La nonviolenza e' in cammino. 927



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 927 del 12 maggio 2005

Sommario di questo numero:
1. Bananeros
2. Un colloquio di Maria Grazia Giannichedda e Ornette Coleman
3. Elettra Deiana: Un viaggio a Kabul
4. "Superare il sistema mafioso", un convegno a Palermo
5. Paolo Sylos Labini: Mafia e stato
6. Letture: Vincenzo Vasile, Michele Sindona. Troppo caffe' puo' far male
7. Riletture: Umberto Santino (a cura di), L'antimafia difficile
8. Riletture: Umberto Santino, La borghesia mafiosa
9. Riletture: Umberto Santino, La mafia interpretata
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. BANANEROS
L'appello di Giulio Vittorangeli pubblicato ieri in questo foglio convoca
tutte e tutti.
Perche' la lotta dei bananeros e' figura dello stato del mondo, sintesi di
questo tragico momento dell'umanita', di questa distretta apocalittica.
Occorrono cure mediche, occorrono alimenti, occorrono aiuti materiali,
occorre solidarieta' umana.
Molti di noi non sapevano che mangiando quelle banane comprate al
supermercato o dal fruttivendolo sotto casa si stavano uccidendo persone.Chi
non sapeva ora sa.
Alcune vite delle persone gia' contaminate dal Nemagon irrorato loro nelle
carni e nel respiro dalle multinazionali del trionfante ordine hitleriano
possono ancora essere salvate. E possono essere salvate le vite di schiavi
futuri, semplicemente impedendo che siano ridotti in schiavitu' dagli
elegantissimi sicari in agguato coi loro grafici dei bilanci aziendali in
ascesa per la gioia del consiglio di amministrazione e di quell'assemblea
degli azionisti di cui compartecipa ognuno di noi quando afferra un carrello
di supermercato, che talora uccide piu' di un mitra.
Molto e' da fare, ed e' semplice sapere cosa: rompere ogni complicita' con
le multinazionali assassine, sostenere il commercio equo e solidale,
sostenere le organizzazioni dei lavoratori e per i diritti umani del sud del
mondo, far cessare l'apartheid planetario, costruire relazioni di giustizia.
E con riferimento alla specifica vicenda di cui qui stiamo parlando:
sostenere qui e adesso la lotta dei bananeros accampati a Managua. Per
informazioni e contatti: e-mail: g.vittorangeli at wooow.it, sito:
www.itanica.org

2. ESPERIENZE. UN COLLOQUIO DI MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA E ORNETTE COLEMAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 maggio 2005.
Maria Grazia Giannichedda, acutissima sociologa, e' stata una delle
principali collaboratrici degli indimenticabili Franco e Franca Basaglia, la
cui lotta per una psichiatria democratica e per la dignita' umana di tutti
gli esseri umani tuttora prosegue.
Ornette Coleman (Fort Worth 1930), come ognun sa, e' uno dei piu' grandi e
creativi musicisti della storia del jazz]

Quel concerto di fine maggio del 1974 nel manicomio di Trieste, Ornette
Coleman lo ricorda benissimo e ha voglia di raccontarlo. "It was really very
unique, molto speciale. Non mi ero mai trovato in un ambiente cosi'
particolare. Non avevamo la minima idea di chi potesse esserci in
quell'ospedale, ci siamo trovati fra tanta gente di tutti i tipi e certo non
avresti potuto dire, guardandoli in faccia, questo e' malato e questo no".
Erano cambiate tante cose nel manicomio di Trieste da quando Franco Basaglia
era diventato direttore, alla fine del 1971. Tutti i reparti erano aperti,
molte persone erano state dimesse ma ne restavano dentro 847, e 847 era il
nome del giornale inventato da Ugo Guarino, artista pop triestino che
all'epoca animava il "Collettivo d'arte arcobaleno", e aveva fatto tra
l'altro il murale "La liberta' e' terapeutica", messaggio forte di quegli
anni che sconcertava e divideva la citta'. Gran parte della gente si sentiva
infatti violentata dalla presenza dei matti e disturbata dalla faccia
nascosta della sua storia che il manicomio rivelava, mentre altri si
facevano parte attiva nel grande sforzo di trovare un posto per chi lo aveva
perduto o mai avuto, e il quotidiano locale e il tribunale avversavano
sistematicamente ogni cambiamento. Bisognava coinvolgere la citta' perche'
riconoscesse come parte del tessuto urbano la collina di San Giovanni
occupata dal manicomio, perche' accettasse la sua storia come parte della
storia dalla citta', e le persone che vi erano state rinchiuse come suoi
cittadini. Quello di Ornette Coleman fu il primo grande concerto che fece
arrivare nella "citta' dei matti" oltre mille persone.
L'idea era nata con il Club triestino degli Amici del jazz e il tramite era
stato un personaggio straordinario, un pittore olandese che Coleman ricorda
come "un uomo grande e grosso che viveva in barca, un artista molto bravo
che faceva quadri sempre non piu' grandi di un foglio A4. Negli ultimi anni
viveva a Roma, dove e' morto una decina di anni fa". Questo pittore era
entrato in contatto col manicomio dopo l'esperienza di Marco Cavallo, il
grande cavallo azzurro di cartapesta costruito in due mesi nel "Laboratorio
P", un reparto appena svuotato dove gli operatori e i ricoverati, con un
gruppo di teatranti, pittori e scultori guidati da Giuliano Scabia e
Vittorio Basaglia, avevano creato "un evento" si direbbe oggi, che si
concluse con "una festa di lotta", come dicemmo allora, cioe' un grande
corteo aperto dal cavallo che conteneva in pancia i desideri di chi l'aveva
costruito, e che attraverso' il centro della citta' in un pomeriggio di sole
e bora il 25 marzo 1973. I materiali prodotti dai ricoverati nel
"Laboratorio P" erano stati poi presentati in una collettiva a cui aveva
partecipato anche il mondo variegato e cosmopolita degli artisti triestini,
e che si era svolta nell'osteria "Le cinque porte" di Tristano Toich, oste,
critico d'arte e tassista, personaggio famoso di quel quartiere di San
Giacomo che James Joyce aveva amato e abitato a lungo. Coleman ricorda che
il suo amico olandese gli racconto' di aver incontrato in manicomio artisti
di valore e persone interessanti, e cosi', "quando mi ha proposto di andare
a suonare li', mi sono detto magari si puo' fare qualcosa di buono perche'
la musica fa sentire meglio, e ho accettato".
*
"In realta' non immaginavo affatto la situazione in cui poi ci siamo
trovati". Nel prato del campo sportivo, circondato dai reparti "non c'era un
vero palco, solo una pedana e noi suonavamo con la gente che andava e veniva
intorno e vicino a noi, con l'aria di pensare vediamo chi sono questi
artisti, cosa fanno. Era davvero molto bello, era real audience, un vero
pubblico che si muoveva in modo consapevole, attento, coinvolto. Poi e'
venuta fuori quella signora, di lato rispetto a noi, dall'ombra, senza che
nessuno la controllasse, suonando la fisarmonica. Si muoveva in modo molto
tranquillo, convinta che non ci fosse nulla di sbagliato in quello che stava
facendo, quasi professionale, suonava qualcosa che mi sembro' una canzone
popolare. Mi ricordo che ho pensato questa e' musica, let's join her,
andiamole dietro, e cosi' abbiamo cominciato a suonare cio' che suonava
lei".
Tra noi, in realta', c'era stato un brivido di vero panico in quel momento.
Non per le intenzioni di Rosetta Lojacono, che certamente non voleva
disturbare il concerto. Rosetta avra' avuto una cinquantina d'anni
all'epoca. Piccola, rotonda, rosea, sembrava una di quelle fate argute e
affettuose, e come loro era capace di prodigi e bizzarrie. Cantava con una
bella voce da soprano e la si vedeva spesso passeggiare nei viali del
manicomio e per il quartiere suonando la fisarmonica o l'armonica a bocca.
Nei mesi del laboratorio di Marco Cavallo, Rosetta, che viveva in manicomio
da piu' di vent'anni, era stata una protagonista: aveva raccontato lei la
storia del cavallo Marco che tirava il carretto con la biancheria sporca dei
reparti, e da li' era nato il cavallo azzurro che poi ha girato il mondo,
con una canzone composta da Rosetta insieme con Giuliano Scabia.
Dunque noi sapevamo che Rosetta poteva partecipare al concerto avendo le
risorse e lo stile per farlo, ma non sapevamo di Coleman, assolutamente
alieno rispetto al nostro ambiente, e noi che volevamo creare "incontri
ravvicinati" tememmo di aver osato troppo nel non volere nessuna mediazione,
nessun controllo psichiatrico in quello spazio dentro il manicomio che
volevamo fuori dalle sue regole.
"Ma io mi sentivo molto bene, molto normale in quella situazione un po' da
fantascienza, e cosi' la cosa ha funzionato. Ricordo che abbiamo suonato
almeno un'ora e mezzo, piu' del solito, mi piaceva quel clima di liberta',
questo essere liberi, tutti, in qualunque condizione si fosse. Lo so che
all'indomani ognuno sarebbe ritornato al suo posto, ma in quel particolare
momento era evidente che eravamo tutti normali in quella situazione cosi'
speciale. Questo la musica puo' farlo, lo dicevo anche ieri, io credo che
sound is the science of feeling, sia la scienza del sentire. Credo davvero
di aver capito delle cose di me stesso quella volta. All'epoca, ero anch'io
molto matto, poi sono diventato piu' maturo, ho capito che la musica fa
bene, anche su di me. Proprio poco dopo Trieste sono stato in Marocco, dove
ho incontrato i musicisti Joujouka, un gruppo che mi ha impressionato molto,
usava una musica antica che cura la follia, e io credo che questo sia
possibile".
Coleman ricorda anche un concerto al Paolo Pini, il grande manicomio di
Milano. "Credo che quel concerto fu prima di Trieste, ma era un'altra cosa,
la' io ho suonato per i medici, c'erano file di medici e file di malati,
composti e seduti, tutto molto controllato e usuale, un concerto di
beneficenza come mi e' capitato altre volte".
*
Ornette Coleman, che oggi ha settantacinque anni ed e' un musicista
celebrato che non smette di sperimentare, e' davvero affezionato a quel
concerto triestino, ha voglia di ricostruire la vicenda, chiede notizie di
Rosetta (che vive in un appartamento nel parco di San Giovanni con alcune
signore sue coetanee) e suggerisce di cercare delle foto, perche' ricorda
bene la presenza di fotografi e di qualcuno che filmava. Proviamo anche a
ricordare la formazione, Coleman ha presente Billy Higgins alla batteria, e
probabilmente era lo stesso quartetto con cui aveva suonato in Italia
quell'anno: Norris "Sirone" Jones al contrabbasso, James Ulmer alla chitarra
elettrica, e Billy Higgins, appunto. Chiede com'era andato il concerto dal
punto di vista economico. Un disastro in realta'. L'ingresso era a offerta
libera, ma, nonostante il grande successo di pubblico, non si riusci' a
tirare su la cifra che serviva a pagare le spese, che erano di 180.000 lire.
I concerti andarono poi avanti a ritmo serrato quell'anno, con noi diventati
piu' esperti di Siae e di permessi dei pompieri. A luglio il campo sportivo
e ogni spazio circostante furono occupati dal pubblico degli Area, in agosto
ci fu il primo concerto di Gino Paoli nel teatro del manicomio, poi in
settembre Giorgio Gaslini, poi Franco Battiato e a novembre il primo
spettacolo di Dario Fo, momenti che abolivano il manicomio per una sera e
hanno contribuito a distruggerlo.
Ornette Coleman si e' divertito molto al racconto della nostra paura per la
sua reazione quando Rosetta era arrivata suonando. Una paura che si era
trasformata subito in un sentimento di quasi felicita', cosi' forte e ancora
nitido da spingermi a cercarlo, dopo trent'anni, in fondo per capire se cio'
che ricordavo era vero. I ricordi e l'emozione del maestro Coleman oggi
dicono che qualcosa di speciale e' accaduto davvero, in quel concerto di
quasi estate sulla collina di San Giovanni.

3. INCONTRI. ELETTRA DEIANA: UN VIAGGIO A KABUL
[Da Elettra Deiana (per contatti: deiana_e at camera.it) riceviamo e
diffondiamo questo suo articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 10
maggio 2005 in cui riferisce del suo recente viaggio a Kabul effettuato
all'interno della missione del Gruppo di contatto in favore delle donne
afghane di cui fa parte assieme ad altre parlamentari. Elettra Deiana e'
parlamentare, da sempre impegnata per la pace e i diritti]

Kabul e' una citta' di polvere, arrampicata a 1.800 metri sulle montagne
dell'Indukush, in un superbo scenario di lontane creste innevate. Se piove,
anche solo un po', Kabul diventa un impasto di fango, denso e viscido, che
si attacca alle calzature, agli orli degli abiti, schizzando dappertutto.
Appena fuori  dall'aeroporto, la citta' si presenta subito in tutta
l'evidenza della sua storia drammatica: violentata dalle guerre in ogni sua
parte, case sventrate dalle granate e dai bombardamenti, indecifrabili
mucchi di rovine di ogni cosa, accantonati ovunque. Se si esce dalla citta',
si possono scorgere mucchi di pietre ai lati della carreggiata e lungo linee
interne ai campi. Stanno a indicare le aree ancora non sminate, quelle che
continuano a procurare terribili mutilazioni alla popolazione, soprattutto
ai piccoli. Ne abbiamo visto, di quei mucchi di pietre, il 2 maggio,
recandoci a Camp Invictia, la grande base ex sovietica che ospita i
contingenti dell'Isaf (International Security Assistance Force), tra cui
quello italiano, messi a presidio dei frutti preziosi (per gli Usa)
dell'avventura bellica Enduring Freedom. I frutti sono quel fragile governo
filo-americano guidato dal presidente Hamid Karzai, che nei fatti, al di la'
della retorica ufficiale, continua a essere assediato dai feroci warlords
delle regioni del Nord che fingono di deporre le armi e, sul confine
pakistano, dalle oscure manovre di gruppi di pashtun di ispirazione
fondamentalista, ancora legati all'infame regime dei Taliban. E i frutti,
soprattutto, nella logica di controllo imperiale del mondo che anima il
Pentagono, sono le basi americane che si vanno costituendo nelle zone
nevralgiche del Paese, a cominciare ovviamente da Kabul.
I rottami metallici, le carcasse di automobili di tempi lontani, la ruggine
della cose costituiscono il misero giro d'affari di un'interminabile sequela
di bottegucce aperte disordinatamente sull'arteria principale, piu' buche
che asfalto, un'arteria trafficata in maniera inverosimile, con marciapiedi
di polvere e fogne a cielo aperto lungo i quali non e' raro vedere bambini
che si rincorrono per gioco. I volti di quelle creature sono spesso segnati
dalle ferite della leishmaniosi, malattia da vita di strada in Afghanistan,
caratterizzata da lesioni ulcerose della pelle che possono avere effetti
devastanti se attaccano le mucose.
Le donne - le pochissime che girano per strada, quasi fantasmi in un
contesto di occhiuta e ostile socialita' maschile - sono ancora per lo piu'
coperte dal burqua o, le piu' audaci, da ampi scialli neri.
Gli uomini occupano tutto lo spazio pubblico, le strade, i mercati, gli
uffici del nuovo corso politico.
*
Nei locali del ministero dell'Educazione, dove la delegazione parlamentare
di cui facevo parte ha incontrato il ministro Noor Mohammad Qarqeen, gruppi
di uomini, per lo piu' senza titolo, sciamavano per scale e corridoi, alla
disperata ricerca di un posto di insegnante. La qualita' dell'insegnamento,
ci ha spiegato il ministro, e', accanto alla mancanza di aule, materiale
didattico, libri e quant'altro, il problema piu' grave che ostacola il
decollo di un piano di alfabetizzazione e formazione degno di questo nome.
Ma la voglia di scuola anima  una parte non insignificante della societa'
afgana, quella certamente piu' lungimirante, che spera in un futuro di cui i
propri figli e figlie siano protagonisti. Se ne avverte la spinta in quelle
file di bambini e adolescenti - le femmine in lunga veste nera e velo bianco
in testa - che si inerpicano con determinazione lungo le strade dissestate
per raggiungere le loro scuole, in una faticosa giornata su tre turni, che
cominciano alle sette del mattino e si concludono alle cinque del
pomeriggio.
Abbiamo visitato, in un distretto fuori della capitale, una delle due scuole
femminili - la separazione per sesso e' l'alfa e l'omega della societa'
afgana - per le quali la nostra Camera dei deputati, in occasione di una
Conferenza internazionale con le donne afgane, svoltasi a Montecitorio nel
2003, aveva stanziato dei fondi per lavori di ristrutturazione del sistema
idrico e di quello elettrico. L'obiettivo della nostra missione, una
delegazione di sole deputate di tutti i gruppi parlamentari, era quella di
mantenere i contatti con quelle donne e capire che cosa stia succedendo in
Afghanistan a partire dalle donne. Le bambine stavano li', in aule anguste o
sotto dei tendoni montati nel cortile fangoso, con le loro lavagnette e i
loro sillabari di poche pagine, gli occhi sgranati di fronte alle straniere
ma il sorriso per lo piu' accattivante, come solo le bimbe sanno fare. Si
capisce soltanto a guardarle la passione per quel luogo, la determinazione
dell'imparare.
*
Le donne, anche in questo Pese ai confini del mondo, quelle che hanno preso
coscienza di se' e dei proprio diritti, sono la parte piu' vitale,
straordinaria. Hanno resistito alle guerre, alle sanguinose lotte tra i
clan, al devastante regime dei Taliban. Sono ancora diffusamente merce di
scambio tra gli uomini, anche se la nuova Costituzione lo vieta. Sono ancora
condannabili alla lapidazione dai capi villaggio, anche se la Commissione
afghana indipendente sui diritti umani, guidata da Sima Samar, una donna
coraggiosa, cerca di porre fine a questi obbrobri. In molte hanno voglia di
partecipare alla vita pubblica, di fare qualcosa per il proprio Paese.
Ne parliamo con la dottoressa Masouda Jalai, ministra degli Affari
femminili, che traccia un quadro impietoso della situazione sociale e
giuridica delle donne del suo Paese, che persiste nonostante la caduta del
regime dei Taliban e nonostante gli impegni del nuovo governo. Le donne non
hanno accesso alla giustizia, costituiscono la maggior parte dei poveri e
poverissimi, l'8% continua a subire l'onta dei matrimoni forzati, la quasi
totalita' si deve adattare ai matrimoni combinati. E anche nella scuola la
partecipazione femminile e' ostacolata dal privilegio maschile, dalla
misoginia della tradizione, dalle difficolta' ambientali.
Eppure vanno avanti tenacemente e sono molte le candidate che si sono
iscritte per le elezioni politiche previste per il 18 settembre prossimo.
Ovviamente anche qui non saranno rose e fiori, viste le tensioni tra clan
che spesso contrappongono un gruppo di donne a un altro. Le candidate
appartengono per lo piu' a una ristretta cerchia influenzata dai modelli
occidentali, ma non poche vengono dalle province e conoscono la durezza
dell'esistenza. Tutte cercano di sfruttare le "quote" previste dalla
Costituzione - il 25 % - per garantire una presenza femminile nella "Wolesi
Jirga", cioe' l'Assemblea del popolo, mentre piu' complicato sara'
garantirla nella "Meshrana Jirga", cioe' l'Assemblea dei anziani.
Grande fiducia nella capacita' delle donne di intraprendere un cammino di
liberazione ha mostrato anche Jamila Mujahed, direttrice della radio "Voice
of afghan women" interamente gestita da donne e con ambizioni di arrivare a
coprire l'intero Paese per sviluppare una rete femminile. Determinata e
critica, per quanto e' consentito esserlo a una donna in quel contesto.
*
La situazione in Afghanistan continua a essere drammatica e, d'altra parte,
come potrebbe non esserlo? Il Paese occupa uno spazio nel centro Asia che
definire di straordinaria importanza strategica e' poco. Nella zona
corrispondente alle ex repubbliche sovietiche, prese di mira dai pervasivi
piani di controllo imperiale degli Usa, si gioca infatti una partita
decisiva per la definizione degli assetti di potere sull'intero pianeta nel
nuovo secolo.
La sicurezza a Kabul e' quella garantita dalla presenza delle truppe
straniere dell'Isaf a guida Nato, alleanza militare ormai sganciata
completamente dai compiti strategici del trattato del '49 e trasformata in
una sorta di milizia militare, a meta' tra forza armata e polizia globale
militarizzata, a disposizione per qualsiasi avventura bellica o parabellica.
Salve le resistenze, quando ci sono, di alcuni Paesi europei, come e' stato
nel caso dell'Iraq.
Che la situazione dell'Afghanistan sia ancora largamente insicura lo ammette
anche il colonnello Vinaccia, responsabile del contingente Italfor, nel
briefing organizzato a Camp Invicitia per accogliere la delegazione. Ci
elenca i meriti dei militari italiani nell'opera di assistenza sanitaria e
intervento umanitario. Sicuramente ci sono, ma dentro un palese contesto di
occupazione militare, dentro una logica di slittamento semantico e mentale
dei compiti che abitua all'idea che le forze armate siano chiamate a una
completa globalita' dei compiti, sottraendo spazio alla cooperazione civile,
alla diplomazia, al primato della Carta delle Nazioni Unite.
L'Italia ad agosto assumera' il comando Nato dell'Isaf, ora in mano turca, e
si sta attrezzando per costituire nella provincia di Herat il locale Prt
(Provincial reconstruction team), cioe' uno degli organismi di controllo
territoriale attraverso cui la Nato, su ispirazione americana, cerca di
estendere il controllo sull'intero Paese.
E' difficile credere che sia questa la strada per ridare futuro a quel Paese
ormai ridotto in condizioni di estrema devastazione che anche questo viaggio
a Kabul ha mostrato.

4. INCONTRI. "SUPERARE IL SISTEMA MAFIOSO", UN CONVEGNO A PALERMO
[Da Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) riceviamo e
nuovamente diffondiamo. Enzo Sanfilippo e' uno degli animatori del
gruppo-laboratorio "Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema
mafioso", promotore del convegno che si svolgera' a Palermo il 21-22 maggio
2005. Riportiamo di seguito una breve notizia biografica di Enzo Sanfilippo
scritta per noi nel 2003 da lui stesso: "Sono nato a Palermo 45 anni fa.
Sono sposato e padre di due figli, Manfredi di 18 anni e Riccardo di 15.
Sono stato scout e capo scout fino all'eta' di 30 anni. Ho svolto il
servizio civile in un Centro di quartiere della mia citta'. Ho frequentato
l'Universita' di Trento dove mi sono laureato in sociologia. Ho perfezionato
i miei studi a Bologna in sociologia sanitaria. Dal 1989 lavoro nella
sanita' pubblica, nei servizi di salute mentale dove mi sono occupato finora
di sistemi informativi e inclusione sociale di soggetti  con disagio
psichico. Chiusa l'attivita' con gli scout, con mia moglie Maria abbiamo
cercato di impegnarci nell'area della nonviolenza. Abbiamo fatto parte per
diversi anni del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) per
poi approdare al movimento dell'Arca di Lanza del Vasto al quale aderiamo
come alleati dal 1996. Dallo stesso anno facciamo parte di un gruppo di
famiglie palermitane ("Famiglie in cammino") con  il  quale facciamo
esperienze di condivisione spirituale e sociale. Frequentiamo il Centro di
cultura Rishi di Palermo dove pratichiamo lo yoga. Con gli altri tre alleati
dell'Arca siciliani (Tito e Nella Cacciola e Liliana Tedesco) abbiamo
organizzato diversi campi su vari aspetti dell'insegnamento dell'Arca
(canto, danza, yoga, lavoro manuale, ecumenismo) presso un monastero a
Brucoli (Sr) dove Tito e Nella hanno abitato per cinque anni. Quest'anno
abbiamo acquistato una casa in campagna presso Belpasso (Ct) dove Tito e
Nella andranno ad abitare e a lavorare: la' assieme a loro e a vari amici
speriamo di riprendere le attivita' di approfondimento e di lavoro sulla
pace, la nonviolenza, l'insegnamento dell'Arca"]

Il 21-22 maggio 2005 a  Palermo, presso il Convento dei Frati Minori di
Baida, si svolgera' un convegno nazionale sul tema "Superare il sistema
mafioso. Il contributo della nonviolenza".
Il convegno e' promosso da: Gruppo-laboratorio "Percorsi nonviolenti per il
superamento del sistema mafioso"; Seminario Nonviolenza; Quaderni
Satyagraha; Mosaico di Pace; Centro Siciliano di Documentazione G.
Impastato; Arci Sicilia; Libera; Dipartimento di Studi "Politica, Diritto e
Societa'" e Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Palermo;
Corso di Laurea in Scienze per la Pace dell'Universita' di Pisa.
*
Programma
Sabato 21 maggio 2005
Sessione mattutina: Analisi
Moderatore: A. Cavadi, Scuola di Formazione Etico-Politica G. Falcone.
Ore 9: Saluti degli enti promotori.
Ore 9,30: relazioni:
V. Sanfilippo, Movimento dell'Arca: Nonviolenza e mafia: alcune indicazioni
di percorso.
U. Santino, presidente Centro Siciliano di Documentazione G. Impastato,
Palermo: Nonviolenza, mafia, antimafia.
G. Scardaccione, Universita' di Chieti: Il modello riparativo di giustizia:
la sfida "impossibile" dell'applicazione ai reati di mafia.
N. Salio, Centro Studi D. Sereno Regis, Torino: Politiche di lotta
nonviolenta contro i poteri senza volto.
Don L. Ciotti, presidente Libera: L'antimafia ripensata. Nonviolenza ed
associazionismo.
Ore 12: dibattito.
Ore13,30: pranzo.
Sessione pomeridiana: Esperienze
Ore 15,30-19: Gruppi di lavoro:
- Pratiche di mediazione e di giustizia rigenerativa. Introduce: M. Cannito,
esperta di "giustizia rigenerativa" di Witness for Peace di Washington.
- Pratiche di resistenza civile. Introduce: G. Abbagnato, Libera-Palermo.
- Difesa popolare nonviolenta, servizio civile, contrasto alla mafia.
Introducono: A. Cozzo, Universita' di Palermo, e N. Salio, Centro Studi D.
Sereno Regis, Torino.
- Ruolo delle donne. Introduce: A. Puglisi, Centro Siciliano di
Documentazione G. Impastato.
- Strategie educative. Introducono: A. Cavadi, Scuola di Formazione
Etico-Politica G. Falcone, e S. Rampulla, Seminario Nonviolenza, Palermo.
- Comunita' religiose e mafia. Introduce: don F. M. Stabile, storico della
Chiesa.
- Percorsi di accompagnamento per vittime, testimoni, dissociati. Introduce:
don R. Bruno, cappellano del Carcere di Lecce.
- Un'esperienza di Teatro dell'Oppresso. Conduce: S. Di Vita, esperto di
Teatro dell'Oppresso.
Ore 20: cena.
Ore 21: serata conviviale con musica e danze, a cura di L. Tedesco,
musicista, Movimento dell'Arca.
*
Domenica 22 maggio 2005
Sessione conclusiva: Prospettive
Moderatore: A. Foti, presidente Arci Sicilia.
Ore 9,30: sintesi dei gruppi di lavoro.
Ore 11,30: Ipotesi per un programma di lavoro: interventi di R. Altieri,
direttore Quaderni Satyagraha, Universita' di Pisa; A. Cozzo, Universita' di
Palermo; G. Fiandaca, Universita' di Palermo; E. Villa, Libera-Palermo.
Ore 13: chiusura dei lavori.
*
Ospitalita' presso il Convento dei Frati Minori di Baida, via Convento 43,
90136 Baida Palermo. Pensione completa: euro 35 in camera doppia, euro 45 in
camera singola. Singoli pasti 15 euro. E' possibile anche solo pranzare e/o
cenare presso il convento di Baida nel giorno di sabato 21: il costo di ogni
pasto e' di 15 euro. E' preferibile iscriversi al convegno e ai gruppi di
lavoro e prenotare la camera e i pasti entro il 12 maggio 2005. Per
prenotare la camera e i pasti telefonare al numero 091223595.
Come si arriva a Baida: dalla stazione centrale o da piazza Politeama
prendere l'autobus 102 che fa capolinea a Piazzale Giotto - Lennon. Da
piazzale Giotto prendere l'autobus 534 che fa capolinea in piazza Baida.
*
Iscrizioni e segreteria del convegno: e-mail: v.sanfi at virgilio.it, tel.
0916259789, fax: 091348997.
Altre e-mail di riferimento: acozzo at unipa.it, csdgi at tin.it

5. RIFLESSIONE. PAOLO SYLOS LABINI: MAFIA E STATO
[Dalle amiche de "Le girandole" (per contatti: legirandole at tiscali.it)
riceviamo e diffondiamo l'introduzione di Paolo Sylos Labini (dall'eloquente
titolo: "Mafia e Stato: dalla convivenza all'alleanza") al nuovo libro di
Saverio Lodato e Marco Travaglio, Intoccabili, Rizzoli, Milano 2005. Paolo
Sylos Labini, prestigioso economista, e' nato a Roma nel 1920, professore
emerito all'Universita' di Roma, ha insegnato nelle universita' di Catania,
Bologna, Roma, ed e' stato visiting professor nelle universita' di
Cambridge, Oxford, Harvard, MIT, Citta' del Messico, Jamaguchi, Rio de
Janeiro, Sidney, Roskilde, Nizza; membro di molte istituzioni accademiche e
comitati scientifici, insignito di numerose onorificenze. All'attivita' di
studioso ha sempre affiancato un intenso e persuaso impegno civile. Opere in
volume di Paolo Sylos Labini: collaborazione al volume di  Alberto Breglia,
L'economia dal punto di vista monetario, Edizioni Dell'Ateneo, seconda
edizione 1953; Oligopolio e progresso tecnico, Giuffre', 1956, seconda
edizione 1957, successive edizioni Einaudi 1964, 1967, 1972, 1975, tradotto
in inglese, in polacco, in giapponese, in spagnolo, in cecoslovacco, in
portoghese; Economie capitalistiche ed economie pianificate, Laterza, 1960;
collaborazione al volume di Alberto Breglia, Reddito sociale, Edizioni
dell'Ateneo, 1965; Problemi dell'economia siciliana, Feltrinelli, 1966;
Problemi dello sviluppo economico, Laterza 1970, tradotto in giapponese;
Sindacati, inflazione e produttivita', Laterza, 1972, tradotto in inglese;
Saggio sulle classi sociali, Laterza, 1974, dieci edizioni, tradotto in
giapponese, catalano, spagnolo, portoghese; Lezioni di Economia. Volume I:
Questioni preliminari, La macroeconomia e la teoria keynesiana, Edizioni
dell'Ateneo, 1979; Lezioni di Economia. Volume II: Microeconomia, Edizioni
dell'Ateneo, 1982; Le forze dello sviluppo e del declino, Laterza, 1984,
tradotto in inglese; Il sottosviluppo e l'economia contemporanea, Laterza,
1983, tradotto in spagnolo; Ensaios sobre desenvolvimento e precos, Forense
Universidade, Rio de Janeiro 1984; Le classi sociali negli anni '80, Laterza
1986, sei edizioni, tradotto in tedesco ed in spagnolo; Nuove tecnologie e
disoccupazione, Laterza, 1989; Elementi di dinamica economica, Laterza 1992;
con A. Roncaglia, Il pensiero economico. Temi e protagonisti, Laterza, 1995;
Progresso tecnico e sviluppo ciclico, Laterza, 1995, tradotto in inglese;
Carlo Marx: e' tempo di un bilancio (a cura di), Laterza 1994; La crisi
italiana, Laterza; Sottosviluppo: una strategia di riforme, Laterza, 2001,
tradotto in inglese; Un paese a civilta' limitata, Laterza, 2002; Berlusconi
e gli anticorpi. Diario di un cittadino indignato, Laterza, 2003]

Chi legge questo libro, alla fine, non puo' non porsi una domanda: come
siamo potuti cadere cosi' in basso? Possibile che la guerra alla mafia, che
soltanto dieci anni fa pareva non lontana dal successo, sia finita cosi'
male, addirittura con la mafia al potere? E ancora: possibile che il "popolo
di geni" di cui vaneggiava Mussolini continui a credere, dopo dieci anni,
alle atroci menzogne di un Berlusconi e della sua corte dei miracoli?
Verrebbe da concludere che siamo un popolo di imbecilli e di malfattori,
altro che geni. Ma, prima di abbandonarci all'angoscia e alla disperazione,
proviamo a ragionare.
Al fondo c'e' un micidiale, radicale cinismo che domina tutto,
un'assuefazione al malaffare che diventa ambiente e costringe le persone
civili e oneste - ce ne sono ancora, e tante - a una ammutolita paralisi.
Percio' e' importante che escano e circolino libri come questo. Perche' sono
una delle poche armi che ci rimangono per trovare o rinfocolare il coraggio
di combattere. E' l'informazione particolareggiata dei fatti che da'
coraggio. Solo la verita' puo' rendere liberi quanti oggi non vogliono
essere servi, ma finiscono per esserlo inconsapevolmente, col torpore
rassegnato che li paralizza. Una condizione che io spiego non solo col
nostro machiavellico cinismo, ma anche con qualcosa di ancora peggiore: una
grave carenza di autostima, come direbbe Adam Smith; un diffuso
autodisprezzo, come dico io. Spesso, dopo infinite discussioni su questi
temi, mi capita di sentire da persone "di destra" e "di sinistra" la
terribile battuta: "Ma che diavolo pretendi, in fondo siamo italiani!". E
ogni volta mi domando perche' ci siamo ridotti in questo stato miserabile,
in questo abisso di abiezione che, sotto certi aspetti, e' peggiore di
quello in cui ci aveva cacciati Mussolini.
Certo, la mancanza di senso dello Stato, che deriva dalla mancanza di uno
Stato. Certo, la superficialita' della cultura popolare e la grave debolezza
della borghesia intellettuale ed economica spiegano il carattere volubile
dell'opinione pubblica e la facilita' con cui viene sistematicamente
ingannata per mezzo del micidiale potere persuasivo del monopolio
televisivo. Certo, i guasti della Controriforma senza Riforma. Certo, i
sottoprodotti della morale cattolica, che privilegia la misericordia
piuttosto che la giustizia. Non tanto perche' sia migliore il
protestantesimo rispetto al cattolicesimo, ma perche' da noi la Chiesa ha
avuto il potere temporale, e dunque ha usato la religione come instrumentum
regni. Mi ha sempre colpito il racconto di Nassau Senior, un economista
mediocre, famoso piu' che altro per gli attacchi che gli riservo' Karl Marx.
A meta' dell'Ottocento la sua passione per i viaggi e per la conoscenza dei
potenti d'Europa lo porto' a Roma, dove conobbe il papa e dipinse un quadro
raccapricciante dello Stato pontificio. Senior racconta di un confessore
che, a una donna con un figlio di idee liberali, impose di denunciarlo con
tutti i particolari in cambio dell'assoluzione. La donna ci penso' qualche
giorno, poi denuncio' il figlio, che fu arrestato e torturato.
Come meravigliarci, allora, se l'Unita' d'Italia non s'e' mai davvero
compiuta, se il bene comune non e' mai stato considerato come un obiettivo
di tutti, a dispetto del nostro nazionalismo di cartapesta? L'uomo e' un
animale sociale e aspira ad avere l'orgoglio di appartenere a una comunita':
la famiglia, il gruppo, la patria. Ora, la Patria in Italia e' venuta tardi
e in condizioni infelici. Ancora un secolo fa l'analfabetismo era
gigantesco. Quando all'inizio del Novecento Salvemini si batteva per il
suffragio universale, le persone che avevano diritto al voto erano il 6-7%
della popolazione. Con una legge di Giolitti salirono al 20%, perche' per
votare bisognava saper leggere e scrivere e avere un piccolo peculio; il
voto, poi, era concesso solo agli uomini. Il pericolo del fascismo lo
capirono in pochi, all'inizio. Lo stesso Benedetto Croce fu per anni
filofascista e, da senatore, voto' a favore di Mussolini, anche dopo il
delitto Matteotti. Solo in seguito divenne uno dei padri dell'antifascismo.
Anche nell'esigua cultura liberale dell'epoca, quelli che denunciarono il
regime fin dall'inizio non furono molti: Piero Gobetti, Giustino Fortunato e
pochi altri. Retorica a parte, il cosiddetto impero e poi la seconda guerra
mondiale, con tutti quei richiami all'antica Roma, non potevano certo far
crescere l'autostima del popolo italiano e quindi l'amor di Patria. E
infatti l'ubriacatura passo' in fretta, con la campagna di Grecia, che
svelo' a tutti la nostra assoluta impreparazione. L'ostilita' al regime
divenne diffusa e fortissima e poi la sconfitta apparve ignominiosa proprio
perche' gli Italiani si resero conto dell'irresponsabilita' del capo, che si
autoproclamava infallibile ma che aveva gettato l'Italia in quelle
condizioni nella fornace di una guerra terribile. Penso che la morte della
Patria - speriamo temporanea - risalga a quella tragedia.
*
Attenzione: anche la mafia e' una comunita', con le sue regole, il suo
codice, il suo diritto, le sue istituzioni. Per coloro che ne fanno parte,
pure se si definiscono "uomini d'onore", e' piu' difficile provare orgoglio.
Ma e' piu' facile toccarne con mano i benefici: ricchezze, potenza,
protezione.
La studio da quarant'anni, la mafia: da quando Giangiacomo Feltrinelli, nel
1958, mi propose di organizzare un gruppo di ricercatori - io ero professore
a Catania - per condurre un'indagine ad ampio raggio in Sicilia, che alla
fine divento' un corposo volume di 1500 pagine. Nel giugno 1965, dopo
Catania, fui ascoltato dalla commissione parlamentare antimafia, presieduta
dal senatore Donato Pafundi (la mia deposizione fu poi pubblicata nel 1970
da Laterza in Problemi dello sviluppo economico).
Nel 1974, come si ricorda in questo libro, mi dimisi dal comitato
tecnico-scientifico del ministero del Bilancio, di cui facevo parte da circa
un decennio, quando il titolare di quel dicastero, Giulio Andreotti, nomino'
sottosegretario Salvo Lima. Siccome Lima compariva piu' volte nelle
relazioni dell'Antimafia ed era stato oggetto di ben quattro richieste di
autorizzazione a procedere della magistratura, feci presente la cosa al mio
amico Nino Andreatta, perche' ne parlasse con Aldo Moro, presidente del
Consiglio. Qualche giorno dopo Andreatta torno' da me con la coda fra le
gambe: Moro gli aveva confessato la sua impotenza, perche' - gli aveva
detto - "Lima e' troppo forte e troppo pericoloso". Allora affrontai
l'argomento direttamente con Andreotti, dicendogli: "O lei revoca la nomina
di Lima, che scredita l'immagine del ministero, o mi dimetto". Non mi
lascio' neppure finire: mi interruppe e mi liquido' dicendo che ne avremmo
parlato un'altra volta. A quel punto resi ufficiali le dimissioni. La mia
lettera fu pubblicata dal "Corriere della Sera" e da vari altri giornali, e
la cosa fece un certo scalpore per alcune settimane. Ci furono anche delle
vibrate proteste dei giovani Dc. Poi calo' l'oblio. Di quella faccenda si
torno' a parlare quando Gian Carlo Caselli e i suoi pm mi chiamarono a
testimoniare al processo Andreotti: era chiaro, da quell'episodio, che
Andreotti - e non solo lui - sapeva benissimo chi era Lima. Lo sapevo
persino io...
La cosa che mi colpi' fu che il mio gesto fu visto come prova di coraggio
non comune. E' deprimente che, in Italia, un gesto di normale decenza venga
visto cosi'. Da' la misura di come ci siamo ridotti. Tutti mi domandavano:
ma come ha fatto, dove ha trovato la forza? Io rispondevo: ma quale forza,
ma quale coraggio? C'era una persona che non ritenevo perbene, non volevo
lavorarci insieme, e me ne andai. Tutto qui. E' stato facile.
*
Nella deposizione prima ricordata ho cercato di chiarire i miei punti di
vista sulle origini della mafia e sulle sue caratteristiche attuali.
Che cosa sia oggi questo libro di Lodato e Travaglio lo spiega benissimo.
Mafia vuol dire appalti, licenze edilizie, aree fabbricabili, sistemi di
irrigazione, controllo dei mercati ortofrutticoli e sull'acqua, cioe' sulla
vita dei siciliani, e poi commercio di droga e altri affari sporchi, ma
anche "puliti" come il Ponte sullo Stretto e la grande mangiatoia della
sanita' pubblica. Ma, soprattutto, mafia vuol dire agganci con la politica,
con l'economia, con pezzi delle istituzioni che non saprei nemmeno se
chiamare "deviate" oppure no (in questo paese i deviati rischiano di essere
quelli che la mafia la combattono davvero). Sono queste le sue assicurazioni
sulla vita, le ragioni della sopravvivenza di un'organizzazione tutto
sommato arcaica in pieno terzo millennio.
Il libro spiega anche com'e' cambiata l'antimafia, o forse come non e'
cambiata, essendo sempre stata affidata a pochi "volontari", isolati e forse
anche un po' matti.
Cioe' a una elite di poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti,
intellettuali e politici che hanno maturato, non si sa come, quel senso
dello Stato e dell'autostima che non e' mai diventato patrimonio di tutti.
La cultura delle regole, il senso della legalita', l'amore per la
trasparenza sono da sempre minoritari, in Italia. Per una serie infinita di
fattori storici, da noi non s'e' mai affermata una cultura liberale e
democratica di massa: i liberalsocialisti come i liberalconservatori sono
sempre stati quattro gatti, guardati con un misto di sospetto e di
curiosita' dai ceti dominanti.
Il che spiega perche' l'autoritarismo, come la cultura mafiosa, hanno sempre
trovato terreno fertile. E spiega anche perche' oggi il regime
berlusconiano, terribile sintesi della cultura autoritaria e di quella
mafiosa, incontra resistenze cose' scarse.
Hanno ragione gli autori del libro quando, a proposito della mafia, parlano
di "cosiddetto Antistato". Perche' troppo spesso i confini fra Stato e
Antistato sono confusi, invisibili, vischiosi, come quelli fra legalita' e
illegalita'.
Anche la mafia e' stata, nel corso dell'ultimo secolo, un instrumentum regni
da imbrigliare e utilizzare per scopi di potere. La sentenza Andreotti, che
qui viene finalmente raccontata per quello che dice davvero, dopo anni di
bugie infami, e' illuminante. La politica combatte Cosa Nostra quando alza
troppo la testa, quando pretende di comandare anziche' collaborare, poi
torna al tavolo della trattativa per stabilire nuovi patti e nuovi
equilibri. L'uomo politico che chiede favori alla mafia non puo' poi agire
autonomamente e tanto meno prendere misure contro la mafia, credendosi forte
del suo potere politico. Se lo fa, viene punito. Mutando quel che va mutato,
questo vale anche per chi entra in rapporti di dare e avere con Berlusconi.
E non mancano le tragedie greche. Mattarella aveva due figli che vollero
cambiare linee di condotta; uno divenne presidente della Regione siciliana e
decise di ostacolare la distribuzione degli appalti alla mafia. Fu
assassinato. Chi e' visto come ostacolo all'eterna trattativa fra politici e
mafiosi - cioe' le elites piu' avanzate della politica, della cultura e
della magistratura - viene isolato come un fastidioso ingombro e tolto di
mezzo. Col tritolo o con le campagne mediatiche di delegittimazione.
Oggi, poi, la politica intesa come mediazione fra Stato legale e Stato
illegale ha fatto un altro salto di qualita': il ministro Lunardi, quando
dice che "con la mafia bisogna convivere", pecca di minimalismo. Fino ad
Andreotti, lo Stato conviveva con la mafia. Oggi, con i Berlusconi e i
Dell'Utri al potere, dei quali anche questo libro dimostra inoppugnabilmente
i legami con la mafia, e' peggio di prima, peggio di sempre: dalla
convivenza siamo passati all'alleanza.
*
Una vera lotta alla mafia si puo' fare soltanto con un governo che non abbia
rapporti con la mafia. Un governo che non sia come quello di oggi, e come
molti di ieri. Certo, quando sara' passato il lungo incubo che ha spazzato
via i due o tre anni di successi seguiti allo choc delle stragi del
1992-'93, sara' difficile ricominciare. Perche' questo lungo incubo, che si
chiama Berlusconi e dura ormai da dieci anni anche per le furbizie di
un'opposizione debole se non addirittura complice, ha vieppiu' abbassato la
nostra gia' scarsa autostima. In una spirale perversa che non sembra avere
mai fine, ha creato ulteriore assuefazione. E ha fiaccato le speranze e gli
entusiasmi che sarebbero necessari per riprendere la lotta.
L'antimafia e' affidata ai "pochi pazzi malinconici" di cui parlava
Salvemini. Io mi sento un pazzo triste ma arrabbiato: e forse quel che mi
salva e' proprio la rabbia. Non e' questione di ottimismo o di pessimismo.
Occorre ritrovare il realismo che nasce dalla conoscenza della nostra
storia, con le sue luci e le sue ombre. Non bisogna mai dimenticare ne' le
une ne' le altre. Per me, poi, c'e' anche una lunga esperienza personale,
che, con mia meraviglia, ebbe una conclusione positiva. Ricordo quando mi
scontrai con Giacomo Mancini, che nel Psi era una potenza e in Calabria un
ras incontrastato. Pretendeva che la nuova universita' di Cosenza sorgesse
in una zona che gli stava a cuore per certi interessi suoi o dei suoi amici.
Andreatta e io, in quanto membri del comitato che doveva organizzare la
nuova universita', contrastammo le sue manovre e riuscimmo a farla nascere
in tutt'altro luogo, molto piu' adatto al suo sviluppo. Mancini pretendeva
pure che dovessimo dare un incarico d'insegnamento a un suo protetto. Tutto
cio' al prezzo di una denuncia e di un'incriminazione da parte di un giudice
legato a Mancini, che mi tenne sotto inchiesta per anni, privandomi
addirittura del passaporto (per due lustri fui costretto, ogni volta che
andavo all'estero, a recarmi alla Farnesina e chiedere un permesso speciale
per l'espatrio). Poi, quando scemo' l'influenza di Mancini, ebbero
finalmente il coraggio di assolvermi. Con formula non piena, ma pienissima:
"il fatto non sussiste". Erano tutte calunnie. Oggi l'Universita' della
Calabria funziona bene, con ottime attrezzature e 26.000 studenti. Mi hanno
anche invitato, come uno dei padri fondatori. E' una storia a lieto fine: mi
e' costata molte pene, ma e' stato giusto patirle. L'esperienza e'
incoraggiante, perche' dimostra che chi intraprende una battaglia civile non
e' condannato al fallimento: se ha tenacia, puo' vincere.
*
Intendiamoci. Dinanzi al quadro che emerge dal libro, la tentazione sarebbe
quella dell'angoscia e della disperazione. La prima e' sacrosanta, e anche
salutare. La seconda no, guai a disperare: a mente fredda, sarebbe un
errore.
Scriveva Calamandrei nel suo diario il 23 novembre 1939: "la tragedia
dell'Italia e' proprio questa generale putrefazione morale, questa
indifferenza, questa vigliaccheria". Ma poi venne la Resistenza: non tutti
furono eroi veri, molti furono eroi per caso o per necessita'. Ma il nucleo
forte trascino' tanti, contribui' a liberarci dal nazifascismo e - con uno
di quei miracoli che a volte fanno le minoranze agguerrite - ci regalo' la
Costituzione, che oggi e' presa a colpi di piccone dalla banda Berlusconi.
Ecco, lo stesso direi oggi per la lotta alla mafia: in alcune fasi
storiche - quella di Chinnici, Caponnetto, Falcone e Borsellino, e poi
quella di Caselli e dei suoi uomini - le minoranze che si sentono Stato e
Patria hanno trascinato la maggioranza verso esiti straordinari, oggi in via
di smantellamento.
Questo libro, perforando il sudario di un'informazione serva e di una
disinformazione organizzata, ci aiuta a conoscere tali risultati. E dunque a
non dimenticarli, anche se la luminosa stagione che li ha determinati e'
finita da un pezzo. Quanto sia stata importante lo dimostrano i continui
tentativi di deturparne il ricordo: da parte sia di chi ne parla male, sia
di sepolcri imbiancati che ne parlano bene. Intanto anche nella
magistratura, in sintonia con le esigenze di politici senza scrupoli, si
manifestano le vilta', i servilismi, il "tirare a campare", i compromessi
meschini. Ma finira' anche questa stagione buia. L'importante e' sapere che
contro la mafia e i suoi protettori nelle istituzioni e nei consigli di
amministrazione si possono fare grandi cose.
Si sono fatte grandi cose. Se la prima e la seconda ondata dell'attacco,
come quelle dei fanti in certe battaglie della prima guerra mondiale, sono
state decimate e respinte, la terza potra' avere successi piu' duraturi.
Basta aver chiaro fin da subito che anche quella sara' una battaglia di
minoranza, e anche per quella bisognera' mettere in conto la solitudine.
Intanto, per preparare la battaglia, bisogna conoscere. E' fondamentale
l'informazione.
L'attacco va portato con fatti inoppugnabili e documentati. Come quelli
raccontati in questo libro, che ci aiuta a capire da chi e come siamo stati
e siamo governati, ma anche come si e' riusciti a sconfiggere il pool di
Caselli, come gia' quello di Borrelli a Milano. E, soprattutto, perche'.
Ci sono verita' troppo forti perche' il Potere le affidi a cuor leggero a
magistrati "ingestibili", che intendono applicare semplicemente la legge in
maniera uguale per tutti. Quelle verita', quando sono ormai scritte in
sentenze definitive - come quella su Andreotti - devono essere per forza
cancellate e oscurate, perche' non giungano sotto gli occhi dell'opinione
pubblica. Per quelle, invece, ancora giudiziariamente da accertare (dalle
varie "trattative" fra Stato e mafia al capitolo dei "mandanti occulti"
delle stragi), si seguono i canoni della "guerra preventiva": si tolgono di
mezzo i magistrati che potrebbero, presto o tardi, scoperchiarle. La mafia,
come ogni forma di illegalita', campa e ingrassa sull'ignoranza. E nel
nostro regime di oggi l'ignoranza viene diffusa a reti unificate, facendo
leva sui nostri due peggiori vizi nazionali, i sottoprodotti della nostra
scarsissima autostima che spesso copriamo col patriottismo ipocrita: la
cupidigia di servilismo e la cupidigia di abiezione.
Chi vuole conoscere, o perlomeno intravedere, le verita' indicibili che oggi
costituiscono la vera posta in gioco non ha che da leggere questo libro.
Piu' sara' diffusa la conoscenza, piu' sara' difficile l'insabbiamento.

6. LETTURE. VINCENZO VASILE: MICHELE SINDONA: TROPPO CAFFE' PUO' FAR MALE
Vincenzo Vasile, Michele Sindona. Troppo caffe' puo' far male, suppl. a
"L'Unita'", Roma 2005, pp. 164, euro 5,90. Vincenzo Vasile, apprezzato
giornalista, gia' direttore de "L'ora" di Palermo, autore di altri utili
libri sui poteri criminali, propone una sintetica ricostruzione di taglio
giornalistico della vicenda di Sindona (vicenda su cui e' sempre utile
rileggere il libro che Corrado Stajano dedico' a Giorgio Ambrosoli: Corrado
Stajano, un eroe borghese, Einaudi, Torino 1991).

7. RILETTURE. UMBERTO SANTINO (A CURA DI): L'ANTIMAFIA DIFFICILE
Umberto Santino (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1989, pp. 210, lire 15.000. Gli
atti della giornata di bilancio e di riflessione svoltasi a Cinisi l'8
maggio 1988, con contributi di Giovanni Impastato, Umberto Santino, Giorgio
Chinnici, Franco Cazzola, Giovanni La Fiura, Graziella Priulla, Amelia
Crisantino, Salvo Vitale, Antonia Cascio, Francesco M. Stabile, Giuseppe
Cipolla, Riccardo Orioles, Franco Zecchin, Augusto Cavadi, Nino Rocca, e
un'ampia appendice di vari documenti.

8. RILETTURE. UMBERTO SANTINO: LA BORGHESIA MAFIOSA
Umberto Santino, La borghesia mafiosa. Materiali di un percorso d'analisi,
Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1994, pp.
366, lire 25.000. Una raccolta di interventi dal 1972 al 1992 (tra cui il
fondamentale saggio su "La mafia finanziaria. Accumulazione illegale e
complesso finanziario-industriale"), un libro fondamentale per chiunque
voglia contribuire alla lotta alla mafia.

9. RILETTURE. UMBERTO SANTINO: LA MAFIA INTERPRETATA
Umberto Santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, pp. 168, lire 12.000. Un'analisi critica
di come sociologi, storici, criminologi ed economisti hanno interpretato la
mafia; e la proposta di quel "paradigma della complessita'" che costituisce
uno dei piu' rilevanti contributi teorici e metodologici della riflessione e
dell'azione di Umberto Santino e del Centro Impastato.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 927 del 12 maggio 2005

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