Nonviolenza. Femminile plurale. 29



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 29 del 15 settembre 2005

In questo numero:
1. Le donne brasiliane dicono si' al referendum per proibire il commercio
delle armi
2. Paola Pavese: Si'
3. Lorella Pica: Si'
4. Rachel Corbett: Il soldato Ryan. E sua madre
5. Julia Ward Howe: Proclama del giorno della madre (1870)
6. Anna Pozzi: Odile Sankara
7. Maria G. Di Rienzo: Domande
8. Daniela Nobili: L'odio quotidiano
9. Luisa Muraro: Basterebbe poco
10. Angela Ales Bello: La posizione di Edith Stein

1. EDITORIALE. LE DONNE BRASILIANE DICONO SI' AL REFERENDUM PER PROIBIRE IL
COMMERCIO DELLE ARMI
[Dal sito www.referendosim.com.br riprendiamo questo appello di donne per il
si' al referendum che il 23 ottobre chiedera' all'intera popolazione
brasiliana: "Volete che sia proibito il commercio delle armi da fuoco e
delle munizioni?"]

Come donne diciamo si' al diritto a vivere
In Brasile e nel mondo sono gli uomini quelli che piu' uccidono e piu'
muoiono uccisi dalle armi da fuoco. Ma anche le donne sono direttamente e
indirettamente colpite da questo tipo di violenza:
- nelle capitali brasiliane il 44,4% delle donne vittime di omicidio nel
2002 sono state uccise con armi da fuoco (Iser, 2005: dati Datasus, 2002).
- Nel 2004 a Rio de Janeiro 2.130 donne sono state ricoverate per ferite da
arma da fuoco (Iser, 2005: dati Datasus).
- Inoltre, sono principalmente le donne che si prendono cura delle persone
ferite da armi da fuoco, e sono principalmente le donne che garantiscono
sostegno psicologico ed economico alle famiglie e alle comunita' devastate
dalla violenza.
- Il numero delle donne che restano vedove in conseguenza di questa violenza
cresce ogni anno, e poche' le donne brasiliane guadagnano in media il 58,6%
del salario percepito dagli uomini (Ibge, 2003), questo contribuisce
all'impoverimento delle famiglie brasiliane e alla femminilizzazione della
poverta'.
*
I dati lo provano: le armi non proteggono
Le armi acutizzano i problemi come la violenza contro le donne:
- a livello mondiale dal 40 al 70% degli omicidi di donne sono commessi da
loro partners o comunque persone con cui erano in relazioni intime (Dahlburg
and Krug, 2002).
- piu' della meta' (53%) delle donne vittime di omicidi e di tentativi di
omicidio conoscevano il loro aggressore - mentre per gli uomini questa
percentuale cade al 18%. E piu' di un terzo di queste donne avevano o
avevano avuto una relazione d'amore con il loro aggressore (Iser, 2005: dati
delle Delegazioni Legali di Rio de Janeiro tra 2001 e 2005).
- In molti casi gli autori di stupri non sono degli estranei. Nello stato di
Rio de Janeiro, secondo i dati raccolti tra il 2001 e il 2003, il 48,8%
degli autori di stupri erano conosciuti dalle vittime (Cesec, 2005).
*
Le armi causano incidenti, particolarmente con i bambini in casa
- Ogni giorno tre bambini (di eta' da 0 a 14 anni) sono ricoverati in
ospedale per lesioni provocate da armi da fuoco, due per motivi accidentali
e una a causa di una aggressione (Iser, 2005: dati Datasus, 2002).
- Tra i giovani tra i 15 e i 24 anni - il gruppo piu' a rischio di violenza
armata in Brasile - quasi un terzo (31%) degli ospedalizzati per lesioni da
arma da fuoco risulta ferito per causa accidentale (Iser, 2005: dati
Datasus, 2002).
*
Il disarmo aumenta la sicurezza, particolarmente delle donne
Il maggior controllo delle armi ha contribuito a far diminuire i rischi per
tutta la societa'; e la riduzione del numero delle donne morte e' il primo e
piu' significativo risultato:
- in Canada, tra il 1995 e il 2003, il tasso di omicidi eseguiti con armi da
fuoco e' calato del 15%; gli omicidi di donne eseguiti con armi da fuoco
sono diminuiti del 40% (Canadian Department of Justice, 2004).
- In Australia, cinque anni dopo l'approvazione della legge del 1996 che
praticamente proibiva la vendita delle armi da fuoco, il tasso di omicidi
eseguiti con armi da fuoco e' caduto del 50% rispetto alle vittime
complessive; in riferimento alle donne la diminuzione e' stata del 57%
(Australian Institute of Criminology, 2003).
*
Secondo i dati ufficiali le donne sono piu' della meta' dell'elettorato in
Brasile.
La decisione e' nelle nostre mani.
Il 23 ottobre diciamo si' al diritto a vivere, si' al referendum per il
disarmo.

2. 23 OTTOBRE. PAOLA PAVESE: SI'
[Ringraziamo Paola Pavese (per contatti: paolapavese at hotmail.com) per questo
intervento. Paola Pavese, nata a Roma nel 1965, e' da sempre interessata ai
temi riguardanti il rapporto Nord-Sud ed ha collaborato con alcuni organismi
non governativi in campagne di educazione allo sviluppo; conosce il mondo
della cooperazione sociale per averne fatto parte e per aver svolto su di
esso un percorso di riflessione critica; nella sua formazione e' stato molto
importante l'incontro con il buddismo. Scrive sul sito
www.antonellapavese.com]

Ho un debito di riconoscenza con il Brasile. Il Brasile mi ha mostrato
l'esistenza di un "buon senso fondamentale" dentro l'anima umana.
C'erano giorni in cui ero molto triste, accendevo la televisione, vedevo una
nuova puntata di una telenovela brasiliana e pensavo, "che cose belle
riescono a dire raccontandoti storie improbabili di ricchi e di poveri, di
fratelli che si odiano e di amanti che impiegano duecento puntate per
potersi finalmente baciare alla luce del sole".
Il Brasile e' la terra del samba, degli squadroni della morte e  dei meninos
da rua, e' la terra dei Sim Terra, e' la terra di Lula. E' la terra in cui
si costruisce la speranza ogni giorno e in cui ogni giorno si rischia di
morire, di morire di morte violenta. Ha mille facce il Brasile, ed io non le
ho mai viste da vicino, ma ogni volta che ho cercato modi nuovi di
intervenire sulla realta' e' al Brasile che ho guardato ed e' la' che ho
trovato sempre uno sguardo attento all'umano.
E quindi, non poteva che venire da questa terra un'idea cosi' semplice e
rivoluzionaria verso un cammino di pace e di speranza, di rispetto per la
vita degli esseri umani, come la messa al bando della commercializzazione
delle armi da fuoco e delle munizioni. Un'idea cosi' semplice da sembrare
velleitaria, ma che non e' altro che buon senso.

3. 23 OTTOBRE. LORELLA PICA: SI'
[Ringraziamo Lorella Pica (per contatti: lorellapic at libero.it) per questo
intervento. Lorella Pica, gia' apprezzata pubblica amministratrice, e'
impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte
iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Per ulteriori informazioni e
per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa
dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr),
tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito:
www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico,
"Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta
di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia:
c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito:
www.reteblu.org/adesso]

Ho partecipato alla marcia della pace Perugia-Assisi, con gli altri
dell'associazione "Sulla strada", insieme ai miei amici del Guatemala Juan,
Cruz, Brunemilio e Antonia. Sono quattro dei sette maestri maya della nostra
scuola nel villaggio La Granadilla che hanno avuto la possibilita' di
partecipare all'assemblea dell'Onu dei giovani e quindi alla marcia.
Durante la marcia abbiamo parlato molto e mi ha colpito il racconto di uno
di loro su una vicenda accaduta in un villaggio nel Quiche' durante gli anni
della orribile guerra civile in Guatemala.
I villaggi venivano puntualmente distrutti e le persone massacrate senza
pieta' dall'esercito. Era la politica della "tierra arrasada": bruciare la
terra intorno ai guerriglieri e distruggere luoghi e persone che potevano
essere d'aiuto o servire per nascondersi.
La maggior parte degli abitanti dei villaggi non capiva quello che accadeva
ed erano vittime di volta in volta o degli uomini dell'esercito o dei
guerriglieri.
Una volta un soldato del governo, durante un'azione cruenta di rappresaglia
rimane ferito, e gli abitanti del villaggio colpito lo fanno prigioniero.
Le donne allora lo mettono seduto in mezzo a un campo, con le mani legate
dietro la schiena, e a turno, tutte, gli parlano di come si era comportato
male, di come i suoi antenati stessero soffrendo per tutto il male che aveva
fatto, e lo esortano a pentirsi della violenza che aveva fatto circolare nel
mondo, e poi gli chiedono di promettere di non comportarsi pii' cosi' nei
confronti dei fratelli.
Cosi' per tutta la notte e poi lo lasciano libero.
*
Ecco, questo semplice racconto mi ha fatto riflettere, anche sul referendum
in Brasile.
Dobbiamo non solo credere che sia sacrosanto votare e far votare si' a
questo referendum, ma soprattutto riscoprire la forza del dialogo, del
convincimento, dell'esempio, della fede nell'amore che salva.
Quelle donne hanno potuto comportarsi cosi' per la fede che avevano nella
forza della nonviolenza, e non hanno pensato alle armi perche' sapevano che
l'uso di queste avrebbe aggiunto violenza a violenza in un vortice mortale.
Hanno creduto che l'esempio di amore, di tolleranza e accoglienza avrebbe
sconfitto il male che c'era nell'uomo e lo avrebbe salvato.
Ecco, io credo che con questo cuore dovremmo votare e far votare si'
all'abolizione del commercio delle armi cominciando dal Brasile e in tutto
il mondo.

4. MONDO. RACHEL CORBETT: IL SOLDATO RYAN. E SUA MADRE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Rachel Corbett. Rachel Corbett, giornalista indipendente, fa parte dello
staff di "Women News", vive a New York]

"Era venerdi', ed il messaggio fu lasciato nella mia segreteria telefonica a
mezzogiorno", racconta Rachel Normandy, madre di Ryan, un soldato che si
trova in Iraq. "Era qualcuno dell'esercito, ma chiamava dalla Germania.
Tutto quel che il messaggio diceva era di richiamare al piu' presto
possibile".
Ventiquattr'ore d'ansia piu' tardi, Rachel apprese che il figlio era stato
ferito da una bomba esplosa in un attentato suicida nel sud dell'Iraq, dove
Ryan era di stanza con la Prima Divisione. "Mi sono sentita come se il
sangue venisse succhiato via dal mio corpo", mi dice al telefono dalla sua
casa di Cupertino, in California, "Aveva schegge di shrapnel infilate nel
cervello. Era ustionato sulle braccia, sul collo, sul viso, sulle mani. I
suoi polsi erano rotti. C'era un buco nella sua guancia sinistra, e lo
shrapnel gli aveva perforato l'occhio". Rachel comincia a soffocare nelle
lacrime, mentre aggiunge: "Ha perso l'occhio destro".
La madre di Ryan ha lasciato il lavoro da impiegata all'aeroporto ed ha
passato tutto l'anno scorso in un ospedale del Texas, con suo figlio. Il
sostegno di altre madri, dice, l'ha aiutata ad attraversare questo periodo.
*
Erano le Blue Star Moms (Mamme della stella blu) di San Francisco, un gruppo
che si e' formato poco dopo l'11 settembre fra madri che hanno figli e
figlie nelle forze armate. Solo il poter parlare con loro, dice Rachel
Normandy, e' stato vitale per lei.
Oltre a dare aiuto alle altre madri, le Blue Star Moms stanno investendo
incredibili energie nel tentativo di ottenere il ritiro delle truppe
dall'Iraq.
E vi sono molti altri gruppi, di madri o di donne, impegnati in questo
sforzo: Another Mother for Peace (Un'altra madre per la pace), per esempio,
che fu fondato nel 1967 per porre fine alla guerra in Vietnam ed e' molto
attivo tuttíoggi, o Code Pink (Codice rosa) le cui associate, vestite di
rosa, sono assai visibili alle manifestazioni di protesta contro la guerra.
Numerose aggregazioni si rifanno al manifesto per la pace di Julia Ward Howe
del 1870, il "Proclama della festa della mamma". Un altro gruppo di madri,
le Mainstreet Moms, assieme ad una coalizione di associazioni, hanno
lanciato la campagna "Lascia in pace mio figlio!", il cui scopo e' educare i
genitori affinche' impediscano ai reclutatori dell'esercito di arruolare i
loro ragazzi.
Gruppi similari, come il "Comitato delle madri dei soldati" in Russia,
esistono in tutto il mondo. Il Comitato della madri russe riusci' a far
rimandare a casa 180.000 soldati dall'esercito nel 1989. Cinque anni piu'
tardi queste madri andarono in Cecenia e si ripresero i figli da sole.
*
Numerose madri attiviste americane hanno trovato una leader in Cindy
Sheehan, il cui figlio e' morto in Iraq, e che ha passato l'agosto fuori dal
ranch del presidente Bush per chiedergli spiegazioni al proposito. Oggi,
mentre il paese osserva il quarto anniversario del disastro dell'11
settembre, parte degli eventi in programma includono il viaggio che Cindy
sta compiendo, e che attraversera' 26 stati. Il tour si chiama: "Portiamoli
a casa subito". Chiunque accompagna Cindy Sheehan in questo viaggio ha
persone care in Iraq e si e' preso l'impegno di parlare in pubblico e di
fare pressione sui politici. Il tour terminera' a Washington, dove dal 23 al
26 settembre si terranno manifestazione e marce contro la guerra, letture e
veglie. Le previsioni dicono che i manifestanti dovrebbero essere molte
migliaia.
Una ricerca del 2004, effettuata dal Pentagono, ha scoperto che l'81% dei
giovani militari maschi e femmine ha ricevuto una forte opposizione materna
alla decisione di arruolarsi nell'esercito. Il reparto "Ricerche di mercato"
del Dipartimento della Difesa ha subito lanciato un programma, in cui sono
coinvolti 270 esperti, per studiare il fenomeno: il programma si chiama
"Studio dell'attitudine materna" e cerchera' di valutare i fattori che
inducono le madri a scoraggiare i figli dall'arruolarsi.
*
Nel frattempo, i reclutatori militari hanno cominciato a rivolgersi anche ai
genitori, oltre che ai giovani. Un manualetto dell'esercito suggerisce per
esempio ai reclutatori di intrufolarsi nelle scuole ove vi siano eventi
sportivi, o dove si celebri il retaggio ispanico o africano, perche' in
queste occasioni si puo' convincere anche i genitori presenti. Il manuale
suggerisce inoltre di presentarsi alla guida di un fuoristrada,
preferibilmente con persone appena arruolate, e di riferirsi ad esse come ai
"futuri soldati".
Da aprile, le tv statunitensi presentano una serie spot pubblicitari
dell'esercito, strutturati come conversazioni fra genitori e figli. Gli
annunci enfatizzano "benefici" quali i soldi per il college e la disciplina.
In una di queste pubblicita' si vedono un figlio e una madre a colloquio. Il
ragazzo informa la madre di aver trovato il modo di pagarsi gli studi.
Interessata, la madre dice: "Vaí avanti". Preparato alle obiezioni, il
figlio risponde: "Prima che tu lo chieda, mamma, ho gia' valutato tutto.
Posso essere addestrato in qualsiasi campo io voglia. E' tempo per me di
essere un uomo". Tutti gli spot, incluso questo e quelli in spagnolo,
terminano con il motto: "Aiuta i tuoi figli a trovare la loro forza".
Carol Schneider, presidente di "Another Mother for Peace", dice che gli
annunci sono per la maggior parte diretti alle donne appartenenti ai gruppi
socioeconomici svantaggiati. "Potrebbero esserne attratte, lo credo. Pensa a
cosa vuol dire poter far studiare un figlio, quando nel tuo quartiere i
ragazzini muoiono per strada nelle battaglie fra le gang".
*
E nella legge di sostegno alle scuole pubbliche c'e' l'obbligo per esse,
adeguatamente finanziato, di fornire tutti i dati degli iscritti alle scuole
militari ed ai reclutatori. Il database del Pentagono ha gia' dodici milioni
di nomi di studenti con indicazioni quali l'etnia e il grado di istruzione,
database che serve per indirizzare meglio i reclutatori. La campagna "Lascia
in pace mio figlio!" chiede tra l'altro ai genitori di obiettare a che i
dati dei loro figli vengano usati in questo modo. Sul sito web della
campagna si puo' trovare il modulo da inviare allo scopo al distretto
scolastico ed al Pentagono.
Dana Balicki, organizzatrice ed attivista di Code Pink, dice che pero' c'e'
un vero problema nel convincere i genitori: "E' che le informazioni non
saranno piu' mandate neanche ai comitati scolastici, che decidono il tuo
ingresso all'universita' o la tua carriera. Il messaggio e' chiaro: obietta
all'esercito, ed avrai obiettato ad ogni opportunita' per il tuo futuro".
*
Rachel Normandy, oggi, dice che farebbe qualsiasi cosa per poter tornare
indietro ed impedire a suo figlio Ryan di arruolarsi. "Sembra che non abbia
danni permanenti al cervello, ma le cicatrici mentali sono peggiori di
quelle fisiche. Ha difficolta' a prendere sonno, non dorme mai. In ospedale
gli davano sonniferi. Ora lui usa l'alcool". La sua voce si spezza, e fra i
singhiozzi il suo accento filippino diventa piu' evidente: "Non lo avrei mai
creduto. E' cosi' dura la vita per me. Cosi' dura".
*
Per maggiori informazioni:
- Code Pink: www.codepink4peace.org
- Leave My Child Alone!: www.leavemychildalone.org
- Mainstreet Moms: http://themmob.com/index.html

5. DOCUMENTI. JULIA WARD HOWE: PROCLAMA DEL GIORNO DELLA MADRE (1870)
[Riproduciamo questo classico testo di Julia Ward Howe del 1870, il
"Proclama del giorno della madre" (la "festa della mamma" che ebbe inizio
dopo la guerra civile, come protesta di donne i cui figli erano stati uccisi
in guerra). Julia Ward Howe (New York 1819 - Middletown, Rhode Island 1910),
filantropa, riformatrice sociale, femminista, antischiavista, pacifista,
poetessa, scrittrice; ha scritto di lei Monica Lanfranco: "Julia Ward Howe,
femminista nordamericana, nacque il 27 marzo nel 1819 a New York;
scrittrice, moglie di Samuel Gridley Howe di Boston, medico e riformatore,
dopo la guerra civile si attivo' in campagne contro la schiavitu', per i
diritti delle donne e per la fine delle guerre... Mori' nel 1910, in tempo
per evitare di vedere le due grandi guerre mondiali. Parte del suo lavoro
arriva oggi a noi perche' suo e' l'appassionato primo discorso, pronunciato
nel 1870, in occasione della Proclamazione del giorno della madre: non una
festa commerciale... l'idea originale della giornata: la protesta di donne
che avevano perduto i loro figli contro il massacro della guerra"]

Alzatevi, dunque, donne di questo giorno!
Si alzino tutte le donne che hanno cuore, sia che abbiano avuto un battesimo
d'acqua, sia che abbiano avuto un battesimo di paura.
Dite con fermezza: Non permetteremo che le grandi questioni siano decise da
forze non pertinenti. I nostri mariti non torneranno da noi con addosso la
puzza del massacro, per ricevere carezze ed applausi. I nostri figli non ci
verranno sottratti affinche' disimparino tutto quello che noi siamo state in
grado di insegnare loro sulla carita', la pieta' e la pazienza.
Noi donne di una nazione proviamo troppa tenerezza per le donne di una
qualsiasi altra nazione, per permettere che i nostri figli siano addestrati
a ferire i loro.
Dal seno di una terra devastata una voce si unisce alla nostra. Dice:
Disarmo! Disarmo!
La spada dell'assassinio non e' la bilancia della giustizia. Il sangue non
lava il disonore, ne' la violenza indica possesso.
Poiche' gli uomini hanno spesso abbandonato l'aratro e l'incudine alle prime
avvisaglie di guerra, che le donne ora lascino a casa tutto cio' che puo'
essere lasciato e si uniscano ad un grande e serio giorno di consiglio.
Si incontrino dapprima, fra donne, per lamentare e commemorare i morti.
Si uniscano poi solennemente in un comune consiglio per divisare i mezzi con
cui la grande famiglia umana possa vivere in pace, ed ognuna porti nel tempo
che mette a disposizione la sacra impronta, non di Cesare, ma di Dio.
In nome delle donne e dell'umanita', io chiedo seriamente che un congresso
generale delle donne, senza limiti di nazionalita', venga indetto nel luogo
piu' conveniente e nel piu' breve tempo possibile, in concordanza con i
propri scopi, per promuovere l'alleanza di differenti nazionalita', la
risoluzione amichevole delle questioni internazionali, il grande e generale
interesse della pace.

6. PROFILI. ANNA POZZI: ODILE SANKARA
Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente testo originariamente apparso sulla bella rivista
"Raggio", nel numero del giugno 2005.
Anna Pozzi, nata a Lecco nel 1970, laureata in filosofia, giornalista
professionista, e' redattrice e responsabile del settore Africa di "Mondo e
Missione", autorevole rivista di informazione e cultura sul Terzo mondo del
Pime; ha vissuto e lavorato in diverse parti dell'Africa, e' stata
caporedattrice di un settimanale camerunense e ha realizzato numerosi
reportages da vari paesi africani. Opere di Anna Pozzi, Storie di un
continente che rinasce, Editrice Monti.
Odile Sankara, nata nel 1964, anno dell'indipendenza del suo paese, il
Burkina Faso, e sorella del presidente Thomas Sankara (ucciso il 15 ottobre
1987), e' artista di teatro e di cinema, promotrice di cultura, operatrice
sociale, suscitatrice di consapevolezza e impegno per i diritti]

Ha un nome "pesante", di quelli che in molte parti dell'Africa continuano a
evocare una stagione di lotte e di speranze. Odile Sankara, sorella di
Thomas Sankara, il leader che segno' una breve ma intensa stagione politica
e sociale del Burkina Faso, porta nel dna quel senso di integrita' che il
fratello volle diventasse parte integrante del nome del suo Paese (Burkina
Faso significa appunto: Il paese degli uomini integri). Per il resto, non
c'e' nulla di piu' distante da lei dall'impegno politico e partitico.
Le sue competenze, la sua professionalita' e il suo impegno sociale passano
attraverso gli strumenti della cultura e in particolare del teatro. Membro
della Compagnie de Seeren (fioritura), un gruppo teatrale professionale,
Odile comincia a dedicarsi alla carriera artistica, ma con un occhio di
riguardo per la promozione dei giovani e specialmente delle donne.
"Dal 1990 - racconta mentre e' di passaggio a Milano, ospite della Libreria
delle donne - facciamo teatro rivolgendoci in particolare ai giovani.
Lavoriamo soprattutto sui racconti tradizionali del Burkina Faso, ma anche
sulle fiabe di La Fontaine, perche' ci sono elementi comuni e soprattutto
veicolano gli stessi messaggi educativi e gli stessi valori che cerchiamo di
comunicare attraverso il teatro".
Odile e la Compagnie de Seeren lavorano nelle scuole, ma non solo. Spesso le
rappresentazioni vengono allestite nei quartieri popolari per poter
raggiungere anche i molti bambini che non frequentano la scuola. L'impegno
teatrale tuttavia non le basta, e nel 1996, insieme a tre compagne, crea
l'associazione Talents de femmes (talenti delle donne). Vi si uniscono altre
attrici e oggi l'associazione e' molto attiva e conosciuta in tutto il
Burkina Faso. "All'inizio - spiega Odile - era per noi un modo di rispondere
con i fatti alle opinioni poco lusinghiere della gente. Nel mio Paese, le
donne che fanno teatro o che lavorano nell'ambito culturale o artistico non
sono ben viste, anzi, vengono considerate delle poco di buono. Questo
perche' lavoriamo molto di notte, usciamo da sole, rientriamo tardi, e
allora si pensa che conduciamo una vita scostumata. Naturalmente non e' vero
e dunque abbiamo deciso di farlo capire alla gente attraverso il nostro
lavoro e questa associazione, che oggi promuove molte iniziative
interessanti".
*
Un problema sociale
Una di questa, la piu' conosciuta, e' il festival Voix des femmes (voci di
donne), che si svolge ogni due anni ed e' giunto alla quarta edizione.
Racconta: "Per questa occasione facciamo venire nella capitale Ouagadougou i
gruppi tradizionali dai villaggi. La' le donne lavorano molto, hanno creato
gruppi di danza o canto, ma il loro lavoro resta confinato nei villaggi. E
in piu' non hanno formazione adeguata e quindi quello che fanno resta un po'
nell'ambito folcloristico. Durante il festival le facciamo venire in citta',
permettiamo loro di esibirsi, ma anche di avere occasioni formative. Per
questo si fanno esibizioni tra gruppi di citta' e gruppi rurali, in modo da
favorire uno sguardo incrociato tra i due contesti. E poi, proponiamo
momenti formativi con professori e specialisti e una tavola rotonda durante
la quale si affrontano i loro problemi".
In questi anni, e' emerso che il problema di fondo non e' di carattere
meramente artistico, ma piuttosto di tipo sociale. In un contesto ancora
fortemente tradizionale, le donne hanno pochi margini di liberta', raramente
possono fare quello che desiderano, perche' ci sono gli uomini al loro
fianco che le controllano e le sottomettono. "In passato, quando le donne,
dai villaggi, venivano al festival, c'era sempre un uomo ad accompagnarle.
Cosi' i mariti erano rassicurati perche' non si potevano lasciar andare le
donne tutte sole in citta'. Ma ancora oggi le donne non possono uscire da
sole o fare le attivita' che desiderano".
All'origine di questa situazione vi e' stata, per diverse di loro, la
mancata possibilita' di accedere alla scuola e, di conseguenza, anche se
hanno voglia di fare qualcosa, mancano degli strumenti necessari per
realizzare le loro attese. Molte sono cresciute in famiglia, aiutando la
madre e occupandosi dei lavori domestici e dei campi. Secondo Odile, le cose
stanno migliorando, perche' le bambine vanno maggiormente a scuola, ma
ancora non tutte. A questo riguardo, e' stato messo a punto un programma di
scolarizzazione femminile, e un po' alla volta, la realta' cambia in meglio.
Il problema di fondo e' che molti genitori non hanno ancora compreso
adeguatamente l'importanza dell'educazione scolastica. In certe zone, le
bambine vengono ritirate dalla scuola, perche' la mamma e' sola, ha appena
partorito e ha bisogno di qualcuno accanto che l'aiuti. Oppure i bambini,
durante alcune stagioni dell'anno, vengono impiegati per seguire il bestiame
e cosi' non possono completare il percorso scolastico. Senza dimenticare
che, frequentemente, le famiglie sono molto povere e, nelle zone rurali, non
ci sono molte scuole, per cui i bambini devono fare molti chilometri per
raggiungere la piu' vicina.
*
Consapevolezza e conoscenza
Con la Compagnie de Seeren, Odile e i suoi colleghi hanno avuto la
possibilita' di lavorare con una ong canadese, che ha sostenuto le loro
tournee in giro per il paese. Un modo, questo, per sensibilizzare sui
diritti dei bambini attraverso il teatro, toccando temi molto delicati:
dalle mutilazioni genitali femminili ai matrimoni forzati, dalla salute
all'educazione, all'acqua potabile, ecc. Generalmente, la gente risponde
bene a questa iniziativa e dopo ogni rappresentazione segue quasi sempre un
dibattito con la gente, molte volte piu' interessante delle stesse
rappresentazioni.
Odile spiega: "I temi trattati sono molto forti e a volte ci rinfacciano il
fatto che noi veniamo dalla citta' per dare delle lezioni. 'Noi - dice la
gente - sappiamo perche' diamo le nostre figlie in matrimonio, non vogliamo
che escano con uno qualunque, che non ascoltino piu' i loro genitori e
magari rimangono incinte. Noi preferiamo darle in moglie a un amico che ci
ha fatto del bene e al quale restituiamo del bene'. Quando dicono queste
cose, hanno ragione nel loro contesto, ma io cerco di farli riflettere
aprendo un poco i loro orizzonti. 'E se vostra figlia non ama l'uomo che
avete scelto per lei? Se non e' d'accordo? E poi perche' non la mettete al
corrente, non chiedete la sua opinione e il suo consenso, ma la date in
sposa come se fosse un oggetto?'. Oggi ci sono ragazze che preferiscono
fuggire, andarsene via, nonostante le difficolta' gravi che incontrano, pur
di non finire in moglie a un uomo sconosciuto, spesso molto piu' vecchio di
loro. Queste cose vanno discusse e noi cerchiamo di stimolare la riflessione
attraverso il teatro".
Poi c'e' l'altra grande e grave questione relativa alle mutilazioni genitali
femminili. Da qualche anno e' stata lanciata una campagna a livello
nazionale per debellare questa pratica disumana ed e' stata approvata anche
una legge che punisce con la prigione e un'ammenda coloro che la praticano.
Molte l'hanno abbandonata pubblicamente, ma c'e' ancora chi opera di
nascosto ed e' necessario fare un grande lavoro per cambiare innanzitutto le
mentalita'. "Da noi - dice Odile - queste pratiche non hanno niente a che
vedere con la religione. Fanno parte di una tradizione, che e' ancora molto
forte. Si e' sempre fatto cosi' e non si discute; o lo accetti e lo fai o
non lo fai ma lo rispetti. E' qualcosa che nel tempo ha assunto un'aura di
sacralita', ma in realta', se si scava a fondo, si scopre che all'origine
c'e' l'interesse da parte degli uomini di dominare la donna, di
addomesticarla".
Contro queste pratiche e contro altre forme di discriminazione lottano le
donne di Talents de Femmes, facendo valere innanzitutto i loro diritti,
difendendo la loro reputazione di donne artiste, e promuovendo
l'emancipazione di altre donne. "Oggi la gente vede il lavoro che facciamo,
l'impegno che mettiamo e ci apprezzano, ma questo non impedisce che ci sia
anche un altro sguardo. Per esempio, io ho quarant'anni e non sono sposata,
cosa inaudita per la nostra societa' e anche per gli uomini, che mi guardano
con sospetto. L'importante e' continuare a crederci, avere una forte
motivazione come anche l'ambizione e il coraggio di andare avanti".
Un coraggio, il suo, che e' radicato nella cultura e nella tradizione a cui
appartiene, ma che si nutre anche delle esperienze che in questi anni ha
maturato in Europa e in particolare in Francia, dove dirige un laboratorio
teatrale. "Qui ho imparato innanzitutto che l'ignoranza rende schiave le
persone e che se hai un'educazione, se possiedi il sapere, allora puoi
scegliere nella vita, puoi scegliere la tua vita. Questo voglio trasmettere
e condividere con le mie connazionali, per una maggiore consapevolezza dei
nostri diritti, e per essere finalmente libere".

7. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: DOMANDE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

L'ambasciatore statunitense all'Onu, John Bolton, ha proposto un'alterazione
quasi totale del documento che fa riferimento agli obiettivi di sviluppo per
il millennio (Millennium Development Goals). Nello scorso aprile, tutti i
191 stati membri dell'Onu si erano accordati su tali obiettivi, che
comprendono la promozione dell'eguaglianza di genere ed il miglioramento
delle cure sanitarie per la maternita', e sul loro raggiungimento entro il
2015. La richiesta ha sbalordito, a dir poco, gli altri delegati, ed e'
interessante il commento di quello cinese, Zhang Yishan: "Il piano
alternativo proposto da Bolton ha troppi distinguo. Ed allo stesso tempo e'
semplicissimo, dato che loro (gli americani) hanno deciso di cancellare
tutto". Fra le centinaia di scempiaggini proposte da Bolton, c'e' la
richiesta di rimuovere dal documento gli obiettivi usciti dalla Quarta
Conferenza Mondiale sulle Donne di Pechino del 1995 (fra cui la lotta alla
poverta' e all'aids, e l'impegno per l'eguaglianza delle donne), e sarebbe
gia' abbastanza, ma fra esse vi e' anche, clamorosa per indegnita', la
richiesta dell'eliminazione della Commissione Onu per i diritti umani.
Nel frattempo, il Vaticano ha chiesto ai leader cattolici di astenersi dal
firmare un documento, redatto da aderenti a varie fedi religiose, di
sostegno agli obiettivi di sviluppo per il millennio. Prima del diktat
Vaticano, 194 leader religiosi lo avevano gia' firmato, ed esso sara'
presentato il prossimo 14 settembre durante il Summit Mondiale dell'ONU.
Due ingenue domandine dall'ingenua sottoscritta: quando il governo Usa parla
di democrazia e liberta', di cosa sta parlando? E quando il papa manda
messaggi a favore della pace, cosa intende?

8. RIFLESSIONE. DANIELA NOBILI: L'ODIO QUOTIDIANO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 settembre 2005. Daniela Nobili e'
ordinaria della Societa' psicoanalitica italiana. Opere di Daniela Nobili:
con Glauco Carloni, La mamma cattiva, Guaraldi, Rimini 1974, 2004]

Purtroppo molto spesso ci troviamo nella necessita' di ammettere che cio'
che ci appare disumano e' invece profondamente umano, anzi esclusivamente
umano.
Negli animali infatti l'inermita' del piccolo suscita soltanto comportamenti
di accudimento e protezione; non e' cosi' tra gli uomini.
Uno studio approfondito nella storia del figlicidio nella specie umana
dimostra quanto tempo e' stato necessario perche' i genitori trovassero
nelle leggi e nella morale un freno (sempre parziale, purtroppo) agli
impulsi di aggressivita', sadismo, appropriazione e manipolazione di figli
vissuti come una loro proprieta' a cui non si riconoscevano diritti.
Preferiamo pero' dimenticare questi dati di realta', nonostante le ripetute
smentite, e ci stupiamo ogni volta perche' in ognuno di noi e' presente una
specifica censura, una disperata negazione relativa al tabu' dell'amore
materno che pretendiamo solido, indiscutibile, non ambivalente.
E' vero invece il contrario: dentro di noi, animali conflittualizzati e
appesantiti dalla mente, i sentimenti di amore e di odio ricorrono sempre
parallelamente, non tanto contrapposti fra loro, quanto insieme antagonisti
dell'indifferenza. Ne consegue che laddove l'amore e' a livello cosciente
piu' intenso, nella profondita' dell'inconscio ribollono odi e rancori
altrettanto intensi. E quale rapporto e' piu' intenso di quello che unisce
la madre al proprio bambino? Chi ha, come lei, tanti, continui, quotidiani
motivi per odiarlo?
Se accettassimo finalmente questa naturale verita' potremmo forse aiutare
veramente una madre che provi impulsi aggressivi per il proprio figlio prima
che li agisca.

9. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: BASTEREBBE POCO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sulla rivista "Via Dogana", n. 63,
dicembre 2002.
Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita'
filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul
femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro,
sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a
Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata
in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo
Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal
Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora
nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al
progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo
coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e
Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi
sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte
della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano
1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri),
Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della
madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria,
Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato
vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista
trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita'
filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei
(da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il
profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e
nonna nel 1997".
Giulio Marcon, dirigente dell'associazionismo umanitario, e' presidente
della ong Consorzio italiano di solidarieta' (Ics) e tra i promotori della
campagna "Sbilanciamoci" per una legge finanziaria di pace. Opere di Giulio
Marcon: Le ambiguita' degli aiuti umanitari, Feltrinelli, Milano 2002; Come
fare politica senza entrare in un partito, Feltrinelli, Milano 2005]

E' un libro da leggere e che si fa leggere. L'autore si chiama Giulio
Marcon, "uno dei protagonisti dell'impegno umanitario", cosi' lo presenta la
quarta di copertina. Il libro s'intitola Le ambiguita' degli aiuti
umanitari, con un sottotitolo, piu' aderente allo scopo del libro: Indagine
critica sul Terzo settore. Si chiama Terzo settore l'economia non basata su
fondi pubblici ne' governata dalla logica del mercato e del profitto
(percio' chiamata anche non profit). Il doppio titolo rispecchia il fatto
che l'autore appartiene al mondo delle ong (organizzazioni non governative)
impegnate nella cooperazione internazionale e negli aiuti umanitari; di
questo sa in prima persona. Pero' s'interessa dell'economia non profit nel
suo insieme perche' c'entra con la cooperazione e perche' lui e' convinto
che sia il terreno di uno scontro da non evitare: "Bisogna far uscire il
Terzo settore dalla condizione di 'normalita'' e 'accettabilita'' cui molti
esegeti lo vorrebbero costringere". Libro di un uomo impegnato nelle cose di
cui parla, franco nelle critiche, non compiaciuto nella denuncia dei mali,
onestamente in cerca di risposte praticabili, che sa spiegare le cose e che
sa raccontarle. Spicca il racconto della missione Arcobaleno, durante la
guerra del Kosovo, con un inconfondibile ritratto della ministra Livia Turco
che manda bigliettini volti a smontare le sue oppositrici, in cui scrive "In
questi momenti odio di essere ministro".
Io l'ho letto (cosi' come ho letto un libro diverso ma non meno valido,
L'illusione umanitaria, di cui ha parlato "Via Dogana" 61) perche' questi
temi m'interessano e perche' sono colpita dai rapporti sempre piu'
squilibrati che caratterizzano la convivenza umana, in senso economico,
politico, culturale. Non sopporto che si distribuisca l'etichetta di
razzista a persone e popolazioni che sono messe in difficolta' dagli effetti
di questo disordine, e cerco di capire come vi siamo finiti e come sia
possibile uscirne. Per il comune della gente, a cominciare da me, questa
situazione da' un senso di grande impotenza da cui molti si difendono male,
con l'indifferenza o con l'ostilita'. Il mio senso d'impotenza e'
accresciuto dal fatto che, essendo piuttosto vecchia, nella mia memoria si
accumulano ricordi che risalgono alla crisi del Congo ex belga, con
l'assassinio di Lumumba, formando una lunga sequenza di speranze uccise, di
progetti naufragati, di politiche impraticabili, di guerre insane, di
occasioni perdute, che questo libro non ignora ne' sottovaluta.
"Ha una logica questa spirale perversa?", si chiede l'autore riferendosi
agli aiuti internazionali che, di fatto, aiutano i paesi ricchi e non quelli
ai quali gli aiuti sarebbero destinati. "Ancora una volta la risposta e'
si'. E' quella dei profitti e degli interessi dei paesi ricchi"; le
alternative ci sarebbero, aggiunge: "promuovere l'autosufficienza
alimentare, utilizzare il piu' possibile le risorse locali, rivitalizzare le
societa' contadine, impedire lo sviluppo delle biotecnologie e le iniziative
predatorie delle multinazionali agro-alimentari. Proprio quello che viene
progressivamente impedito dalle politiche delle istituzioni economiche
internazionali" (pp. 46-47).
*
Ma c'e' qualcosa che m'impressiona ancor piu' dell'aggressione continua e
rapace del grande capitale alle economie e alle culture dei popoli e alla
vita stessa dell'intero pianeta. Ed e' la tendenza degli uomini europei
(compresi i nordamericani di origine europea) a intromettersi nella vita
degli altri paesi per ragioni le piu' diverse, capitalismo a parte, che
vanno dalla salvezza dell'anima, la propria o l'altrui, allo spirito di
avventura, passando per il progresso delle scienze, la salute, il turismo,
la diffusione di una idea o di un'ideologia, la liberazione dei popoli, lo
studio e la protezione di animali o di gruppi umani minacciati... Tante,
tantissime ragioni che ci portano distante dal capitalismo e perfino in
conflitto con esso, ma di cui sentiamo che gli sono imparentate come
ispirazione e di cui sappiamo che spesso gli diventano complici,
volontariamente o involontariamente.
L'autore di Le ambiguita' degli aiuti umanitari ha ben presente questa
deriva della complicita'. Mi chiedo, invece, se abbia mai pensato
all'ipotesi della parentela e se abbia riflettuto - a partire da se', ossia
da un punto di vista bene informato - su quella tendenza all'espansione
universale di se', propria della civilta' europea moderna.
Per parte mia ho cominciato a pensarci quando la tendenza ha influenzato il
femminismo. Mi riferisco, per esempio, alla politica dei "luoghi difficili",
con le sue missioni nei campi profughi, o alle donne in nero che seguono (o
precedono: non so come vanno le cose in pratica) la carovana dei giornalisti
sui teatri della guerra, o a una recente proposta di rete informatica per
intervenire prontamente nei casi di donne i cui diritti sono violati, in
ogni parte del mondo. Fino al caso di Martha C. Nussbaum, una studiosa nata
e vissuta negli Usa, specialista del mondo greco antico e quasi una seguace
di Aristotele, che un giorno si presenta sul mercato delle idee con un
libro, Diventare persone, sui diritti universali, libro destinato alla
liberazione delle donne nei paesi in via di sviluppo. (Anche di questo libro
e di questo caso "Via Dogana" ha parlato nel n. 61, pp. 9-10).
Per tentare di non essere generica, preciso che mi lascia stupefatta la
apparente facilita' con cui questi (e queste) "missionari" riescono a stare,
parlare, pensare e decidere, in contesti cosi' differenti da quello in cui
hanno imparato a parlare, sentire, comportarsi, e per giunta spesso contesti
segnati da grandi problemi e grandi sofferenze. "Ma come fanno?" mi chiedo
io che, se non mi sento in contatto di piacere, almeno un filo, con l'altro,
perdo il contatto con me stessa. E tendo a pensare che, in queste perdite
che non fanno problema, perdita del contatto e perdita del contesto, vi sia
anche qui una radice di disordine.
*
Riflettendo sulla complicita' con le politiche dei paesi piu' potenti, per
quel che riguarda specialmente le ong italiane, Marcon suggerisce la strada
di un possibile rinnovamento. Una volta fatta la scelta impegnativa (e
dolorosa) di autoriforma, basterebbe poco, scrive, dando una serie di
indicazioni pratiche, come un minimo di autofinanziamento, una presenza
assicurata di volontari anche nei ruoli direttivi, la rinuncia al gigantismo
imprenditoriale, con relativi stipendi, e, soprattutto, il collegamento con
i movimenti sociali (p. 55). E' veramente poco? A me pare di no, ma non sono
in condizione di giudicare, tanto piu' che lo stesso Marcon, piu' avanti,
scrive che forse non basterebbe e che forse ci vuole una specie di
"rivoluzione culturale", senza fermarsi a precisare meglio. Nelle
conclusioni, per evitare quelle che qui egli chiama le degenerazioni della
corsa al centro (ma si tratta sempre della deriva della complicita'), Marcon
torna, per cosi' dire, a minimizzare e parla di "tanti piccoli
accorgimenti". Segue la lista che ormai sappiamo, con una novita', la sex
balance, cosi' la chiama, senza virgolette ne' corsivo, spiegando che
consiste nel dare alle donne e agli uomini le stesse opportunita' e
responsabilita'.
Adesso mi diventa chiaro che si', basterebbe poco, ma non e' quello che
Marcon suggerisce. Quello che Marcon suggerisce sono rimedi solo
apparentemente pratici, quasi tecnici, e ben circoscritti; in realta'
rispondono a istanze morali che gli uomini da secoli non fanno che darsi per
poi perderle e ridarsele. Quel "sex balance" e', secondo me, la spia di un
qualcosa di elementare ma dimenticato, di cruciale ma evitato. Lo e' nella
sua stessa espressione, perche' Marcon sarebbe uno che, sacrosantamente,
irride il gergo internazionale (inglese) degli esperti, che giudica buono
soprattutto per le pseudosoluzioni da vendere in programmi preconfezionati.
Ma non in questo caso, in questo caso sembra non sapere che quella "bilancia
dei sessi" e' sovrapposta ad una contraddizione politica che non si
risolvera' senza tutto un processo di ricontrattazione dei rapporti fra i
sessi. E preferisce credere, o far credere, che si tratti di una risposta a
portata di mano, un piccolo accorgimento. Eppure si tratta del suo, nostro
essere donne e uomini che stiamo lasciandoci alle spalle una storia di
rapporti patriarcali e di ruoli sessuali, per inventare tutto o quasi,
paternita', famiglia, linguaggio amoroso, costumi sessuali, organizzazione
della vita quotidiana, e via via, fino ai confini di quel continuum che e'
una civilta'.
*
Non so che cosa pensare di questa perdurante non-risposta della cultura
politica maschile all'avvenimento della liberta' femminile, con tutto quello
che ha e avra' di dirompente per l'esistenza di ciascuno di noi in prima
persona, e per le forme della vita sociale. Sono pero' persuasa che c'entri
con quella tendenza non interrogata alla affermazione di se' in ideali di
civilta' proiettati fuori di se' sugli altri per il loro bene, poco importa
se questi altri vogliono, chiedono, sono d'accordo, condividono, oppure no.
Questa tendenza come quella non-risposta, infatti, parlano di una
difficolta' di esserci in carne e ossa nell'ordine del discorso, da cui la
difficolta' di prendere coscienza che c'e' altro da se'.
Questa si' che sarebbe una rivoluzione culturale. E in verita' basterebbe
poco, provo a dirlo. Basterebbe che tutta l'importanza che le donne hanno
nelle vite degli uomini, dalla nascita, e prima ancora, in avanti, di cui
troviamo segni di ogni tipo, sparsi per ogni dove, dall'arte piu' eccelsa
alla piu' terribile cronaca nera, ma disseminati a caso, con una specie di
perversa volonta' di non sapere, basterebbe che gli uomini ne rendessero
calmamente conto anche quando organizzano il mondo, fanno teorie, scrivono
libri.

10. MAESTRE. ANGELA ALES BELLO: LA POSIZIONE DI EDITH STEIN
[Da Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni
Messaggero Padova 1998, 2003, p. 65.
Angela Ales Bello, decana della Facolta' di Filosofia dell'Universita'
Lateranense a Roma, direttrice del Centro italiano di ricerche
fenomenologiche, direttrice della rivista "Aquinas", fa parte del comitato
di redazione di numerose riviste italiane e straniere, e' curatrice
dell'edizione italiana delle opere di Edith Stein presso Citta' Nuova; e'
tra le piu' grandi studiose del pensiero fenomenologico. Opere di Angela
Ales Bello: Husserl e la storia, 1972; L'oggettivita' come pregiudizio.
Analisi di inediti husserliani sulle scienze, 1982; Husserl. Sul problema di
Dio, Roma 1985; Husserl e le scienze, 1986; Fenomenologia dell'essere umano.
Lineamenti di una filosofia al femminile, Citta' Nuova, Roma 1992; Culture e
religioni. Una lettura fenomenologica, Citta' Nuova, Roma 1997; Edith Stein.
Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1999; Edith Stein.
patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000; Edith Stein. La
passione per la verita', Edizioni Messaggero Padova, 1998, 2003.
Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta
nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl,
pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica,
abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I
nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere
fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo
L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una
ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la
filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca
della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova;
Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione
generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte
in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta'
Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un
sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith
Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un
breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di
riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero
di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione
al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales
Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di
Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa,
Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia
di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith
Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria
Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa
Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000]

La posizione di Edith Stein puo' essere compresa solo ponendosi dal punto di
vista della ricerca della verita'.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 29 del 15 settembre 2005