento principale e' la Rete
italiana per il disarmo (per contatti: www.disarmo.org).
*
L'infausto esito del referendum brasiliano ha suscitato tante riflessioni,
tante interpretazioni, che segnalano una pluralita' di aspetti e questioni;
qui vorremmo da parte nostra rimarcare un solo concetto, gia' da molte altre
persone espresso, che a noi pare essere cio' che piu' conta: il fatto che
nel referendum abbiano prevalso i no alla proposta di proibire il commercio
delle armi, ha come prima, decisiva, ineludibile, orrenda conseguenza la
seguente: che migliaia, decine di migliaia di persone continueranno a morire
uccise da armi da fuoco. Migliaia, decine di migliaia di vite umane che
potevamo aver salvato se solo da tutto il mondo ciascuno di noi avesse dato
una mano con sufficiente convinzione e tenacia. Tutte le piu' sottili
disquisizioni sociologiche e psicologiche, politologiche e antropologiche, e
chi piu' ne ha piu' ne metta, sono nulla rispetto a questo dato di fatto, a
questa terribile realta'.
*
La lotta per il disarmo, la lotta per salvare le vite degli esseri umani
dalle armi assassine, continua.

2. VOCI DAL BRASILE. EMIR SADER: DOPO IL REFERENDUM
[Da padre Ermanno Allegri (per contatti: ermanno at adital.com.br) riceviamo e
diffondiamo il seguente intervento di Emir Sader.
Ermanno Allegri e' direttore di "Adital", Agenzia d'informazione "Frei Tito"
per l'America Latina, tel. 8532579804, fax: 8534725434, cellulare:
8599692314, sito: www.adital.com.br; "sacerdote bolzanino da trent'anni in
Brasile, gia' segretario nazionale della Commissione Pastorale della Terra e
ora direttore di un'agenzia continentale (Adital, sito: www.adital.com.br),
nata come strumento per portare all'attenzone della grande informazione
latinoamericana i temi delle comunita' di base e l'impegno contro la
poverta'. Allegri e' stato chiamato a contribuire al coordinamento delle
azioni di sensibilizzazione in vista del referendum del 23 ottobre in
Brasile per la messa al bando del commercio delle armi da fuoco che in tutta
l'America Latina costituisce un rilevante fattore di violenza" (Francesco
Comina).
Emir Sader e' giornalista e analista sociale e politico brasiliano]

E' paradossale la risposta alla catastrofica situazione della sicurezza
pubblica in Brasile, di cui Sao Paulo e Rio de Janeiro sono gli esempi piu'
evidenti: lo scontento per l'insicurezza generalizzata ha fatto si' che la
maggioranza di quelli che hanno votato nel referendum del 23 ottobre abbiano
preferito non cambiare niente, lasciare tutto cosi' com'e', senza nemmeno
chiedersi se la limitazione della vendita di armi potesse diminuire gli
indici di criminalita'.
E' un luogo comune dire che i processi penali sono vinti dal miglior
avvocato, non dalla verita' sulla colpevolezza o innocenza dell'accusato.
Analogamente i processi elettorali, sempre piu' sottoposti al marketing,
fanno vincere la miglior campagna, non necessariamente il miglior candidato,
il miglior partito o il miglior programma. I brasiliani  sono stati convinti
che conviene mantenere le cose come stanno. E, se saranno coerenti (speriamo
di no), compreranno armi in massa per uccidere il lattaio imprudente del
poema di Carlos Drummond de Andrade, che si arrischia ad entrare di prima
mattina nel giardino della casa per consegnare il latte.
Ha trionfato, in primo luogo, lo "schieramento della pallottola" (quelli che
mettono in pratica il motto omicida secondo cui "l'unico bandito buono e' il
bandito morto", quelli che "i diritti umani difendono solo i
delinquenti"...); ha trionfato la gente legata agli squadroni della morte,
alle politiche sistematiche di decimazione della popolazione povera,
specialmente quella nera e mulatta, col finanziamento degli imprenditori
della periferia delle grandi metropoli. Hanno trionfato quelli che ancora
pensano che "la questione sociale e' una questione di polizia" (e di
competenza dei gruppi paramilitari); hanno trionfato quelli che la pensano
come l'Udr (l'Unione democratica ruralista, organizzazione di destra dei
latifondisti), come Jorge Bornhausen (deputato conosciuto per le sue
dichiarazioni razziste), come l'Editrice Abril...
Hanno trionfato i malviventi, che potranno contare su un maggior numero di
armi comprate legalmente da rubare ai loro acquirenti per assaltarli con
esse (le statistiche  dimostrano che il 75% dei crimini in Brasile sono
commessi con armi comprate legalmente e poi rubate ai loro proprietari; e'
da prevedere che con l'aumento della vendita di armi, vi sara' una
disponibilita' di armi ancora maggiore per questi malviventi).
*
Si potranno tacciare di ingenuita' o di innocuita' quelli che hanno votato
per la proibizione del commercio delle armi, ma certo non di voler
legittimare lo stato di cose presente. Certamente i movimenti sociali, i
sindacati, i movimenti per i diritti umani, la grande maggioranza dei
militanti sociali e politici legati alle cause umanitarie hanno votato per
il si'.
Dovrebbero considerare con la massima attenzione la campagna e i risultati
del referendum quelli che non credevano che ci fosse in Brasile una enorme
ondata conservatrice e reazionaria, razzista e repressiva; quelli che
infilano la testa, come struzzi, negli scontri interni alla sinistra,
spendendo la' tutta la loro energia, e si dimenticano che esiste la destra,
l'imperialismo, i gruppi armati paramilitari, l'industria delle armi, e
cosi' via; quelli che vogliono ridurre tutto allo scontro intestino di
tendenze o di gruppi dentro la stessa sinistra. Tutti costoro hanno
cooperato a che si producesse questo risultato, a questa vittoria della
destra, con la loro visione completamente errata del paese, dei rapporti di
forza tra destra e sinistra - in Brasile, nell'America Latina e nel mondo -
e delle priorita'... Per questo sono soliti rimanere al margine della
storia, incapaci di costruire alternative e incidere nel processo storico
(come invece sono state capaci di fare le grandi leadership della
sinistra... che uniscono, invece di dividere, che sanno discernere i veri
avversari e gli scontri decisivi, che sanno mettere l'ideologia al servizio
della politica e non viceversa).
Alcuni sono arrivati al punto da opporsi alla limitazione della vendita di
armi, affermando che "cio' impedirebbe al popolo di armarsi"...
Altri, con i loro infallibili occhi di lince (e con una visione degna dei
tempi della guerra fredda), hanno intravisto nel referendum "una ennesima
manovra del governo per distrarre l'opinione pubblica", e si sono assentati
dalla campagna.
E' incredibile la mancanza di solidarieta' di gente che si considera di
sinistra, ma non si identifica con la posizione del Movimento dei Sem Terra,
vittime privilegiate della Udr e dei suoi sgherri (armati mediante acquisti
nel commercio legale, come loro stessi hanno confessato).
E' incredibile la mancanza di solidarieta' con i poveri, che sono vittime
quotidiane dei massacri nella periferia delle grandi metropoli.
*
Ma non illudiamoci: l'autoritarismo socialmente radicato ha ottenuto una
grande vittoria. C'e' stata la campagna del si' condotta male, la modalita'
del voto che puo' aver ingenerato confusione, l'impegno inferiore al
necessario da parte dei partiti, dei movimenti sociali, dei militanti, degli
studenti, degli intellettuali critici; ma preso atto di tutto questo, e'
necessario che traiamo le necessarie lezioni dalla gravita' del risultato
del referendum.
E' necessario che i partiti di sinistra, i movimenti sociali, i movimenti
per i diritti umani, le chiese impegnate per al dignita' umana, i militanti
di sinistra, gli intellettuali democratici, le organizzazioni studentesche,
riflettano profondamente sul grado di isolamento delle idee e delle forze di
sinistra che il risultato di questo referendum esprime.
L'impulso democratico che c'er nella fase finale della lotta contro la
dittatura sembra essersi esaurito. Oggi quello che si nasconde in grande
parte delle menti e' definito dall'espressione rabbiosa che, in una crisi di
sincerita', Jorge Bornhausen si e' lasciato sfuggire: e' l'odio di classe
(chiamata "razza") che apprezza o che chiude gli occhi davanti alle barbarie
che la polizia e i gruppi di sterminio realizzano.
La sinistra, le forze democratiche, le persone con valori umanistici sono
state sconfitte, e il quadro che viene fuori dal referendum e' molto
pericoloso.
Il fallimento delle politiche attuali di sicurezza pubblica e l'assenza di
alternative nel campo democratico sono un alimentatore di questo
autoritarismo razzista.
Il fallimento del governo Lula nell'incarnare valori alternativi e' un'altra
fonte di disillusione, che induce la gente a cercare spiegazioni e rifugio
nelle visioni naturaliste della violenza, che fanno ricadere sui poveri il
peso piu' gravoso di esser descritti come supposti agenti della violenza,
mentre in realta' solo le sue vittime principali.
L'isolamento sociale della sinistra e' molto grande, i grandi mass-media
privati (il vero partito delle classi dominanti) formano e deformano
l'opinione pubblica a loro piacimento. I programmi sensazionalistici alla
tv, con il pretesto di chiedere giustizia per casi di violenza, in realta'
ispirano sentimenti di vendetta che moltiplicano la cultura della violenza.
Lo stesso fatto che gruppi di sinistra, che si pretendono "classisti", non
hanno accolto nel loro impegno questioni democratiche come la
regolamentazione statale del commercio delle armi, rivela come esista un
enorme campo su cui occorre ancora lavorare, anche all'interno della
sinistra.
*
L'esito negativo del referendum non cambia in termini concreti la situazione
del paese: chi comprava armi continuera' a comprarle, chi le rubava per
commettere crimini continuera' a farlo, forse aumentera' un po' il commercio
di armi.
Ma la maggior novita' e' la coscienza (della destra, ma spero anche della
sinistra) dell'enorme potenziale di autoritarismo razzista presente nella
mente di tanta gente che puo' essere sfruttato dalla destra, e deve essere
uno dei grandi temi di dibattito, confronto e presa di coscienza da parte
della sinistra.

3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI COLLOQUIA CON LUISA MURARO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre 2005.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista.
Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita'
filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul
femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro,
sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a
Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata
in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo
Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal
Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora
nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al
progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo
coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e
Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi
sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte
della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano
1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri),
Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della
madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria,
Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato
vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista
trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita'
filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei
(da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il
profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e
nonna nel 1997"]

Luisa Muraro lascia l'universita' e pronuncia oggi nella facolta' di
filosofia dell'ateneo di Verona quella che in gergo accademico si chiama
lectio magistralis, ma che la pratica di Diotima, la comunite' filosofica
femminile da lei e altre fondata in quello stesso ateneo nell'84, rendera'
un'occasione di discussione politica. Non per caso la lezione si tiene
all'interno del "grande seminario" di Diotima di quest'anno, un ciclo
intitolato "L'ombra della madre", e non per caso consistera' in una
retractatio, una ri-trattazione, de L'ordine simbolico della madre, un
notissimo libro pubblicato da Muraro nel '91 che e' stato e resta cruciale
per il pensiero della differenza sessuale. "Piu' che nella mia opera - ha
scritto di se' una volta Luisa - ho sempre confidato nel contributo di chi
la legge. Piu' dell'argomento, per me ha sempre contato l'ordine simbolico
che e' e che fa la scrittura". Ne L'ordine simbolico della madre di questo
precisamente si trattava: dell'ordine simbolico che la lingua materna -
ovvero la capacita' di tenere insieme corpo e parole, esperienza e
linguaggio che impariamo nella relazione primaria con la madre - sa fare. Un
ordine rivoluzionario, giacche' la relazione figlia-madre e' cancellata
nell'ordine patriarcale; e imparare a praticarla nella vita adulta,
sostituendo all'avversione la gratitudine per la madre e per le altre donne
che ne continuano l'opera, apre lo spazio per la dicibilita' dell'esperienza
femminile, altrimenti sottoposta all'adeguamento alla norma e al potere
maschile. Questo in estrema sintesi il nocciolo del libro, che dunque
metteva al centro del discorso non il materno inteso come qualita' etica o
psicologica, ma la relazione con la madre come forma simbolica, generatrice
di forme sociali improntate alla mediazione linguistica piu' che alla legge.
*
- Ida Dominijanni: L'ordine simbolico della madre e' stato un libro
importante ma controverso. Molte controversie, io penso, derivano dal fatto
che questo nocciolo formale e' stato invece scambiato per un nocciolo
sostanziale; come se la proposta del libro consistesse nella riproposizione
del modello materno e delle sue qualita', invece che nella costruzione di
una genealogia femminile che e' forte proprio in quanto sa contrattare con
la madre e le altre donne in presenza di disparita' e conflitti...
- Luisa Muraro: Il libro tenta di far interagire con i discorsi filosofici
un vissuto di donna, quello della sua relazione con la madre, non previsto
nella tradizione filosofica, anzi tacitato ed escluso. Francesca Solari (la
regista di Addio Lugano bella) parlera' di un'opera "terapeutica", in quanto
mette in comunicazione quello che la nostra cultura separa. Come dici tu, ad
alcune e' piaciuto molto e ad altre e' dispiaciuto molto. C'entra
sicuramente l'equivoco che segnali, a valle, ma a monte c'entra un'altra
cosa, io credo, che il libro fa una scommessa, senza vincerla, e chiede a
chi lo legge di entrare nel gioco. Quello che ha contato dal primo momento,
per me, era la societa' femminile che si stava formando: questo libro era
rivolto specialmente alle donne perche' prendessero su di se' il mio
tentativo nel suo insieme, compresa la parte non riuscita, compresa la parte
a me stessa oscura. Molte lo hanno fatto e continuano a farlo (il libro si
legge ancora, si traduce e circola), ma altre, specialmente fra le
pensatrici di professione, no. Io ne ho dedotto che non volessero
partecipare al gioco, forse perche' non ci vedevano il loro guadagno, forse
perche' non avevano capito (come supponi tu), forse perche' avevano capito e
non erano d'accordo... Ci sono tante ragioni per cui la moglie di Lot volge
la testa indietro.
*
- Ida Dominijanni: Altre sostengono che il libro propone un ordine della
madre simmetrico, parallelo e perfino mimetico, nella sua verticalita',
rispetto a quello del padre. Personalmente sono convinta di no: leggendo
L'ordine simbolico della madre in sequenza con Maglia o uncinetto, penso che
si tratti piuttosto, per dirlo con una formula, di un ordine della
metonimia, cioe' della contiguita' fra corpo e linguaggio, esperienza e
dicibilita', che taglia, non imita, l'ordine metaforico dell'astrazione
proprio della legge del padre. Ma se e' cosi', perche' l'interpretazione
"simmetrica" ha avuto tanto spazio?
- Luisa Muraro: Hai messo il dito nella piaga, la questione della asimmetria
tra i sessi. Definita con le parole di una psicanalista che ha scritto poco
e che ammiro molto, Sigrid Guenzel, l'asimmetria la da' il fatto che per la
bambina il primo oggetto d'amore e' dello stesso sesso, non cosi' per il
bambino. Nelle culture in cui la relazione gerarchica e complementare tra
donna e uomo e' diventata insostenibile, nella nostra cultura dunque, la
tendenza dominante e' di cancellare quella asimmetria. Si e' arrivati a
farne un sinonimo di disuguaglianza e discriminazione antifemminile. Verso
questo esito di concellazione convergono il diritto, la scienza, il
femminismo di stato e anche una parte del femminismo autonomo. Quando ho
scritto L'ordine simbolico della madre avevo un senso molto marcato della
asimmetria tra i sessi, ma non l'ha tematizzata. Oggi, ovviamente, lo farei.
Ma non cambierei la posizione che traspare nel libro: io continuo ad
associare strettamente quella che sono al privilegio di essere nata dello
stesso sesso della madre.
*
- Ida Dominijanni: Nel libro il padre quasi non c'e', e qui per me comincia
qualche problema. Perche' non c'e'? Per ragioni biografiche, per tua scelta
o per tua rimozione? Oppure il libro rispecchia una rimozione collettiva,
una certa onnipotenza della relazione fra donne che pure abbiamo
attraversato? Secondo me, pero', un ordine simbolico della madre in cui non
c'e' posto per il padre, e per l'amore per il padre che e' anch'esso un dato
dell'esperienza femminile, e' un ordine simbolico mancante, un ordine che
non ordina la relazione con l'altro e con la legge dell'altro.
- Luisa Muraro: Il padre quasi non c'e' perche' io non ho trovato in me una
figura paterna alla pari con quella materna, per forza simbolica: credo di
appartenere a quella categoria di donne e uomini che sviluppano una certa
creativita' ignorando la figura paterna, e mi piace pensare che Einstein,
che faceva le boccacce a sessant'anni passati, sia uno di questi. Quando nel
libro compare, il padre e' l'uomo che si affianca a una donna e alla sua
maternita', e che lei indica ai suoi figli: questo e' vostro padre. E'
troppo poco? Si', riconosco che manca tutta la parte di rapporto diretto tra
quell'uomo e i figli e della donna, che grazie a lei sono diventati anche i
figli di lui, con tutte le differenze che entrano in gioco, in primis quella
sessuale che tu richiami: e' vero, c'e' un amore femminile del padre. Ma
tutto quello che si puo' dire oltre a questo, per me, rientra nell'ordine
patriarcale. In altre parole, io non trovo nessuna ragione per difendere la
necessita' di padre, della legge del padre, pur ammettendo che un uomo, gli
uomini possano invece avere questa necessita'. Sono d'accordo con te che un
simbolico materno che esclude ogni altro amore, ogni amore dell'altro,
sarebbe gravemente difettoso, ma non penso che questo "altro" debba essere
il padre. Non dimentichiamo che, sotto la legge del padre, le donne non
avevano senso per se stesse, ma solo in funzione di dare figli a lui, come
dice bene sant'Agostino e come si e' continuato a dire con i cognomi
patrilineari. Fuori da questa funzione, le donne o perdevano valore o
perdevano la loro differenza per essere assimilate a uomini. Tuttavia, io
non sono contro la paternita', anzi. Sono contro le teorie della sua
necessita', ma sono favorevole per piu' motivi alla possibilita' della
figura paterna. Ai motivi gia' detti (essere di aiuto alla donna che diventa
madre), aggiungo quello che porti tu, l'amore femminile del padre (ma noi
sappiamo che, se una donna si gioca l'amore del padre contro la madre, e'
perduta), e quello, per me principale, che la paternita' responsabilizza e
gratifica gli uomini che si affiancano alle donne nella cura della vita, da'
loro modo di risignificare la propria differenza dalla madre e di confermare
la loro virilita' in termini meno distanti dal materno.
*
- Ida Dominijanni: Ne L'ordine simbolico della madre, come in altri tuoi
lavori, e' cruciale la figura dell'isterica. L'isterica, tu scrivi,
"interpreta la differenza sessuale": l'isteria e' il sintomo di un
attaccamento alla matrice della vita che nell'ordine patriarcale non trova
modo di esprimersi e si traduce in rivolta contro la madre, ma che invece
puo' e deve tradursi in gratitudine. Il lavoro sull'isteria e' stato
importantissimo per il femminismo. Potremmo dire che le nostre pratiche, e
in particolare il lavoro che abbiamo fatto sulla relazione con la madre e
quindi sulla relazione di disparita' fra donne, ha funzionato come terapia
sociale dell'isteria femminile? Gli psicoanalisti dicono che oggi il sintomo
isterico e' in via di sparizione, mentre si diffonde quello anoressico...
- Luisa Muraro: Si', forse il sintomo isterico e' sparito perche' la cultura
lo ha recepito. Mi viene in mente che, nel seminario sul "rovescio" della
psicanalisi, Lacan attribuisce all'isterica il merito di aver inventato un
nuovo tipo di legame sociale, quello tra analista e analizzante, che rompe
con la logica del dominio (sono parole mie). Dell'isteria parlo in un
librino, La posizione isterica e la necessita' della mediazione (Palermo
1993) che cito per ricordare colei che lo ha curato, Mimma Ferrante,
un'architetta che morira' uccisa da un rapinatore (o chi per esso) nel suo
cantiere vicino alla Zisa di Palermo. Quanto alla tua prima domanda, io
direi che il femminismo e' stato per l'isteria femminile come un teatro che
dava senso ai sintomi senza la presenza congelante di uno sguardo medico,
sostituito invece da un ascolto e da un'interlocuzione femminile plurale.
Possiamo chiamarla terapia sociale? No, e' semplicemente la politica: le
terapie cambiano le persone in funzione della realta', la politica fa il
viceversa. E a chi mi correggesse: tu ti riferisci alla politica delle
donne, risponderei che la politica e' la politica delle donne. Possiamo dire
allora che, nell'ordine simbolico della madre, ogni patologia mentale abbia
un suo risvolto politico risolutivo? Mi piacerebbe pensarlo, ma non so,
molto dipende da quello che sara' della figura della madre da qui in avanti,
in una cultura non piu' patriarcale.
*
- Ida Dominijanni: Che cosa sara'? L'ordine simbolico della madre si puo'
considerare, da questo punto di vista, un testo di passaggio: il discorso
muoveva ancora da una critica del patriarcato, ma indicava nella relazione
con la madre un altro inizio, logico e politico: il principio di un altro
ordine del discorso e l'apertura di un altro ordine sociale. Pochi anni dopo
(nel 1996, con il "Sottosopra" intitolato E' accaduto non per caso) abbiamo
cominciato a ragionare in termini di fine del patriarcato. Che cosa comporta
la fine del patriarcato nel modo di pensare la madre?
- Luisa Muraro: Non lo so. Un giorno, sul treno, silenziosa al mio posto, ho
seguito una giovane madre, che parlando al telefonino dirigeva le operazioni
di un marito-padre a proposito di una loro bambina rimasta a casa dall'asilo
perche' malata. Sono rimasta impressionata dalla durezza imperiosa di lei,
un generale sul campo di battaglia non avrebbe retto il confronto. D'altra
parte, le mie amiche pedagogiste mi parlano di donne che stanno perdendo
ogni competenza materna per mettersi nelle mani di pediatri e psicologi. La
figura della madre mi appare come schiacciata tra questi due mostri, la
negazione di ogni possibilita' di padre, da una parte, lo specialismo che
elimina ogni competenza simbolica delle persone in carne ed ossa,
dall'altra. Entrambi i mostri sono gia' all'opera, pensiamo alla poverta'
simbolica delle associazioni dei padri, pensiamo a tutta la vicenda della
legge 40. Eppure, da qualche parte, la strada e' gia' aperta, da sempre. Mi
spiego: il passaggio di cui tu parli, non dobbiamo immaginarlo dal passato
al futuro, ma dal presente morto, quello dei mostri, al presente vivo,
quello che rende possibile il guadagno di essere. Per usare una formula che
tu conosci, la rivoluzione e' simbolica.
*
- Ida Dominijanni: L'ultimo libro di Diotima si intitola La magica forza del
negativo e a mio avviso e' un libro importante. Alcuni contributi, penso a
quello di Diana Sartori, mettano in luce i limiti di un approccio tutto
positivo all'ordine della madre, che espunge o rimuove il negativo che pure
vi opera. In altri termini: la pratica della relazione fra donne e
dell'autorita' femminile ci ha emancipate dalla politica della
rivendicazione e del risentimento, ci ha insegnato a fare leva sul positivo
di origine femminile che la madre significa, ci ha dato autorita'. Ma sia la
relazione con la madre reale, sia le relazioni fra donne restano
contrassegnate anche da un limite di negativita' che non si elimina, non va
in pareggio, e che se non viene a sua volta "trattato" minaccia di andare a
male. In verita', a me che vengo dal femminismo dell'autocoscienza pare che
il negativo del rapporto con la madre e con l'altra donna non abbia mai
cessato di esserci presente - ma forse e' vero che la proposta dell'ordine
della madre l'aveva per una certa fase messo in ombra, o dato per risolto.
- Luisa Muraro: Chi viene dalla pratica dell'autocoscienza, come te, sa che
il negativo e' sempre stato presente e parlante-parlato nel nostro percorso.
L'impressione che ad un certo punto esso sia stato messo tra parentesi o
dato per risolto, proviene, secondo me, dalla tendenza ad illuderci, ogni
volta che sia possibile. Lo stesso titolo del libro di Diotima che tu citi,
obbedisce a questa tendenza, tant'e' che qualcuna in Diotima ha protestato
per quella "magica forza". Aveva ragione, suppongo, ma possiamo noi
sottrarci al bisogno di illuderci? Leopardi, per me un pensatore di
riferimento, risponde che no. Io aggiungo che in quella parola, illusione,
c'e' la radice del latino ludus, gioco, e che possiamo tentare di fare come
le bambine e i bambini che giocano senza ingannarsi. L'idealizzazione e' un
inganno, questo va detto. Quando una madre prende in braccio la sua creatura
sofferente e le dice: va tutto bene, va tutto bene, questa e' illusione
senza essere inganno. Anche l'ultimo film di Benigni, La tigre e la neve, ha
le caratteristiche di un'illusione che non inganna... Questo che vado
dicendo domanda un orizzonte di pensiero che non e' quello del pensiero
critico dominante nella filosofia dei nostri giorni.
*
- Ida Dominijanni: I tuoi scritti sono sempre anche un corpo a corpo con la
filosofia. Fare filosofia a partire dalla differenza sessuale e' stata per
molte di noi, anche grazie a te, la via per reimpostare il rapporto con una
disciplina che prima ci metteva in scacco. Il tuo rapporto con la filosofia
oggi lo senti risolto? E quello con l'accademia? Fa ridere - o piangere,
dipende - che una filosofa come te cosi' importante per l'opinione pubblica
femminista italiana e internazionale concluda la sua carriera da
ricercatrice...
- Luisa Muraro: Non ho un rapporto speciale con la filosofia, alla filosofia
mi hanno portato le circostanze, il mio rapporto speciale e' con la
scrittura, ma non ho mai pensato a scrivere poesie o romanzi. La difficolta'
della filosofia sarebbe che si comincia da niente, il suo vantaggio e' che
usa la lingua comune, non ha un linguaggio specialistico. Se ci pensi bene,
le due cose si completano magnificamente. Il meglio del mio lavoro
filosofico, poco o tanto che valga, viene da questo niente che si popola di
parole comuni. A me piace portare parole comuni in luoghi che queste non
hanno mai frequentato. Quanto alla carriera, dopo qualche tentativo penoso,
ho scoperto che ci sono parecchie donne che rinunciano a farla. Cosi' ci ho
rinunciato anch'io, che credevo di doverla fare. Per il resto, intendo le
soddisfazioni e gli incoraggiamenti, la carriera l'ho fatta nel movimento
delle donne.
*
- Ida Dominijanni: Secondo te il pensiero della differenza sessuale ha
segnato e in che modo il pensiero politico di oggi? O si ripresenta,
aggiornato, il rischio che tu segnalavi nell'Ordine simbolico della madre,
che i filosofi si ispirino all'opera della madre, ma presentandola come una
copia della propria?
- Luisa Muraro: Il pensiero corre per il mondo su strade che sono molte,
poco controllabili e a volte inimmaginabili, internet non ha fatto che
imitarlo, alla sua maniera. Oggi il pensiero politico delle donne (che il
cosiddetto pensiero della differenza ha cercato di imparare ed insegnare,
fondamentalmente) sta permeando quello maschile con idee come il partire da
se', la differenza, la relazione, il conflitto relazionale, il dono e la
riconoscenza, la fiducia e l'affidarsi, l'autorita' invece del potere, la
rivoluzione simbolica, la possibilita' di altro... Cito le idee che
riconosco, ma altre ci sono, per esempio nel filone dell'ecofemminismo e in
quello della teologia femminista. Nessuna e' padrona di queste idee, perche'
le idee non hanno padroni, sono di coloro che le condividono, lo dico in
polemica con l'ordine (o disordine) capitalistico che oggi piu' che mai
pretende di farne delle proprieta' private, ma anche con la tendenza che
abbiamo noi "intellettuali" a credere di avere inventato quello che invece
ci e' stato comunicato. Il pericolo che tu segnali e' un'altra faccenda,
nasce da un certo rapporto cannibalico dell'uomo con la donna-madre, mi
riferisco agli uomini che si dedicano all'arte, alla scienza... Le biografie
di simili personaggi sono piene di esempi di questo cannibalismo, che puo'
estendersi alle figlie e ai figli. I filosofi non fanno eccezione. Secondo
me il punto non e' che ci siano dei riconoscimenti (io ne ricevo, devo dire)
ma che si stabiliscano relazioni di scambio tra donne e uomini, e che si
dissolva anche per questa via la pseudomistica della creativita' personale.
Il lavoro del pensiero e' duro e selettivo, non c'e' dubbio, e comprende
anche una parte che possiamo chiamare ispirazione o disposizione innata, ma
proprio questa parte e' piu' direttamente riconducibile alla relazione
materna e, come tale, traducibile in riconoscenza verso il mondo delle
donne.
*
- Ida Dominijanni: Infine. Luisa Muraro e' propriamente una maestra -
talvolta perfino con i modi sgradevoli di una maestra. Non ti manchera'
l'insegnamento? Secondo me continuerai a praticarlo, in qualche forma. O no?
- Luisa Muraro: Hai indovinato, a me piace insegnare ed e' vero che, insieme
a qualche qualita', ho parecchi lati sgradevoli della maestra,
all'universita' le/gli studenti li sopportavano ma ora dovro' correggerli,
perche' Lorenzo, un mio carissimo amico di otto anni al quale vorrei
insegnare un sacco di cose, non sopporta i lati sgradevoli delle maestre.
Vorrei anche insegnare a scrivere, non a Lorenzo che ha le sue brave
maestre, ma a persone adulte; la base del mio insegnamento sara' la
sintassi, "tagliata" dalla retorica.
*
Una postilla
"La mia vita di studiosa e' stata laboriosa quanto caotica, i miei rapporti
con il mondo accademico non sono mai stati buoni e non sempre per colpa del
mondo accademico", scrive di se' Luisa Muraro in una breve autobiografia
destinata al sito di Diotima. Nata nel 1940, studia filosofia della scienza
e filosofia della religione, linguistica, ma il primo libro importante, La
signora del gioco ('76) e' una ricerca di storia sulla caccia alle streghe.
Dell''81 Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sull'inimicizia
fra metafora e metonimia, dell'85 Guglielma e Maifreda. Storia di un'eresia
femminista, che inaugura gli studi sulla mistica femminile (Lingua materna,
scienza divina, 1995; Le amiche di Dio, 2001, Il Dio delle donne, 2003).
Tappe biografiche fondamentali, il Sessantotto, "che mi salvo' dalla
depressione", la collaborazione con Elvio Fachinelli nella rivista "L'Erba
voglio", e piu' di tutto l'incontro con il femminismo nei primi anni "70 e
la relazione, mai interrotta, con Lia Cigarini. Con quello che ne e' nato:
la Libreria delle donne di Milano (e il libro a piu' mani Non credere di
avere dei diritti), la rivista "Via Dogana". Diotima nasce invece nell'83 e
da allora ha pubblicato sette libri quasi tutti con contributi di Muraro,
dal primo, Il pensiero della differenza sessuale, all'ultimo, La magica
forza del negativo.

4. INIZIATIVE. BRUNETTO SALVARANI: UNA LETTERA ALLE DONNE E AGLI UOMINI CHE
DIO AMA, IN OCCASIONE DELLA QUARTA GIORNATA ECUMENICA DEL DIALOGO
CRISTIANO-ISLAMICO
[Dal comitato organizzatore delle iniziative per la quarta Giornata
ecumenica del dialogo cristianoislamico (per contatti:
redazione at ildialogo.org) riceviamo e diffondiamo. Brunetto Salvarani (per
contatti: brunetto at carpinet.biz), teologo ed educatore, da tempo si occupa
di dialogo ecumenico e interreligioso, avendo fondato nel 1985 la rivista di
studi ebraico-cristiani "Qol"; ha diretto dal 1987 al 1995 il Centro studi
religiosi della Fondazione San Carlo di Modena; saggista, scrittore e
giornalista pubblicista, collabora con varie testate, dirige
"Cem-Mondialita'", fa parte del Comitato "Bibbia cultura scuola", che si
propone di favorire la presenza del testo sacro alla tradizione
ebraico-cristiana nel curriculum delle nostre istituzioni scolastiche; e'
direttore della "Fondazione ex campo Fossoli", vicepresidente
dell'Associazione italiana degli "Amici di Neve' Shalom - Waahat as-Salaam",
il "villaggio della pace" fondato in Israele da padre Bruno Hussar; e' tra i
promotori dell'appello per la giornata del dialogo cristiano-islamico. Ha
pubblicato vari libri presso gli editori Morcelliana, Emi, Tempi di
Fraternita', Marietti, Paoline]

Care amiche e cari amici,
come ormai sapete, nel novembre 2001, a poche settimane dai tragici
attentati terroristici dell'11 settembre, un gruppo di cristiani di diverse
confessioni, responsabili di ordini missionari, monaci e monache,
islamologi, intellettuali e educatori aderirono ad un appello ecumenico
affinche' quanto era purtroppo accaduto non mettesse in discussione le
iniziative di partnership fra cristiani e musulmani in corso. Con un
obiettivo concreto, e controcorrente nei confronti del clima socioculturale
dominante nell'Europa di quei mesi: la proclamazione di una giornata da
dedicare al dialogo interreligioso, e soprattutto al dialogo
cristiano-islamico. Senza negare le oggettive difficolta' al riguardo,
decisamente in aumento. L'esito fu consolante: un centinaio di iniziative
lungo tutta la penisola, l'operazione "moschee aperte", piu' di mille
adesioni personali e collettive raccolte, e soprattutto la sensazione che la
strada intrapresa fosse inevitabile quanto attesa.
Oggi potremmo dire con gioia che da allora si e' creata gia' una piccola
tradizione, forte della spontaneita' di chi sceglie di aderirvi, della
passione generosa di chi gratuitamente vi collabora, delle ragioni che
spingono a proseguire.
Ecco perche' anche quest'anno abbiamo deciso di riproporre l'esperienza,
indicendo un'altra giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, la
quarta della serie, che si terra' il 28 ottobre 2005, proseguendo in qualche
caso nei giorni successivi: di nuovo in coincidenza dell'ultimo venerdi' di
Ramadan dell'anno islamico 1426 (per informazioni: www.ildialogo.org), a
imitazione dell'invito di Giovanni Paolo II per il 14 dicembre 2001, nel
pieno della guerra in Afghanistan.
*
Certo, ancora una volta non sarebbe realistico nascondermi e nasconderci che
l'obiettivo e', oggi ancor piu' di ieri, messo in discussione da attentati
sempre piu' crudeli che si ripetono settimana dopo settimana, con
l'obiettivo lampante di scoraggiare quanti - e sono tanti, nonostante
tutto - non si lasciano piegare alla logica perversa dello scontro di
civilta', della guerra preventiva e infinita, delle chiusure identitarie e
fondamentalistiche. La paura e' crescente, senza dubbio: ma farsi intimidire
e mettere nel cassetto per tempi migliori la pur difficile pratica
dell'incontro equivarrebbe di fatto a dar ragione ai terroristi, a chi usa
le bombe al posto dell'accoglienza e del confronto, e a chi strumentalizza
le parole religiose e lo stesso nome di Dio profanando le une e l'altro.
Ecco perche', proprio in una situazione come quella di queste settimane,
nella giornata del 28 ottobre sara' necessario gridare dai tetti che occorre
piu' coraggio e piu' dialogo, non meno coraggio e meno dialogo. Da qui, lo
slogan che la caratterizzera' quest'anno: Vincere la paura per costruire la
pace.
Un altro elemento che si contrappone al dialogo mi sembra sia oggi il fatto
che di religioni si parli molto, e forse troppo, tanto che c'e' chi registra
una (deprecabile) bulimia del sacro in atto. Nonostante la secolarizzazione
dominante. In parecchi casi, peraltro, la sensazione e' che non si prenda le
mosse dai dati di realta', e che da piu' parti si approfitti strumentalmente
dell'autorita' morale del cattolicesimo in una stagione di basso profilo per
le istituzioni (salvo eccezioni, naturalmente). Che esistano, certo,
questioni aperte quanto problematiche su molti versanti, mentre gli
strumenti utilizzati per capirci qualcosa appaiono sovente irrimediabilmente
fuori uso, fino a dover constatare il ritorno di fiamma di categorie (da
credenti versus non credenti a cattolici versus laici) non piu' in grado di
render conto dell'estrema complessita' della situazione. Dei cambiamenti
eccezionali tuttora in atto. Delle prospettive di ulteriore accelerazione
verso un novum oggi difficilmente prevedibile, ancorche' ipotizzabile.
Con un paio di rischi gia' in atto, a mio parere particolarmente delicati.
Da una parte, per dirla lapidariamente, il pericolo e' che il cattolicesimo
venga ridotto al rango di religione civile, di fatto stampella del potere
costituito, fino a smarrire il suo carattere di differenza, di scandalo, di
riserva escatologica.
Dall'altra, stiamo rischiando che il cattolicesimo sia omologato
all'occidente e alla sua cultura, alla sommatoria di Europa e Nordamerica,
proprio in una fase storica in cui i numeri e le prospettive ci dicono che
invece Dio - il Dio della Bibbia, perlomeno - sta cambiando indirizzo.
Tutto cio' - diciamocelo con franchezza - non aiuta certo i processi di
dialogo.
*
Mi pare normale, percio', che in un simile contesto questa nostra
iniziativa, che pure prevede gia' da ora decine di appuntamenti in tutte le
principali citta' del nostro paese e in molti centri piu' piccoli, non
riesca a "bucare" il mondo dell'informazione (salvo benemerite eccezioni,
che confermano la regola). E' qui contraddetta, infatti, la regola aurea
dell'uomo che morde il cane: in una fase che viene sempre piu' percepita
come un'anteprima di uno scontro finale tra occidente cristiano e islam,
dovrebbe pure far notizia il fatto che, spontaneamente e senza particolari
benedizioni dall'alto, una tradizione del genere abbia gia' messo radici,
dimostrando il bisogno diffuso di dialogare. Che, in questi giorni, molte
moschee e centri islamici vengano aperti a chiunque per la cerimonia della
rottura del digiuno. Che la gente scenda in piazza, anche senza la
prospettiva di finire sulla televisione locale. Che si facciano dibattiti e
incontri tra cristiani e musulmani. Che centinaia di persone continuino a
sottoscrivere l'appello al dialogo, nonostante la nostra struttura
organizzativa sia quanto mai povera e priva di mezzi. Penso, probabilmente
con qualche ingenuita', che tutto cio' dovrebbe incuriosire.
Il cammino e' quanto mai in salita. Mi confortano, dal punto di vista di un
cristiano cattolico come me, la prassi d'amore di Gesu' verso gli eretici e
gli stranieri e la memoria del Concilio Vaticano II (nella Nostra Aetate, di
cui proprio il 28 ottobre ricorreranno i quarant'anni dalla promulgazione,
elemento simbolico che rafforza il nostro impegno, si parla della stima con
cui i cristiani dovrebbero guardare i musulmani), il ricordo commosso
dell'instancabile magistero di papa Wojtyla al riguardo, quella
straordinaria opportunita' che potrebbe rivelarsi la Charta Oecumenica e
ancora le parole di Benedetto XVI a Colonia, il 20 agosto scorso, rivolte ai
leader musulmani locali: "Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far
fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c'e' spazio
per l'apatia e il disimpegno ed ancor meno per la parzialita' e il
settarismo. Non possiamo cedere alla paura ne' al pessimismo. Dobbiamo
piuttosto coltivare l'ottimismo e la speranza. Il dialogo interreligioso e
interculturale fra cristiani e musulmani non puo' ridursi ad una scelta
stagionale. Esso e' infatti una necessita' vitale, da cui dipende in gran
parte il nostro futuro".
*
Il dialogo cristiano-islamico va dunque considerato come segno, per quanto
contraddittorio, di speranza per il futuro. Perche' sarebbe sbagliato e
ingeneroso se il pesante clima politico odierno e l'intransigenza
generalizzata quanto pervasiva ci facessero dimenticare che tra
cristianesimo e islam non si danno solo diffidenze o conflitti potenziali,
ma pure (gia' oggi) esperienze d'apertura e fiducia reciproca: le buone
pratiche in tal senso, fortunatamente, non mancano.
Non sara' percio' inutile elencare alcuni dei gesti e degli atteggiamenti
che potrebbero favorire un'educazione diffusa al dialogo, una formazione ad
esso, ben sapendo che si trattera' in ogni caso di un processo di non breve
durata:
- lo studio dell'insegnamento ufficiale delle chiese nell'ambito del
dialogo;
- il contatto effettivo con l'altro, a partire dalle iniziative gia' in
corso (pensiamo, ad esempio, ai consolidati programmi del Segretariato per
le attivita' ecumentiche, dei focolarini e della Comunita' di Sant'Egidio
con gli appuntamenti di "Uomini e religioni", alle iniziative delle chiese
evangeliche ed ortodosse, ma anche a progetti piu' recenti e ben avviati,
dagli Incontri cristiano-islamici delle Acli a Modena ai Cantieri del
dialogo di Verona, e cosi' via);
- la visita ad ambienti, istituzioni o centri del mondo musulmano in Italia;
- la cura particolare, l'attenzione e l'accompagnamento dei matrimoni
interreligiosi;
- la formazione specifica del mondo giovanile, favorendo la crescita di
sensibilita' e di professionalita' nel campo del dialogo interreligioso;
- la creazione di corsi sul dialogo nei seminari e negli studi teologici.
Come si vede, il campo e' vasto, e c'e' solo l'imbarazzo della scelta. Non
dimenticando, infine, che i benefici del dialogo inteso come vita condivisa
ed esperienza vissuta non si limitano al potenziale arricchimento reciproco.
*
Solo vivendo assieme, conoscendosi, guardandosi negli occhi, si possono
superare i pregiudizi, le caricature, gli stereotipi reciproci, uscire dai
salamelecchi e sperimentare la parresia: solo cosi', ripeto, si potra'
vincere la paura e costruire la pace.
Perche' ha ragione, infatti, il gesuita Thomas Michel a sostenere, dall'alto
della propria lunga esperienza in partibus infidelium: "Il dialogo fornisce
ai credenti un'opportunita' per esaminare assieme quell'universale tendenza
umana all'esclusivismo, allo sciovinismo, all'odio e alla violenza che
possono infettare il comportamento e l'identita' religiosa. Nel dialogo
diviene altresi' chiaro quanto i credenti di tutte le fedi siano piu' vicini
l'uno all'altro, di quanto non lo siano con coloro che promuovono
l'ideologia di mercato dominante, fatta di competizione nella ricchezza, di
consumismo e di materialismo".
A quanti, il 28 ottobre, donne e uomini di buona volonta', parteciperanno
alle varie iniziative pubbliche, a quanti digiuneranno e devolveranno il
denaro risparmiato a opere di solidarieta', ai monasteri, alle chiese
locali, alle parrocchie e ai centri islamici che pregheranno per la pace tra
le fedi, grazie di cuore e buon cammino.
Personalmente, tra le intenzioni della mia preghiera e del mio digiuno
inseriro' anche stavolta, come l'anno scorso, la prossimita' profonda alle
comunita' ebraiche d'Italia, di Israele e di tutta la diaspora, perche' chi
s'impegna nel dialogo interreligioso e' chiamato a farlo a tutto campo: e
quest'anno ancora di piu', per la gia' ricordata ricorrenza contemporanea
del quarantennale della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Che sia per
tutte e tutti una Giornata per vincere la paura, e per costruire la pace.
Con la speranza e la gioia vera che contraddistinguono sempre ogni figlia e
ogni figlio di Dio, un cordiale abbraccio di pace - shalom - salaam.

5. CINEMA. IRENE ALISON: UNA ROSA CONTRO IL NAZISMO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2005.
Irene Alison scrive di temi culturali sul quotidiano "Il manifesto".
Su Sophie Scholl e sulla Rosa Bianca: tra il 1942 ed il 1943 un gruppo di
studenti ed un professore di Monaco realizzarono e diffusero una serie di
sei volantini clandestini antinazisti. I primi quattro volantini si aprivano
col titolo "Fogli volanti della Rosa bianca" ed erano diffusi in poche
centinaia di copie; gli ultimi due intitolati "Fogli volanti del movimento
di Resistenza in Germania" ciclostilati in qualche migliaia di copie.
Scoperti, furono condannati a morte e decapitati gli studenti Hans Scholl,
Sophie Scholl, Christoph Probst, Willi Graf, Alexander Schmorell ed il
professor Kurt Huber. Opere sulla Rosa Bianca: Inge Scholl, La Rosa Bianca,
La Nuova Italia, Firenze, 1966, rist. 1978 (scritto dalla sorella di Hans e
Sophie Scholl, il volume - la cui traduzione italiana e' parziale - contiene
anche i testi dei volantini diffusi clandestinamente dalla Rosa Bianca);
Klaus Vielhaber, Hubert Hanisch, Anneliese Knoop-Graf (a cura di), Violenza
e coscienza. Willi Graf e la Rosa Bianca, La nuova Europa, Firenze 1978;
Paolo Ghezzi, La Rosa Bianca. Un gruppo di resistenza al nazismo in nome
della liberta', Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1993; Romano Guardini, La
Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1994; Paolo Ghezzi, Sophie Scholl e la
Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 2003. Alcune piu' dettagliate notizie
biografiche sui principali appartenenti al movimento di resistenza della
"Rosa bianca" sono nel n. 909 di questo foglio (altri materiali ancora nei
nn. 910 e 913)]

21 anni per crescere negli ideali "insani" di liberta' e di giustizia, e
otto secondi e mezzo per morire - dopo sei giorni di interrogatorio e
processo-farsa - decapitata dalla ghigliottina dei nazisti. Sophie Scholl
(cui e' dedicato il film di Marc Rothemund, "La rosa bianca. Sophie Scholl",
nelle sale cinematografiche italiane da venerdi'), unica donna tra gli
studenti "disobbedienti" della Rosa bianca, e' l'eroina di una Resistenza
ostinata e sommersa nella Germania del Fuehrer, corpo di giovane donna che
non si piega alle leggi della svastica, e sorriso testardo che sfida il
potere.
Dei sei ultimi giorni della sua vita - dal 17 al 22 febbraio 1943 - il film
e' il minuzioso diario, che accompagna Sophie - arrestata mentre con il
fratello Hans distribuisce volantini pacifisti e antinazisti all'universita'
di Monaco - verso la fine. Lei, occhi accesi e guance in fiamme di Julia
Jentsch (premio per la miglior attrice alla Berlinale 2005, dove il film ha
ricevuto anche l'Orso d'argento) e' una piccola macchia rossa in una
Germania buia, respiro vitale di una generazione che, oltre ad applaudire in
piazza i fantocci del Reich che chiedono alle studentesse di regalare alla
patria figli da mandare al fronte, sa anche lottare contro i padri:
ispettori, gerarchi e giudici deliranti e ciechi dietro ai loro scranni, le
loro grottesche uniformi, le loro illusioni di vittoria. Alla vigilia della
fine (il film e' ambientato nei giorni della disfatta nazista a Stalingrado,
non molto tempo prima di quella inarrestabile Caduta raccontata dal film di
Oliver Hirschbiegel) qualcuno si azzarda ancora a sognare e a parlare "di
cose che non esistono" (cosi' dice a Sophie il suo accusatore) come rispetto
per gli uomini, pace, liberta' di esprimere le proprie idee.
"Non una santa ma una giovane donna che ha dimostrato un grande coraggio
civile", la descrive il regista Marc Rothemund, che , insieme allo
sceneggiatore Fred Breinersdorfer, ha composto - grazie allo studio dei
verbali degli interrogatori della Gestapo (resi pubblici nel '90) e delle
lettere e diari di Sophie - il ritratto di un'eroina che sa piangere,
mentire per salvarsi e poi andare a morire dicendo "sono fiera di quello che
ho fatto, rifarei tutto". Tutto per raccontare una storia - quella della
Resistenza antinazista tedesca - accantonata e sommersa. "Gli altri paesi
hanno sofferto troppo a causa della Germania per trovare lo spazio per
ricordare la Resistenza tedesca - dice Rothemund - e , in Germania, e'
dovuto passare molto tempo dopo la seconda guerra mondiale perche' si
risvegliasse l'interesse per l'analisi di quel momento storico. Lo stesso
governo ha fatto resistenza contro la realizzazione di film ambientati in
quel periodo, nel timore che rivangassero un passato sul quale si voleva
stendere il velo della riconciliazione. Basti pensare che nell''81, quando
Verhoeven giro' La rosa bianca, le sentenze del Tribunale del popolo che
avevano condannato Sophie e gli altri avevano ancora valore legale. Solo
nell''85 sono state annullate. Anche per questo noi abbiamo oggi la
responsabilita' di mantenere viva la memoria".
Una memoria gia' illuminata, oltre che da Verhoeven, anche da Percy Adlon ne
I cinque ultimi giorni (1982), che pero', secondo Rothemund - nato nel '68 -
ha delle sfumature diverse per l'ultima generazione di registi: "I nostri
nonni - spiega - hanno avuto la coscienza cosi' sporca da non riuscire a
raccontare la storia ai propri figli. Noi, la generazione dei nipoti, siamo
gli ultimi ad avere la possibilita' di rivolgere delle domande ai testimoni
dell'epoca, e abbiamo il dovere di capire e ricordare cio' che e' accaduto.
Quello che ci differenzia dal cinema dei nostri padri e' il tentativo di
approfondire, nell'analisi del passato, una dimensione emozionale piu' che
direttamente politica, perche' e' attraverso l'emozione che oggi si possono
risvegliare le coscienze".

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1100 del 31 ottobre 2005

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