Nonviolenza. Femminile plurale. 30



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 30 del 22 settembre 2005

In questo numero:
Paola Mancinelli: Tutt'altrimenti. A partire da Emmanuel Levinas (parte
prima)

RIFLESSIONE. PAOLA MANCINELLI: TUTT'ALTRIMENTI. A PARTIRE DA EMMANUEL
LEVINAS (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Paola Mancinelli (per contatti: mancinellipaola at libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo saggio apparso col titolo
"Tutt'altrimenti. Abbozzo di un'escatologia filosofica: Emmanuel Levinas"
nella rivista on-line "Studi sulle categorie politiche dell'Europa" nel
novembre 2003.
Paola Mancinelli, nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, dottore di ricerca
in filosofia teoretica e docente di scuola superiore, saggista e poetessa,
si e' occupata tra l'altro del rapporto fra mistica e filosofia e la
violenza del sacro in Rene' Girard, del pensiero di Rosenzweig e
dell'influenza dell'ebraismo nel rinnovamento dell'ontologia; collabora alle
riviste "Filosofia e teologia" e "Quaderni di scienze religiose" ed alla
rivista telematica di filosofia "Dialeghestai". La sua tesi dottorale ha per
argomento Fra le opere di Paola Mancinelli: Vibrazioni, Pentarco, Torino
1985; Come memoria di latente nascita, Edizioni del Leone, Venezia, 1989;
Oltre Babele, Edizioni del Leone, Venezia, 1991; Cristianesimo senza
sacrificio. Filosofia e teologia in Rene' Girard, Cittadella, Assisi 2001;
Homo revelatus, homo absconditus, di alcune tracce kierkegaardiane in Rene'
Girard, in AA. VV., "Nota Bene, Quaderni di studi kierkegaardiani", Citta'
Nuova, Roma 2002; La metafisica del silenzio, Stamperia dell'Arancio,
Grottammare, 2003; Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere con Franz
Rosenzweig (di prossima pubblicazione).
Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il
12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e
gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania,
Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in
Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora
Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult.
L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati
adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un
nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si
può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici.
Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia'
cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg.
L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel.
L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la
sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal
1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di
cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita
Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'
Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita
quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani,
maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze
annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali
ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza
all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di
Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una
biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore
nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a
Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua
riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva
importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En
decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina);
Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it.
parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo);
Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr.
it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee
(tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance
et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per
una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo
stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la
bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere
et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino,
La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas,
ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas.
Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas,
Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB,
Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg &
Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della
modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo'
non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di
quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in
L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese
cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François
Poirie', Emmanuel Levinas, Babel. Per la biografia: Salomon Malka: Emmanuel
Levinas. La vita e la traccia, JacaBook, Milano 2003]

Emmanuel Levinas e' un fecondo pensatore contemporaneo che riesce ad
elaborare in modo affatto nuovo differenti apporti della tradizione
filosofica occidentale, arricchendoli e correggendoli criticamente grazie al
retaggio ebraico cui appartiene, e che gli permette di sviluppare un modo
nuovo di filosofare, ove si possano intervallare elementi fenomenologici ed
esistenzialistici, istanze dialogiche e spunti biblici. Cio' che lo
contraddistingue in maniera decisiva e' la consapevolezza che la tradizione
del pensiero non puo' essere che aperta, sempre disponibile a nuove letture
e trascrizioni, sempre oltre, nell'infinita complessita' della subtilitas
applicandi, alla ricaduta nella medesimezza.
Un pensiero implosivo nei suoi contenuti ad iniziare dalla critica all'idea
di totalita', dalla radicalizzazione dell'attraversamento metafisico per
manifestarne il limite e dirne con altrettanta forza teoretica,
l'instituzione assolutamente inedita, grazie all'etica ed alla sua capacita'
di rovesciamento, in modo tale da ridisegnare una topologia filosofica ex
novo; ma altrettanto implosivo e' il metodo, dove iperbole ed enfasi si
succedono a figurare una sempre eventuale visitazione d'Altro, nonche'
l'ossessione del pensiero, la sua soggezione dinanzi all'appello del volto,
che di questa alterita' evocata e' la figura piu' incisiva.
Tuttavia la caratteristica piu' evidente ed anche la piu' pregnante ed
incisiva e' la sanzione del neutro e della generalita', dello spirito
assoluto in quanto totalita' autogiustificantesi la cui necessita'
stringente non sa lasciare spazio all'alterita' del singolo e del concreto,
nonche' la ricusazione del medesimo nell'ontologico gioco della ragione dove
ogni pensare e dire rinviano all'Unum, altissima produzione parmenidea ed
hegeliana sottomessa alla logica della deduzione.
Grandi sono, da questo punto di vista, le metafore usate nel suo De Dieu qui
vient a' l'idee, della coscienza e della veglia della ragione, entrambe
legate alla presenza dell'essere come presenza alla riflessione (1).
Dal medesimo non sembra esservi uscita per la ragione, ma questo non conduce
che ad una deformazione del suo senso ed il medesimo assurge a ragione
strumentale.
Levinas recupera il concreto dell'esistenza, non il mero Dasein, ancora
neutro, ma l'uomo esistente, l'uomo che si riceve come esistente in virtu'
della convocazione dell'altro, in virtu' dell'ingiunzione che rende
possibile la sua identita' all'accusativo, un accusativo altrettanto
concreto, capace pero' di rinviare alla Traccia dell'Altro, che assume i
tratti biblici della visitazione.
La concretezza del vivente segna la definitiva rottura della totalita', dice
altrimenti l'infinito ed il suo avvento, che, per questo motivo, non e'
conciliazione o mediazione, ma l'altro fuori presa che si rivela nella
libera ingiunzione del comandamento, rivela un'altra origine avanti l'essere
ritenuto dalla tradizione filosofica il Primum della conoscenza, un'origine
che sfugge definitivamente alle maglie dell'ontologia della totalita', che,
con il linguaggio di Rosenzweig, potremo definire monologica, e che indica
un au dela' su cui si staglia la relazione; essa attesta l'essere per
l'altro perche' si e' da altro, e Levinas la definisce movimento verso il
Bene.
L'agatologia precede l'ontologia e non e' fondante se non perche' istituisce
via via, attraverso il riconoscimento del volto e la soggezione al suo
comando nella responsabilita', l'evento stesso di questo al di la' che si
colora di tinte escatologiche.
Attestatici, dunque, su questo orizzonte agatologico, denunciamo la portata
del nostro studio che e' quella di individuare quali siano i criteri di
autenticazione del Bene che, sottraendolo ad una lettura sub specie della
metafisica ontica, ne fa il Principio positivo del filosofare, connotando lo
stesso pensiero di un inedito senso etico che gli permette di fuoriuscire
dal neutro. Allo stesso modo riteniamo di dover dare conto delle istanze
metodologiche e giustificative che caratterizzano questo inedito sentiero
teoretico.
*
1. Contro la totalita' del neutro
Medesimezza e' la condizione della ragione assoggettata al principio
d'identita', il quale si affaccia come alba della filosofia che manifesta
germinalmente i prodromi del giorno fatto della metafisica: la conciliazione
dell'identico e del non identico. Ed e' ancora il medesimo a prevalere nella
conoscenza, cosi' come nella evidenza fondativa e fondante del cogito, nella
coscienza che non sembra, neppure attraverso il paradigma fenomenologico
dell'intenzionalita' husserliana, rinunciare al criterio rappresentativo,
cosi' che e' sempre il medesimo, la reductio ad unum a determinare la veglia
della ragione. Questa e' la critica che Levinas fa nei riguardi del
paradigma filosofico occidentale, nella quale evidenzia altresi' l'esigenza
di volgersi ad una terra altra, quella dell'ebraismo talmudico e biblico,
perche' le categorie in uso mostrino la loro insufficienza e lo stesso
metodo del filosofare raggiunga un altro statuto, modulato sui temi
dell'altro e della responsabilita', che si colora in Levinas dell'ossessione
dell'altrimenti dire avanti il logos raccogliente ed identificante, un dire
senza discorso che antecede ogni discorso, rinviando profeticamente ad un
arriere pensee coglibile solo nella soggezione alla responsabilita' per
altri (2) nonche' nell'atto di rottura della coscienza, nel divergere da
ogni contenuto.
Si procede dunque per opposizione. Non la totalita' dello Spirito che si
esplica nella necessita' storica come oggettivazione del Soggetto assoluto,
ne' il suo logos che sa l'altro da se stesso come altro in se stesso
confluendo all'identita' dell'identico e del non identico, in un paradigma
dell'essere neutro, quanto, invece, l'infinito: radicale alterita'
dell'altro che viene all'idea ma non e' mai riducibile alla comprensione
inglobante, per cui la cogitatio coglie un cogitatum. Ma soprattutto, questo
Infinito non e' la cattiva infinita', non si esplica con la prepotenza del
Soggetto Assoluto, che assurge poi all'ipostatizzazione di una metafisica
della guerra, bensi', come afferma Levinas: "Nella dimensione di maestosita'
in cui si presenta la sua santita' - cioe' la sua separazione - l'infinito
non brucia gli occhi che si fissano su di lui. Parla, non ha il formato
mitico che non sarebbe possibile affrontare e che terrebbe prigioniero l'io
nelle sue reti invisibili. Non e' numinoso: l'io che si avvicina non e' ne'
annientato dal suo contatto, ne' trasportato fuori di se', ma resta separato
e mantiene le distanze" (3).
I caratteri dell'infinito qui espressi sono pregnanti in quanto ci aiutano
ad individuare come Levinas accentui l'aspetto della distanza in modo tale
da ricusare ogni inglobamento, ma anche per prefigurare il tratto piu'
saliente del suo pensiero che e' quello della relazione. Solo la distanza di
un'alterita' che si presenta ab-soluta permette la relazione, ed a sua volta
solo a partire dalla relazione che rivendica la legittimita' del singolo
nella sua concretezza e' possibile recuperare alla filosofia la vita
altrimenti che come presenza, designando in tal modo una fenomenologia
dell'esistente.
Tuttavia c'e' dell'altro che ci permette di evincere l'impossibilita' del
neutro in questo pensiero; si tratta di due attributi via negationis, il
mitico ed il numinoso in opposizione alla capacita' di parlare. Questo
tratto assolutamente non trascurabile implica un essere alle prese con il
Dio biblico che sottende la passione della relazione e che designa una
prossimita' affatto diversa nello stesso suo darsi come separato. Emerge
quindi una nuova opposizione al mitico ed al numinoso: la santita'. Solo la
santita', in ultima analisi, sottende la possibilita' dell'interlocuzione.
Occorre qui precisare, tuttavia, che la relazione e' distinta tanto dalla
oggettivazione quanto dalla partecipazione, cio' sta a significare che la
stessa metafisica assume in Levinas una semantica totalmente diversa,
epurata dalla cattura ontologica oggettivante. Il venire all'idea di Dio non
si da' in alcun caso attraverso la metafisica della totalita'. Prima di
toccare questo punto, tuttavia, riteniamo essenziale individuare una
connessione fra il metafisico e l'umano, connessione che lo stesso Levinas
sottolinea efficacemente: "Il nostro rapporto con il Metafisico e' un
comportamento etico e non la teologia, non una tematizzazione, fosse anche
una conoscenza per analogia degli attributi di Dio", ed ancora "La
metafisica entra in gioco nei rapporti etici. Senza il loro significato
tratto dall'etica, i concetti teologici rimangono concetti vuoti e formali.
In metafisica alle relazioni interumane spetta il ruolo che Kant attribuiva
all'esperienza sensibile nel campo dell'intelletto" (4).
Si tratta di una metafisica senza ontologia improntata al realismo
gnoseologico ed alla pretesa inglobante. Inoltre ne' l'analogia ne' la
partecipazione vi entrano aprendo cosi' la metafisica al campo etico. Anche
asserire questo, tuttavia, significa sostare sul mutamento semantico che i
due ambiti filosofici assumono. Se la metafisica e' nella tradizione
classica philosophia prima in quanto conoscenza dell'essere come concetto
generalissimo della conoscenza, Levinas chiama metafisica l'etica
sottendendo l'ambito della relazione con l'Altro come irrompere di un au
dela', meta ta physika, nel movimento verso la prossimita' di altri, il cui
volto e' rimando all'ingiunzione del comandamento. Quindi l'etica e'
filosofia prima in quanto si attesta come assunzione dell'essere, o meglio
movimento verso l'esteriorita', che, a sua volta, rimanda al mio essere da
altri, donde le puntuali analisi di Levinas circa l'idea dell'Infinito che
trascende il pensiero e, mantenendosi nella sua esteriorita', si pone come
assolutamente altro, assolutamente lontano dal suo ideatum, indeducibile, ma
proprio per questo capace di porre la relazione.
Assumere l'essere per Levinas significa, tuttavia, fissare l'attenzione non
sull'il y a dell'esistenza anonima, quanto invece sull'esistente concreto
che da essa emerge in quanto ipostasi. Ma, se questo e' il nucleo
dell'avventura ontologica, e' necessario anche sostare sulle implicazioni
che esso determina. La piu' notevole e' senza dubbio quella che concerne la
domanda filosofica originaria, che, secondo le parole dello stesso Levinas:
"e' la manifestazione stessa della relazione con l'essere. Essenzialmente
estraneo esso ci colpisce. Subiamo la sua morsa soffocante come la notte, ma
lui non risponde" (5). Dunque Levinas parla di mal d'essere, non senza
un'eco heideggeriana. Tuttavia e' proprio nella distretta di questa domanda
che e' possibile sancire l'impossibilita' del neutro. Se l'essere deve
essere assunto non come il y a ma come esistente, anche la domanda su di
esso muta, esibisce il suo altrimenti, dice qualcosa di piu', e tale
altrimenti e' il bene.
L'Altro modulato secondo l'esteriorita' e secondo la relazione irrompe e
rompe la totalita' ontologica e monologica, ridiscute la metafisica e
propone l'etica an-archicamente come il Bene tutt'altrimenti che si da' a
conoscere obliquamente nella testimonianza della responsabilita'.
L'ontologia non e' quindi l'ultima parola della relazione con l'essere, ma,
ancor di piu', il dato ontologico non e' piu' il primum bonum necessarium,
in quanto sottosta' ad un al di la' dell'essenza (6). Levinas recupera,
cosi', un locus della tradizione platonica e neoplatonica. Il Bene e'
epekeina tes ousias e questo lascia emergere che la filosofia deve subire un
processo di negazione che inerisce il suo stesso linguaggio. Questo gli
permette di puntualizzare l'istanza programmatica del suo pensiero, e cioe'
innanzi tutto quella di: "mostrare che l'eccezione dell'altro dall'essere al
di la' del non essere significa la soggettivita' o l'umanita', il se stesso
che respinge le annessioni dell'essenza. Io unicita' al di fuori di ogni
paragone perche' al di fuori della comunanza del genere e della forma, che
non trova riposo neppure in se', in-quieto che non coincide con se'" (7).
Importante e' fissare l'attenzione sul concetto di altro dall'essere, che
gia' aveva contemplato la filosofia antica con Platone, cui Levinas si
rivolgera' in seguito.La sua ricorrenza qui si caratterizza in modo inedito:
l'al di la' dell'essere significa umanita'. Ancora una volta troviamo un
rivolgimento dalla metafisica all'etica, anzi una fuoriuscita dalla
metafisica; altrimenti detta ex-cedenza, essa si esplica maggiormente per il
fatto che l'umanita' non risponde alla categoria di genere, e' eccezione.
Al di la' della stessa differenza ontologica sancita da Heidegger e'
necessario all'avviso di Levinas superare non solo lo scarto fra essere ed
enti per ritrovare il senso originario, ma addirittura la sfera dell'essere.
Fuoriuscendo da questa sfera e' possibile recuperare il senso della
trascendenza.
Ma che cosa si vuol intendere dal punto di vista levinassiano quando si
parla di trascendenza? Certamente essa implica l'evento del passare al di
la' dell'essere, ma tale fuoriuscita non puo' darsi se non nella
responsabilita' per Altri. Essa pero' sottende anche un ribaltamento del
tempo e della coscienza verso la diacronia e la passivita' della
convocazione in modo tale che si corrispondano il movimento verso il Bene e
l'evento dell'essere. Richiamiamo su questo due passaggi di Levinas.
"La relazione di un passato al di qua di ogni presente e di ogni
rappresentabile - perche' non appartenente all'ordine della presenza - e'
inclusa nell'avvenimento straordinario e quotidiano della mia
responsabilita' per le colpe e la disgrazia degli altri, nella mia
responsabilita' che risponde della liberta' d'altri, nella sorprendente
fraternita' umana in cui la fraternita' da sola, pensata con la sobria
freddezza di Caino, non spiegherebbe ancora la responsabilita' tra esseri
separati ch'essa proclama" (8).
La responsabilita' sembra attestarsi come rottura della presenza a cui e'
ridotto il tempo del medesimo e deporre a favore della diacronia che irrompe
nella sincronia ponendosi come un principio an-archico. Nel suo rispondere
di ed a, la responsabilita' sancisce un nuovo paradigma del tempo che
assurge nel quotidiano dell'esistenza ad accadere della Trascendenza
realizzata nel movimento della prossimita'. Si evidenzia, qui, la risonanza
biblica e profetica. Ma questo fa riferimento al principio avanti ogni
principio che si differenzia anche dal presente della mia liberta', in
quanto, nella responsabilita', sottende la mia soggezione (ecco la mutazione
semantica del termine soggettivita') all'altro come rivelazione del Bene
che: "mi ha scelto prima che io lo abbia scelto" (9).
Il Bene come principio an-archico esce percio' dalle maglie dell'ontologia
del neutro, come gia' aveva ben indicato la tradizione neoplatonica, e
proprio per questo si esplica come diacronia; in qualche modo somiglia al Tu
sempre oltre il detto ed il dire, invocato con la stessa ossessione nella
lirica di Paul Celan nel verso in cui scrive: "Mi precedi
nell'ultrapassato". Inoltre esso e' perdita nell'essere, stupidita'
dell'essere, come iperbolicamente scrive il filosofo lituano che implica,
biblicamente, la sostituzione e la deposizione del se', in una soggezione
del soggetto all'altro.La figura kenotica e' predominante e si attesta come
opera della Bonta' nella quale pero' si da' la possibilita' di uscire dal
linguaggio ontologico, di sostituire, dunque al positum dell'ego cogito,
l'ecco-mi di un accusativo irrecusabile.
Scrive Levinas nel suo En decouvrant l'existence avec Husserl e Heidegger:
"Essere io significa non potersi sottrarre alla responsabilita'.
Quell'eccesso di essere, quell'esagerazione che si chiama essere io... si
compie come una turgescenza nella responsabilita'. La mia messa in questione
ad opera dell'Altro mi rende solidale con Altri in modo incomparabile e
unico. L'unicita' dell'io e' il fatto che nessuno puo' rispondere al mio
posto" (10).
La rottura del medesimo e' quindi confutazione del neutro, sua ricusa in
nome di un Altro la cui alterita' e' la radice su cui affonda e da cui
attinge l'archeologia del pensiero e che ridiscute ogni altra cifra
filosofica a partire dal suo av-venire come Bene, e che, di conseguenza,
esprime la valenza escatologica della prossimita', la cui responsabile
apertura attesta obliquamente la traccia di una visitazione che si sottrae
sempre e che significa, nell'opera della bonta' e nella diaconia, l'ecco-mi
in nome di Dio irrappresentabile, ma obliquamente significato nel dire della
testimonianza, se pur l'irruzione nel mondo lo rende insuperabile alterita'.
*
2:La veglia della ragione
Usiamo ancora una volta la metafora della veglia per sottolineare che il suo
essere desta e' sempre e comunque aprirsi al proprio altro e rompere la
catena della medesimezza che designa la coincidenza di esodo ed approdo
(l'essere ed il pensiero sono uno) e che sfocia in ultima analisi nella
condizione strumentale di una metafisica persuasa all'identita'. Come gia'
ha fatto Kant, riteniamo che Levinas abbia contribuito a risvegliare la
ragione da un sonno dogmatico che in questo caso consisteva nell'inorridire
dinanzi all'altro. Se Kant ha recuperato la metafisica nel senso di un
limite aprente l'ulteriorita' noumenica, Levinas ha sancito nella figura
dell'altro e del volto il paradigma di un pensiero capace di non limitarsi a
ridurre il concreto della vita alla medesimezza della propria
rappresentazione coscienziale ma di avviare una ricerca al Bene, al tempo ed
alla relazione con altri dove non vi sia spazio per il neutro, ma dove il
pensiero non rischi neppure di sopirsi su verita' eterne. La veglia della
ragione e' assumere la responsabilita' via via irripetibile ed irrecusabile.
In un passaggio di En decouvrant l'existence avec Husserl e Heidegger,
Levinas afferma: "La coscienza consiste proprio nel fatto che l'impersonale
e ininterrotta affermazione di 'verita' eterne' puo' diventare semplicemente
pensiero, e cioe', malgrado la sua eternita' senza sonno, puo' iniziare e
terminare in una testa, puo' accendersi e spegnersi, sfuggire da se stessa:
la testa ricade sulle spalle, si dorme" (11).
Questo paradigma filosofico si ha laddove il pensiero riconduce tutto al
Medesimo, non riconoscendo alcun altro, o meglio non riconoscendolo nella
sua capacita' di interpellazione per cui l'io puo' dirsi io nell'ascolto e,
destandosi, riconosce alla parola dell'Altro la possibilita' di richiamarlo
alla nascita tale che la coscienza sia evento di una convocazione. Alla
figura di Odisseo che ritorna ad Itaca e che, nei termini di Levinas, si
addormenta cercando le virtu' protettrici del luogo per risvegliarsi
rinchiuso nel proprio guscio, metafora quanto mai efficace del pensiero
sazio di se', si contrappone quella di Abramo e della sua continua
ex-cendenza, che si pone sulla rotta di un esodo continuo, ove l'Altro
irrompe e ingiunge. Abramo e' la metafora di un diverso tipo di ragione
dialettica nella quale la coscienza si fa testimone d'altri dinazi
all'Altro, di cui sara' sempre obliquamente icona.
Con altrettanta forza Levinas afferma: "La filosofia occidentale coincide
con quel disvelamento dell'Altro, in cui l'Altro manifestandosi come essere
perde la propria alterita'. Sin dalla sua infanzia, la filosofia e' affetta
da un orrore verso l'Altro che rimane altro, da un'inguaribile allergia"
(12).
L'altro e' l'inquietudine della filosofia e pertanto sostiene il suo
vigilare, un atto che in Levinas si traduce quasi nell'ossessione della
responsabilita' per il fatto che, ed e' questo un altro punto di svolta, la
sua alterita' non e' mai la generalita' di un genere; se cosi' fosse,
potremmo senza dubbio riscontrarla nello stesso pensiero platonico:
l'alterita' e' la concretezza del volto e la viva significazione della
prima, irrecusabile ingiunzione: Tu non ucciderai. Cosi' l'altro irrompe nel
mondo, d'al di la', principio an-archico e cifra di un Prius che si puo'
definire Bene, quel prius di cui gia' le Enneadi di Plotino dicevano la
difficolta' e l'impossibilita' di ricondurre all'essere per la sua radicale
differenza (13). Tale Prius e' altresi' in grado di spezzare il legame fra
essere e presenza, un legame ad excludendum in cui l'altro e' rifuggito in
quanto altro, a meno che non si operi una reductio al proprio.
L'alterita' del volto e' inerme e non avanza pretese, non porta con se' la
List der Vernunft di un passaggio dialettico che tutto riconduce
all'orizzonte monologico. Essa reca, al contrario, un solo sigillo,
l'investitura di una maesta' che non puo' darsi se non nella figura di quel
volto, trascendenza-prossimita' che si rivela nell'osservanza del
comandamento, e nel richiamo alla responsabilita'. Se Paul Ricoeur vi vede
il maestro di giustizia dell'ebraismo, per altro molto appropriatamente,
essendo la fonte talmudica un fiume carsico del pensiero levinassiano, nella
pagina filosofica di questo grande ebreo- lituano si addensa la sterminata
tradizione salmistica. Per questo motivo riteniamo che sia illuminante la
citazione del Salmo:
"Chi ci fara' vedere il Bene?
Segnata su di noi, Signore, la luce del Tuo volto".
Il volto incarna, nella sua concretezza, la gloria della trascendenza sino a
portarne nel suo porsi all'altro il significato, o meglio il segno, fino a
irrompere come evento epifanico. Il Bene e' dato nell'eccedenza di se' che
non ha altro ed entra nel mondo con la nudita' di un volto che ne dice la
luce; per questo Levinas puo' dichiarare eccomi in nome di Dio andando verso
i volti che ne indicano la traccia. Una cifra kenotica ed una cifra
escatologica dominano questo pensiero che, per parafrasare Blaise Pascal,
non puo' dormire, ma deve vegliare finche' l'alterita' dell'altro e la sua
verita' perseguitata abbiano una dimora; ed ecco il ricorso all'ethos che
sovverte ogni metafisica ontica e che, pregno di questo au dela' si fa vera
metafisica.
Come afferma Levinas in un passaggio dell'intervista a Philippe Nemo su
Ethique et Infini: "Questo sguardo che supplica ed esige, che supplica
perche' esige - privato di tutto perche' avente diritto a tutto, che si
riconosce donando... Questo sguardo e' in modo preciso l'epifania del volto
come volto. Il volto e' dunque nudo e denudato, l'incontro vero e profondo
non sta nella 'impassibile contemplazione', ma in una recezione attiva e
responsabile che trascorra tutte le tappe che abbiamo segnalato, dal rigore
del linguaggio serio, all'accoglienza etica che esso comporta,
all'inviolabilita' del suo essere nudo, non truccando nulla perche' si
tratta di un positivo nudo originario, donando 'amore attivo' nella misura
stabilita dalla sue esigenza e dalla sua indigenza" (14).
Tuttavia questo sguardo che supplica ed esige rinvia alla gloria
dell'infinito ed alla sua epifania nel mondo, da questo punto di vista
l'etica qua philosophia prima sottende una funzione escatologica, una
nostalgia di perfetta giustizia che rende la ragione capace di ravvisare nel
limite che la pone dinanzi all'Altro l'epurazione dalla sua tentazione di
essere ragione strumentale: la nudita' del volto entra legittimamente nella
filosofia non come presupposto sistematico ma come riconoscimento di una
gloria che si riconosce nella misura del dono, e che, quindi e' sempre nel
mondo come tutt'altrimenti.
Etica come teoria del volto dunque, e' per questa via che passa l'idea
dell'infinito nel suo tradursi in riconoscimento responsabile dell'altro, ed
e' per questa via che il Bene diviene fondante se pur assolutamente altro
rispetto ad ogni principio di fondazione che indica un regressus ad
infinitum.
Essa si compone di quattro tappe, dal destarsi dell'altro, alla presa sul
serio della sua indigenza in una responsabilita' libera da ogni retorica,
alla presa in atto di questa convocazione della nudita' concreta,
dell'estraneita' e della sua pena, che non solo sottolinea che non si puo'
che arrivare in ritardo, ma esprime anche la ferita di un pensiero mai in
pari con se stesso, un pensiero che e' figlio di questa stessa poverta' del
tempo, ma proprio per questo capace di vegliare. Su questo punto in
particolare si consuma il debito con Rosenzweig e con la sua filosofia
dell'anticipazione dell'eschaton, la cui verita', insieme implorata ed
operata vanifica come totalitario e violento ogni tentativo di adequatio.
*
3. Il tempo dell'altro ed il tempo con l'altro
Il volto e' entrato nel mondo, entra nel mondo e sancisce la sua esigenza di
giustizia, sua esigenza piu' propria nella sua nudita', e gia' rinvio a Dio
che s'innalza nella sua suprema e ultima presenza come correlativo della
giustizia resa agli uomini. Per questo convoca e dice della soggezione del
soggetto fino alla sostituzione per l'altro. Esso sancisce la deposizione
dell'io. Rompendo ogni reciprocita' in virtu' del primato della
responsabilita' che diviene espiazione e, in un certo senso, anticipazione
messianica, secondo una suggestiva intepretazione della pagine profetiche di
Isaia, il volto esige altresi' una ricomprensione del tempo.
Qui e' opportuna una sosta: con Levinas abbiamo superato il concetto di una
verita' ontica, si sta consumando un'uscita dall'essere, come si ravvisera'
da una grammatica ed una semantica filosofiche affatto nuove, sempre sul
limite fra Atene e Gerusalemme; ora e' anche il tempo ad assumere un altro
valore filosofico.
Gia' Heidegger, grazie al debito con Agostino da un lato e con la
fenomenologia del suo maestro Husserl dall'altro, aveva elaborato
un'ermeneutica della temporalita' come fondamentale dell'esistenza fra
anticipazione e ripresa che contrassegna l'istanza dell'autenticita', e
certamente Levinas rende onore alla genialita' heideggeriana, a lui preziosa
nella lettura di Husserl, ma nel suo pensiero la temporalita' e' ancora di
piu' che la memoria e l'attesa, essa e' diacronia. La temporalita' non e',
percio', l'orizzonte dell'essente, ovvero semplice presenza, ne' la
degradazione dell'eternita', ma relazione con l'Infinito che non si lascia
comprendere dall'esperienza umana nel suo tentativo di riduzione.
Sara' utile soffermarci su tale concetto di diacronia che introduce nel
tempo l'altrimenti essere della relazione, ma l'analisi sembra piu' efficace
se ci si avvarra' della via negationis.
Una prima tappa e' costituita dall'opposizione che Levinas individua fra il
presente-presenza e l'altro. Come afferma nel suo Il tempo e l'altro, dopo
aver indicato come l'esistente sia un'ipostasi all'interno dell'anonimo il y
a dell'esistere e come per questo motivo esso parta da se' e ritorni a se',
"L'evento dell'ipostasi e' il presente. Il presente parte da se', meglio
ancora e' l'atto di partire da se'. Nella trama infinita senza inizio ne'
fine dell'esistere esso e' lacerazione. Il presente lacera e riannoda;
comincia. E' il cominciamento per eccellenza. Ha un passato ma sotto forma
di ricordo, ha una storia ma non e' la storia" (15).
La lacerazione che il presente compie nel suo riannodare somiglia ad una
dialettica dell'io e del se' che non appartiene alla storia, quanto invece
all'esistere come nuda ipostasi, fenomenologia nuda ove si perde gia' nel
primo cominciamento la storia che e' un cominciare qualcosa con se stessi in
una insonne apertura all'altro, perche' nell'evento della temporalita'
inteso come possibilita' dell'altro e della relazione con lui si esperisce
il proprio esser gia' dato a se' fenomenologico in un passato che e' oltre
il ricordo, anteriorita' avanti la mera cronologia, diacronia per l'appunto,
per usare la terminologia levinassiana che poggia sulla tensione fra
anticipazione ed escatologia, fra finitudine dell'esser-ci ed infinito che
costituisce apertura tout court. Se in Heidegger l'essere e' tempo, in
Levinas, cosi' come nel pensiero ebraico della cui fonte Levinas e'
debitore, il tempo accade, e' addirittura evento; per questo non e' adeguata
l'immagine del contenitore dei fenomeni; avanti che forma pura della
sensibilita' e costituente delle sue condizioni cognitive, il tempo e' senso
stesso dell'esser-ci nel suo orientamento all'ek-stasi di se', nel suo
realizzarsi mediante la relazione.
Nuova grammatica della filosofia e suo nuovamente interpretato paradigma, il
tempo non si da' entro il puro orizzonte concettuale dell'essere presente.
Gia' Kant insegnava che l'essere presente e' bloss die Position (16),  mera
posizione di una cosa o di una determinazione di essa, quindi soggetto alla
cattura concettuale di stampo egologico; qui invece ci si trova dinanzi al
tempo come parola della relazione, che, ebraicamente, ha la colorazione del
comandamento, sancito dal maestro di giustizia. Tu non ucciderai.
In ogni caso, l'uso del futuro in un imperativo che sembra inaugurare una
diversa topologia dell'etica umana, dice gia', qui ed ora, di un evento
della parola possibile perche' l'altro che sta dinanzi (non gia' in un
gegen-stehen) significa non solo il suo heute storico, ma in primis
l'Alterita' di uno jetzt trasversalmente afferrato, possiamo dire, ossia
nella sua traccia che lascia, come gia' insegna il paradigmatico episodio di
Giacobbe sullo Jabbok, con una domanda ed un impegno. Si tratta di una nuova
istituzione del mondo inteso nella sua possibilita' di rapporti con l'altro,
di un accadere della giustizia, nel comandamento, che connota la
temporalita' di escatologia.
Quindi, per riprendere la densa pagina di Agostino che pone la riflessione
sul tempo, non e' possibile definire la temporalita' perche' essa non si
risolve nella cattura concettuale; la comprensione del tempo puo' darsi solo
sullo sfondo di un accadere etico che rimanda all'immemoriale istanza del
Bene, e che pur non temporale, rinvia alla temporalita' umana convocandola
all'altro. Ma questo ci obbliga ancora a tornare alla componente
grammaticale, che e' gia' istanza filosofica. Il senso escatologico rivela
il futuro nel presente della relazione, ma svela altresi' il senso del
passato che intesse la condizione dell'esistenza convocata alla
responsabilita'. Per questo in Levinas la temporalita' reca sempre la
colorazione di un ad-dio.
Levinas afferma dunque: "L'ipostasi del presente, d'altronde e' solo un
momento dell'ipostasi; il tempo puo' indicare una relazione diversa fra
l'esistere e l'esistente. Esso ci apparira', appunto, in seguito, come
l'evento stesso della nostra relazione con altri (autrui) e ci permettera'
di approdare, cosi', ad un'esistenza pluralistica, che supera l'ipostasi
monistica del presente" (17).
Connettere l'alterita' al tempo significa gia' interruzione: interruzione
sia del paradigma egologico, odisseano, il cui cominciamento con se'
coincide inesorabilmente con l'approdo in se', interruzione, poi, del
monismo, carattere della razionalita' dell'occidente, che enfatizza l'io nel
possesso, la dialettica dell'io come un gioco dentro di se' e con se',
l'unita' del fenomeno appreso via cognitionis nella totalita'. L'ingresso
dell'altro nella teoresi dell'occidente scuote la ragione dal suo sonno,
inducendola a scoprire nella inevitabile lacerazione il passaggio aperto ad
una visita immemoriale che capovolge il suo orizzonte di percezione e
conoscenza, ma che ne rivela la possibilita' anticipante. Si tratta ora di
ravvisare fra l'avvento dell'altro e la mutata morfologia della ragione
l'impatto fecondo esercitato da una temporalita' intesa come diacronia.
Dall'interruzione passiamo ad un vero e proprio rovesciamento. Per questo
motivo possiamo dire che la temporalita' ridisegna il paesaggio filosofico e
che la diacronia mette in crisi il modello dell'io illuso nella sua
illimitatezza, nell'immutabilita' del suo esistere, come se si potesse
parlare di un soggetto assoluto, la' dove in realta' il soggetto implica il
limite di un cominciamento.
La diacronia, al contrario, dice nel tempo la possibilita' del suo altro, fa
implodere l'io e la sua fuorviante idea di un altro come sua invenzione,
costruita negli schemi della sua immaginazione riproduttiva. Essa dice, al
contrario di una diversa prossimita' dell'altro, estraneo alla fissita'
della rappresentazione, esterno al mondo del concetto, perche non assumibile
dalla sua presa; prossimo, sic et simpliciter, ma nel modo di un'ingiunzione
e di una convocazione che riveli la salvezza della finitudine; infatti, come
dice Levinas: "La nozione dell'essere irremissibile e senza uscita
costituisce l'assurdita' intrinseca dell'essere. L'essere e' il male non
perche' finito ma perche' senza limiti" (18).
L'essere senza limiti e' come essere senza tempo se e' vero che il tempo e'
l'accadimento del e con l'altro, se e' solo nell'essere convocato dall'altro
che si ha la possibilita' di sperimentare il tempo come senso di una
finitudine capace di andare al di la' della mia morte stessa, nell'ora della
decisione responsabile.
Levinas sostiene che l'esistente, lacerato dall'il y a ipostatico ed anonimo
e' la vigilanza della totalita' cui ha il potere di sottrarsi la coscienza,
se, fenomenologicamente, essa e' coscienza del proprio essere chiamati da
autrui, ritraendosi indietro per dormire. Tuttavia crediamo che sia
possibile affermare che il poter dormire e' metafora di una diversa
possibilita' di vigilanza, quella che la fa destare dall'illimitatezza della
sua monade alla possibilita' di un'apertura. Questo risultera' tanto piu'
comprensibile  quanto piu' si associ la temporalita' a quell'evento della
grammatica filosofica che e' la lingua e che sancisce la sua possibilita'
nell'ascolto.
L'ascolto del volto, e non piu' la visione secondo il paradigma ottico
dell'occidente, sancisce un nuovo destarsi sia alla responsabilita', sia al
riconoscimento dell'altro nella sua alterita' che e' portatore di una nuova
coscienza del tempo, definibile come esteriorita'; categoria, questa, che
Levinas ama molto.
Diversamente dal tempo in quanto percezione del senso interno che cataloga
secondo il ricordo e l'attesa e che relega la coscienza ad un esodo ed
approdo in se stessa, l'esteriorita' propone una discontinuita' nella linea
cronologica del prima e del poi, per rivelare un evento kairologico del
novum e dell'inatteso in grado altresi' di ridefinire la cifra spaziale.
L'esteriorita' dice di un'alterita' indesumibile, non piu' categoria
generale, ma volto come icona di una Presenza senza presente, in quanto
an-archica, prima di ogni principio, se e' vero che il principio, secondo la
sua derivazione, sta per cio' che si afferra per primo; la quale non e' il
diverso nell'eguale della metafisica platonica, ma l'assoluta differenza che
spezza il modello soggetto-oggetto e che rende tale il soggetto nella
soggezione responsabile alla dignita' dell'altro. Essa, inoltre, non giunge
da un dove, e', al contrario, il non dove da cui prende forma la diacronia.
Attraverso questo nuovo paesaggio filosofico, che rovescia altresi' la
contemporaneita', necessaria invece nella gnoseologia di tipo dualistico, e
la reciprocita', ineludibile nel metodo dialettico, e si avvale dell'impiego
di iperboli per tentare di dire diversamente l'ingresso dell'altro nel
pensiero, superando una volta per tutte la malia dell'identita', e'
possibile ripensare, altresi', la possibilita' di una nuova metafisica in gr
ado di sviluppare con impensata fecondita' la comprensione del Bene che gia'
si era affacciato in modo deciso nella tradizione occidentale, ma che, nella
stessa, non era riuscito a sostenere la ridondanza del modello
speculativo-intellettuale.
Le parole di Levinas ci sembrano a tal proposito molto pregnanti: "Ma gia'
nello stesso ambito della relazione con l'altro che caratterizza la nostra
vita sociale, l'alterita' appare come relazione non reciproca, appare cioe'
situata al di la' della contemporaneita'. Altri in quanto altri non e'
soltanto un alter ego; e' cio' che io non sono. Lo e', non a causa del suo
carattere o della sua fisionomia, o della sua psicologia, ma a causa della
sua stessa alterita'. E', per esempio, il debole, il povero, 'la vedova e
l'orfano', mentre io sono il ricco o il potente. SI puo' dire che lo spazio
intersoggettivo non e' simmetrico" (19).
La simmetria e' l'espressione figurale della contemporaneita', l'alterita',
al contrario, viene ad interrompere tale corrispondenza per indicare un piu'
alto corrispondere. Se corrispondere ha in se' la radice di impegnarsi e
promettere, il fatto di rispondere all'altro nel senso della
responsabilita', non implica sic et simpliciter un agire nella
contemporaneita', ma un'azione che, in modo paradigmatico, vincola se stessa
alla decisione della cura per l'altro.
Pure l'interruzione della reciprocita' a favore del piu' complesso tempo
della diacronia puo' leggersi nel senso di una ricusazione della monologia,
nella quale il concetto non e' che il prodotto di una fatica dell'intelletto
con se', produzione muta, senza storia, esodo ed approdo dal soggetto al
soggetto, se pur ricco della sua conoscenza dell'ob-jectum.
Non solo, l'alterita' che irrompe indicando un'an-archia del pensiero, dice
di un oggi che vincola alla libera adesione alla responsabilita', ma dice
altresi' di un oggi in cui si riassume il presente della propria esposizione
in un irrecusabile accusativo, ecco-mi, e la coscienza escatologica di un
immemoriale indisponibile alla rappresentazione, in quanto esteriorita'
assoluta ed obliqua perche' inoggettivabile.
E' il tempo kairologico della testimonianza nella quale si gioca la
coscienza che l'altro grazie a cui non ci si sottrae dal comandamento e' il
paradigma di ogni alterita' bisognosa e degna del riconoscimento della sua
dignita', Levinas afferma addirittura, della gloria dell'infinito che porta
nella sua indigenza. Difficile non scorgere un tratto squisitamente
escatologico del suo pensiero, ove l'istanza di una nuova metafisica che sia
realmente meta ta physika e che recupera l'istanza del Bene epekeina tes
ousias si presenta nel sembiante di un'etica che cerca una tangenza con la
santita' (e qui si gioca inequivocabilmente la radice ebraica del pensiero
levinassiano) cercando nell'ingiunzione del bene da parte dell'altro
l'evidenza fenomenologica del Bene trascendente che e' segnato su ogni volto
come la luce del Volto divino mai coglibile che nella traccia, nella insonne
diaconia per l'altro.
Forse per questo il pensiero di Levinas e' attraversato da una pura passione
che riporta alla radice del patior latino, e allo stesso modo il filosofo
lituano si avvale di un metodo iperbolico che porta il linguaggio al limite
dell'indicibile e lo fa implodere nella sua insufficienza. Profezia e
filosofia si intrecciano, ma dietro questa istanza di tipo etico, ove pero'
líetica assume tutta la sua portata originale, non si puo' non cogliere una
concretezza fenomenologica ed esistenziale che invita ad un ripensamento
della politica come un dimorare ospitale sulla terra, come un abitare il
tempo nel segno di una responsabilita' per tutti i popoli. Questo non puo',
tuttavia, riproporre la necessita' di pensare ad un rapporto fra il Bene ed
i beni, laddove i secondi rinviano al primo immemoriale che la memoria puo'
solo riconoscere in un'anteriorita' in-fondata, ma che puo' anticipare come
quella forza messianica del Non-ancora.
Cosi' scrive il filosofo: "L'al di la' da cui viene il viso significa come
traccia. Il viso e' nella traccia dell'Assente assolutamente scomparso,
assolutamente passato, ritirato in quello che Paul Valery chiama 'profondo
antico, mai antico abbastanza' e che nessuna introspezione sarebbe capace di
scoprire in se'. Il viso e' appunto l'unica apertura in cui la significanza
del trans-scendente non annulla la trascendenza per farla entrare in un
ordine immanente, ma in cui, al contrario, la trascendenza si nega
all'immanenza proprio in quanto trans-scendenza sempre compiuta del
trascendente".
E ancora: "La significanza della traccia ci mette in una 'relazione
laterale', inconvertibile in rettitudine (cosa inconcepibile nell'ordine
dello svelamento e dell'essere) e corrisponde ad un passato irreversibile.
Nessuna memoria sarebbe capace di seguire questo passato a vista. E' un
passato immemorabile, e forse l'eternita', la cui significanza rigetta
ostinatamente verso il passato, e' anche questo. L'eternita' e' la stessa
irreversibilita' del tempo, origine e rifugio del passato" (20).
Levinas non parla de facto di messianismo come Benjamin, eppure, mentre si
deve confessare di incorrere ad una forzatura ermeneutica, non e' cosi'
impossibile poter individuare nell'altro come cifra della sua teoresi,
quella piccola soglia che apre all'irruzione dell'oggi messianico. La nuova
topologia filosofica che Levinas persegue e' posta alla misteriosa tangenza
con il sentiero di Isaia, quello che segna il confluire di pace e giustizia
e che reinvesta uno spazio possibile per l'etica mentre opera una profonda
mutazione morfologica nel tessuto stesso della teoresi occidentale.
Molto bene ha colto l'istanza politica del pensiero levinassiano Jacques
Derrida nel suo bellissimo Addio a Emmanuel Levinas (21) nel quale il
filosofo di origine algerina ravvisa due punti assolutamente nodali.
Il primo concerne una sorta di retournement per cui il soggetto non
corrisponde piu' al nominativo, quanto invece diviene sub-jectum, posto alla
soggezione dell'altro, ma al contempo ospite del suo essere ostaggio (22)
gia' sostituito agli altri; il secondo e' proprio la sostituzione che
prelude alla possibilita' di una assegnazione elettiva, quella del Bene per
l'appunto, che ridefinisce la relazione etica e che piegando il soggetto
alla capacita' di accoglienza ne conferma l'elezione. Cio' che in Descartes
rappresentava l'assoluta evidenza, ovvero il positum del cogito come
incontrovertibilita' del verum, in Levinas, viene assolutamente capovolto
nell'elezione come istituzione soggettiva della responsabilita' per l'altro.
Si ha de facto un diverso ordine metafisico.
D'altro canto, pero', Derrida ravvisa un nodo strettissimo fra la relazione
etica come filosofia prima e la sua efficacia messianica e politica al
contempo, aiutandoci a delineare un paesaggio filosofico la cui istituzione
si origina dalla trascendenza e dalla santita' del Bene. Alterita' assoluta
del Bene e alterita' del volto dicono di un tempo messianico che ci urge a
far rientrare a pieno titolo una riflessione sul politico.
Derrida stesso puntualizza, citando Levinas stesso, come il ritrarsi di cui
il volto porta la traccia e' visitazione che "sconnette e sconvolge, come
puo' accadere al momento di una visita inattesa, insperata, temuta, attesa
al di la' dell'attesa, certo, forse come una visita messianica, ma innanzi
tutto perche' il suo passato, 'l'essere passato' dell'ospite, eccede ogni
rappresentazione anamnesica; essa non apparterra' mai alla memoria di un
presente-passato" (23).
Il capovolgimento e' completo, e l'iperbole fa saltare il tempo grammaticale
per fissare una grammatica altra in cui il passato spinge il futuro
escatologico traendolo dall'immemoriale, e traccia il percorso di questa
visita che precedendo e' gia' dinanzi, secondo quanto e' scritto nell'Esodo,
che Mose' coglie Dio di spalle. Ostaggio di questa visitazione, il soggetto
ne e' insieme l'ospite, ma colui che e' ospitato in questo incontro gia'
oltre l'attesa, rinvia ad un'Ospitalita' pura, eccedente la
rappresentazione, coglibile obliquamente attraverso la maesta' del volto.
Dovremo tornare, qui, all'interruzione della reciprocita'; non di un
rapporto io-tu si tratta, ma di un passaggio aperto, nella relazione con
l'altro, all'ingresso di altri (Autrui), di cui l'altro e' paradigma unico
in quanto portatore dell'ingiunzione della giustizia senza misura sancita
dal comandamento.
Ecco dunque presentarsi l'istituzione di un Noi, che rinvia, a sua volta, al
tempo obliquo, sempre differito ed anticipato, dell'escatologia realizzata
nell'impossibile possibilita' di essere sostituzione all'altro, diaconia
viva che si fa carico della sua indigenza, per essere sulla traccia di Colui
che sara' presente come sara' presente, gratuita' assoluta della piu' pura
deposizione.
Ma il Noi che si istituisce nella parola dell'accoglienza e che ha un
indubbio valore escatologico, fino ad assumere una coloritura religiosa, non
e' estraneo alla possibilita' di incidenza nel politico, che - da questo
punto di vista - necessita di porre l'attenzione su come la trascendenza
santa del Bene viene all'evidenza nella sua relazione con i beni. E,
indubbiamente, la rottura totalitaria operata attraverso una filosofia prima
di stampo agatologico, implica la coscienza che si debba dare un'etica
affatto nuova, una nuova categoria del politico.
*
Note
1. Cfr. E. Levinas, De Dieu qui vient a' l'idee, Vrin, Paris 1982, trad. it.
di G. Zennaro, Di Dio che viene all'idea, Jaca Book, Milano 1997 2a ed., p.
56.
2. Ivi, p.105.
3. Cfr. E. Levinas, Totalite' et.Infini, Essai sur l'exteriorite', Nijhoff,
La Haye 1961, trad. it di A. Dell'Asta, Totalita' e Infinito.Saggio
sull'esteriorita', Jaca Book, Milano 1996 4a ed., p. 75.
4. Ivi, p. 77.
5. Cfr. E. Levinas, En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger,
Vrin Paris 1967 2a ed., trad. it. di F. Sossi, Scoprire l'esistenza con
Husserl e Heidegger, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998, p. 17.
6. Levinas ricorre in francese al termine essance (vedi Di Dio che viene
all'idea) che traduce egualmente effettuazione dell'atto d'essere e questo
ci sembra molto significativo perche' sancisce ancora meglio il congedo
dalla metafisica ontica e l'impossibilita' di entificazione del bene, che al
contrario resterebbe preso nella sua cattura se lo si continuasse a
considerare come trascendentale dell'essere o come modo del suo darsi sub
ratione primi entis, secondo quanto asserisce la Scolastica. Il Bene e'
oltre l'essere e solo in tal modo puo' aprire lo spazio ad un diverso modo
di filosofare e dire il piu' originario radicalizzando altresi' la domanda
stessa sull'essere. Troviamo qui un segno efficace della correlazione di
diverse fonti: da un lato il neoplatonismo, dall'altro il retaggio biblico.
Se ne discutera' piu' diffusamente nel corpo del testo.
7. Cfr. E. Levinas, Autrement qu'etre et au dela' de l'essence, Nijhoff, La
Haye 1974, trad. it. di S. Petrosino e M. T. Aiello, Altrimenti che essere e
al di la' dell'essenza, Jaca Book, Milano 1995 3a ed., p. 13.
8. Ivi, pp. 14-15.
9. Ivi, p. 140.
10. En decouvrant,  trad. it. cit., p. 225.
11. En decouvrant, trad. it. cit., p. 62.
12. Ivi, pp. 216-217.
13. Su questo rimandiamo senza dubbio alle puntuali analisi di J. L.
Chretien in Phenomenologie de la promesse dal titolo Le bien donne ce qui
n'a pas. Esse rappresentano un contributo prezioso al fine di leggere i loci
della tradizione filosofica dell'occidente in modo innovativo ravvisando in
essi la possibilita' di  un diverso linguaggio che superi l'ontologia
aprendo la stessa tradizione alla continua rilettura, e che pure  fornisca
un fecondo intreccio di ontologia ed agatologia.
14. Cfr. E. Levinas, Ethique et Infini, Dialogues avec Philippe Nemo, Fayard
et Radio France, Paris 1982, Livre de poche Lgf, Paris 1986, trad. it. di E.
Baccarini, Etica ed Infinito, Citta' Nuova, Roma 1984, p. 50.
15. Cfr. E. Levinas, Le temps et l'autre, Fata Morgana, Montpellier 1979,
trad. it. di F. P. Ciglia, Il tempo e l'altro, Il Melangolo, Genova 1997, p.
26.
16. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, trad. it. di G. Colli, Critica
della ragione pura, Bompiani, Milano 1967, p. 623.
17. Levinas, Le Temps..., trad. it. cit. p. 27.
18. Ivi, p. 24.
19. Ivi, p. 54.
20. Levinas, Humanisme de l'autre homme, Fata Morgana, Montpellier 1972,
trad. it. di A. Moscato, Umanesimo dell'altro uomo, Il Melangolo, Genova
1985, pp. 85-86.
21. J. Derrida, Adieu a' Emmanuel Levinas,  Edtions Galilee, Paris 1997,
trad. it. a cura di Silvano Petrosino e Marcello Odorici, Addio a Emmanuel
Levinas, Jaca Book, Milano 1998.
22. Levinas, Altrimenti, cit, p. 152.
23. Derrida, Adieu, trad. it. cit., p. 128.
(Parte prima - segue)

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Numero 30 del 22 settembre 2005