La nonviolenza e' in cammino. 1011



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1011 del 3 agosto 2005

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Noorzia che non si arrende. E il secondo striscione
2. Nando dalla Chiesa: La vergogna della legge S. P.
3. Una frettolosissima lettera
4. Il movimento dell'Arca
5. Deborah Sorrenti: Alcuni recenti libri pubblicati a cura del Cemiss
6. Letture: Elena Loewenthal, Eva e le altre. Letture bibliche al femminile
7. Riletture: Sergio Quinzio, Lettere agli amici di Montebello
8. Riletture: Sergio Quinzio, L'esilio e la gloria. Scritti inediti
1969-1996
9. Riletture: Sergio Quinzio, Leo Lestigi, La tenerezza di Dio
10. Riletture: "Bailamme", Sergio Quinzio in memoriam
11. Riletture: "Humanitas", Sergio Quinzio. Le domande della fede
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: NOORZIA CHE NON SI ARRENDE. E IL SECONDO
STRISCIONE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Il biglietto fatto scivolare sotto la porta di casa di Mahmoud Shah e'
vergato in una calligrafia nitida e aggraziata: "Se non smetti di fare
campagna elettorale per Noorzia Charkhi, la tua vita e' in pericolo. Di'
anche a Noorzia Charkhi di ritirare la sua candidatura. Non ti vergogni ad
appendere al bazar manifesti che rappresentano le donne della tua
famiglia?". Mahmoud e' un cugino di Noorzia Charkhi, una giornalista
trentaseenne che lavora a Kabul.
Noorzia fa parte delle 328 donne afgane che hanno presentato la loro
candidatura per i 68 posti riservati alle donne nel parlamento nazionale e
spera di essere eletta nella sua provincia, Logar. Le elezioni si terranno
il 18 settembre 2005, e vi sono altre 237 candidate che si sono presentate
per i seggi dei consigli provinciali. "Non intendo ritirarmi, ha dichiarato
pubblicamente Noorzia, so che la mia vita e le vite dei miei familiari sono
in pericolo, la gente che ha minacciato mio cugino e me ha gia' le mani
sporche di sangue, ma voglio dimostrare che una donna e' capace di fare
queste cose".
Il maggior oppositore di Noorzia e' un suo lontano parente, anch'egli
candidato alle elezioni. In un recente raduno tribale costui ha dichiarato
che la candidatura di Noorzia e' una vergogna e che qualcuno dovrebbe
ucciderla. All'epoca del regime talebano, era un potente ufficiale agli
ordini del governatore della provincia, suo cognato, che oggi e' latitante.
"Durante il periodo dei Talebani, racconta Noozia, costui dava la caccia
alle donne per strada con la frusta in mano. In qualche modo, lo sta ancora
facendo".
*
Il riservare delle quote alle donne nei seggi ha fornito un incentivo a
sostegno delle candidature femminili, spiega Rina Amiri, una funzionaria
dell'Onu che sorvegliera' il regolare svolgimento delle elezioni. "C'e'
sostegno da parte di alcuni uomini, non moltissimo, ma molto di piu' di
quanto ci saremmo aspettate". Ci sono pero' anche le telefonate e le lettere
anonime che minacciano di morte le donne candidate qualora non si ritirino.
Nella provincia di Helmland, i funzionari dell'Onu stanno investigando su
missive che circolano promettendo 4.000 dollari di compenso a chiunque
uccida una candidata; nella provincia di Zabol, uomini armati hanno tentato
di sequestrare Zarmina Pathan, candidata alle elezioni e impiegata in
un'organizzazione umanitaria locale, mentre era alla guida della sua auto.
Non e' che il numero di candidate sia cosi' vasto, se si pensa che sono il
12% di chi concorre per il parlamento e l'8% di chi concorre per i consigli
provinciali. Nella provincia di Paktika si era candidata una sola donna,
un'insegnante di villaggio che aveva affrontato un viaggio faticoso per
registrarsi nel capoluogo di provincia, e che quattro giorni dopo lo ha
rifatto per cancellare la propria candidatura: un gruppo di pii religiosi
aveva fatto il giro del suo villaggio spiegando che quella candidatura era
inopportuna, e un bel po' di devoti avevano raccolto il messaggio ed
aggredito verbalmente suo marito.
Zobaida Stanekzai, una direttrice scolastica di 52 anni, dice che ha pochi
dubbi sul perche' qualcuno, pochi giorni fa, abbia dato fuoco alla porta di
casa sua: "Tentano di spaventarmi perche' rinunci alle elezioni. L'anno
scorso, quando lavoravo alla registrazione delle donne per le elezioni
presidenziali, tirarono una granata contro la mia casa. Ma la mia decisione
di candidarmi e' irremovibile".
*
Strano, non e' vero? Molte persone continuano a dirmi che alle donne in
genere queste cose non interessano, e alle musulmane meno che mai, loro si
realizzano nella maternita' e siamo noi ad insistere con queste ossessioni
occidentali per la parita' e la partecipazione e il voto, ed e' una vergogna
(proprio come candidarsi) non rispettare la loro cultura. Che l'Afghanistan
sia un caso a parte?
Allora andiamo in Pakistan, dove in questi giorni 170 donne rischiano la
vita per essersi candidate alle prossime elezioni. Non che
costituzionalmente non possano farlo: ma due governi regionali hanno emesso
un bando che vieta loro di candidarsi e di votare. Perche'? E' inopportuno,
"vergognoso", scandaloso. E queste ostinate resistono. Puo' essere che anche
il Pakistan sia un'eccezione.
L'Arabia Saudita non e' certamente un luogo molto favorevole alla
partecipazione femminile nelle decisioni pubbliche (perche' e' di questo che
si tratta: il poter intervenire in decisioni che interessano le vite di
tutte e tutti), e' un paese in cui, fino a pochi anni, fa per le bambine non
veniva neppure redatto il certificato di nascita: le donne commercianti
hanno fatto pressione per anni per poter votare ed essere elette nei
consigli d'amministrazione delle camere di commercio, oggi hanno finalmente
ottenuto, per la prima volta, questo diritto.
In questi stessi giorni, un gruppo di donne palestinesi ed israeliane hanno
dato vita alla Commissione Internazionale delle Donne. Dicono che vogliono
piu' donne nei luoghi dove si prendono le decisioni, piu' donne che
partecipino ai negoziati per la pace. Dicono che sono abili nel comporre le
differenze, lo dimostra il loro stesso stare insieme, e sostengono che la
Commissione sara' un veicolo per il cambiamento, un cambiamento nella
situazione di conflitto che esse ritengono di assoluta urgenza.
Bene, piu' ci guardiamo in giro, piu' sembra che alle donne queste cose
interessino. Forse, piu' che di un'ingerenza occidentale, potremmo
cominciare a parlare della necessita' di essere trattate, viversi e vedersi
come compiuti essere umani. Credo che questo bisogno sia largamente
"internazionale".
*
Il 19 luglio scorso c'e' stata una manifestazione nel centro di Baghdad.
Erano centinaia di donne, di tutte le appartenenze, compresa una dozzina di
dichiarate seguaci di Moktada al-Sadr (fondamentalista sciita), che
protestavano contro l'esclusione dei loro diritti umani dalla Costituzione
che viene preparata per il paese.
L'articolo 14 le subordinerebbe infatti alla religione, setta o gruppo di
riferimento: una donna erediterebbe o no, potrebbe scegliere il proprio
marito o no, potrebbe essere data in moglie a 9 anni o no, divorzierebbe o
no, si troverebbe in relazioni poligame o no, a seconda di cosa i saggi
uomini della famiglia decidano (mi sorge un dubbio: visto che le famiglie
irachene esistenti spesso sono "miste", ovvero il marito e' di un gruppo e
la moglie di un altro, come questa legge gestira' le eventuali questioni che
dovessero sorgere in ambito familiare?).
Naturalmente agli uomini questa discriminazione dell'articolo 14 non si
applica. Loro i diritti umani e civili li hanno incorporati e li ritengono
assoluti: diventano relativi solo se devono essere riferiti alle donne
"ìNon vogliamo leggi separate, leggi sunnite o leggi sciite, ha dichiarato
Dohar Rouhi, presidente dell'Associazione delle donne imprenditrici e
presente alla dimostrazione, Vogliamo una legge che possa essere applicata a
tutte e tutti. Vogliamo giustizia per le donne".
"I diritti umani delle donne devono essere garantiti dalla nuova
Costituzione., ha aggiunto Hannah Edwar, una delle organizzatrici della
protesta, Intendiamo incontrare il comitato costituzionale e far loro sapere
come la pensiamo". Sembra che dobbiamo prenderne atto: alle donne la
politica interessa.
Le amiche irachene mi hanno mandato le foto della protesta. "Vogliamo
uguaglianza per tutti. Vogliamo diritti umani per tutti", dice uno
striscione bianco retto dalle donne a Baghdad. "Fermate la violenza contro
le donne irachene", recita un altro. E guardando quest'ultima immagine
all'improvviso il mio cuore ha un tuffo di gioia, e sorrido fra me, e mando
a quelle due persone sconosciute un profondo pensiero d'amore. Perche' il
secondo striscione lo stanno reggendo un uomo e una donna.

2. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: LA VERGOGNA DELLA LEGGE S. P.
[Ringraziamo gli amici di "Italia Democratica" (per contatti:
italiademocratica at tiscali.it) per averci inviato questo articolo di Nando
dalla Chiesa apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 28 luglio 2005. Nando
dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario,
parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del
movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria
limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa segnaliamo
particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto, Mondadori;
La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie, Einaudi; Il
giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza (a cura di
Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini & Castoldi;
La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini perbene,
Einaudi; La legge sono io, Filema; La guerra e la pace spiegate da mio
figlio, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in forma di autobiografia
e raccordandoli con note di grande interesse) una raccolta di scritti del
padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, In nome del popolo italiano, Rizzoli.
Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di carattere
giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista contenuta
in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli]

Alla fine e' passata pure lei. Con il successo di pubblico (ossia di
senatori e ministri e sottosegretari in aula) delle grandi occasioni,
Palazzo Madama ha approvato ieri la legge ad personam piu' esplosiva tra
quelle prodotte a grappoli dalla Casa delle liberta'. E' passata la legge S.
P.: Salva Previti, Senza Pudore, Smonta Processi, Scaccia Pensieri, del
Santo Protettore. E Senza Papa', visto che l'originario primo firmatario
Edmondo Cirielli ha ritirato il suo nome dopo l'intrusione della norma
Previti, benche' le burocrazie parlamentari, con qualche crudelta', ancora
lo additino come il colpevole di una legge di cui si e' vergognato lui per
primo.
Ripetiamolo: e' una legge per abbattere i tempi della prescrizione e mandare
libero Cesare Previti dai suoi guai presenti con i tribunali della
Repubblica. E per mandare liberi insieme con lui - parola in aula del
sottosegretario Vitali, consultare il resoconto stenografico di martedi' 26,
seduta antimeridiana - altri centottantamila (180.000!) imputati all'anno.
Insomma, salvarne circa un milione in cinque anni per salvarne uno una volta
sola.
Come senso di responsabilita', e come cultura della sicurezza, e come
certezza della pena, non c'e' male davvero. E saranno coincidenze, ma se i
giorni immediatamente successivi all'11 settembre il Senato era impegnato
ventre a terra nell'approvazione del falso in bilancio, nei giorni
immediatamente successivi alle bombe di Londra lo abbiamo ritrovato
impegnato ventre a terra nell'approvazione della Salvapreviti. Anche questi
sono titoli da esibire davanti alla comunita' internazionale. Due periodi da
incubo globale, due leggi personali, due urgenze assolute: le leggi
medesime. Ma e' questa oggi, in fondo, la cifra delle nostre istituzioni
parlamentari. Ed e' bene rifletterci.
*
Perche', fra l'altro, questo e' avvenuto il giorno dopo che Carlo Azeglio
Ciampi ha firmato la legge di riforma dell'ordinamento giudiziario. E lo ha
fatto in un contesto che ora va ripassato attentamente. Diciamo subito,
dunque, che il presidente della Repubblica non poteva fare altrimenti. Ma
non perche' la legge di riforma fosse costituzionale. Piuttosto perche' si
e' trovato davanti a una inedito dilemma. Egli ha dovuto scegliere, piu'
precisamente, tra l'equilibrio politico-costituzionale del Paese (ossia la
costituzionalita' della nostra vita politica e istituzionale) e la
costituzionalita' di una singola legge. E responsabilmente ha scelto il
primo corno del dilemma.
Cio' non toglie che resti tutta intera la complessita' e la gravita' della
partita che si e' aperta nelle ultime settimane intorno al Quirinale e che
continua con la fragorosa approvazione di una nuova legge incostituzionale
come quella di ieri.
I giorni scorsi infatti sono stati segnati dagli stupefacenti attacchi della
seconda e della terza carica dello Stato contro il Consiglio Superiore della
Magistratura, organo a rilevanza costituzionale presieduto proprio dal
presidente della Repubblica.
Le ragioni sono note e sono state peraltro esplicitate dai protagonisti:
aver messo, il Csm, all'ordine del giorno la discussione del nuovo testo
della legge di riforma, attivita' perfettamente rientrante nelle sue
attribuzioni istitutive. Domanda: la seconda e la terza carica dello Stato
ignoravano forse che la legge attribuisce al Csm il compito di redigere
pareri sulle norme che riguardano il funzionamento della giustizia? E'
francamente impossibile crederlo.
Piu' sensato pensare che entrambe abbiano agito su motivazioni e spinte di
parte, temendo che il parere del Csm potesse confortare, in una qualche
misura, l'ipotesi di un secondo rinvio della legge alle Camere. E che,
essendo la riforma dell'ordinamento il cuore di un perverso e ferreo patto
di potere interno alla maggioranza - legge Castelli contro legge
Salvapreviti, appunto -, presidente del Senato e presidente della Camera non
abbiano fatto altro che condurre un attacco preventivo (quasi, si starebbe
per dire, sul filo della sovversione costituzionale) contro il Csm ma
soprattutto contro Ciampi, che con la sua firma aveva autorizzato l'ordine
del giorno contestato.
*
Tra l'altro vi e' una ragione di piu' per ritenere grave quanto e' accaduto.
Ragione che invece e' sfuggita quasi del tutto agli osservatori e agli stati
maggiori della politica.
E' infatti successo che lo stesso legislatore abbia sciolto ogni dubbio
circa la natura incostituzionale della legge. Come si sa, la scuola che
riteneva possibile un secondo rinvio (capeggiata dall'ex presidente della
Corte Costituzionale Leopoldo Elia) poggiava sulla considerazione che
l'emendamento anti-Caselli era stato introdotto nella legge dopo il rinvio
alle Camere. E che quindi la legge, almeno in quella sua parte, attingeva
una natura "nuova e diversa" da quella precedentemente licenziata.
Ebbene, subito dopo gli attacchi del presidente del Senato e del presidente
della Camera verso la coppia Csm-Quirinale, il senatore Luigi Bobbio,
relatore della legge in Senato e proponente dell'emendamento anti-Caselli,
ha nitidamente fatto sapere con pubblica dichiarazione, proprio mentre erano
in corso le valutazioni del capo dello Stato, quale fosse la ratio della
innovazione legislativa. E ha  testualmente spiegato: "(la norma) impedisce
che un magistrato con propensione a coltivare trame investigative
sconfessate dai tribunali vada alla Procura antimafia".
Ora, a parte la considerazione che il lavoro di Caselli a Palermo e' stato
coronato da centinaia di condanne definitive e nei casi piu' infuocati
(Andreotti, Dell'Utri) da nessuna "sconfessione", tali non essendo ne' la
prescrizione ne' l'insufficienza di prove ne' la condanna in primo grado; a
parte questo, dicevo, la realta' si e' venuta configurando in questo modo.
Presidenti di Senato e Camera attaccano il Csm (e con esso il presidente
della Repubblica) mentre si accinge a giudicare della costituzionalita'
della legge, passata alla Camera con voto di fiducia. Il presidente della
Repubblica non puo' non porsi il problema delle conseguenze che una sua
scelta (anche se pienamente legittima) puo' avere, in queste condizioni, sul
quadro costituzionale complessivo, tanto piu' mentre si e' aperto un
conflitto diretto con il presidente del Consiglio sulla possibile data delle
nuove elezioni politiche.
Mentre il capo dello Stato compie le proprie delicatissime valutazioni, il
legislatore, nella persona del relatore e proponente della norma piu'
contestata, invece di ammorbidire il senso della propria innovazione lo
espone nella forma piu' schietta e squadrata, spiegando a distanza che
quella e' una legge incostituzionale in quanto intenzionalmente "contra
personam". Il presidente a sua volta non puo' non sentire la sfida, riceve
la conferma che si tratta di una legge incostituzionale nella lettera e
nello spirito, ma sa anche (perche' gli e' stato fatto capire) che un suo
nuovo rinvio scatenerebbe il cataclisma proprio sul piano dei piu' generali
equilibri dell'ordinamento costituzionale.
*
Ecco la questione. Puo' un capo dello Stato essere messo nella condizione di
dovere scegliere tra queste due alternative? Quanto si e' deteriorato il
nostro ordinamento perche' questo sia possibile? Quanto sono effettivamente
salde e piu' forti del gioco politico le nostre (plurime) garanzie
costituzionali? Sta sempre piu' la politica logorando le nostre istituzioni?
Non sono domande oziose. E d'altra parte se per far finire un processo se ne
fanno finire centoottantamila l'anno, nessuno davvero puo' stare tranquillo.

3. RIFLESSIONE. UNA FRETTOLOSISSIMA LETTERA
[La seguente lettera, le cui circostanze esterne sono facilmente intuibili e
comunque prescindibili, e' stata diffusa attraverso la mailing list del
gruppo di lavoro tematico della Rete Lilliput sulla nonviolenza e i
conflitti (per contatti: glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org)]

Nel dibattito interno di quel partito si continua sovente a non capire - o
meglio: a fingere di non capire, anche da parte di persone di notevole
valore che pure avrebbero la strumentazione adeguata se solo volessero farne
uso, ma qui a mio parere c'e' una scelta a priori di non voler capire, di
non voler riconoscere - che il concetto di nonviolenza non solo designa
altra cosa dalla passivita', dall'astensione, dalla rassegnazione, dalla
fuga, dalla resa e dalla vilta', ma anzi definisce e propone proprio
l'esatto contrario di queste forme di complicita' effettuale con la
violenza.
La nonviolenza in senso proprio, nella sua peculiarita' e pienezza, e' la
lotta la piu' nitida e la piu' intransigente, la piu' concreta e la piu'
energica, la piu' consapevole e la piu' rischiaratrice, contro ogni
violenza; la lotta che della violenza tutto combatte e rigetta, anche il
riprodurla nel proprio sentire ed agire.
Se non e' questo, la nonviolenza e' polvere, ombra, nulla.
E non e' casuale che proprio il movimento delle donne sia l'esperienza
principe, la corrente calda, l'anello forte della nonviolenza in cammino.
*
Cosi' come non e' casuale che e' nella storia della presa di coscienza e
delle lotte del movimento operaio che sono state elaborate e praticate
massivamente la gran parte delle ragioni teoriche, delle metodologie
organizzative e progettuali, delle tecniche deliberative ed operative, dei
programmi economici, sociali e politici della nonviolenza; e che scelte
implicitamente ma inequivocabilmente nonviolente caratterizzino le parti a
mio avviso piu' feconde delle analisi e delle proposte d'azione marxiane (e
non solo nell'ambito della critica e della lotta contro le teorie
ingenuamente insurrezionaliste e contro le azioni ferocemente ed
insensatamente terroristiche).
I rigurgiti di piu' arcaiche tradizioni cospirative nichiliste, le frequenti
riproposizioni di disperate insorgenze luddiste (in cui certo e' presente
l'esigenza di un altro modello di sviluppo, ma che finiscono in una resa al
sistema di potere laddove non si prefiguri un'alternativa: si veda invece
come ad esempio Gandhi in un contesto di lotte che potevano dar luogo ad
esiti meramente distruttivi trovo' l'alternativa - il "programma
costruttivo" - ad esempio nella proposta dell'uso condiviso, personale e
massivo ad un tempo, del filatoio a mano come base per lo swaraj), le derive
violentiste di ispirazione soreliana, e il progetto leninista in cui
l'apparato del partito s'insedia totalitariamente sulla classe e sulla
societa', non sono ne' la corrente calda, ne' l'esperienza principale della
storia del movimento operaio; come non lo e' l'operazione burocratica e
l'impostazione positivistica della seconda internazionale che non
casualmente precipita nella catastrofe dello sciovinismo e quindi del voto a
favore dei crediti di guerra allo scatenarsi del primo conflitto mondiale.
La corrente calda e la tradizione luminosa del movimento operaio e dei
movimenti di liberazione ad esso intrecciatisi e' nella rivendicazione
intransigente e concreta della dignita' di ogni essere umano,
nell'internazionalismo che unifica l'umanita' intera in una medesima
solidarieta' (il programma politico rivoluzionario della Ginestra di
Leopardi, prima ancora che del Manifesto del '48), nel ripudio di ogni
guerra e di ogni uccisione. Tutto cio' noi qui e oggi lo chiamiamo
nonviolenza.
*
Sarebbe bene che volendo discutere di nonviolenza tutte e tutti - e massime
chi ha ruoli di rappresentanza e direzione in organizzazioni politiche - si
avesse l'umilta' di informarsi del fatto che il bel termine capitiniano
"nonviolenza" traduce unificandoli i due termini gandhiani di "ahimsa" e
"satyagraha", che hanno un campo semantico ricchissimo e certo complesso, ma
non equivocabile, banalizzabile, o peggio sfigurabile nell'esatto contrario
di cio' che significano.

4. ESPERIENZE. IL MOVIMENTO DELL'ARCA
[Dal sito http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ riprendiamo la
seguente breve nota informativa sul movimento dell'Arca fondato da Lanza del
Vasto. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli
attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato
nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a
Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram.
Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e
un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica.
Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E'
deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del
Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il
nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per
vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che
ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del
ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le
comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa
esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e
l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti:
digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese)
www.canva.org]

La nonviolenza
La nonviolenza e' un modo di fare che deriva da un modo di essere. Dire no
alla violenza, e' prima di tutto riconoscerla in noi stessi per cominciare
un cammino di trasformazione personale. E' cercare di mettere questa
nonviolenza in pratica nelle relazioni con gli altri e se possibile con
tutti gli esseri viventi e con tutta la natura.
Questo implica numerose applicazioni che vanno dalla pedagogia alla
giustizia, dall'agricoltura all'alimentazione, dalla ricerca di altre forma
di vita sociale alla preservazione della natura, dalla risoluzione dei
conflitti alla comunicazione positiva tra le persone. Per ciascuno e' un
cammino di coerenza e di unita' di vita tra il pensiero, il dire e l'agire.
Questa maniera di agire, chiamata "forza della verita'" da Gandhi, ci fa
prendere coscienza delle nostre responsabilita' e ci conduce ad un impegno
personale e pubblico di fronte alle ingiustizie e alla violenza.
Questa lotta assunta per riportare la giustizia deve essere fatta nel
rispetto dell'avversario, con dignita' ed intellligenza creativa.
*
L'Arca
Grazie a Gandhi, il concetto di nonviolenza si e' diffuso largamente al di
fuori dell'ambito religioso che ne e' il bacino tradizionale. Tutte le
religioni sono depositarie di questa ricchezza, ma l'hanno sviluppata in
maniera diversa. L'Arca si sforza di collaborare con tutte queste dinamiche
religiose, ma anche con tutti gli uomini di buona volonta' che non sono
toccati dalle forme religiose tradizionali.
L'Arca prova a vivere la nonviolenza in tutti gli aspetti della vita,
sperimenta una forma di vita indirizzata verso il servizio, la condivisione,
la riduzione dei bisogni, il lavoro su di se' e impegnandosi contro le
diverse forme di violenze. Silenzio e preghiera, lavoro, ricerca della
bellezza, canto, danza e festa sono i segni della nostra unita'.
Ciascuno trova il luogo e la forma del suo impegno nel movimento o in
comunita'.
Nelle comunita', celibi e famiglie condividono una vita fraterna di lavoro,
di servizio e di ricerca spirituale. Tutte le comunita' hanno un modo di
vita semplice. Alcune scelgono una vita rurale, lavorando la terra nel
massimo rispetto. Altre privilegiano l'accoglienza e la formazione.
Queata vita comunitaria si costruisce con l'esercizio della nonviolenza nel
quotidiano: condivisione di compiti e responsabilita', prese di decisione,
riconciliazione. In questa realta' si radica la vita di preghiera e silenzio
dove ciascuno e' invitato ad approfondire la propria religione e a
riconoscere il valore delle altre. I Compagni e le Compagne si impegnano con
i voti in questa vita fraterna, nel rispetto del cammino di ognuno.
*
Il movimento dell'Arca
E' costituito da persone che si indirizzano ai valori dell'Arca. I suoi
membri tentano di conciliare obblighi professionali e familiari con le
esigenze di una ricerca di verita' e di nonviolenza. Scelgono di condurre
una vita semplice con un orientamento al servizio e alla condivisione.
Prendono parte secondo la loro sensibilita' a diverse azioni nonviolente.
I membri dell'Arca sperimentano di vivere nel loro quotidiano una presa di
coscienza personale, nuove relazioni con il prossimo e le strutture sociali,
la messa in opera di una giustizia riparatrice, il rispetto di cio' che ci
circonda.
Non sono questi i valori sui quali edificare una societa' nonviolenta?
L'Arca si vota al servizio di questa ricerca che passa anche attraverso una
riconciliazione degli uomini e donne di differenti religioni. Questa
societa' e' da costruire con l'aiuto di tutti.
*
La carta del movimento dell'Arca in Italia
Nel cammino di ricerca di verita' che ognuno di noi sta compiendo, sulle
orme di Gandhi e Shantidas (Lanza del Vasto), noi sentiamo che il primo
passo da compiere sia quello di una conversione personale. Ci orientiamo
pertanto nel sostegno e nella verifica reciproca:
- a lavorare su noi stessi, cercando di far evolvere la nostra vita
interiore sulla base dell'insegnamento dell'Arca, per la conoscenza, il
possesso e il dono di noi stessi, dedicando un tempo della nostra giornata
alla pratica spirituale (richiamo, preghiera, meditazione, yoga...);
- a vivere concretamente il servizio e l'accoglienza nei confronti di chi e'
solo o nel bisogno;
- ad uscire dai miti sociali e scientifici cercando costantemente la verita'
nelle parole e negli atti;
- a ricercare la semplicita' di vita, dando dei segni distintivi di essa a
livello personale, nei consumi familiari, nelle tecnologie utilizzate, nelle
attivita' espressive e culturali, nei modi di vivere il tempo libero e la
festa;
- ad essere attivi nel lavoro manuale e a sostenere coloro che vivono di
questo tipo di lavoro.
*
La conversione personale e' favorita e potenziata da relazioni di comunione
che facilitano la condivisione delle esperienze. Attraverso lo sforzo di
mettere in parole le proprie esperienze comunicandole agli altri e
attraverso l'ascolto delle esperienze altrui cerchiamo di vivere
l'insegnamento non come un'ideologia, ma come un lavoro spirituale, in cui
la dimensione interiore si completa con quella relazionale, nella ricerca
della verita' e dell'unita', rispettando le diversita', incamminandoci a
vivere quella convivialita' delle differenze che sta alla base
dell'ecumenismo religioso. E' per questo che pur non vivendo in comunita',
riteniamo comunque fondamentale vivere uno spirito comunitario:
- considerando la famiglia la prima comunita' di vita;
- approfondendo la nostra tradizione religiosa con un gruppo di riferimento;
- accordandoci con i responsabili dell'Arca per tutto cio' che impegna il
suo nome, seguendone le indicazioni di vita;
- rendendoci corresponsabili della vita dell'Arca, mediante l'aiuto
reciproco, la convivialita', la partecipazione agli incontri, alle feste e
alle azioni nonviolente del movimento.
*
Caratteristica della nonviolenza e' entrare in un cammino spirituale che
lega la conversione personale a quella sociale (cioe' politica e
strutturale), il che oggi per noi vuol dire anche:
- cercare di risolvere i conflitti propri e con gli altri attraverso
l'accordo delle parti, sforzandosi sempre di capire le ragioni dell'altro;
praticando il perdono e la riconciliazione, ristabilendo una sana relazione
con se stessi, con gli altri e con Dio;
- difendere la giustizia con le armi della giustizia. Questo significa per
noi testimoniare sempre e in prima persona la verita', non delegare alle
sole istituzioni o ad altri la risoluzione dei conflitti personali o
sociali, assumendoci sempre la nostra parte di responsabilita' anche quando
non sembriamo direttamente coinvolti o "parti in causa";
- manifestare i valori della nonviolenza nel nostro luogo di lavoro;
- rispettare la ricerca spirituale di ognuno, lavorare per l'ecumenismo
attraverso un movimento specifico;
- vivere le obbedienze sociali, salvo quelle a cui obiettiamo, come
autodisciplina e autoeducazione.
*
Sentiamo che il mondo intero soffre anche a causa di strutture sociali ed
economiche che opprimono l'uomo, soprattutto il piu' debole. La nonviolenza
ha in se' la possibilita' di ispirare anche la costruzione delle istituzioni
pubbliche e la creazione di forme di convivenza diverse da quelle dominanti,
pertanto:
- cerchiamo di sostenere una comunita' di riferimento e, se possibile, di
partecipare in qualche modo alla sua vita;
- sosteniamo l'obiezione di coscienza, sia quella al servizio militare, sia
quella alle spese militari, per costruire una prima istituzione pubblica di
difesa alternativa;
- valorizziamo le economie produttive e commerciali su bassa scala che
vogliono contrastare l'attuale economia di sfruttamento dell'uomo e della
terra;
- cerchiamo di individuare nel nostro contesto territoriale, le forme di
ingiustizia sociale, ricercando il contributo che la nonviolenza puo'
fornire per la soluzione dei conflitti e per l'evoluzione del sistema in cui
siamo inseriti;
- cerchiamo di impegnarci in movimenti che lavorano dal basso e per la
rimozione delle cause originarie dei problemi mantenendo strettamente uniti
etica e politica, testimonianza e azione pubblica, direzione e servizio.
Pace forza gioia.

5. LIBRI. DEBORAH SORRENTI: ALCUNI RECENTI LIBRI PUBBLICATI A CURA DEL
CEMISS
[Dalla rivista "Scripta manent" (www.scriptamanent.net), anno III, n. 22,
luglio 2005, riprendiamo il seguente articolo di Deborah Sorrenti. Deborah
Sorrenti, studiosa di storia contemporanea, e' laureata in lettere moderne e
scienze politiche; ha collaborato con l'Istituto Affari Internazionali di
Roma ed ha pubblicato vari articoli riguardanti problematiche relative ai
rapporti fra gli Stati. Tra le opere di Deborah Sorrenti: L'Italia nella
guerra fredda. La storia dei missili Juppiter 1957-1963, Edizioni Associate,
Roma 2003]

Il Centro militare di studi strategici (Cemiss) continua la pubblicazione di
diverse interessanti ricerche sulle tematiche relative alla sicurezza
internazionale.
Altri studi, nel frattempo, sono stati dati alle stampe; prima di
addentrarci in una, seppur rapida, disamina di essi, evidenziamo come la
finalita' di queste pubblicazioni sia di rendere fruibili a tutti argomenti
di solito trattati soltanto fra gli addetti ai lavori. Infatti, la
semplicita' del linguaggio utilizzato e la relativa brevita' dei testi,
nonche' le tematiche di attualita', le rendono accessibili ad un pubblico
decisamente molto piu' vasto.  Una prima analisi e' stata gia' effettuata,
su queste stesse colonne, da Mirko Altimari (cfr. nel sito
www.scriptamanent.net).
*
Cosa pensano gli italiani sulle missioni militari
Uno dei lavori di cui parliamo e' quello di Maria Luisa Maniscalco, che
firma il risultato raggiunto dal gruppo di sociologi da lei coordinato in un
libro dal titolo Opinione pubblica, sicurezza e difesa europea (Rubbettino,
pp. 148, euro 7,50), nel quale si presenta una riflessione, peraltro
suffragata da indagini campionarie, sulla coscienza collettiva che gli
italiani hanno acquisito del concetto di difesa europea.
Nel mutato scenario post-Guerra fredda la funzione svolta dalle forze armate
e' progressivamente cambiata rivolgendosi adesso, principalmente, alla
gestione dei conflitti e alla lotta contro il terrorismo.
La ricerca, che si colloca in un ambito comparativo con studi simili svolti
contestualmente anche in Francia e in Germania, affronta le problematiche
relative al supporto reale che la cittadinanza offre al nuovo ruolo del
militare, soprattutto con il fine di individuare un linguaggio comune fra
cittadini e istituzioni per realizzare una migliore comunicazione che
favorisca l'elaborazione di un progetto sostenuto da entrambe le parti.
In particolare, ci si riferisce alle missioni di "peace-keeping" che
comportano per la nazione impegnata nelle operazioni di pace anche un
notevole sforzo economico, elemento centrale questo, specialmente per
l'Italia, dove l'attivita' all'estero e' divenuta precipua per le forze
armate, collocando il paese ai primi posti nella lista dei sostenitori delle
Nazioni Unite.
L'approccio utilizzato e' quello peculiare degli studi sociologici che
procedono per raggiungere risultati concreti focalizzandone origini e
motivazioni; per questo, gli approfondimenti analitici attuati dai
ricercatori consentono di fare delle valutazioni che vanno al di la' del
semplice dato.
Le formule di acquisizione delle informazioni, attraverso la distribuzione
di questionari e il rilevamento di interviste personali, fanno si' che il
canale di comunicazione istituitosi fra il tecnico intervistatore e il
soggetto indagato sia tale da offrire spazio all'espressivita' in senso piu'
completo anche attraverso la presentazione di domande aperte e non soltanto
di alternative di risposta predefinite.
Gli esiti finali dell'analisi scientifica condotta dalla Maniscalco denotano
un quadro ben chiaro: per quanto gli italiani abbiano confermato il proprio
tradizionale europeismo e la consapevolezza dell'opportunita' che oggi
esista un sistema di difesa integrato con gli altri paesi europei, emerge in
proposito la mancanza di una cognizione sufficientemente approfondita
dell'argomento, provocata dall'assenza, quasi assoluta, di informazione sui
quotidiani e attraverso i mezzi di comunicazione convenzionale piu' diffusi.
In conclusione, si sottolinea l'importanza di promuovere un dibattito ampio
a livello nazionale affinche' i cittadini italiani diventino spettatori
sempre piu' attenti dei mutamenti che stanno interessando l'evoluzione
dell'integrazione europea anche nei delicati ambiti della politica estera e
di sicurezza, in modo da favorire uno sviluppo piu' democratico delle
istituzioni dell'Unione Europea stessa.
*
I cambiamenti nelle famiglie di chi sceglie l'esercito
Un'analisi innovativa per il panorama italiano e' quella condotta a termine
da Mario Aldo Toscano e dal suo gruppo di lavoro a proposito delle famiglie
dei militari. Il libro, che si intitola Tra due culture. Le problematiche
della famiglia del militare (Rubbettino, pp. 130, euro 9), presenta i
risultati rilevati attraverso le interviste effettuate ai componenti delle
famiglie dei militari e a loro stessi, con la finalita' scientifica di
comprendere quali siano i problemi connessi con lo svolgimento di una tale
professione.
La specificita' dell'attivita' militare che, a causa dei numerosi
trasferimenti e delle lunghe permanenze fuori casa, ha effetti diretti sulla
capacita' progettuale a lungo termine del nucleo familiare e sulla sua
stabilita' - in un momento storico in cui le donne non rivestono piu'
solamente il ruolo di casalinghe, ma aspirano anch'esse a realizzare
compiutamente le proprie ambizioni professionali - viene studiata e messa a
confronto con l'evoluzione della famiglia.
La ricerca si fonda sulla base del concetto stesso di famiglia come nucleo
fondante della societa', specialmente in un paese come l'Italia in cui essa
ha avuto, ed ha tuttora, un ruolo catalizzatore di notevole rilevanza. Nel
contesto scientifico italiano, questa di Toscano e' un'indagine del tutto
nuova e il riferimento agli studi compiuti all'estero e' per questo molto
frequente.
Una delle ricerche piu' interessanti in proposito e' stata quella condotta
qualche anno fa negli Stati Uniti, da David Segal, che concentro' la sua
attenzione in particolare sulle famiglie dei soldati in missione di pace per
comprendere quali modifiche sostanziali richiedesse il sistema di supporto,
materiale e psicologico, che le forze armate statunitensi avevano approntato
per attenuare i disagi delle persone coinvolte.
I problemi che si presentano in un simile contesto sono di portata piuttosto
seria, si parla addirittura della necessita' di una sorta di reinserimento
del militare all'interno della propria famiglia dopo un lungo periodo di
assenza. Si verifica, infatti, che il nucleo parentale acquisisca
un'autonomia talmente spiccata da arrivare a prescindere dalla presenza del
famigliare.
Le conclusioni raggiunte dallo studio mettono in risalto il forte ritardo
degli apparati militari italiani nell'approntare strutture di appoggio,
psicologico e non solo, per le famiglie costrette a trasferirsi
frequentemente e sottolineano la necessita' di organizzare una rete di
collaborazione famiglia-organi militari al fine di mitigare il piu'
possibile le difficolta' generate dall'impegno professionale di un
componente importante per l'equilibrio familiare.
*
Manager e leader nelle organizzazioni militari
Un'altra interessante pubblicazione patrocinata dal Cemiss e' quella diretta
da Teresa Ammendola, esperta di sociologia militare, intitolata Guidare il
cambiamento: la leadership nelle Forze Armate Italiane (Rubbettino, pp. 160,
euro 8,50). Lo studio si propone l'obiettivo di analizzare l'evoluzione
della gestione manageriale all'interno dell'Aeronautica, dell'Esercito e
della Marina italiani per comprendere quali mutamenti vi siano stati
parallelamente all'evoluzione della professione militare negli ultimi anni.
Il criterio scientifico e' quello della sociologia che, individuando nelle
interviste i suoi strumenti, interpreta i risultati alla luce delle teorie
relazionali al fine di stabilire non tanto dati e quantita', quanto
piuttosto la qualita' dei rapporti umani presi in esame. Innanzitutto viene
sottolineata una fondamentale differenza fra "manager" e "leader": infatti
il primo organizza le persone mentre il secondo le orienta.
Questa diversita' di ruolo e di funzione evidenzia come quest'ultimo debba
possedere doti personali di credibilita' tali da guadagnarsi il consenso di
chi e' sottoposto alla sua attenzione.
Ma questo elemento non basta. Infatti i risultati di un buon lavoro di
leadership sono dati dalla qualita' della relazione che si instaura fra
colui che conduce e colui che viene guidato. Nel libro si trovano sviluppati
i molti aspetti relativi a tale concetto, sia esplicando una panoramica
sulla letteratura riguardante l'argomento, sia indagando su come lo stesso
si sia evoluto all'interno delle forze armate avvicinandosi sempre piu' ai
parametri civili.
Oggetto della ricerca sono stati gli ufficiali di primo livello, proprio per
il loro ruolo principalmente organizzativo, che si distingue da quello degli
ufficiali superiori che svolgono funzioni piu' precisamente di
pianificazione. Emerge come ad una visione ideale del capo, che agisce in
base all'emozionalita' e all'empatia con i suoi sottoposti, se ne accosti
un'altra piu' realistica e critica che sottolinea come vi sia una mancanza
di indicazioni precise all'interno degli apparati per la formazione degli
ufficiali. La firma alle conclusioni della ricerca e' quella di un noto
sociologo militare, Fabrizio Battistelli, che individua alcuni suggerimenti,
o soluzioni, alla questione esaminata, fornendo un ulteriore strumento di
conoscenza alla dirigenza militare.
I problemi piu' rilevanti affiorati con lo studio effettuato riguardano
sostanzialmente tre ambiti: i criteri di scelta dei futuri comandanti,
l'iter formativo fino alla laurea, la verifica periodica in corso di
carriera. Le proposte avanzate dai ricercatori indicano dei rimedi simili a
quelli applicati dalle grandi imprese: selezione dei candidati esaminando
anche la propensione del singolo alla leadership, un bagaglio formativo piu'
fattivamente mirato, il monitoraggio dell'esperienza acquisita durante gli
anni di lavoro.
Il valore di questa ricerca risiede soprattutto nell'essere innovativa, per
aver individuato come campo di indagine gli stessi militari che, pur essendo
in Italia circondati tradizionalmente da un certo riserbo, ora cominciano a
richiedere continui e stimolanti confronti con il mondo civile al fine di
cambiare e migliorare le proprie potenzialita'.
*
Terrorismo islamico e relazioni transnazionali
Gli ultimi due libri di cui ci occupiamo trattano delle questioni sorte in
seguito al grave attentato terroristico voluto da Bin Laden a New York, l'11
settembre del 2001, in seguito al quale la politica internazionale ha subito
forti scossoni e inversioni di rotta. Il lavoro di Maria do Ceu Pinto si
intitola Islamist and Middle Eastern Terrorism: a Threat to Europe?
(Rubbettino, pp. 86, euro 7,50) e affronta la questione del terrorismo
internazionale come minaccia per gli stati europei.
Nel libro si spiega come le origini del terrorismo islamico siano da
individuare nell'irrisolta questione palestinese che, unita a fattori
economici e ambientali, e' divenuta il supporto ideologico principale su cui
si fondano le azioni eversive. Inoltre l'assetto internazionale delineatosi
durante gli anni Novanta ha favorito la mancanza di un controllo delle forze
sul campo che hanno intrapreso una lotta serrata contro la globalizzazione
in difesa della loro cultura. E' noto che il principale nemico dei
terroristi siano gli Stati Uniti, ma gli europei rientrano abbondantemente
nella sfera della minaccia islamica in quanto legati agli Usa politicamente
ed economicamente.
Cio' non basta tuttavia a spiegare l'attecchimento di un fenomeno come
quello eversivo; infatti l'autrice individua nelle maglie larghe della
democrazia il terreno di coltura degli affiliati a organizzazioni come
al-Qaeda, che reclutano adepti anche utilizzando metodi di comunicazione
attualissimi come la rete web. Dalla ricerca effettuata si evidenzia che
fino all'11 settembre i paesi europei, nel loro dialogo con il Pentagono
sulla sicurezza comune, non avevano dato priorita' alla questione del
terrorismo islamico, perche' presi dalla necessita' di risolvere i problemi
che avevano con l'attivita' eversiva interna, come in Gran Bretagna e in
Spagna.
Gli attacchi terroristici che si erano verificati in passato erano stati
interpretati come manifestazioni di situazioni contingenti, quali la
condizione politica algerina, ma, nel tempo, l'Europa e' divenuta, suo
malgrado, una base organizzativa importante per il terrorismo
internazionale: tutto cio' ha contribuito a far alzare l'attenzione verso il
problema portando ad una partecipazione piu' attiva e all'arresto di molti
terroristi e affiliati.
La studiosa portoghese individua, infine, due elementi che possono
contrastare maggiormente l'avanzata delle forze terroristiche: il primo
riguarda la necessita' di elaborare fra i paesi europei una legislazione
transnazionale che faccia da supporto ai servizi di indagine al fine di
indebolire il sistema terroristico. In secondo luogo gli europei dovrebbero
continuare a partecipare alla guerra al terrorismo accanto agli Usa con il
ruolo che hanno mantenuto in Afghanistan.
*
La collaborazione tra Usa e Russia
Un altro libro del Cemiss che esamina le conseguenze politiche dell'11
settembre, firmato da Domitilla Sagramoso e scritto in lingua inglese, si
intitola Russia's Western Orientation after 11th September. Russiaís
Enhanced co-operation with Nato and the European Union (Rubbettino, pp. 68,
euro 5). In questa ricerca si evidenzia come i rapporti internazionali della
Russia di Putin siano cambiati dopo gli attentati del 2001, assumendo un
ritmo piu' accelerato nel perseguire l'avvicinamento all'Occidente gia' "in
itinere".
Vengono presi in esame i progressi realizzati su due fronti, quello della
collaborazione con la Nato e quello con l'Unione europea. Infatti il
passaggio piu' importante che si e' portato a compimento e' stato la
creazione, nel maggio del 2002, del "Nato-Russia council" all'interno
dell'organico effettivo dell'Alleanza al posto di strutture gia' esistenti
che avevano una funzione solamente consultiva.
La collaborazione con gli Stati Uniti e' pero' divenuta fattiva con
l'intervento in Afghanistan per il quale la Russia ha fornito appoggio sia
logistico sia di intelligence, mostrandosi un prezioso ponte di
comunicazione con i paesi dell'area asiatica.
Per quanto attiene alla cooperazione in ambito europeo, la situazione e'
piu' complessa a causa delle numerose differenze fra i due sistemi,
specialmente per cio' che riguarda la gestione economica. Non si puo'
affermare che i fatti di New York abbiano influito in modo consistente sulle
relazioni fra la Russia e l'Unione Europea, ma si puo' constatare che i
rapporti di scambio nell'ambito della politica di sicurezza e difesa siano
diventati piu' intensi.
L'autrice si pone la domanda se e per quanto tempo il presidente russo Putin
continuera' nella sua linea di apertura con l'Occidente per la quale gli e'
necessario un solido sostegno all'interno del suo paese. Difatti, nel
sistema politico in cui si muove ci sono forti gruppi contrari a tali azioni
di avvicinamento, come la chiesa ortodossa e i politici piu' conservatori,
ma e' anche vero che egli e' riuscito finora a portare avanti la sua
concezione di politica internazionale perche' ha cercato di procedere
rispettando gli interessi russi, evitando, cosi', forti contrasti sul piano
interno.

6. LETTURE. ELENA LOEWENTHAL: EVA E .LE ALTRE. LETTURE BIBLICHE AL FEMMINILE
Elena Loewenthal, Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani,
Milano 2005, pp. 336, euro 17. La finissima studiosa e saggista legge con
straordinaria liberta', profondita' e dolcezza, parole, volti e gesti del
testo biblico. Un libro che vivamente raccomandiamo.

7. RILETTURE. SERGIO QUINZIO: LETTERE AGLI AMICI DI MONTEBELLO
Sergio Quinzio, Lettere agli amici di Montebello, Fondazione Alce Nero,
Isola del Piano (Pesaro Urbino) 1997, pp. 94, lire 18.000. Il volumetto
raccoglie varie lettere scritte da Sergio Quinzio a Gino Girolomoni, Piero
Stefani, Theobald Kneifel, Daniele Garota, con contributi degli
interlocutori e un intervento di Patrizio Flavio Quinzio.

8. RILETTURE. SERGIO QUINZIO: L'ESILIO E LA GLORIA. SCRITTI INEDITI
1969-1996
Sergio Quinzio, L'esilio e la gloria. Scritti inediti 1969-1996, "In forma
di parole", Bologna 1998, pp. 144, lire 25.000. Aperta da un ricordo di
Gianni Scalia e da due note dei curatori Anna Giannatiempo Quinzio e
Francesco Permunian, una raccolta di estratti da lettere e appunti,
impreziosita da alcune assai belle fotografie.

9. RILETTURE. SERGIO QUINZIO, LEO LESTIGI: LA TENEREZZA DI DIO
Sergio Quinzio, Leo Lestigi, La tenerezza di Dio, "Liberal" - Atlantide
Editoriale, Roma 1997, pp. X + 78, lire 15.000. Un'ampia intervista del
1991, inizialmente concepita come base per un'autobiografia poi non piu'
realizzata; Quinzio racconta generosamente la sua vita, i suoi pensieri, le
sue opere.

10. RILETTURE. "BAILAMME": SERGIO QUINZIO IN MEMORIAM
"Bailamme", Sergio Quinzio in memoriam, n. 20, dicembre 1996, Cens, Melzo
(Milano) 1996 (ma finito di stampare nel febbraio 1997), pp. 304, lire
35.000. Un bel volume monografico con contributi di Salvatore Natoli,
Massimo Cacciari, Mario Tronti, Alessandro Barban, Pino Trotta, Fabio
Milana, David Bidussa, Edoardo Benvenuto, Stefano Mistura, Luisa Muraro,
Angelo Varesi, Erri De Luca, Emma Fattorini, Michele Ranchetti, Boghos Levon
Zekyan, e un'ampia conversazione con Quinzio di Gabriella Caramore del 1991.
Il volume reca anche in appendice (alle pp. 275-301) una utilissima
bibliografia di Sergio Quinzio a cura di Anna Giannatiempo Quinzio, Nicola
Baldoni, Calogero Rizzo

11. RILETTURE. "HUMANITAS": SERGIO QUINZIO. LE DOMANDE DELLA FEDE
"Humanitas", Sergio Quinzio. Le domande della fede, a. LIV, n. 1, febbraio
1999, Morcelliana, Brescia 1999, pp. 176, lire 20.000. Un bel volume
monografico con contributi di Maurizio Ciampa, Achille Silvestrini, Fabrizio
Desideri, Claudio Ciancio, Piero Stefani, Enzo Omaggio, Massimo Iiritano,
Gino Ruozzi; inoltre un inedito di Quinzio del 1995, e un'ampia intervista a
Quinzio a cura di Giancarlo Burghi anch'essa del 1995.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1011 del 3 agosto 2005

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