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La nonviolenza e' in cammino. 930
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 930
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 15 May 2005 00:14:43 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 930 del 15 maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. Salviamo la libreria Anomalia 2. Due incontri con Michael Lerner a Firenze e a Milano 3. Wanda Tommasi: Sofferenza di donne, figure di trasformazione 4. Giuseppe Stoppiglia: Un invito alla festa di Macondo del 28 e 29 maggio 5. Giancarla Codrignani: Referendum, il diritto di votare 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. APPELLI. SALVIAMO LA LIBRERIA ANOMALIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 maggio riprendiamo il seguente appello. Apprezzando da molti anni il lavoro culturale della libreria Anomalia ci permettiamo di invitare caldamente i nostri lettori e le nostre lettrici a contribuire alla raccolta di fondi per sostenerla in questa circostanza] A via dei Campani a Roma, nel quartiere San Lorenzo, una libreria rischia la chiusura. E' una libreria bizzarra, un'anomalia, di nome e di fatto (Anomalia e' infatti il suo nome) perche', sopravvissuta alla stagione dei movimenti degli anni '70, si ostina a tener fede ad un progetto politico e culturale apparentemente "inattuale": non solo diffondere una riflessione anarchica, ma anche praticare nel quotidiano modi di relazione e di gestione antiautoritari. Oggi questa esperienza rischia la chiusura, non per le barbare ragioni di "mercato", che peraltro infieriscono su molte altre librerie della capitale, ma ad opera dell'agenzia delle Entrate. In data 4 aprile 2005 ci e' stata infatti comunicato l'entita' della somma che entro il 6 giugno 2005 dovremo versare al fisco: 5,187 euro. Stando cosi' le cose potremmo tranquillamente, se pur a malincuore, chiudere la baracca e rivolgere le nostre energie altrove. Ma non si puo', perche' Anomalia non e' solo una libreria, essa condivide i locali con il Cda (Centro di documentazione anarchica) la cui associazione e' comproprietaria dei locali. La libreria Anomalia e il Cda nascono infatti come iniziative si' distinte, ma unite da un comune progetto politico e culturale teso sia ad impedire la dispersione delle esperienze dei movimenti antagonisti e libertari degli anni '60 e '70, diffondendone le elaborazioni, che a prefigurare, nella pratica quotidiana, un modo diverso di fare cultura. In trent'anni di attivita' abbiamo mantenuto la nostra originale impostazione di spazio militante autogestito completamente autofinanziato. Ci vediamo dunque costretti ad aprire una sottoscrizione per non far chiudere uno spazio da uno stato, che se da sempre ha mostrato benevolenza e tolleranza nei confronti dei grandi evasori, non ha mai esitato a colpire le realta' economicamente deboli e politicamente scomode. Le sottoscrizioni vanno inviate tramite vaglia postale indirizzato ad Andrea Aureli c/o C.D.A. via dei Campani n. 73, 00185 Roma specificando la causale "pro anomalia - c.d.a.", oppure tramite bonifico bancario sul c/c 162-0002855/72, ABI 05696, Cab 03217 presso l'agenzia n.17 di Roma della Banca popolare di Sondrio intestato a Luigi Pais, via dei Campani 73, 00185 Roma, oppure venendoci a trovare in via dei Campani 73. Centro di documentazione anarchica - libreria Anomalia tel. 06491335, sito: http://utenti.lycos.it/anomalia 2. INCONTRI. DUE INCONTRI CON MICHAEL LERNER A FIRENZE E A MILANO [Nuovamente diffondiamo la seguente notizia. Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per avercela comunicata. Per maggiori informazioni cfr. "La domenica della nonviolenza" n. 19 del primo maggio 2005. Rabbi Michael Lerner, nato 61 anni fa nel New Jersey, e' cresciuto in un ambiente familiare immerso nella politica. I suoi genitori erano leader del movimento sionista negli Stati Uniti nel periodo precedente la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, suo padre divenne giudice e sua madre consigliere politico e capo della campagna elettorale per un senatore. Icone del partito democratico come Adlai Stevenson e Harry Truman passarono per casa negli anni in cui Lerner cresceva, e quando si presento' all'ammissione al college, John F. Kennedy gli scrisse una lettera di raccomandazione. A dodici anni leggeva i resoconti del Congresso e notava la differenza tra quello che i politici dicevano e come votavano in realta'. Vedeva altrettanta ipocrisia anche nel mondo ebraico. Dice Lerner "Da un lato, le sinagoghe negli anni '50 erano piene di persone che sviluppavano ideali alti; dall'altro, era evidente che il risultato finale erano il materialismo e il consumismo". In seguito, Lerner scopri' il libro di Abraham Joshua Heschel Dio alla ricerca dell'uomo. Per anni lesse un capitolo a settimana e, finito il libro, lo ricominciava. Adolescente, incontro' Heschel che lo invito' a studiare al Jewish Theological Seminar a New York. Qui Lerner scopri' che alcuni ebrei rifiutavano l'Ebraismo americanizzato che lui conosceva, e sostenevano che aveva poco a che fare con il messaggio centrale della religione. Fu il suo primo incontro con una critica ebraica dell'Ebraismo e getto' le basi della sua successiva campagna per un rinnovamento della fede. Nel 1966 Lerner visse per diversi mesi in un kibbutz in Israele. Benche' l'ambiente socialista del kibbutz gli dimostrasse che le persone potevano essere motivate da riconoscimenti non materiali, gli rivelo' anche quello che egli percepi' come difetto centrale del socialismo: l'assenza di un elemento spirituale. Alla fine degli anni '60, Lerner era diventato un leader del movimento statunitense contro la guerra. Era uno dei membri dei Sette di Seattle, un gruppo di attivisti denunciati dal governo federale per utilizzare le proprieta' dello stato (il telefono) con l'intento di incitare alla rivolta (una protesta contro la guerra nel Vietnam). Il capo dell'Fbi J. Edgar Hoover chiamo' Lerner "uno dei criminali piu' pericolosi degli Stati Uniti". Lerner fu incarcerato al penitenziario federale di Terminal Island per disprezzo della corte. Le accuse di cospirazione furono in seguito ritirate e le leggi in base alle quali erano state portate furono dichiarate incostituzionali. Quando il movimento contro la guerra perse vigore, Lerner attribui' parte della responsabilita' a cio' che chiamo' un "surplus di impotenza" negli attivisti stessi. Essi non potevano riconoscere i loro successi perche' "ridefinivano continuamente i criteri in base ai quali definire il successo in un modo che li faceva sentire dei falliti". Il desiderio di comprendere questa "patologia" autodistruttiva porto' Lerner a studiare psicoterapia. Voleva anche analizzare la sua vita emotiva. Dice Lerner, "Scoprii che ero troppo severo nei miei giudizi, specialmente nei confronti dei miei genitori". Fini' il suo secondo PhD (il primo era in filosofia) al Wright Institute nel 1977 e incomincio' a lavorare come psicologo clinico. Tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80 Lerner viveva con disagio crescente lo spostamento politico della comunita' ebraica dal polo liberal a quello conservatore. Cio' lo condusse alla fine a fondare la rivista "Tikkun" nel 1986. Il suo obiettivo era rivitalizzare le voci liberal e progressive degli ebrei americani. Ma l'attivismo di Lerner non si limita al Medio Oriente ed ai circoli ebraici statunitensi. Oggi "Tikkun" (che significa in ebraico riparazione, guarigione o trasformazione) aiuta i liberal di tutte le culture e confessioni a integrare nelle loro vite la dimensione politica e quella spirituale. E' una rivista molto considerata anche nel dibattito culturale a livello accademico su questioni sociali cruciali. Lerner e' stato consigliere di Bill Clinton nel primo mandato. Recentemente, Lerner ha formato la Tikkun Community, un gruppo interconfessionale aperto ai laici, impegnato per la pace in Medio Oriente, la nonviolenza, la consapevolezza globale, la salute ecologica. Rabbi Lerner conduce servizi in diversi luoghi a San Francisco. La sua congregazione, Beit Tikkun, e' un frutto del movimento Jewish Renewal, che unisce alla spiritualita' un richiamo all'azione sociale per il cambiamento. Il libro di Lerner Jewish Renewal: a Path To Healing And Transformation delinea il suo progetto per rivendicare lo spirito rivoluzionario dell'ebraismo. Il discorso si allarga a tutte le altre religioni in Spirit Matters. Nel dibattito statunitense sul conflitto tra Israele e Palestina la voce di Lerner e' emersa come una delle piu' equilibrate. Il suo ultimo libro Healing Israel/Palestine incoraggia entrambe le parti a riconoscere il proprio e altrui dolore e ad affermare la dignita' innegabile dell'altro. Il ruolo della Tikkun Community a questo riguardo e' educare il pubblico, i media, il mondo accademico, le istituzioni politiche ed i rappresentanti eletti ad un percorso di pace e sicurezza comune per Israele ed il popolo palestinese. Opere di Michael Lerner: Jewish Renewal: A Path to Healing and Transformation (Putnam, poi Harper Collins); con Cornel West: A Dialogue on Race, Religon and Culture in America (Putnam, poi Penguin); The Politics of Meaning: Restoring Hope and Possibility in an Age of Cynicism (Addison Wesley Longman/Perseus Books); Spirit Matters (Walsch Books/Hampton Roads); Healing Israel/Palestine (Tikkun Books). Sito: www.tikkun.org] Il 17 e il 18 maggio verra' per la prima volta in Italia Michael Lerner, fondatore e direttore della rivista "Tikkun" e della Tikkun Community (Berkeley, California): un gruppo interconfessionale molto aperto ai laici, impegnato a indicare ai media, al mondo accademico, alle istituzioni politiche, alla galassia dei movimenti e al piu' largo pubblico percorsi di pace, di nonviolenza, di salute ecologica e di consapevolezza globale. * Nella prima giornata italiana (17 maggio), Michael Lerner animera' a Firenze (Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento), un incontro promosso dai professori Giovanna Ceccatelli Gurrieri (presidente) e Lorenzo Porta (docente) del Corso di laurea "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" della Facolta' di Scienze della formazione e Scienze politiche dell'Ateneo fiorentino. L'incontro, organizzato con il sostegno della Regione Toscana e del Comune di Firenze, sara' aperto alla cittadinanza. Lerner trattera' il tema "Costruire la pace: una scelta politica e culturale". L'uditorio sara' costituito prevalentemente di insegnanti delle scuole superiori, di docenti e studenti universitari di Scienze della formazione e Scienze politiche, di esponenti di movimenti laici e religiosi e di partiti politici di vario orientamento. Il dibattito sara' avviato da un gruppo di discussione composto da Moni Ovadia, dal sociologo di origine irachena Adel Jabbar (docente di Sociologia delle migrazioni all'Universita' di Venezia e profondo conoscitore della realta' vicino-orientale) e dal professor Lorenzo Porta. Moderatore dell'incontro sara' Bruno Segre. * Nella seconda giornata (18 maggio) avra' luogo un incontro a Milano sotto l'egida della Provincia, allo "Spazio Oberdan" in Piazza Oberdan n. 1. Qui il tema sara' "Risanare e disarmare il mondo": un titolo che prefigura un approccio meno marcatamente sociologico e piu' orientato nel senso della filosofia politica. Il gruppo di discussione, moderato da Massimo Nava (attualmente corrispondente del "Corriere della Sera" da Parigi, nonche' autore del recentissimo Vittime, un libro che narra i piu' devastanti conflitti dell'ultimo quindicennio leggendoli attraverso il destino delle vittime), comprendera', oltre ai citati Moni Ovadia, Adel Jabbar e Lorenzo Porta, anche il filosofo Salvatore Natoli. 3. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: SOFFERENZA DI DONNE, FIGURE DI TRASFORMAZIONE [Dalla rivista telematica "Per amore del mondo" (nel sito www.diotimafilosofe.it) riprendiamo il seguente testo, presentato al "Grande seminario di Diotima" del 2003 dal titolo "Il lavoro del negativo", le riflessioni maturate a partire da quegli incontri sono confluite nel libro di Diotima, La magica forza del negativo, di imminente pubblicazione. Wanda Tommasi ha sviluppato i temi qui trattati nel suo libro La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004] Qual e' il senso della disperazione? Di quel sentimento luttuoso cosi' antico che gia' Aristotele, ricordando come tutti i grandi uomini fossero melanconici, collocava in una polarita' fra umor nero paralizzante e distruttivo, da un lato, e creativita' del genio dall'altro? Oggi, l'antico nome di melanconia e' stato sostituito dalla parola depressione: mentre la melanconia, che si immaginava prodotta dalla bile nera, era una malattia del rapporto fra l'anima e il corpo, la depressione e' una riduzione delle funzioni nervose. Cio' che chiamiamo depressione e', in realta', qualcosa di molto vago e indefinito, che va dalle nostre occasionali e motivate tristezze alla vera e propria malattia depressiva, ma le cui infinite sfumature sono cancellate dai farmaci che pretendono di curarla. Depressione e' tutto cio' su cui agiscono gli antidepressivi: questa e' la definizione, molto pragmatica, che possiamo ricavare dal mercato. Siamo molto lontani dalla melanconia umorale, ma un aspetto di quell'antica fenomenologia voglio ricordarlo qui: si tratta della possibilita' di leggerla diversamente a seconda del sesso, come fece per prima Ildegarda di Bingen, nel declinare al maschile e al femminile i tratti del temperamento malinconico. Mentre l'uomo melanconico, secondo Ildegarda, e' pervaso da una sadica ferinita', suscita piu' paura che compassione, ed e' caratterizzato da una cupa lussuria, perche' odia le donne con cui pure desidera congiungersi, la donna melanconica e' piuttosto da compatire, perche' tiene il dolore chiuso dentro di se'. Ai nostri giorni, l'incidenza di gran lunga superiore di depressioni femminili rispetto a quelle maschili fa pensare che il quadro delineato dieci secoli fa da Ildegarda possa ancora dirci qualcosa: forse le donne risultano piu' depresse degli uomini perche' riconoscono di esserlo, lo dicono e chiedono aiuto, mentre non sappiamo quante depressioni mascherate si nascondano dietro a certi comportamenti maschili violenti, dietro all'alcolismo ecc. In un libro recente, ottimo da molti punto di vista, se non per il fatto che manca appunto della chiave della differenza sessuale, (La fatica di essere se stessi, Einaudi, Torino 1999), Alain Ehrenberg ricostruisce la storia sociale della depressione, che, nel nostro tempo, ha acquistato il primato tra le patologie del profondo, prendendo il posto, per l'attenzione prestatale dagli specialisti e dal mercato dei farmaci, che era stato, a cavallo fra '800 e '900, dell'isteria. A partire dagli anni '70, la depressione e' la malattia del nostro tempo, e questa malattia, come gia' l'isteria che l'aveva preceduta, e' una malattia prevalentemente femminile: Ehrenberg la collega alla fatica di essere se stessi, in una societa' in cui le norme rigide di comportamento per le classi sociali e per i due sessi hanno lasciato il posto a etiche che stimolano l'iniziativa individuale; anziche' inserirsi nello schema divieto/conflitto/colpa, tipico della nevrosi, la depressione e' pensata oggi dalla psichiatria come una patologia dell'insufficienza, che ha a che fare con l'universo della disfunzione, con l'incapacita' ad agire e a prendere iniziative, piuttosto che con quello della legge. Mentre il conflitto all'interno del soggetto era al centro dell'analisi di Freud, con la depressione ci troveremmo di fronte a un deficit, ad una mancanza. Muta obiezione a una norma sociale che chiede a tutti di essere responsabili e pieni di iniziative, la depressione sta al di qua del conflitto, lo evita accuratamente: ma io credo che proprio l'evitamento dei conflitti abbia a che fare con la depressione, nel senso che la rabbia, inespressa e non agita, implode dentro di se'. * La prima tappa del percorso che vorrei proporvi tratta appunto dell'evitamento del conflitto, e dell'implosione delle pulsioni aggressive inespresse all'interno dell'io. E' una tappa in cui le norme sociali sono ancora rigide e in cui le tracce di conflitti rimossi sono ancora riconoscibili. Per fare questa prima tappa, che riguarda la generazione che ci sta alle spalle, quella delle nostre madri, mi serviro' di un romanzo di Sylvia Plath, La campana di vetro (del 1963: Mondadori, Milano 1968), in cui l'autrice rielabora le vicende autobiografiche della propria depressione e del proprio tentato suicidio. Gia' il titolo, fortemente simbolico, "la campana di vetro", allude alle norme sociali rigide e alienanti, a cui la protagonista cerca di adeguarsi, pagando cosi' il suo tributo alla terribile normalita' della madre, che vuole per lei un successo in termini di conformismo; lei si adegua a questa norma, ma al prezzo di mettere a repentaglio il proprio equilibrio psichico: la rigidita' dei codici di comportamento si estende dalla famiglia, con l'ipocrisia di una morale sessuale che prevede la verginita' per le figlie femmine ma non per i maschi, all'universita' americana, efficiente ma fredda e burocratizzata, ai centri produttivi retti dalle norme della mercificazione e del successo, agli ospedali, dove medici insensibili come il dottor Gordon coniugano l'uso brutale dell'elettroshock con la realizzazione del profitto (25 dollari a seduta); sullo sfondo, attraverso un duplice riferimento all'esecuzione dei Rosenberg, si profila l'America maccartista in piena guerra fredda. La protagonista, Esther, che ha vinto una borsa di studio ed un premio, che le permette di fare pratica giornalistica presso una rivista femminile a New York, denuncia subito l'illusorieta' del mito americano: tutti pensano che lei stia vivendo in un vortice di piaceri e di mondanita', che guidi "New York come la sua auto personale". "Ma io non guidavo proprio un bel niente, nemmeno me stessa. Dal mio albergo mi tuffavo nel lavoro e nei ricevimenti e dai ricevimenti al mio albergo e di nuovo nel lavoro come un automa che non capisce niente. Immagino che avrei dovuto esserne entusiasta come lo era la maggior parte delle altre ragazze, ma non riuscivo a reagire. Mi sentivo molto apatica e del tutto vuota, come deve sentirsi l'occhio di un uragano, che si muove ottusamente e di continuo nel fragore che lo avviluppa" (p. 4). La Plath esprime apertamente, nel romanzo, le sue obiezioni al mito del successo, all'ipocrisia della morale sessuale, ecc.; invece la protagonista della vicenda, Esther, pur sentendo una specie di nausea salirle dentro ogni volta che si trova di fronte a comportamenti ipocriti, tuttavia non riesce a reagire, si sente apatica e vuota come l'occhio dell'uragano: c'e' una violenza dentro, ma questa non riesce ad esprimersi. Rimane solo l'apatia, un umor nero che toglie ogni gusto alla vita: "io potevo vedere i miei giorni, un giorno dopo l'altro, splendere davanti a me abbaglianti come un lungo viale bianco di infinita desolazione. Era stupido lavare ogni giorno quanto si doveva rilavare l'altro. Mi stancavo solo a pensarlo" (p. 110). La depressione e il tentativo di suicidio sembrano frutto di conflitti evitati, non agiti, che infine esplodono facendo crollare l'equilibrio psichico della protagonista: in primo luogo il conflitto con la madre, che la spinge al successo in termini di conformismo, secondo i criteri tipici della societa' americana degli anni '50, e che non incoraggia in lei alcun gesto di trasgressione. Come esempio di conflitto non agito da Esther, puo' bastare quello del fidanzamento con Buddy Willard, apparentemente un bravo ragazzo americano, ma che la protagonista giudica un "perfetto ipocrita". Anche se Esther disprezza Buddy e vorrebbe lasciarlo, non lo fa, non gli dice nulla, gli lascia anzi credere di amarlo ancora, perche' lui nel frattempo si e' ammalato di Tbc e lei non se la sente di dargli questo dispiacere: "Ma la cosa peggiore era che non potevo subito sputar fuori quello che pensavo di lui, perche' aveva preso la tubercolosi prima che potessi farlo. E ora mi toccava tenerlo su' di morale fino a che fosse stato bene di nuovo e in grado di accettare la verita' per quanto brutta potesse essere" (p. 47). Nella Plath e' comunque facilmente riconoscibile la traccia dei conflitti: di quelli immaginati ma non agiti da Esther, e di quelli messi in scena dall'autrice nella scrittura, nella sua denuncia dei falsi ideali di una societa' perbenista e ipocrita. E' noto che la Plath e' stata considerata una figura emblematica del femminismo, ma lo e' stata solo all'inizio, quando si sentiva il bisogno di denunciare l'oppressione femminile e di riconoscersi vittime. E' opportuno ricordare, a questo proposito, che l'autrice rivolge le sue critiche piu' dure a uomini: nel romanzo, i piu' implacabili strumenti di alienazione sono uomini, da Buddy al dottor Gordon, l'attesa di un'iniziazione sessuale da parte della protagonista sfocia in una violenza carnale, e all'amica lesbica di Esther, Joan, non resta che il suicidio. Ma tutto questo appartiene al passato, anche se recente. Da allora, le cose sono profondamente cambiate: non possiamo piu' rappresentarci come vittime sofferenti nella dipendenza dall'uomo, come ancora la Plath consentiva di fare. Di mezzo, fra la Plath e noi, ci sono stati la contestazione del '68 e il femminismo degli anni '70, che hanno messo radicalmente in questione le norme rigide e alienanti della societa', la morale sessuale, i ruoli dei due sessi, l'autorita'. La nostra - la mia - e' una generazione che si e' costruita attraverso il conflitto, rifiutando i ruoli sociali e sessuali tradizionali, per avviarsi alla realizzazione di se'. Eppure la depressione femminile non scompare, anzi diventa un disagio sempre piu' diffuso proprio a partire dagli anni '70: oggi, abbiamo a che fare con la depressione come fatica di essere se stesse, di prendersi la responsabilita' delle proprie vite, come deficit di iniziativa, come muta obiezione all'imperativo dell'efficienza, come paralisi del desiderio. * La psichiatria attuale nella sua versione corente piu' diffusa (il Dsm IV: Diagnostic and Statistics Manual of Mental Desorders, nella sua versione piu' recente, la IV) interpreta la depressione come un'insufficienza, un'incapacita' di tenere il passo con gli altri. Scompare l'esigenza di interrogare i conflitti che stanno dietro al disagio depressivo, e ci si preoccupa solo di diagnosticare il deficit di iniziativa e di sopperirvi con l'aiuto dei farmaci. Questo manuale, destinato ai medici di base, favorisce un atteggiamento che, di fatto, e' una scorciatoia, e anche piuttosto pericolosa: anziche' fare della relazione medico-paziente il luogo in cui dar voce alla sofferenza e fare dell'episodio depressivo l'occasione di una nuova tappa esistenziale, dolorosa ma necessaria, ci si preoccupa solo di colmare il vuoto, di sopperire al deficit e al senso di inadeguatezza. A questo servono i farmaci, che alimentano l'illusione di onnipotenza e promettono un mondo senza perdite, un soggetto senza ferite, e protezione dall'orrore del vuoto. Con un mercato degli antidepressivi che promette la felicita' a comando con una molecola, e' legittimo chiedersi se una persona, sempre alla ricerca di colmare il proprio vuoto e la propria mancanza, non sia confortevolmente drogata, e sia cosi' sempre evitato quel confronto con i propri limiti e con i propri conflitti che potrebbe toglierla dall'illusione di onnipotenza e metterla maggiormente in contatto con la realta'. All'atteggiamento complusivo di colmare ogni vuoto e di riempire ogni mancanza, che la nostra societa' incentiva e favorisce, con l'enfasi posta sull'iniziativa personale e sul consumo come riempitivo, molte donne corrispondono, con vite superimpegnate, al limite del collasso: moltiplicare gli impegni e le iniziative, essere in moto perpetuo non e' forse un modo di sfuggire il vuoto, di evitare il confronto con i propri limiti e in definitiva con se stesse? In controtendenza rispetto alla psichiatria attuale e al mercato dei farmaci, il contributo di donne, impegnate nella cura del disagio femminile e in particolare della depressione, e' significativo: si sottolinea qui la centralita' della relazione medico-paziente, come luogo in cui puo' inscriversi anche l'uso di farmaci, ma solo per alleviare le sofferenze piu' acute e per mettere in condizione la donna di guardare in faccia i propri problemi, di affrontare i propri conflitti e di usare la sofferenza depressiva come occasione per un cambiamento necessario. * Mentre la medicina attuale e il mercato degli antidepressivi ci riportano ossessivamente al nesso vuoto-pieno, mancanza-riempimento, e cancellano dalla scena il conflitto, la psicanalisi invece continua a ricordarci che il conflitto intrapsichico, anche se non percepito dal paziente, non e' in realta' scomparso, ma solo nascosto dietro ai sintomi di apatia e di fatica di vivere attenuati dagli antidepressivi. La guarigione coinciderebbe anzi col diventare capaci di sopportare la sofferenza e di rappresentarsi i propri conflitti. Scrive ad esempio Andre' Haynal: "La cura psicoanalitica ci ha mostrato che siamo costretti a vivere con l'ombra della diperazione. I nostri demoni non possono essere espulsi ne' soffocati: essi sono per noi preziosi, sono un attributo dell'esistenza umana. Se sapremo vivere con loro, finiranno per aiutarci" (Il senso della disperazione, Feltrinelli, Milano 1989, p. 120). Barbara Duden, guardando agli scenari della medicina attuale, segnala giustamente che si sta andando verso una negazione della condizione umana mediante il progresso, verso una gestione del dolore invece dell'arte di soffrire, e ricorda la saggezza antica, secondo la quale la vita e' tragica e la sofferenza ne fa inevitabilmente parte: possiamo alleviarla, ma non eliminarla (in Corpi soggetto, Franco Angeli, Milano 2000, p. 30). Questa saggezza antica risuona ancora nelle parole di Simone Weil. Una delle caratteristiche del soggetto depresso, la perdita della stima di se', e' fotografata con implacabile nitore da Simone Weil, quando, parlando del malheur, afferma che esso non consiste solo in una sofferenza che capita e che dura a lungo, ma in uno sguardo di disprezzo sociale che viene interiorizzato, al punto che si arriva a disprezzare se stessi. Simone Weil, contrariamente a quanto si tende a fare oggi, cioe' colmare il vuoto ed eliminare la sofferenza, insegna che della sofferenza si puo' fare un uso. Un'altra autrice che puo' dirci qualcosa, in questa direzione, e' Marina Cvetaeva: lei, che vive la vicenda della rivoluzione russa, condivide della rivoluzione la spinta all'autenticita', ma non la fiducia nella felicita', nell'abolizione di cio' che e' negativo e doloroso. Non tutto cio' che e' negativo puo' essere convertito in positivo, non tutta la sofferenza puo' essere trasfigurata nella creativita' artistica. "Ma il poeta e' colui che trasfigura tutto?" si chiede la Cvetaeva. "No, non tutto - solo cio' che ama. E ama - non tutto". Lei, per esempio, odia diverse cose, fra cui "la vita quotidiana, che e' materialita' non trasfigurata. Ho finalmente trovato la formula - mi ci ha portato l'odio" (Deserti luoghi, Adelphi, Milano 1989, p. 8). Con Cvetaeva, possiamo cominciare a raccontarci la storia dei nostri odii, a rappresentarci i nostri conflitti. Anche nelle relazioni fra donne, perche', se e' vero che le relazioni sono una strada per uscire dalla depressione, e' anche vero pero' che non si e' molto affinato l'ascolto della sofferenza che puo' esserci nelle relazioni stesse, tanto piu' grande quanto piu' le donne che ci sono vicine riaprono ferite antiche, che hanno origine nel rapporto con nostra madre. Arrivare a rappresentarsi i propri conflitti e raccontarsi la storia dei propri odii non e' pero' l'ultimo passo: l'ultimo passo e' quello che Melanie Klein indica col termine riparazione. La Klein considera un passaggio necessario, nel processo di crescita del bambino, la posizione depressiva, nella quale il bambino integra i suoi sentimenti di amore e odio verso la madre, e attraversa un periodo di lutto e sensi di colpa. Il superamento della posizione depressiva si ha con la riparazione, cioe' con la capacita' del bambino di riconoscere la propria bisognosita' e di provare gratitudine per la madre, nonostante la frustrazione e la rabbia per non poterla avere tutta e sempre per se' (Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze 1985). * Un processo di riparazione rispetto all'invidia provata nei confronti della potenza materna lo troviamo, ad esempio, in Etty Hillesum: l'ostilita' di Etty nei confronti della madre, espressa ripetutamente nel Diario, si placa solo quando entrambe sono costrette ad affrontare la terribile prova del campo di Westerbork; la', finalmente Etty riesce ad esprimere amore ed ammirazione per la madre, pur continuando a riconoscerne i difetti. Grazie al lavoro psicologico su di se', che le consente anche di esprimere la propria creativita', Etty converte la recriminazione per non essere stata amata abbastanza in capacita' di amare, e tramuta la primitiva invidia nei confronti della madre in gratitudine per i piaceri del passato e in gioia per quanto il presente puo' ancora darle. Nel caso di Etty Hillesum, il nesso fra depressione e creativita' e' particolarmente stretto: lei esce dall'umore depressivo grazie alla terapia di Spier e all'amore per lui, ma soprattutto mettendo a frutto la sua creativita' nella scrittura. L'uscita dal ristagno e dall'umore depressivo, registrato all'inizio del Diario, coincide con il ridimensionamento di un ideale dell'io eccessivamente esigente e velleitario, che ha come contraccolpo inevitabile la recriminazione per la propria inadeguatezza e la disistima di se'. Scrive ad esempio Etty nel Diario: "A volte avevo la certezza - peraltro molto vaga - che in futuro sarei potuta diventare 'qualcuno' e avrei realizzato qualcosa di 'straordinario', altre volte mi ripigliava quella paura confusa che 'sarei andata in malora lo stesso'" (Diario 1941-'43, Adelphi, Milano 1985, p. 38). Etty esce da quest'altalena fra esaltazione e depressione riconoscendo i limiti della propria fantasticata onnipotenza: anziche' biasimarsi di continuo per la propria incapacita' di essere all'altezza di un ideale di perfezione vago e lontano, impara a vivere pienamente il presente, ogni momento. Le sue energie psichiche ed emotive, non piu' bloccate nell'oscillazione fra autoesaltazione ed autosvalutazione, sono rese disponibili per il lavoro creativo della scrittura e per l'apertura a Dio. Posta di fronte ai propri limiti e, nel contempo, costretta a confrontarsi con una realta' traumatica, quella della persecuzione e della deportazione degli ebrei, Etty, anziche' reagire con un affetto depressivo, mobilita la propria creativita' per riparare il trauma nel lavoro creativo della scrittura e nell'esperienza spirituale: ad un futuro fantasticato, si sostituisce un presente in cui brilla una luce d'eternita'. Colpisce il fatto che Etty lodi la vita proprio quando sta per esserle tolta, che dia voce alla speranza proprio quando apparentemente non c'e' piu' nulla da sperare. Questo ci riporta alle radici della speranza, di cui parla Maria Zambrano nei Beati: Zambrano distingue fra le speranze (per cui speriamo in questa o quella cosa) e la speranza, che e' senza perche', immotivata, che non si nutre di nulla, ma che sostiene la vita. E' quest'ultima cio' che viene a mancare nella depressione, e' questa che Etty Hillesum sente rinascere in se' in circostanze tanto difficili. Questa speranza, scrive Zambrano, "si produce di rado, individualmente, in persone che hanno perso tutto e che nulla sperano in concreto", e a volte, per lungo tempo in "popoli o razze oppresse", mentre nell'Occidente civilizzato "il crescente benessere coesiste con l'angoscia" (I beati, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 104-105). Questa osservazione e' confermata dalla constatazione che la depressione e' una patologia dell'abbondanza e non della miseria. La speranza, continua Zambrano, "e' il fondo ultimo della vita, e' la vita stessa che, nell'essere umano, si dirige inesorabilmente verso una finalita', verso un oltre"; e' "la trascendenza stessa della vita che incessantemente rampolla" (p. 106). Quanto abbiamo umiliato la vita, perche' questa si vendichi sottraendoci la speranza, che ci da' il gusto di viverla? 4. INCONTRI. GIUSEPPE STOPPIGLIA: UN INVITO ALLA FESTA DI MACONDO DEL 28 E 29 MAGGIO [Dagli amici dell'associazione Macondo (per contatti: e-mail: posta at macondo.it, sito: www.macondo.it) riceviamo e diffondiamo. Giuseppe Stoppiglia e' l'infaticabile, generosissimo principale animatore di "Macondo", attivissima associazione di solidarieta' per l'incontro e la comunicazione tra i popoli; dopo studi di filosofia e teologia e' ordinato sacerdote cattolico nel 1965, prete operaio, formatore nel sindacato, nel 1988 fonda "Macondo". Tra le opere di Giuseppe Stoppiglia: Diario di un viandante, Edizioni Lavoro, Roma 1999, 2000] "Chi non crede non vedra' mai un miracolo. Di giorno non si vedono mai le stelle". (Franz Kafka) "... questa e' l'immagine del Signore, una fioritura continua..." (Alda Merini) Amiche e amici carissimi, "Ricordo ancora - mi diceva un mia ex alunna che incontrai per caso e mi riconobbe subito, proprio a Bologna - quando lei entro' in classe e scrisse sulla lavagna il motto di don Milani: I Care. Ricordo la sua perseveranza e lo spirito di ricerca che l'animava. Ci dava come una scossa. Noi eravamo abituati alla lezione da ripetere per l'interrogazione, per il voto, e seguendo lei ci sembrava di trovarci in un baratro che ci dava il capogiro. Non mi fraintenda: con lei era come salire su una montagna ogni mattina, ogni capitolo del programma era come un seminario aperto, ininterrotto, ogni volta si aprivano orizzonti nuovi e insospettati, problemi e tematiche che venivano sottoposti alla nostra riflessione, alla nostra verifica personale. Lei ci leggeva i passi dei filosofi e degli scrittori, i documenti e le testimonianze della storia, e li sottoponeva al commento, all'analisi, alla discussione in classe. Ci incalzava, ci coinvolgeva, ci costringeva a pensare, a ragionare, a meditare. E qui appunto avvertivamo la resistenza interna della pigrizia o delle abitudini mentali: perche' lei ci prendeva per mano e ci portava sulla montagna e ci invitava a guardare le cose dall'alto e noi sentivamo la differenza di pressione, di altitudine, la distanza del linguaggio d'uso in quel suo sforzo di decifrare e di riformulare i messaggi diversi alla ricerca di un codice comune. Cultura laica e cultura cristiana venivano ripensate con lei in modo non antagonistico, ma come tese a una possibile confluenza ad un livello superiore di umanizzazione. Ricordo le letture che ci proponeva sulle diverse religioni nella speranza di seminare lo spirito del dialogo - che e' piu' della tolleranza - e quel ritradurre le parole invise al laicismo ateo in termini accettabili e coerenti ad un altro universo linguistico. Lei si impegnava, e ci impegnava, troppo. Faceva un lavoro immenso, non si rassegnava alla normale routine della scuola...". * A volte le persone mi domandano: perche' sei diventato educatore? Non lo so, ma ho questa teoria (teoria nel senso di ipotesi perche' non ho prove): tutti noi nasciamo con certi saperi. Il ragno nasce sapendo fare la ragnatela, il mollusco nasce sapendo fare la conchiglia. Il musicista nasce sapendo suonare il pianoforte. C'e' un salmo che dice: "Invano vi alzate di buon mattino e andate a riposare tardi per mangiare pane di sudore: ai suoi amici il Signore lo da' mentre dormono" (salmo 127). Penso di essere nato educatore. Ho scoperto la delizia di comunicare idee. Ho trovato la mia gioia negli occhi affascinati degli alunni. Si tratta dell'esperienza della conoscenza che e' amorosa e piacevole. "La conoscenza e' un'esperienza di piacere ed e' un piacere che ingravida le idee" (William Blake). L'educatore abita un mondo nel quale cio' che conta e' la relazione. E' la relazione che lo unisce agli alunni, e' nella relazione che ogni alunno e' una "entita' sui generis", portatore di un nome, di una storia, che soffre tristezze, nutre speranze. L'educatore e' qualcosa che deve succedere in questo spazio invisibile e denso, che si stabilisce nel rapporto a due. Spazio artigianale. Gli educatori abitano un mondo diverso dall'attuale, dove educare non ha importanza: cio' che conta purtroppo e' un credito culturale che l'alunno acquista in una disciplina identificata da una sigla. Proprio per questo ci sono i professori al posto degli educatori. Questo obbliga il salto da persona a funzione. Con l'avvento dell'utilitarismo, tutto e' stato alterato. La persona e' passata ad essere definita per cio' che produce; l'identita' e' ingoiata dalla funzione. Cio' e' diventato cosi' radicato che, quando qualcuno ci chiede chi siamo, rispondiamo inevitabilmente dicendo quello che facciamo. L'educatore, quello costruito dalla mia immaginazione, abita un mondo nel quale l'interiorita' conta ancora; nel quale le persone si definiscono dalle loro unioni, passioni, speranze e sogni. Il professore al contrario e' funzionario di un mondo dominato dallo Stato e dalle imprese. La sua e' una bravura funzionale, viene infatti giudicata dagli interessi del sistema. L'educatore e' un fondatore di mondi, mediatore di speranze, pastore di progetti. * "... ora vinca un silenzio leggero". Di fronte all'inondazione mediatica in omaggio all'indiscutibile grandezza del papa Wojtyla mi e' tornato alla memoria quanto scrive Oscar Wilde: "Il sopravvento della morte ci deve sottrarre all'uso ipocrita di dover dire tanto bene dei morti, quanto male sappiamo dire dei vivi". La morte di ogni essere umano porta via una parte di noi stessi, ma esula, da un sentire cristiano, il culto idolatrico della persona. Al centro della vita della Chiesa vi e' Gesu' Cristo, morto e risorto. Vicenda unica e irripetibile. Nessuna creatura in cielo, in terra e negli inferi puo' prendere il suo posto (Fil 2. 9-10). Ognuno e' unico ed insostituibile agli occhi di Dio per quel che e', non per la funzione che ricopre. In questo senso dietro il prosaico detto che "morto un papa se ne fa un altro" si cela una verita' teologica fondamentale che ribadisce la centralita' e l'unicita' di Gesu' Cristo. Umanamente ci sono molte realta' insostituibili. Madre e padre non si possono sostituire. Qualcuno puo' prendere il loro posto, nessuno puo' essere come loro, origine della nostra vita. La morte dei genitori ti si avvinghia addosso. Non ha nulla a che vedere con le altre. Non perdi loro, e sarebbe dolore, e' una perdita di te. Non e' vero che sia insopportabile. E' la sola prevista... ma la perdita del padre e della madre e' un lutto che non si elabora mai fino in fondo, se elaborazione e' superamento. Sei un altro, dopo, e mutilato. Nessuno, dopo, si potra' affacciare su un balcone e proclamare la grande gioia di avere un altro genitore. L'immagine paterna del papa (santo padre) suona impropria appunto per la gaudiosa sostituibilita' di quella figura. Non si e' padri a tempo determinato. Se lo si e', vuol dire che se ne stanno facendo le veci. Il papato va inteso come una funzione o per essere piu' precisi nell'espressione, come servizio, non come una paternita'. L'elezione del cardinal Ratzinger a successore di Pietro non mi ha sorpreso, anzi, la ritengo un segno dei tempi. Facciamo fatica, lo so, a leggerli questi segni, considerando il suo passato di severo ed intransigente guardiano della "dottrina", ma temo ci sia, anche da parte nostra, una certa difficolta' ad ascoltarli, per un uso esagerato di categorie sociologiche e politiche. La sfida all'attuale tornante della storia (lo scandalo clamoroso della poverta' nel mondo, le guerre assurde per il predominio economico e culturale, la liberazione della donna, il terrorismo del denaro che spacca l'unita' delle famiglie e delle comunita'), per il nuovo papa, e' veramente sovrumana. Occorre il coraggio della liberta'. Nella tradizione cristiana la liberta' viene dalla fede. Indubbiamente Benedetto XVI e' un uomo di fede, la quale non e' tolta per il fatto di essere declinata nelle forme di una ortodossia prudentissima. Proprio per recuperare la fiducia nella parola e quindi la capacita' di pensare, la prima cosa da fare e' liberarsi dai pregiudizi, saper guardare i segni dei tempi perche' questa e' storia, realta', promessa, avvenire. I segni dei tempi rendono possibile una strada diversa da quella che infelicemente gli uomini stanno percorrendo. Tutto mi fa pensare che sara' piu' un papa della profondita' che della superficie, piu' della parola che dell'immagine. * E' vicino l'appuntamento annuale con la festa nazionale di Macondo. Per noi e per tutti gli amici e' un momento importante, fondamentale di incontro. Si svolgera' come sempre nella cornice gioiosa del parco dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Romano d'Ezzelino, alle porte di Bassano del Grappa , nei giorni di sabato 28 e domenica 29 maggio. Il tema scelto, "Sulla spiaggia di mondi senza fine, giocano i bambini", vorrebbe essere un'occasione per cercare la speranza, ma anche per vivere la gioia, restituita dall'eternita', all'innocenza massacrata. L'innocenza disarmata del bambino e' un dono che ci e' dato, per capire l'assurdita' di questo mondo, che si affida quasi esclusivamente al mercato, come unica risposta alla domanda di senso. La condizione infantile, sia quella dei bambini nei mondi poveri, sfruttati per ragioni di lavoro o per ragioni di sesso, sia quella dei bambini oggetto di pubblicita' o privi di dialogo e di affetto dei mondi ricchi, non e' una faccenda di lacrime o di buon cuore, ma il sintomo di un'umanita' che abdica alla conservazione della propria identita'. A differenza dell'animale, che mantiene la propria specie mediante la semplice procreazione, l'umanita' necessita per la sua conservazione e trasmissione, di istituti materiali e morali, la cui essenza designiamo con il termine "cultura" e la cui trasmissione affidiamo al termine "educazione". Educare significa guardare al bambino come all'uomo futuro e non come uno strumento del benessere presente, quel benessere che noi conosciamo nella forma del piacere e del denaro in cui si riciclano tutti gli impegni strumentali dei bambini siano essi il sesso, la guerra, la produzione delle merci, la loro pubblicizzazione, in quel mondo guardato solo da quell'occhio che sulla terra vede null'altro che merci da produrre e poi da consumare per la loro indefinita produzione. Una volta che il mondo e' guardato come merce, sguardo privilegiato del mercato, il bambino, che nella comunita' umana dovrebbe essere il destinatario della trasmissione culturale, diventa come tutte le merci, un anello della catena della produzione materiale, quando non addirittura un semplice oggetto di piacere. Materializzando l'infanzia, la comunita' umana perde il suo tratto culturale. Perche' gli adulti, i genitori, gli educatori prestino attenzione alle voci che salgono dal regno della morte, sul quale camminiamo giorno dopo giorno, ora dopo ora, arriveranno per raccontarci storie di vita e di speranza, alcuni testimoni dal Burundi (Petronilla Kibwa), dal Congo (Victor Mbembe), dal Brasile (Giorgio Barbieri), dal Peru' (Lucy Borja), dall'Italia (Pietro Barcellona, don Gigetto de Bortoli, Livia Pomodoro, presidente del Tribunale dei minori di Milano). Un momento di particolare emozione sara' l'incontro con la poetessa Alda Merini e il cantautore Samuele Bersani, assieme al comico Paolo Rossi. * Amiche e amici carissimi, nell'inviarvi la lettera per Natale nel dicembre scorso, con allegata l'agenda della pace, per ragioni di peso, non abbiamo potuto inserire il c/c postale per i rinnovi del 2005. Il fatto ha prodotto gravi ritardi e una diminuzione verticale dei rinnovi. Confido, assieme alle persone che lavorano con me nell'associazione, nella vostra attenzione, fiducia e amicizia, invitandovi, se non l'avete gia' fatto, a rinnovare anche per il 2005 l'abbonamento a "Madrugada" e l'adesione a Macondo ( la quota resta invariata). Tutto questo nella speranza che perduri il vostro interesse per quello che facciamo e promoviamo, ma soprattutto la vostra solidarieta' e il vostro affetto. Ve ne siamo immensamente grati. Nel congedarmi, vorrei salutarvi con le parole, meravigliose e piene di speranza, del poeta Mario Luzi, recentemente scomparso: "Dall'orizzonte umano in cui mi trovo a guardare il mondo universo che hai creato, si affrontano due eternita': la tua vivente luminosa e l'altra senza luce e senza moto. Anche la morte appare eterna. E' duro convincerli, gli umani, che non ci sono due eternita' contrarie, il tutto e' compreso in una sola e tu sei in ogni parte, anche dove pare che tu manchi". * Vi aspetto tutti alla festa per abbracciarvi con tenerezza e affetto. 5. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: REFERENDUM, IL DIRITTO DI VOTARE [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso nella cronaca di Bologna de "L'Unita'" dell'11 maggio 2005. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Ci sono cattolici che, come Romano Prodi, hanno rivendicato il diritto di andare a votare al prossimo referendum sulla fecondazione assistita, senza prudentemente dire come voteranno. Tuttavia non sono pochi quelli - soprattutto "quelle" - che, senza esprimersi pubblicamente, si riservano un'autonomia maggiore. Possiamo esplicitarne le ragioni. L'invito al "non voto" non e' stata la piu' coerente delle scelte per un cattolico convinto: monsignor Ruini ha deciso di ricorrere a una tattica, non a un'argomentazione, solo per il timore di ripetere l'esito del referendum sull'aborto, quando al monito della chiesa corrispose la disubbidienza di due terzi dei votanti. La gerarchia cattolica, infatti, in un paese democratico puo' esprimere liberamente i propri convincimenti e deve evangelizzare: perche' ha invitato a disertare e non a votare "no", se ritiene che la fecondazione assistita sia un peccato? E perche' non ha ragionato sul problema quando la scienza l'ha proposto - piu' di vent'anni fa - e parla solo oggi, quando da queste pratiche sono nati migliaia di bambini che ormai frequentano l'universita'? Perche' gli scienziati cattolici sembrano scoprire oggi le tecniche riproduttive che hanno solo il compito di guarire coppie altrimenti rese infelici dalla sterilita'? Desiderare figli non puo' essere ne' peccaminoso ne' illegittimo: se la scienza consente di integrare la natura - secondo il significato del biblico invito a "dominare la terra" - si dovrebbe poterne accettare l'ausilio. Tuttavia il vero problema sembra essere diventato l'embrione, da tutelare non perche' degno di rispetto in se', ma perche' dotato di tutti i diritti propri della "persona", anche a costo di aprire il conflitto con i diritti delle donne. Mentre una concezione personalistica della vita estesa al concepito dovrebbe significare fornire alla donna incinta tutte le tutele di maternita' (intanto viviamo in un paese in cui non si risarcisce l'aborto spontaneo per ragioni di lavoro), non e' accettabile attribuire capacita' giuridica all'embrione, con il rischio che, in prospettiva, diventi titolare di eredita', o denunci gli attentati al proprio benessere operati dalla mamma che pratica qualche sport o gli apparentemente innocui lavori domestici. La questione riguarda direttamente i "generi": l'uomo, anche se non e' filosofo, capisce cio' che e' "potenza" e cio' che e' "atto" sempre secondo Aristotele, per il quale lo sperma e' la potenza vitale, mentre la donna e' un semplice contenitore che la porta a maturazione. L'uomo identifica cosi' la propria capacita' generativa nell'astrazione dell'embrione, non nel processo che si verifica nel grembo della sua donna. La quale ha un metro di valutazione diverso: sa bene che una cellula fecondata e' diversa da un ovulo e uno spermatozoo separati, ma sa anche che cio' che le cresce dentro e' una potenzialita', mentre reale e' il bambino da tenere in braccio. Inoltre le donne non ignorano che, secondo natura, milioni di embrioni si sfaldano, senza che nessuno si renda conto della loro esistenza; dovrebbero per caso pensare che il loro grembo produce tendenze suicide? D'altra parte non e' compito della legge definire quale sia l'origine della vita. A meno di non voler correggere il primo articolo del Codice civile che riconosce che "la capacita' giuridica si acquista dal momento della nascita" e che "i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita". Cattolici e laici, davanti a una legge ingiusta e inapplicabile, hanno dunque problemi concreti molto seri, che portano ad andare a votare e, anche, ad esprimere quattro si', 1) per non punire le donne che si sottopongono a trattamenti clinici pesanti solo per amore della vita, e per non aprire un conflitto giuridico dentro l'aspirazione alla maternita'; 2) per consentire alle donne di ricevere il numero di embrioni che il medico e non la legge ritiene opportuno; 3) per ammettere la fecondazione eterologa che risponde anche a un non egoistico desiderio di paternita'; infine 4) per consentire che la responsabilita' del destino di embrioni in ogni caso condannati all'estinzione sia affidata agli scienziati. Le preoccupazioni per avventure rischiose progettate dalla genetica non possono essere incluse di soppiatto e ideologicamente in una legge riferibile solo a pratiche terapeutiche non imposte a nessuno, desiderate da molti, consentite in tutti i paesi europei e utilizzate anche, se non soprattutto, da buoni cattolici. I quali cattolici pensano che, se ci fosse stata la fecondazione assistita, ben difficilmente Sara avrebbe permesso ad Abramo di prendersi una concubina, come era consentito ai patriarchi da quella Bibbia che pensava sterili solo le donne. A meno di non suggerire il ricorso al vecchio adulterio, come fa implicitamente chi - come monsignor Maggiolini - pensa che le donne vogliano "prendere il seme del primo che passa per la strada", senza riflettere sull'esistenza della sterilita' maschile. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 930 del 15 maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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