Nonviolenza. Femminile plurale. 16



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 16 del 16 giugno 2005

In questo numero:
1. Dieci anni dopo la conferenza di Pechino, un rapporto alternativo sulla
situazione italiana (parte prima)
2. Letture: Franca Rossi, Di chi e' la scuola? La partecipazione
responsabile dei bambini
3. Letture: Bianca Maria Varisco, Portfolio

1. DOCUMENTI. DIECI ANNI DOPO LA CONFERENZA DI PECHINO, UN RAPPORTO
ALTERNATIVO SULLA SITUAZIONE ITALIANA (PARTE PRIMA)
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente
documento]

"Dieci anni dopo la Conferenza di Pechino", documento alternativo a quello
del governo italiano sull'attuazione della Piattaforma di Pechino in Italia,
elaborato nel corso dell'assemblea del 2 ottobre 2004 presso la Casa
internazionale della donna
*
Il presente documento, definito Shadow Report, in quanto alternativo a
quello del governo italiano sulla attuazione della Piattaforma di Pechino in
Italia, e' stato elaborato in seguito a una decisione in tal senso assunta
dall'assemblea del 2 ottobre 2004, che si e' svolta alla Casa internazionale
delle donne, ed e' stata promossa da: Arcidonna, Candelaria, Casa
Internazionale delle donne, Caucus delle donne - Comitato romano,
Cooperativa Generi e Generazioni, Coordinamento italiano della lobby europea
delle donne, Paese delle donne, Associazione Zora Neale Huston, "con
l'obiettivo di dar vita a un rapporto 'ombra' sulla situazione italiana e su
quella mondiale, vista con gli occhi delle donne italiane".
Il presente documento, corredato da autorevoli e rappresentative firme, e'
stato inviato alla Commission on the Status of Women (Csw) in relazione alle
iniziative Onu (New York, marzo 2005) sull'applicazione della Piattaforma di
Pechino a dieci anni dalla Conferenza, alla Commissione incaricata del
monitoraggio e dell'assemblea preparatoria per le regioni dell'Europa e del
Nord America (Ginevra 14-15 dicembre) e alla conferenza immediatamente
precedente delle Ong (Ginevra, 12-13 dicembre).
Questo "Shadow Report" si compone di una premessa di carattere
internazionale, di una prima parte di analisi critica su alcune scelte
politiche del governo italiano e di una seconda parte che affronta i temi
scelti come principali dalla Conferenza delle Ong di Ginevra: Women in the
Economy, Institutional Mechanisms to Promote Gender Equality, Trafficking of
Women in the Context of Migratory Movements.
*
Rapporto ombra sulla situazione italiana a dieci anni dalla Conferenza Onu
sulle donne (Pechino 1995)
1.Premessa
"La difficile situazione nazionale e internazionale non e' riuscita a farci
dimenticare le idee delle donne su una nuova possibile convivenza globale,
emerse nel Forum e nella IV Conferenza Onu sulle donne di Pechino nel 1995.
Infatti, nonostante gli anni duemila abbiano distrutto molta parte delle
speranze emerse nel corso degli anni novanta, quelle idee risultano tuttora
valide e degne di essere realizzate e migliorate, soprattutto se vogliamo
porre una fine al regime di odio e paura che sembra essersi impossessato del
nostro pianeta. Non si puo' infatti trascurare il fatto che gli eventi
accaduti negli ultimi tre anni, dalla caduta delle Twin Towers alle guerra
dell'Afghanistan e dell'Iraq, alle ripetute stragi terroristiche degli
ultimi mesi, hanno mutato radicalmente lo scenario mondiale, trasformando in
"guerra di civilta'", quella che negli anni novanta chiamavamo
globalizzazione. Infatti, il mutamento delle forme della politica
internazionale ha costretto molte di noi, in poco tempo, ad avere una nuova
consapevolezza dei diversi livelli in cui "si fa politica" anche in un paese
come l'Italia". Situazione non facile poiche' la consapevolezza politica, di
cui parlava il testo d'invito, e' un dato contraddittorio. Infatti oggi, a
differenza degli anni '90, il movimento femminista transnazionale si
presenta in maniera segmentata e non riesce a far percepire i collegamenti e
gli incroci tra la soggettivita' femminile e il governo del mondo. I Social
forum mondiali spesso usufruiscono degli interventi delle donne - da
Arundhati Roy a Vandana Shiva a Shirin Ebadi - ma le piu' famose appaiono
avulse dal contesto politico delle donne. Non e' quindi incomprensibile come
anche all'interno delle Nazioni Unite, che dal canto loro stanno subendo una
necessaria trasformazione, le donne stiano attraversando un periodo molto
complesso, che penalizza il percorso del "Pechino + 10", cioe' la verifica
internazionale dell'applicazione della Piattaforma di Pechino nelle diverse
regioni del mondo. In questo contesto di assenza di un movimento femminista
transnazionale, e di difficolta' delle strategie promosse dalle donne, che
erano state sviluppate all'interno delle istituzioni globali nel decennio
precedente, occorre far sentire la voce autonoma delle donne ai vari livelli
in cui si determinano le regole della convivenza nel nostro pianeta. A
partire dai negoziati per il governo del territorio, fino alla discussione
sui modelli di Welfare necessari alla nostra contemporaneita', che toccano
temi quali le migrazioni, le nuove reti di solidarieta' globale e le nuove
forme di cooperazione tra Nord e Sud del mondo. Anche se la guerra e'
tornata ad assumere una legittimazione come strumento di governo del mondo e
ci fa vedere le donne come copie senza anima di una umanita' priva di senso:
al tempo stesso aguzzine e vittime di violenza, soldatesse e crocerossine
dedite ai bambini e all'assistenza. Anche se in Italia membri del Governo in
carica insistono nel considerare le donne un oggetto di tutela, relegandole
all'interno della famiglia patriarcale. Noi donne italiane, noi femministe
abbiamo voluto essere presenti nel contesto internazionale non solo per
denunciare le menzogne di un governo del mondo iniquo. Siamo consapevoli che
il passaggio di civilta' che il pianeta ha dinanzi non potra' fare a meno
del dialogo tra le infinite differenze che donne e uomini di luoghi e
generazioni diverse incarnano, ma soprattutto non potra' fare a meno del
pensiero critico della nostra differenza sessuale.
*
Parte prima: Gli impegni disattesi
I. Le istituzioni non ascoltano le donne e promuovono controriforme inique
Tutte le piu' recenti analisi statistiche (Cfr. Istat, "Come cambia la vita
delle donne", 2004) confermano la crescita della soggettivita' delle donne
italiane, che sempre piu' si affermano in tutti i campi della vita sociale e
culturale, anche se, dal punto di vista delle condizioni materiali di vita,
si registrano forti peggioramenti, le cui cause vanno ricercate nelle
culture e nelle politiche dell'attuale governo. Il documento del governo
sull'applicazione della Piattaforma di Pechino in Italia, invece, evita ogni
riferimento alla realta' delle donne nel nostro paese e si limita a un
elenco di leggi e provvedimenti che riguardano sostanzialmente l'attivita'
del precedente governo di centro-sinistra - che pero' non viene neppure
nominato. Tra questi, la Direttiva Prodi-Finocchiaro del 1997, la legge
125/1991 e il D. L.196/2000 sulle consigliere di parita', la legge sulla
conciliazione tra lavoro e famiglia n. 53/2000 e il Testo unico sulla
maternita' e sulla paternita'. Probabilmente vi e' un grande imbarazzo da
parte delle istituzioni nazionali, poiche' vi e' una sorta di rimosso
rispetto al ruolo politico delle donne. In riferimento al mainstreaming
delle tematiche di genere nelle istituzioni, infatti, il rapporto, della cui
stesura la Ministra per le pari opportunita' e' la prima responsabile, non
dice nulla. Non parla delle politiche considerate positive da questa
maggioranza, ne' tantomeno si citano quelle a nostro avviso molto negative,
portate avanti da altri ministri di questo stesso governo, come se la cosa
non riguardasse la Ministra per le pari opportunita'.
Non esiste neppure un riferimento alla legge Bossi-Fini: mentre si sostiene
l'impegno a svolgere politiche antidiscriminatorie, non si dice che questa
legge colpisce gravemente i diritti delle donne immigrate ed i suoi effetti
danneggiano irreparabilmente l'attivita' di quante/i lavorano da anni contro
la tratta della prostituzione.
Non si fa riferimento al Libro bianco sul welfare, che contiene alcune
affermazioni pericolose per la libera scelta delle donne, come quella sul
"baratro demografico" italiano da cui deriverebbe la necessita' di
incentivare la natalita' attraverso una politica demografica fatta sopra le
teste e i corpi delle donne. Non viene citata la legge sulla fecondazione
assistita, in cui per la prima volta, dopo l'approvazione della legge
sull'aborto nel 1977, si torna a parlare dell'embrione come di un individuo
dotato dei diritti di cittadinanza a scapito del corpo delle donne. Quella
legge infatti segna il culmine di una mancanza di considerazione del
protagonismo delle donne sui temi della convivenza civile e della
maternita'. Essa e' costantemente oggetto di importanti critiche, espresse
in primo luogo dai movimenti delle donne, ma anche da vari ambienti, laici e
religiosi. Il fatto che la legge determini discriminazioni tra le donne e
soffochi la liberta' di ricerca e' inaccettabile poiche' fa dell'Italia un
paese di retroguardia nel contesto europeo.
In modo analogo vanno le cosiddette riforme di questo governo realizzate nel
campo della Pubblica Istruzione e del Lavoro. Per quanto riguarda la
Pubblica Istruzione le riforme del Ministro Letizia Moratti in materia sia
di scuola che di universita', sono destinate a penalizzare le giovani
generazioni, ragazzi e ragazze. Infatti a causa dell'anticipo dell'eta' di
scelta dell'indirizzo di studi o di formazione professionale, non sono
liberi di scegliere in base ai propri desideri e risentono in misura
maggiore dell'influenza della famiglia. Per quanto riguarda il prolungamento
della precarieta' per l'accesso all'insegnamento universitario, la
popolazione femminile soprattutto ne e' molto colpita, poiche' questo
settore e' tradizionalmente importante per l'impiego femminile. Per ultimo i
tagli alla scuola a tempo pieno hanno comportato enormi problemi, in
particolare alle donne che lavorano.
Per quel che riguarda il lavoro, non c'e' collegamento tra le politiche
dell'occupazione femminile e la nuova legge 30/2003 (cosiddetta Legge
Biagi). Infatti le conseguenze del lavoro precario e la giungla contrattuale
rendono sempre piu' difficile il lavoro anche per le donne, sempre
ricattabili a causa della maternita'. "La famiglia esiste per permettere
alle donne di avere dei figli e di avere un uomo che le difenda". Questa
affermazione fatta dal Ministro Rocco Buttiglione al Parlamento Europeo il 5
ottobre 2004 , ben riassume la cultura di questo governo e lo scarto che
esiste con il Paese reale.
*
II. Gender no streaming
Nelle politiche del governo italiano l'approccio di gender mainstreaming e'
pressoche' assente. Nonostante sia stato puntualmente fatto presente da
parte delle donne dei sindacati come l'insieme dei provvedimenti
sopraelencati abbiano effetti negativi sulle lavoratrici, il Ministro non ha
esercitato alcun ruolo di mainstreaming, ma anche le istanze parlamentari
hanno trascurato di essere presenti in questo campo. Sebbene il regolamento
dei Fondi strutturali dell'Unione Europea richieda che si integrino l'ottica
di genere e le pari opportunita' tra uomini e donne trasversalmente in tutta
la programmazione 2000-2006, l'implementazione italiana e' a dir poco
carente. Dagli esiti dell'applicazione della politica di pari opportunita' e
del mainstreaming di genere negli interventi Fse 2000-2003 (analisi dei
risultati della valutazione di mid term) si evince che le pari opportunita'
tra uomini e donne sono state trattate sostanzialmente solo nei progetti
finanziati nell'asse specifico E (il 10% di cui il Review governativo si
vanta), mentre, tra i beneficiari dei progetti finanziati negli altri assi,
le donne risultano svantaggiate sia a livello quantitativo che a livello
qualitativo: sono in numero inferiore agli uomini; le donne sono state
destinatarie soprattutto di azioni di formazione di base e pochissimo di
alta formazione; le azioni di formazione di base spesso non sono state unite
a misure di accompagnamento adeguate, o non sono state esse stesse adeguate
alla domanda di lavoro per cui si registra un alto tasso di abbandoni da
parte delle beneficiarie.
Questa disattenzione alla tematica del Gender Mainstreaming ha causato danni
piu' evidenti nelle relazioni internazionali. In quel contesto infatti gli
anni immediatamente successivi a Pechino avevano fatto registrare notevoli
miglioramenti. Tali miglioramenti erano visibili sia nel contesto
istituzionale, in particolare nell'allargamento della presenza in sede
Nazioni Unite su tematiche specifiche come quelle della tratta, e nella
cooperazione allo sviluppo che era stata molto attiva per quanto riguarda la
condizione delle donne in situazioni di conflitto. Attualmente l'incapacita'
da parte del Ministero delle Pari Opportunita' di dialogare con le
istituzioni della politica estera e con la societa' civile sulle tematiche
che riguardano il contesto della globalizzazione rende piu' difficile
mantenere vive le buone esperienze avviate, soprattutto nel campo della
cooperazione allo sviluppo. I programmi istituzionali di cooperazione allo
sviluppo dedicati alle donne sono infatti diminuiti a favore delle azioni a
sostegno dei minori, e c'e' una tendenza da parte della Direzione per la
cooperazione allo sviluppo a confondere le giovani donne nella categoria
neutra di minori. Questa tendenza sottrae di fatto peso specifico alle
analisi e alle strategie definite nell'ambito della Piattaforma di Pechino e
costituisce un forte impedimento per l'Italia a continuare con coerenza
l'azione avviata in sede multilaterale. L'unica prospettiva positiva deriva
dalle amministrazioni locali e regionali, che in alcuni casi sono molto
interessate alla valorizzazione delle esperienze delle donne sul loro
territorio, e intervengono a sostegno delle donne vittime di violenza e
soprattutto nelle aree del bacino mediterraneo, dove lo scambio di
esperienze e' reso piu' facile dalla vicinanza territoriale. Non esistono
tuttavia linee guida a favore delle donne nel settore della cooperazione
decentrata.
*
III. La soppressione della "Commissione nazionale per la parita' e le pari
opportunita'"
La Commissione nazionale per le pari opportunita' tra uomo e donna presso la
Presidenza del Consiglio, istituita nel 1984 e definita per legge nel 1990,
e' stata abrogata nell'agosto 2003 da un decreto legislativo, pubblicato in
gazzetta ufficiale il 22 agosto 2003. Al suo posto vi e' ora una Commissione
presso il Dipartimento Pari Opportunita', presieduta dalla Ministra stessa,
composta da 25 componenti, da cui sono state cancellate le rappresentanti
femminili dei partiti politici. Il passaggio da un organismo autonomo a un
organismo subordinato all'esecutivo azzera gli stessi elementi fondanti
della Commissione: la trasversalita', il pluralismo, l'essere sensore delle
istanze delle donne nella nostra societa', il ruolo di iniziativa e di
impulso alle politiche di pari opportunita' e soprattutto l'autonomia. La
Commissione - nella sua storia ventennale - e' stata un luogo di democrazia,
di partecipazione, di coordinamento delle commissioni regionali, di dialogo
con le aggregazioni di donne presenti nella societa', di promozione di
politiche, autonoma e propositiva rispetto al governo, al Ministero delle
pari opportunita', al Parlamento. Questi principi hanno rappresentato in
questi anni i punti di forza delle politiche di pari opportunita' e di
questi principi la Commissione nazionale si e' fatta garante. La Commissione
nazionale assolveva la funzione essenziale di raccogliere e mettere in rete
le istanze delle forze femminili attive nella societa', con quel ruolo di
iniziativa e di proposta autonoma che la Commissione ha sempre rivendicato
nella sua storia ventennale. E quella, altrettanto essenziale, della
diffusione della cultura delle pari opportunita', non in modo rituale e
formale, ma in modo vivo e dialettico, perche' nel nostro Paese non c'e'
ancora un'accettazione sociale condivisa dell'importanza strategica delle
politiche di pari opportunita'. Dunque la sua abrogazione e l'istituzione di
una commissione appiattita sull'esecutivo toglie forza non solo alle
istituzioni, ma anche e soprattutto alle donne che lavorano per la cultura
delle pari opportunita' in molteplici forme, istituzionali e non, con scarso
coordinamento, ma in modo vivo e propositivo.
La preparazione della Conferenza Onu di Pechino segno' l'avvicinamento delle
donne immigrate alle donne italiane ed alle istituzioni per la promozione
delle pari opportunita'. Nel 1997 per la prima volta una donna immigrata era
entrata a far parte della Commissione nazionale per la parita' e le pari
opportunita', il che aveva favorito l'inserimento delle donne immigrate
anche nelle Commissioni e Consulte regionali per le pari opportunita'. Con
la riforma della Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita'
le donne immigrate sono state escluse, interrompendo un'esperienza positiva
di partecipazione delle donne immigrate nelle istituzioni italiane a livello
nazionale. Solo a livello regionale alcune esperienze continuano. In questo
momento, a livello nazionale, l'Ufficio Antidiscriminazione, istituito dal
decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215, in attuazione della direttiva
2000/43/Ce per la parita' di trattamento tra le persone indipendentemente
dalla razza e dall'origine etnica, potrebbe riaprire un'opportunita' di
collaborazione tra l'associazionismo immigrato in genere, anche quello delle
donne, con un'istituzione italiana.
*
Parte seconda: I principali temi delle prossime conferenze europee di
Ginevra
1. Women in economy
In sintesi
A una crescita dell'occupazione femminile, della presenza femminile nel
mercato del lavoro, nell'istruzione - in particolare a livello
universitario, anche se non ancora sufficiente nelle facolta'
scientifiche-tecnologiche - della partecipazione alle attivita' culturali; a
una crescita contestuale delle contraddizioni - al conseguimento di
capacita' professionali non corrisponde un adeguato inserimento nel mondo
del lavoro; permangono squilibri nelle carriere e nelle retribuzioni, la
crescita dell'occupazione femminile e' concentrata soprattutto nel
Centro-Nord - non corrispondono reali politiche di sostegno da parte del
governo, ne' un adeguato intervento rispetto alle contraddizioni segnalate.
Anzi, l'allarme sulla denatalita' e le ridicole politiche che ne conseguono
(bonus per il secondo figlio), se da una parte confliggono con la nuova
liberta' e soggettivita' femminile, dall'altra tendono a risospingerla
indietro, ai vecchi ruoli familiari, a sovraccaricarla di tutte le
responsabilita' del lavoro di cura. Non vi sono politiche infatti volte a
corresponsabilizzare donne e uomini: gli asili aziendali riguardano solo le
lavoratrici madri e le esigenze delle aziende, non le responsabilita' della
coppia ne' la crescita educativa dei bambini. La percentuale dei lavoratori
padri che richiedono i congedi parentali per attivita' di cura supera di
poco l'1%, e inoltre riguarda periodi limitati di astensione dal lavoro e
purche' sia garantita la massima retribuzione possibile.
Non sono state messe in atto politiche tese a determinare quelle condizioni
di lavoro, di reddito e di servizi che possono permettere alle giovani di
costruire liberamente il proprio percorso di vita; vengono perseguite invece
politiche ideologiche che considerano la famiglia tradizionale quale attore
sociale primario nella programmazione delle politiche sociali. La famiglia
e' vista cioe' come puro destinatario di agevolazioni fiscali, trasferimenti
monetari, facilitazioni all'acquisto della casa in una logica del tutto
assistenziale, in cui scompare la soggettivita' e l'autonomia dei singoli in
quanto persone titolari di diritti individuali esigibili.
*
In dettaglio
La crescita dell'occupazione femminile
Negli ultimi cinque anni si e' avuto un aumento di un milione e 622 mila
posti di lavoro, di cui due terzi sono andati alle donne, accompagnato da
un'importante crescita dell'istruzione femminile - in particolare a livello
universitario, anche se non ancora sufficiente nelle facolta'
scientifiche-tecnologiche - e della preparazione professionale delle donne,
che a tutti i livelli si rivelano le vere protagoniste della piu' generale
qualificazione delle competenze registrata negli ultimi anni. Le donne sono
piu' istruite degli uomini, meglio formate, e tuttavia meno riconosciute sia
nelle qualifiche che nelle retribuzioni (con stipendi che arrivano ad essere
inferiori fino al 35% rispetto a quelle degli uomini soprattutto nelle
qualifiche piu' alte).
Nonostante i progressi registrati negli ultimi decenni, grazie ai quali le
donne sono entrate ormai a pieno titolo nel tessuto produttivo del Paese,
sono ancora troppo poche le donne che lavorano. Il tasso di occupazione che
si attesta nel 2003 al 42,7 (fonte Istat) e il tasso di attivita' femminile
in Italia del 48%, a fronte di una media europea del 60,8, sono ancora
lontani dall'obiettivo di piena occupazione della Conferenza europea di
Lisbona del 55% a medio termine del 2005 e del 60% del 2010.
Va anche sottolineato che la crescita dell'occupazione femminile e'
concentrata soprattutto nel Centro-Nord, dove si registra un tasso di
occupazione del 51,5 %, mentre al Sud si attesta al 27,1%. Il tasso di
disoccupazione e' del 6,5% al Centro-Nord e del 25,3% al Sud. Permangono i
fenomeni di abbandono del lavoro dopo il primo figlio (da un'indagine Istat
del 2003 su un campione di 50.000 neomamme, il 20% ha abbandonato il lavoro
dopo la nascita del bambino) e si moltiplicano le imposizioni da parte dei
datori di lavoro alle giovani assunte di rinunciare dichiaratamente alla
maternita'.
Questi dati sintetici non mostrano pero' appieno come in Italia, dal Nord al
Sud, le donne (soprattutto le giovani) percepiscono il lavoro professionale
come elemento fondante per l'autodeterminazione e per la liberta', non
quindi "un di piu'" o "un optional" alternativo alla famiglia o ai figli.
Sinteticamente si puo' affermare che oggi e' in atto per le donne una
transizione dal "lavoro necessitato al lavoro come parte della propria
identita'". Non e' un caso che sta scomparendo la figura della "casalinga".
Una donna che non lavora per alcun periodi si dichiara generalmente
disoccupata e questo avviene sempre piu' anche nel Mezzogiorno.
Il lavoro diventa dunque per le donne una parte fondamentale della propria
identita' personale, che e' forse piu' complessa di quella degli uomini - il
valore della differenza - e che comprende, oltre al lavoro, un sistema di
relazioni affettive quali la famiglia, i figli, ma anche le relazioni
culturali, amicali e di impegno sociale.
A questi mutamenti e ai nuovi bisogni espressi dalle donne non corrispondono
reali politiche di sostegno da parte del governo, ne' la dovuta attenzione
da parte del Ministro per le pari opportunita'. Il Nap (Piano di azione
nazionale) 2003-2005 e il Libro bianco sul welfare non hanno dato risposte a
questi bisogni, nonostante le critiche e le proposte avanzate dai sindacati
confederali e dalle donne.
*
La conciliazione
L'occupazione femminile e' fondamentale per il raggiungimento degli
obiettivi di Lisbona, ma il modello di societa' proposto attualmente assegna
alle sole donne il lavoro di cura nella famiglia (che rimane per il governo
quella fondata sul matrimonio, anche se di fatto aumentano le convivenze, le
separazioni e i divorzi). Alle donne si offrono forme di lavoro sempre piu'
atipiche da sconfinare nella precarieta', e la conciliazione fra tempi di
vita e tempi di lavoro diventa sempre piu' difficile, se non impossibile. Da
un'indagine Istat risulta che tuttora il 52,4% delle donne occupate e con un
figli in eta' inferiore a 5 anni dichiara di lavorare piu' di 60 ore
settimanali sommando il lavoro familiare e quello professionale, contro il
21,7% degli uomini nella stessa condizione. La condivisione dei lavori di
cura all'interno della coppia e' invece il presupposto culturale
indispensabile se si vuole arrivare all'affermazione di una diversa qualita'
del lavoro e della vita e di una reale parita' fra uomini e donne in tutti i
campi della vita sociale, dal lavoro alla rappresentanza nei luoghi elettivi
delle istituzioni. E' del tutto evidente, infatti, che se la cura, sia degli
anziani, sia dei bambini, rimane solo in capo alla donna, la parita' nel
mondo del lavoro non si otterra' mai.
Il rapporto del governo afferma che la legislazione degli ultimi anni non
solo ha di fatto favorito l'incremento dell'occupazione femminile, ma ha
anche fornito gli strumenti per conciliare i tempi di vita e i tempi di
lavoro. Con la legge 53/2000 sui congedi parentali, con il testo unico sulla
maternita', ma anche con altri importanti atti legislativi dei governi
precedenti, si era cominciato ad affermare una cultura che portava alla
redistribuzione dei ruoli fra uomini e donne nel lavoro e nella famiglia e a
rendere la parola "conciliazione" non piu' declinata esclusivamente al
femminile, ma anche al maschile.. Dopo l'entrata in vigore della legge, vi
era stato un generale aumento dell'utilizzo del congedo parentale:
l'aumento, paragonando il 1999 con il 2001, si era registrato sia per le
donne che per gli uomini. Per questi ultimi l'aumento sembra comunque
incidere di piu' (dallo 0,3% del totale di un vasto campione di dipendenti
pubblici maschi all'1,2%), anche se cio' e' almeno in parte dovuto al basso
punto di partenza di tale dato. Tra uomini e donne restavano sostanziali
differenze nelle modalita' di fruizione dei congedi, rilevabili in
particolare dal numero di giornate fruite e dalla presenza o meno di
retribuzione durante l'astensione (in relazione a un campione di piu' di
mezzo milione di dipendenti pubblici, mentre 7 uomini su 10 fruivano al
massimo di 30 giorni di congedo, e per lo piu' retribuiti per intero, 6
donne su 10 utilizzavano piu' di 30 giorni e l'82,6% del totale delle madri
utilizzava giornate retribuite solo al 30% o non retribuite affatto).
Comunque, il disegno che si e' cercato di portare avanti nella precedente
legislatura per una parita' reale fra uomini e donne nel mercato del lavoro
e nella societa' registra oggi una preoccupante battuta di arresto, essendo
cambiati, come abbiamo gia' detto, i presupposti culturali delle politiche
dell'attuale governo. Anche il "libro bianco" del Ministro del Welfare lo
comprova: esso sembra prestare grande attenzione all'incremento
dell'occupazione femminile e al tema delle pari opportunita' fra uomini e
donne, che cita in abbondanza in tutti i capitoli, ma per rilanciare il tema
dei provvedimenti da prendere per facilitare la conciliazione fra lavoro e
famiglia, ribadisce l'impegno del governo a promuovere "politiche sociali di
sostegno alle donne sposate che lavorano per dare loro la possibilita' di
meglio conciliare l'attivita' lavorativa con gli impegni familiari". Per
quanto riguarda il prelievo fiscale sui redditi di lavoro asserisce di
seguito che va prestata particolare attenzione, affinche' non disincentivi
"il lavoro femminile anche quando aggiuntivo all'interno di un dato nucleo
familiare". Anche qui evidentemente con quell' "aggiuntivo" si ripropone il
modello sociale per cui il lavoro della donna ha un valore inferiore a
quello del marito.
*
Precarieta'
Se e' vero che l'aumento dell'occupazione femminile e' il fenomeno piu'
rilevante di questi ultimi anni, occorre evidenziare nello scenario generale
non solo la quantita', ma anche la qualita' della partecipazione femminile
italiana al mercato del lavoro e le prospettive, in relazione alla recente
legge di riforma del mercato del lavoro e alla grave crisi economica che sta
attraversando il nostro Paese.
Quello che il governo propone non riguarda solo il mercato del lavoro, ma
l'introduzione di una cultura dove il lavoro diventa "merce"; si sostanzia
in tal modo quell'operazione delineata nel Libro Bianco, che trova conferma
non solo nella riduzione delle tutele per trovare e per vivere serenamente
il lavoro, ma nella piu' ampia strategia di attacco alla dimensione dei
diritti e della cittadinanza. Vi sono una sistematicita' e una coerenza di
fondo che legano il decreto attuativo della legge 30/2003 sulla riforma del
mercato del lavoro, la legge 30/2002 (189/2002) Bossi-Fini
sull'immigrazione, la riforma della scuola e dell'universita' della Ministra
Moratti, la proposta di riforma fiscale e la controriforma previdenziale,
l'attacco al welfare nazionale e locale. E' l'egoismo sociale, e' un'idea di
competizione povera e al contempo selvaggia, e' il principio del superamento
di ogni corpo democratico intermedio a partire dal sindacato confederale.
Da un'attenta lettura del "Libro Bianco" sul mercato del lavoro, della legge
30/2003 (nominata Legge Biagi) che ne rappresenta la coerente traduzione
normativa, del decreto 276 attuativo e relative circolari applicative, e del
"Libro bianco sul welfare", emerge un modello di sviluppo che non e'
favorevole alle politiche di pari opportunita' e all'avanzamento delle donne
nelle carriere.
La relazione di accompagno della legge 30/2003 (legge Biagi) la definisce
come "una legge per l'inclusione sociale delle donne". Vi si afferma inoltre
che "l'adozione di misure che agevolano l'accesso al lavoro a tempo parziale
e ad altri contratti a orario modulato rappresenta una importante strategia
di azioni positive finalizzate, attraverso la conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro, alla lotta contro le discriminazioni indirette nei
confronti delle donne". Si ribadisce quindi che part-time e orari di lavoro
anomali sono soprattutto adatti alle donne occupate con impegni familiari,
avvalorando cosi' una realta' in cui queste forme di orario determinano una
segregazione femminile, precaria e senza prospettive. Il 17,3% delle donne
occupate lavora a part-time (3,2% invece e' la percentuale degli uomini). Il
30% dichiara di farlo per scelta, soprattutto per conciliare lavoro e
famiglia, il 27,1% per impossibilita' di trovare un lavoro full-time (42,3%
per gli uomini). Anche nel lavoro a tempo determinato le lavoratrici
prevalgono (12,2% di donne contro l'8,2% di uomini). Anche qui e' elevato il
tasso di "non scelta" pari al 40,8%. Vi e' inoltre un aumento considerevole
delle occupate in orari non standard ( dal 1993 al 2003 l'incremento e'
stato del 16,9%, mentre per gli uomini si registra un decremento del 3,1%).
In realta' le norme contenute nel provvedimento puntano ad una frantumazione
del mondo del lavoro, ad una disarticolazione delle forme della
rappresentanza, alla individualizzazione del rapporto di lavoro, allo
snaturamento, attraverso gli enti bilaterali, della stessa funzione del
sindacato. Le circa quaranta forme di contratto avranno meno tutele e
saranno senza un reale diritto alla retribuzione in caso di malattia e
infortunio, senza una copertura previdenziale dignitosa. In sostanza il
lavoro diventa "merce" e la lavoratrice (e il lavoratore) dovra' essere
sempre a disposizione dell'impresa.
Incerti sono inoltre i diritti legati alla maternita'.
Sicuramente aumentera' la precarieta' e di conseguenza aumenteranno i
ricatti e le molestie sessuali.
Saranno inoltre pesanti le ricadute sulla previdenza e sul futuro
pensionistico delle nuove generazioni.
Prendiamo ad esempio il part-time. Il decreto introduce nuovi assetti
normativi che dovrebbero incrementarne il ricorso, riducendo i vincoli e gli
oneri del datore di lavoro, ma rendendo la vita impossibile alle lavoratrici
e ai lavoratori, che scelgono questa tipologia lavorativa proprio per
conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro. Infatti le modifiche
all'attuale normativa ampliano il ricorso e l'incertezza della durata del
lavoro supplementare e flessibilizzano la distribuzione dell'orario
concordato, riducendo gli spazi di contrattazione e di volontarieta'.
Vi e' poi il "lavoro intermittente". Esso e' caratterizzato in via
essenziale dall'incertezza della prestazione, che dipende esclusivamente
dall'atto della chiamata al lavoro da parte del datore di lavoro e solo in
via secondaria dalla disponibilita' del lavoratore a farvi fronte. Il lavoro
a intermittenza e' immediatamente disponibile per i lavoratori con piu' di
45 anni espulsi dal ciclo lavorativo o iscritti in mobilita' e al
collocamento, o per i disoccupati con meno di 25 anni, confermando che per
gli svantaggiati questo governo e' particolarmente premuroso.
Persistono difficolta' interpretative rispetto alla proporzionalita' di
molti istituti. Ad esempio non e' chiaro nel caso dei periodi di maternita'
e di congedi parentali, cosa significa la proporzione temporale nella
fruizione. Infatti il congedo per maternita' e' definito per legge come
"astensione obbligatoria", il congedo parentale e' invece un'astensione
facoltativa. Ci auguriamo che il legislatore non abbia inteso prendere come
riferimento il criterio delle ore prestate nell'anno precedente, perche'
questo di fatto lederebbe i diritti legati alla tutela della maternita' e
della paternita'.
Altra forma di contratto "innovativa" e' il lavoro ripartito, conosciuto
anche con il termine "job sharing". Esso prevede che si puo' lavorare in
coppia sulla base di un unico rapporto di lavoro. Ciascun lavoratore
stabilisce con l'altro la quantita' di lavoro che svolgera', e sara'
retribuito in conseguenza. Il testo non cita la maternita': sara' una
dimenticanza o in quel caso si applica la legge integralmente per entrambi?
Il venir meno della disponibilita' di uno dei lavoratori a proseguire il
rapporto determina automaticamente il licenziamento anche dell'altro, a meno
che il datore di lavoro offra al lavoratore rimasto di restare in azienda
con un "normale" rapporto di lavoro, anche a part-time. L'impedimento di
entrambi i lavoratori autorizza il datore di lavoro a sciogliere il vincolo
contrattuale per entrambi.
Il paradosso e' che questo insieme di norme che irrigidiscono la
flessibilita', cosi' decantata dalla legge Biagi, non sembrano avere
prodotto un risultato apprezzabile.
Il lavoro a tempo parziale e' diffuso soprattutto fra le donne, ma occorre
ricordare che prima dell'introduzione della suddetta legge il part-time era
un contratto di lavoro "tipico", con le stesse tutele del lavoro a tempo
pieno. Dalle ultime rilevazioni sulle forze di lavoro risulta che nel
secondo trimestre del 2004 vi e' un aumento dell'1,7% dell'occupazione a
tempo pieno, una diminuzione dello 0,4% di quella part-time rispetto al
secondo trimestre del 2003. E' del tutto evidente che e' difficile fare
un'analisi compiuta di questi dati che peraltro non sono disaggregati per
genere, ma si puo' pensare che il nuovo part-time non e' gradito dalle
donne.
*
La previdenza
A proposito della cosiddetta riforma previdenziale recentemente approvata
(legge 243 del 23 agosto 2004) e' utile sottolineare come essa sia
sostanzialmente contro le donne.
L'eliminazione della flessibilita' dell'eta' pensionabile prevista nel
sistema contributivo (57 -65 anni di eta') ed il reinserimento di un'eta'
pensionabile fissa ed obbligatoria (60 anni per le donne e 65 anni per gli
uomini) e' cosa che ovviamente colpisce i diritti di tutti perche' il
diverso modo di calcolo della pensione previsto nel sistema contributivo era
ed e' strettamente interconnesso alla libera scelta delle lavoratrici e dei
lavoratori di poter andare in pensione a determinate eta', con la
consapevolezza di percepire un determinato trattamento. Per quanto riguarda
la specificita' di genere tale norma significa che le lavoratrici dovranno
lavorare almeno tre anni in piu' rispetto a prima, fermo restando il fatto
che per poter andare in pensione a tale eta' dovranno avere anche gli altri
requisiti di legge e cioe' almeno 5 anni di contributi e un importo di
pensione pari ad almeno 1,2 volte l'importo dell'assegno sociale. Ricordiamo
che nel sistema contributivo l'eta' pensionabile flessibile ha anche
significato la parificazione dei requisiti per il diritto alla pensione tra
uomini e donne, cosa che ha permesso il superamento di vecchie e sterili
polemiche che, purtroppo, si ripropongono ogni volta che ci sono da
recuperare nuove entrate previdenziali in merito alla presunta necessita',
in nome di una parita' assoluta, di prevedere l'innalzamento dell'eta'
pensionabile obbligatoria delle donne, eguagliandola a quella degli uomini.
E' previsto che la totalizzazione (cumulo) dei contributi sia possibile
anche per coloro che raggiungono il diritto alla pensione nel singolo fondo,
gestione o cassa previdenziale, solo se si hanno almeno 65 anni di eta' o si
raggiungano i 40 anni di contribuzione, indipendentemente dall'eta'
anagrafica, e sempreche' ogni periodo contributivo versato presso ogni
singolo fondo sia stato di durata almeno pari a 5 anni.
La norma e' penalizzante per le lavoratrici, che maturando il diritto alla
pensione di vecchiaia a 60 anni, dovrebbero comunque attendere i 65 per
poter usufruire della totalizzazione e quindi per poter percepire un unico
trattamento di pensione, corrispondente al cumulo di tutti i periodi
contributivi versati o accreditati. La norma dovrebbe essere modificata
facendo riferimento per il diritto alla totalizzazione al raggiungimento
dell'eta' pensionabile prevista nel sistema pubblico obbligatorio.
La modifica delle norme sul diritto alla pensione di anzianita' prevede, a
decorrere dal primo gennaio 2008, per tutti i lavoratori un innalzamento
secco di almeno tre anni di eta' (in alcuni casi diventano anche cinque) per
poter maturare l'accesso al trattamento pensionistico. Nel 2008 saranno
infatti necessari, oltre ai 35 anni di contribuzione, 60 anni di eta', che
diventeranno 61 nel 2010 e 62 nel 2014. Cio' significa che di fatto per le
lavoratrici la pensione di anzianita' viene cancellata, dal momento che
l'eta' prevista per il diritto alla pensione di anzianita' coincide con
l'eta' prevista per il diritto alla pensione di vecchiaia (a meno che nella
mente del governo non rimanga sempre il sottile pensiero di poter prima o
poi procedere all'elevazione dell'eta' pensionabile obbligatoria per le
lavoratrici). Ne' e' da prendere in alcuna considerazione la possibilita'
che viene concessa, in via sperimentale e comunque fino al 2015, alle sole
donne di poter continuare ad andare in pensione di anzianita' con i vecchi
requisiti di 57 anni di eta' e 35 di contribuzione, alla condizione che
optino per il sistema di calcolo contributivo: si tratta di una misura
ridicola, pericolosa e soprattutto estremamente penalizzante per le
lavoratrici, alle quali verrebbe semplicemente riconosciuto il diritto ad
andare in pensione prima, in cambio di un trattamento pesantemente ridotto.
Non sono questi gli sconti che debbono essere fatti alle lavoratrici: si
tratta, infatti, di misure false e demagogiche, che non salvaguardano
assolutamente i diritti acquisiti.
*
Lavoratrici Immigrate (donne immigrate)
Per quanto riguarda le donne immigrate - importante risorsa sia per le
famiglie (poiche' le lavoratrici immigrate impegnate come ausiliarie
famigliari permettono alle donne italiane la conciliazione lavoro-famiglia),
sia per l'economia del paese - l'utilizzo del linguaggio di genere e'
improprio. La segregazione orizzontale e verticale, oppure il soffitto di
cristallo, non riguardano il loro mondo del lavoro. L'unico linguaggio
possibile e' "segregazione, segregazione, e segregazione". Il soffitto di
cristallo diventa di cemento e la mobilita' all'interno del mercato del
lavoro e' impossibile. Le lavoratrici immigrate, in maggioranza diplomate o
laureate, arrivano in Italia con una professionalita' ed esperienza di
lavoro che non sono mai riconosciute e sono costrette a lavorare, salvo
poche eccezioni, nel settore dell'assistenza alle persone ed alle famiglie o
come donne di pulizia.
Con la legge 30/2002, n. 189, la nuova legge sull'immigrazione chiamata
Bossi-Fini, l'ingresso per lavoro e' vincolato alla stipulazione del
"contratto di soggiorno per lavoro" ed i lavoratori immigrati da cittadini
stranieri diventano soltanto forza lavoro. L'ingresso regolare per le donne
diventa impossibile perche' le famiglie italiane preferiscono l'assunzione
diretta e difficilmente assumono una lavoratrice senza conoscerla.
La legge Bossi-Fini ha introdotto modifiche restrittive, alcune delle piu'
importanti riguardano la possibilita' di ingresso e permesso di soggiorno
per lavoro solo a seguito di un contratto di soggiorno per lavoro e, in caso
di perdita di lavoro, la possibilita' di iscrizione nelle liste di
collocamento per sei mesi. Il ricongiungimento familiare ha subito
importanti restrizioni in particolare nel caso dell'ingresso dei genitori e
figli maggiorenni. Pur avendo parita' di trattamento in ambito
previdenziale, sono penalizzate in caso di prestazioni di natura non
contributiva, ovvero le prestazioni assistenziali (assegni di maternita' e
invalidita' civile, ad esempio, solo con carta di soggiorno).
Questi aspetti evidenziano come oggi le donne immigrate regolari in Italia
siano in una condizione di precarieta' e disagio. Il testo unico
sull'immigrazione del 1998 aveva lo scopo di affermare quei diritti di
cittadinanza sociale che devono essere l'obiettivo di una seria politica
dell'immigrazione in Italia; con la Bossi-Fini si e' tornati indietro
perche' quei diritti non sono garantiti come lo erano in precedenza.
Per quanto riguarda le donne richiedenti asilo in Italia, le rifugiate, sono
penalizzate dalla mancanza di una legge organica sul diritto di asilo.
Inoltre, occorre ricordare che l'Italia insieme alla maggiore parte dei
paesi dell'Unione Europea non ha ancora ratificato la Convenzione Onu per la
protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie
del 1990.
Cosi' si arriva con il visto per turismo e alla sua scadenza si passa alla
clandestinita' e conseguente precarieta'. Il pericolo di finire in un Cpt
(Centri di Permanenza Temporanea) e' reale. In questi centri si riuniscono
tutti gli immigrati irregolari; molti avrebbero diritto alla richiesta
d'asilo; molte donne, vittime della tratta, alla protezione sociale, e cosi'
via. L'impossibilita' da parte delle organizzazioni di volontariato di
portare loro assistenza fa si' che siano espulsi dall'Italia
indipendentemente dai loro diritti.
La mancanza di garanzie reali rende l'accesso al credito impossibile. Non e'
possibile nemmeno fare un finanziamento per l'acquisto di un bene di
consumo. L'unica possibilita' di credito per le immigrate in questo momento
e' attraverso due progetti pilota per il microcredito alle donne immigrate.
Uno in programma nella Provincia di Roma, promosso dalla Fondazione Risorsa
Donna di Roma e Compagnia San Paolo di Torino, in collaborazione con la
Banca San Paolo Imi, che offre alle donne immigrate la possibilita' di
avviare una microimpresa oppure di qualificarsi professionalmente,
attraverso un percorso formativo che garantisca un sbocco occupazionale.
L'altro nella citta' di Torino, promosso dalla Associazione Alma Mater, in
collaborazione con le banche etiche Mag 2, Mag 4 e Agemi, offre alle donne
immigrate microcredito per soddisfare molteplici bisogni.
*
Politiche sociali e sanitarie
Salute riproduttiva
Secondo l'organizzazione dei servizi sanitari della Repubblica Italiana, i
consultori sono il presidio territoriale deputato alla prevenzione della
salute delle donne. Relativamente ai servizi di prevenzione rivolti alla
donna, l'Oms definiva il consultorio un ambulatorio di primo livello che si
occupa di salute riproduttiva e di prevenzione dei tumori femminili Tuttavia
essi sono in progressiva smobilitazione. I consultori dovevano essere
potenziati fino a realizzarne uno per ogni 15.000 abitanti. Ma questo
disegno non e' mai stato portato a compimento, non c'e' un censimento di
quanti essi siano attualmente.
L'Italia e' il secondo paese dopo il Brasile per il numero di tagli cesarei;
non sono in atto politiche tese a ridurre il fenomeno e a informare le donne
sui rischi connessi.
Rispetto all'interruzione volontaria di gravidanza, non vengono messe in
atto quelle "procedure piu' avanzate per le donne" (Legge 194/1978, art.
15): gli aborti medici con RU486 (Mefegyn), i cui vantaggi rispetto a quelli
chirurgici sono ampiamente dimostrati a livello clinico, psicologico ed
economico, sono ampiamente realizzati in altri paesi europei (650.000 in
Europa), ma in Italia non sono di fatto consentiti. I medici italiani che
praticano il servizio di Ivg secondo la legge194/78 intendono fare una
petizione alla ditta Exelgyn, al Ministero della Sanita', alla Commissione
del Farmaco, affinche' in Italia venga commercializzato il prodotto RU486
come negli altri paesi europei.
*
Asili nido
La legge 285/1997 e la legge 265/2000 consentono e promuovono una nuova
tipologia dei servizi per la prima infanzia, che prevede servizi gestiti
dalle famiglie o da associazioni, micro-asili, flessibilita' negli orari,
ecc. Alcune Regioni hanno gia' legiferato in questo senso e svariate sono le
iniziative dei Comuni. Sono in atto alcuni cambiamenti che occorre
monitorare con attenzione, in modo che si mantengano gli standard di
qualita' cui non possiamo, ne' vogliamo rinunciare. Compito delle
amministrazioni pubbliche e' soprattutto quello di fissare e mantenere il
controllo su tali standard, quando non sono piu' in grado di provvedere
direttamente all'erogazione dei servizi. Rispetto agli asili nido
aziendali - alcuni, ma ancora molto pochi, sono stati aperti -, il problema
e' estremamente controverso. Infatti da un lato si teme che si ritorni ad
una logica di tutela dell'azienda, come era prima degli anni settanta,
quando aziende illuminate, come ad esempio Olivetti o Pirelli, fornivano
alcuni servizi ai propri dipendenti, per permettere a padri e madri la
permanenza nei luoghi di lavoro. Poiche' in Italia e' stato privilegiato,
giustamente, nell'ultimo trentennio un sistema territoriale nel quale
l'attenzione si e' fortemente concentrata sulle esigenze educative dei
bambini e delle bambine, si paventa il rischio che i nidi aziendali assumano
una funzione di parcheggio, che siano collegati solo alle lavoratrici
madri - e non ai lavoratori padri - e che siano soprattutto funzionali alle
esigenze delle aziende.
Dall'altro lato, e' innegabile che ci sia un estremo bisogno di asili nido,
soprattutto se si considera il fatto che la copertura di posti e'
attualmente ferma al 6%, anche se la richiesta di copertura dell'Unione
Europea per l'anno 2010 e' al 33%.
*
2. Institutional mechanism to promote gender equality
Presenza delle donne nelle istituzioni: Riforme elettorali e Statuti
Regionali
In Italia il problema della rappresentanza delle donne nelle istituzioni
pubbliche, e in particolare nella gestione politica, e' ormai irrinviabile.
Siamo al 73simo posto in una graduatoria di 183 Stati, con 71 donne alla
Camera (11,05% del totale dei membri) e 26 al Senato (8,01%).
I dati dimostrano inequivocabilmente come le donne italiane siano in
condizione di svantaggio rispetto a quelle degli altri paesi europei e del
resto del mondo.
Il governo e la sua Ministra dovrebbero interrogarsi sul fallimento totale
della loro azione e sul non raggiungimento degli obiettivi definiti nella
piattaforma di Pechino.
Quali sono stati gli interventi legislativi che ha messo in atto il governo
italiano dopo la modifica degli art. 51 (all'articolo 51, primo comma, della
Costituzione, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "A tal fine la
Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunita' tra
donne e uomini") e 117 comma settimo della Costituzione?
Nessuna campagna di sensibilizzazione significativa sulle pari opportunita'
e' stata svolta dalla Ministra; l'unico intervento legislativo e' stato
fatto per le elezioni del parlamento europeo con la legge 6 aprile 2004 dove
all'art. 3 comma primo si afferma: "nell'insieme delle liste
circoscrizionali nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura
superiore ai due terzi". La norma introdotta e' molto blanda.
Nessun modifica e' stata introdotta sulla legge elettorale nazionale e
nessun intervento e' stato promosso dal governo nazionale sulle Regioni per
spingere queste ultime a rispettare il dettato costituzionale dell'art. 117
comma settimo che prevede l'introduzione nelle leggi elettorali di norme per
il riequilibrio della rappresentanza: "le leggi regionali devono rimuovere
ogni ostacolo alla piena parita' tra donne e uomini nella vita sociale,
culturale ed economica, promuovendo la parita' di accesso alle cariche
elettive e di governo". Le uniche Regioni che hanno votato una nuova legge
elettorale ad oggi sono la Sicilia e la Toscana. La prima, grazie ad una
forte campagna di pressione esercitata dalle associazioni di donne e
dall'intervento del Commissario dello Stato, e' riuscita a introdurre
l'alternanza uomo donna nella lista regionale composta da otto candidati e
la norma dei 2/3 nelle liste provinciali; la Toscana ha eliminato la
preferenza unica e ha inserito la norma dei 2/3. Se non interverranno
miracoli istituzionali nelle prossime elezioni regionali previste in
primavera, le Regioni violeranno palesemente un dettato costituzionale, e a
farne le spese saranno ancora una volta le donne italiane.
Le Regioni che hanno approvato gli statuti sono: Abruzzo, Calabria, Emilia
Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle
d'Aosta, ma su molti pendono i ricorsi del Governo.
*
Le politiche per le pari opportunita' nel contesto europeo
Poiche' l'Italia si appresta alla ratifica del Trattato Costituzionale si'
che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea possa diventare
giuridicamente vincolante (parte II del Trattato) e il diritto
all'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne diventi un obbligo, e'
particolarmente grave che il governo non rispetti neppure le disposizioni
dei trattati dell'Unione Europea attualmente vigenti.
Sia il Trattato di Costituzione Europea che la Carta di Nizza, infatti,
oltre al divieto di discriminazione di sesso inter alia contengono
disposizioni specifiche e autonome per la promozione dell'uguaglianza tra
uomini e donne. L'inserimento nella Carta di uno specifico e autonomo
diritto all'uguaglianza tra uomini e donne e' il risultato di una lunga
battaglia condotta dalle femministe in sede europea per affermare che le
donne non sono un gruppo discriminato tra gli altri. Dunque l'approccio del
Ministero italiano delle pari opportunita' finalizzato sulla lotta a tutti i
tipi di discriminazioni previste all'art. 13 del Trattato di Costituzione
Europea, negando autonomia e specificita' alle politiche di pari
opportunita' tra uomini e donne e sussumendole all'interno del generale
approccio antidiscriminatorio, si basa su una lettura parziale e riduttiva
del Trattato di Costituzione Europea e della Carta di Nizza.
Il Trattato di Costituzione Europea sia all'art. 141 che agli artt. 2 e 3
configura un principio di uguaglianza tra uomini e donne che va oltre il
divieto di discriminazione/uguaglianza formale e include l'uguaglianza di
opportunita' come aspetto dell'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne.
Anche l'art. 23 della Carta enuncia esplicitamente l'obbligo di non
limitarsi all'uguaglianza di trattamento ma anche di promuovere politiche
per perseguire l'uguaglianza effettiva di opportunita' e risultati.
L'approccio del Ministero fonda, invece, i suoi compiti e funzioni
esclusivamente sull'art. 13 del Trattato di Costituzione Europea e, dunque,
identifica e restringe la nozione di uguaglianza tra uomini e donne
all'approccio antidiscriminatorio/uguaglianza di trattamento/uguaglianza
formale. L'identificazione della nozione di pari opportunita' con il divieto
di discriminazione e' in contraddizione con le menzionate disposizioni
comunitarie e con il tradizionale approccio comunitario che fin dal 1976,
oltre all'uguaglianza di trattamento, ha previsto azioni positive di
promozione delle pari opportunita' in ambito occupazionale e professionale.
Alla luce di queste disposizioni l'attuale approccio del Ministero delle
pari opportunita' e la relativa definizione dei suoi compiti e funzioni
risultano parziali e riduttivi.
L'annullamento della specifica prospettiva dell'uguaglianza di genere
all'interno di un generale approccio antidiscriminatorio e la
sovrapposizione/confusione/dissoluzione delle specifiche politiche di
uguaglianza di genere all'interno delle generali politiche
antidiscriminatorie non corrisponde ne' ad una corretta interpretazione del
gender mainstreaming, ne' all'approccio duale che secondo la Commissione
Europea ne sarebbe il necessario presupposto. Al contrario, il rafforzamento
della prospettiva dell'uguaglianza di genere all'interno delle politiche
contro le discriminazioni di razza, etnia, eta', handicap, religione e
orientamento sessuale richiede il rafforzamento degli organismi
specificamente preposti alle politiche di uguaglianza di genere. Per
perseguire, conseguire e assicurare l'uguaglianza sostanziale di cui
all'art. 23 della Carta e' percio' necessario correggere l'attuale tendenza
a trasformare il Ministero delle pari opportunita' in una generica struttura
responsabile di tutte le politiche antidiscriminatorie.
(Parte prima - Segue)

2. LETTURE. FRANCA ROSSI: DI CHI E' LA SCUOLA? LA PARTECIPAZIONE
RESPONSABILE DEI BAMBINI
Franca Rossi, Di chi e' la scuola? La partecipazione responsabile dei
bambini, Carocci, Roma 2005, pp. 112, euro 10. Un agile volumetto sulle
possibilita' e modalita' di partecipazione dei bambini alla vita della
scuola.

3. LETTURE. BIANCA MARIA VARISCO: PORTFOLIO
Bianca Maria Varisco, Portfolio. Valutare gli apprendimenti e le competenze,
Carocci, Roma 2004, pp. 400, euro 28. Un'ampia panoramica delle teorie e le
pratiche di valutazione degli apprendimenti nella scuola e piu' in generale
nei processi formativi.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 16 del 16 giugno 2005