La nonviolenza e' in cammino. 924



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 924 del 9 maggio 2005

Sommario di questo numero:
1. A Irfanka Pasagic il "Premio Alexander Langer 2005"
2. Carlo Schenone: Modelli di difesa e Difesa civile non armata e
nonviolenta (parte prima)
3. Letture: Tea Frigerio, Felice Tenero, Facciamo vita la parola
4. Letture: Mario Luzi, La ferita nell'essere
5. Letture: Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia
6. Letture: William Simpson, La guerra in casa 1943-1944
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. PERSONE. A IRFANKA PASAGIC IL "PREMIO ALEXANDER LANGER 2005"
[Dagli amici carissimi della Fondazione Alexander Langer (e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org) riceviamo e
diffondiamo. Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel
1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di
infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per
una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi'
generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e'
stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel
1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer:
Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua
scomparsa sono state pubblicate due belle raccolte di interventi: La scelta
della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti
1961-1995, Sellerio, Palermo 1996. Segnaliamo inoltre: Scritti sul
Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten,
Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a
"Notizie Verdi", Roma 1998. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio,
Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta
2000. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli
interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di
iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai
variamente dispersa). Si veda comunque almeno il fascicolo monografico di
"Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996; l'opuscolo di presentazione de
La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli'
(per richieste: tel. 054321422; fax 054330421), ed il nuovo fascicolo edito
dalla Fondazione nel maggio 2000 (per richieste: tel. e fax 00390471977691).
La Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer
(per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail:
azionenonviolenta at sis.it). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer
Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax
00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito:
www.alexanderlanger.org]

Nel corso di una conferenza stampa svoltasi il 6 maggio 2005 Helmuth Moroder
ha reso nota la decisione del comitato scientifico della Fondazione
Alexander Langer di assegnare all'unanimita' il premio Alexander Langer 2005
a Irfanka Pasagic. Alla Conferenza hanno preso parte Vesna Terselic, del
Verona Forum e del "Centro pace" di Zagabria e Gerhard Brandstaetter e
Sandro Angelucci, rispettivamente presidente e vicepresidente della
Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, che ha deciso di finanziare questa
edizione del premio.
*
Irfanka Pasagic e' nata a Srebrenica nel 1953. Dopo aver studiato a Sarajevo
e Zagabria, ottenendo la specializzazione in psichiatria, e' tornata a
lavorare nella sua citta' natale. Nell'aprile del 1992, nel corso di una
delle prime ondate di pulizie etniche, culminate nella strage genocidaria di
Srebrenica, e' stata deportata, raggiungendo dopo varie traversie, insieme
ad altre migliaia di profughi, la citta' bosniaca di Tuzla.
La', nell'ambito della rete internazionale "Ponti di donne tra i confini",
creata nel 1993 dalle donne di "Spazio pubblico" di Bologna assieme ad altre
donne della ex Jugoslavia, ha fondato il centro "Tuzlanska Amica". Grazie a
un progetto di adozione a distanza fatto proprio da associazioni che operano
soprattutto in Emilia Romagna e Liguria, in questi dieci anni Tuzlanska
Amica ha dato una famiglia a oltre 850 bambini, ed e' diventata ben presto
uno dei pochi luoghi dove donne, bambini, uomini traumatizzati, possono
ricevere aiuto psicologico, ma anche assistenza medica, sociale, legale.
L'adozione a distanza non si limita alla raccolta e distribuzione di
preziosi aiuti finanziari. Chi adotta riceve infatti un rapporto costante
sullo stato di salute dei bambini e sul loro andamento scolastico e
familiare, ed e' incoraggiato a visitarli a Tuzla o od ospitarli per periodi
di vacanza, cura e ristoro.
Grazie a un'organizzazione olandese, Mala Sirena, Irfanka Pasagic ha potuto
mettere in atto quella che era stata un'altra intuizione importante: la
creazione di un team mobile, per andare a cercare e assistere nelle
campagne, tra gli oltre 250.000 profughi che vivono in condizioni molto
precarie nel distretto di Tuzla e Srebrenica, i casi piu' difficili e
nascosti, attivandosi dapprima con un aiuto di tipo umanitario, per poi
verificare l'opportunita' di un intervento anche psicologico per i
componenti piu' vulnerabili del nucleo familiare.
Irfanka Pasagic partecipa inoltre alla rete "Promoting a Dialogue: Democracy
Cannot Be Built with the Hands of Broken Souls", guidato da Yael Danieli,
psicologa e "traumatologa" di New York, consulente per le Nazioni Unite, per
cui ha effettuato viaggi di studio e lavoro in altri paesi, tra i quali il
Ruanda. E' un progetto di dialogo interetnico teso a rompere quella
"cospirazione del silenzio" che tanto contribuisce a perpetuare traumi e
conflitti tra le generazioni.
E' questo anche il senso della sua collaborazione con l'associazione "Women
of Srebrenica" e con molte persone, come la belgradese Natasa Kandic e la
kosovara Vjosa Dobruna, gia' premi Alexander Langer nel 2000, impegnate
nella stessa direzione.
Fin dall'inizio della sua esperienza di profuga, Irfanka Pasagic ha
dimostrato grande sensibilita' e buon senso, nell'individuare forme adeguate
di aiuto ai profughi. Ha dedicato costante attenzione al lavoro delle Ong
(ad esempio battendosi affinche' nei progetti per le donne fossero inclusi
anche i bambini, o denunciando la perdurante assenza di luoghi d'ascolto
anche per gli uomini), scoraggiando qualsiasi discorso fondato su stereotipi
e non lesinando critiche anche alla propria parte. E' infatti difficile
sentirla parlare di "serbi", "croati", "bosniaci". Secondo Irfanka ciascuno
deve rispondere delle proprie responsabilita' individuali.
Nella sua lunga esperienza con le donne e i bambini traumatizzati ha
ascoltato centinaia di storie terribili, eppure non c'e' mai rancore nelle
sue parole, nemmeno quando parla di chi occupo' la sua casa: "Sicuramente
profughi anch'essi", spiega.
Ogni volta che qualcuno le chiede della situazione in Bosnia, Irfanka
risponde: "vieni a vedere". Molto curiosa poi di conoscere le impressioni
dei suoi ospiti o dei giovani volontari che offrono la loro collaborazione,
instancabilmente disponibile a rispondere alle loro domande ed accogliere il
disagio delle persone piu' sensibili.
*
Con l'assegnazione di questo Premio la Fondazione Alexander Langer vuole
contribuire ad una necessaria riflessione sulla strage genocidaria di
Srebrenica e nello stesso tempo a ripercorrere i passi che avevano portato
Alexander Langer ad adottare dieci anni fa le ragioni della citta'
interetnica di Tuzla.
Il premio verra' consegnato ad Irfanka Pasagic il prossimo primo luglio a
Bolzano, nell'ambito della manifestazione internazionale "Euromedterranea".
Ulteriori notizie sul lavoro di Irfanka Pasagic, possono essere richiesti
alla Fondazione Alexander Langer.

2. RIFLESSIONE. CARLO SCHENONE: MODELLI DI DIFESA E DIFESA CIVILE NON ARMATA
E NONVIOLENTA (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Carlo Schenone (per contatti: e-mail: schenone at arch.unige.it o
anche schenone at email.it, sito: www.schenone.8k.com) per averci messo a
disposizione questo suo studio, in una stesura ancora non definitiva. Per
esigenze grafiche abbiamo omesso le frequenti tabelle riassuntive delle
tipologie individuate e delle argomentazioni svolte - sintetizzandone
tuttavia i contenuti in forma di discorso continuato quando esse tabelle
apportavano elementi analitici ed interpretativi non del tutto gia'
descritte nel testo. Carlo Schenone e' da molti anni a Genova una delle
figure piu' impegnate nella riflessione sulla nonviolenza e nella pratica di
essa nei movimenti e nei conflitti sociali, particolarmente attivo nella
formazione; con una lunga, ampia e qualificata esperienza sia di impegno
politico e sociale di base, sia di rappresentanza nelle istituzioni, sia di
intervento meditato e propositivo nelle sedi organizzative e di
coordinamento, di dibattito e decisionali, dei movimenti per i diritti]

Le possibili minacce e la struttura difensiva
La Difesa civile non armata e nonviolenta (Dcnan) e' stata indicata dal
Parlamento italiano come modalita' di attuazione del "sacro dovere di difesa
della Patria" sancito dalla Costituzione Italiana (1). Ma per concretizzare
la travagliata scelta del Parlamento di assegnare all'Ufficio nazionale per
il servizio civile (Unsc) il compito della ricerca relativa alla Difesa
civile non armata e nonviolenta e' necessario affrontare una riflessione
generale sul modello di difesa che lo Stato intende realizzare, cosa che
normalmente si da' per scontata ma che tale non puo' essere, soprattutto
dopo che tale modello e' stato notevolmente modificato nel corso degli
ultimi anni (2), pur senza un reale dibattito interno al Paese.
"Difendere la Patria" significa difendere i confini tracciati sulle montagne
da scrupolosi topografi, la salute delle persone oppure anche il loro
semplice benessere materiale? La Repubblica Italiana deve difendersi dalle
invasioni di eserciti nemici, dallo straripare dei popoli confinanti in
cerca di sopravvivenza o dalle minacce derivanti dai processi produttivi e
dai trasporti? Puo' difendersi con tutti i mezzi esistenti oppure deve
rispettare criteri razionali, morali o etici? Siamo tutti chiamati a
difenderci e a difendere chi ci sta attorno oppure solo alcuni devono o
possono proteggere tutti gli altri? Si intende intervenire solo per
contrastare le minacce o anche per prevenirle ed alleviarne le conseguenze?
Il significato del termine "Difesa" dipende da cio' che si sceglie in
relazione ai valori che si hanno e al significato della vita che ne deriva.
E' importante che il concetto di difesa condiviso sia chiaro per arrivare a
concretizzare una difesa che raggiunga il suo scopo. Il modello di difesa
italiano attuale, che spesso si da' per ineluttabile, rispetta un concetto
di difesa condiviso o e' semplicemente stato stabilito secondo il criterio
di coloro che sono stati incaricati di tale scopo e inconsapevolmente
assecondato dal Parlamento?
Possono essere vari i motivi che spingono a contestare un modello di difesa
e quindi richiederne altri che siano piu' confacenti e che rispondano a
diverse aspettative.
L'attuale modello di difesa, per esempio, in caso di conflitto aperto, non
difende la vita dei cittadini che dovrebbe difendere. Come oramai e' piu'
che evidente, in caso di conflitto armato, le popolazioni sono quelle piu' a
rischio, ben piu' che gli eserciti (3). D'altra parte anche le ricchezze
della popolazione non vengono difese perche' le distruzioni annullano la
ricchezza di regioni intere. Gli ultimi conflitti hanno reso sempre piu'
evidente che non c'e' esercito che riesca a preservare la vita e il
benessere delle popolazioni che dovrebbe difendere dalle violenze del
conflitto (4). L'unica possibilita' che cio' avvenga e' nel caso in cui
l'esercito agisca in territori ben lontani da cio' e coloro che deve
difendere. In altre parole solo gli eserciti di invasione possono portare
benefici a coloro che dovrebbero beneficiare, ma possono fare cio' proprio
quando non sono piu' eserciti di difesa ma di attacco, di rapina. Per di
piu', l'attuale sistema di difesa minaccia il benessere collettivo anche
quando non ci sono conflitti espliciti, drenando ingenti risorse dai
cittadini per disperderle in un mercato spesso gonfiato di servizi e beni
destinati, quando va bene, allo smaltimento in discarica senza essere mai
stati utilizzati.
Diventa difficile pensare che una difesa militare possa essere fattore
deterrente se crea piu' danni a chi afferma di difendere che a chi minaccia.
Un tale modello di difesa non evita lo scontro ma al contrario rischia di
generarlo, creando squilibri continui nella minaccia vicendevole tanto che
scontri possono avvenire senza reali motivi ma solo per paura di una
ipotetica minaccia altrui, per una supposta superiorita' o perfino per puro
caso o fraintendimento.
Fondamentalmente il modello di difesa attuale assicura esclusivamente la
vittoria del piu' forte che non e' necessariamente quello che, se puo'
esistere una tale distinzione, si trova moralmente dalla parte del giusto. E
dato che la forza non e' piu' data dal numero delle persone ma dalla
disponibilita' di risorse tecnologiche, questo modello di "difesa" assicura
semplicemente la vittoria del piu' ricco.
Ed essendo ormai evidente a tutti che questo sistema di difesa minaccia le
cose che dovrebbe difendere, il nuovo bene che si afferma di difendere e'
diventata la liberta'. Ma questo modello di difesa e' quanto di piu'
illiberale, prendendo in ostaggio persone e informazioni e negando i diritti
primari, sempre in nome del principio sacrosanto della difesa. Se poi si
considera che tali strutture militari sono le principali artefici degli
attacchi alle istituzioni democratiche, risulta evidente che non sono loro
che possono difendere le istituzioni di un paese.
Tutto quello che questi modelli di difesa dicono di difendere in realta' lo
mettono in pericolo.
Allora e' necessario fare una riflessione su quali siano le aspettative per
una difesa almeno sui quattro punti fondamentali: Chi, da cosa, come e con
chi difendere? Le scelte su questi argomenti necessariamente escluderanno
alcuni modelli di difesa evidenziandone altri.
Nel seguito, quindi, saranno prese in considerazioni tutte le opzioni di
difesa senza distinzioni di merito o di valore, una semplice carrellata di
quali sono, nei diversi modelli di difesa presenti nel mondo, i criteri
tenuti in considerazione.
*
I beni minacciati (cosa difendere)
Per definire "cosa" difendere c'e' innanzi tutto da tenere in considerazione
il concetto di "sacro dovere di difesa della Patria". Nulla vieta di
estendere il sacro dovere di difesa ad altro oltre la Patria, ma
sicuramente, parlando di difesa in Italia e' necessario fare i conti con il
dovere di difesa sancito dalla Costituzione. Il concetto di Patria, infatti,
puo' riferirsi a "cose" anche molto diverse tra loro, ad uno spazio, un
territorio, a delle persone, a dei beni, delle ricchezze.
La prima concretizzazione del concetto di Patria, quella piu' tipica, sono i
confini nazionali. In tale concezione, difendere la Patria significherebbe
difendere un territorio, uno spazio fisico.
Piu' in generale il territorio da difendere potrebbe anche restringersi allo
spazio vitale di ogni singola persona, quasi un contesto fisiologico
necessario alla sopravvivenza, quello che molti animali intendono come
proprio territorio.
Considerando pero' il concetto di territorio piu' da un punto di vista
sociale che fisiologico, si puo' intendere come la struttura organizzativa
delle popolazioni, la loro organizzazione sociale, soprattutto da un punto
di vista amministrativo storicamente rappresentato, come abbiamo visto
prima, dai confini geografici di una amministrazione. Questo e' sicuramente
un criterio semplice in quanto rende semplice la distinzione tra quello che
e' con me, l'amico con cui ci si difende, e quello che e' contro di me o e'
diverso da me, il nemico da cui difendersi.
Ma le strutture organizzative sociali potranno essere identificate sulla
base di strutture politiche, piu' che da linee di confine, intese come le
istituzioni decisionali, gli organi di governo che amministrano una
popolazione, sia esso un parlamento o un consiglio comunale. Difenderli
significa dare loro la possibilita' di operare, prendere decisioni ed
attuarle, come avviene in alcuni paesi del Centro America in cui consigli
locali continuano ad operare in parallelo alle amministrazioni centralizzate
imposte dal governo.
Da un altro punto di vista, i territori che si intendono difendere possono
essere quelli definiti dalle lingue e culture delle popolazioni che abitano
in un dato spazio, i loro modi di vivere, le loro usanze o ancora di piu' le
loro lingue. In questo caso i confini diventano molto meno definiti, si
intersecano e si mescolano, e cio' richiede delle mediazioni proprio perche'
una linea sul terreno definisce un dentro e un fuori ma cio' non puo' essere
fatto facilmente per le culture o le lingue, come e' evidente in Kurdistan o
per i Rom. In alcuni casi i confini potranno essere intesi come distinzioni
di regioni culturali o linguistiche, in altri anche questo sara'
impossibile.
Analogamente si puo' pensare di difendere non tanto uno spazio quanto un
insieme di beni. In tal caso bisogna ulteriormente distinguere se si intende
difendere il benessere, la pace, intesa come lo "shalom", delle popolazioni,
o la ricchezza economica oppure, ancora, i privilegi conquistati, cioe'
quello che si e' riusciti ad ottenere col proprio lavoro o perfino
prendendolo agli altri. Si puo' scegliere di difendere le ricchezze
appartenenti a chi si difende, non necessariamente dentro ad un limitato
spazio geografico, magari anche in quantita' e forma che varia nel tempo.
Tali ricchezze possono essere le abitazioni e gli oggetti di vita quotidiana
delle persone o le bellezze naturali e culturali, ma anche le materie prime,
gli impianti industriali, le infrastrutture da preservare dagli attacchi del
tempo e degli uomini. Allo stesso tempo, possono anche essere organizzazioni
produttive o pacchetti azionari operanti sul mercato globale.
E' in base a questo criterio che il modello di difesa italiano prevede la
possibilita' di intervenire fuori dai confini della Patria per difendere i
suoi interessi economici. Si considera Patria da difendere qualsiasi
attivita' che porti ricchezza al paese.
Altro punto di riferimento dei modelli di difesa possono essere le persone o
piu' in generale le popolazioni.
In alcuni casi la difesa si limita a considerare solo i soggetti piu'
deboli, che possono essere deboli da un punto di vista fisico o da un punto
di vista sociale, come nel caso di alcuni servizi sanitari nazionali o di
assistenza sociale. In tale caso non ci si interessa di difendere tutta una
popolazione ma solo di non abbandonare coloro che non avrebbero mezzi per
difendersi. Tutti gli altri dovranno arrangiarsi con le loro forze. Tale
approccio difficilmente configura una difesa della Patria che piu'
coerentemente potra' essere associata alla difesa dell'intera popolazione,
potendo intendere come popolazioni sia le singole persone che le etnie. Nel
primo caso sara' necessario stabilire se sono soggetti da difendere solo
coloro nati all'interno di un confine o, altrimenti, considerare
appartenenti alla Patria tutti coloro che in tale confine ci vivono. Da
questo, per esempio, cambiera' conseguentemente il comportamento nei
confronti dei migranti. Chiunque, pero', sara' considerato soggetto da
difendere mentre nel secondo caso, come per i territori linguistici,
difendere le etnie, quindi aggregazioni umane, puo' portare a minacciare le
altre invece di accettare una contaminazione vicendevole che permetta di
inglobare tra loro le diverse etnie in maniera rispettosa dei valori e delle
ricchezza apportate da ognuna.
Queste sono tutte questioni che sicuramente portano a delle distinzioni
riguardo al modello di difesa da adottare.
*
Le fonti di minaccia (da cosa difendere)
Affrontando il tema del "sacro dovere di difesa della Patria" il primo tipo
di minaccia cui vien fatto di pensare e' quella derivante da un esercito
nemico.
Ma non solo gli eserciti minacciano cio' che si ritiene la Patria. Oramai e'
luogo comune considerare il terrorismo minaccia di tutta la collettivita' ma
non da meno sono le organizzazioni criminali. peraltro minacce possono
venire dall'interno allo stesso Stato, dalle forze armate che dovrebbero
difenderlo ma anche da forze politiche che ne sono parte costituente, come
nel caso in cui chi deve combattere la malavita organizzata ne e' partecipe
o quando il potere viene preso violentemente da chi deve difendere la
popolazione dalla violenza.
La Patria puo' quindi difendersi da tutte le minacce che persone, gruppi e
organizzazioni potrebbero attuare nei sui confronti. Ultimamente, poi, gli
attacchi volontari possono arrivare anche da organizzazioni economiche come
holding finanziarie o multinazionali che sono in grado di mettere a
repentaglio le economie di interi paesi in maniera rigorosamente legale.
Riferendosi inizialmente ai confini dello Stato, il concetto di difesa
diffusosi nella nostra cultura nel secolo scorso non ha mai preso in
considerazione altre minacce se non quelle volontarie. Solo negli ultimi
decenni, dall'alluvione del Polesine e dalla tragedia del Vaiont in Italia
si e' andata formando la coscienza che la collettivita' deve anche
difendersi in maniera non semplicemente spontaenistica da cio' che la
minaccia sia per cause naturali come alluvioni, terremoti, valanghe e
tempeste che per colpe involontarie degli uomini come esplosioni,
allagamenti, crolli, alluvioni, incendi e frane. Questo processo ha portato
al costituirsi del servizio di Protezione Civile. Solo per alcuni tipi
specifici di minacce la collettivita', soprattutto a livello locale, aveva
in qualche maniera in passato provveduto a dotarsi di strutture collettive
di difesa, come quella sanitaria, con ospedali, ambulanze e, solo in tempi
successivi un servizio sanitario nazionale, o quella dagli incendi con i
pompieri. Per il resto ognuno doveva provvedere da solo o con la
solidarieta' che sorgeva spontanea sul momento.
In molte situazioni ci possono essere interessi contrari al difendere da un
certo agente che minaccia, che ostacolano la strutturazione di tali difese.
Se ci si difende da minacce volontarie umane, possono rifiutarsi di
collaborare alla difesa da queste minacce coloro che vedono un vantaggio
indiretto nell'attuazione delle minacce, magari per connivenza con chi
minaccia. Una difesa da minacce umane involontarie, o, al limite, colpose,
puo' essere ostacolata dal fatto che c'e' chi ha piu' vantaggio individuale
rispetto a quanto e' il rischio, e puo' anche non essere solo una persona ma
un ente ad avere piu' vantaggio che rischio dal far sopportare o dalla
concretizzazione di queste minacce. Per esempio, in questioni di difesa
ambientale, lo svantaggio per il singolo individuo che specula sui possibili
rischi e' sicuramente inferiore al vantaggio che ne puo' trarre se la
minaccia si concretizza, come e' risultato piu' che evidente dalle vicende
del Vaiont o di Bophal. Nel caso di minacce naturali, la difesa puo' essere
osteggiata se c'e' piu' vantaggio individuale ad impiegare risorse in altri
contesti che nella prevenzione del rischio collettivo, come avviene per le
risorse da dedicare alla ricerca sulle malattie che vengono cosi'
difficilmente reperite tanto da ricorrere alla solidarieta' di
telespettatori mentre invece vengono regolarmente allocate per l'acquisto di
sistemi d'arma.
Questi sono tutti fattori da tenere in considerazione nell'organizzazione
della difesa.
*
Modalita' di risposta (come difendere)
La scelta della modalita' di difesa e' quella che piu' pesantemente implica
condizionamenti di tipo etico. La prima scelta, per esempio, riguarda la
possibilita' di ammettere l'aggressione a scopo di difesa di un interesse
che si ritiene superiore e non equivalente a quello degli avversari.
Se, per esempio, si decide di difendere l'interesse e il benessere materiale
anche a scapito di quelli degli avversari, diventa ragionevole non limitarsi
a respingere gli attacchi altrui ma arrivare ad attaccare gli avversari
nelle situazioni in cui si sa di essere piu' forti. Cio', quindi, farebbe
rientrare l'aggressione nel suo concetto opposto, quello di difesa.
Per scegliere in quali maniere ci si puo' difendere serve distinguere varie
forze, vari atteggiamenti, diversi motivi. Ci si puo' "difendere" con
l'aggressione quando ci si sente piu' forti e si ritiene che il proprio
interesse sia superiore a quello altrui. Nel caso in cui, pero', non si e'
convinti di avere una maggiore forza degli avversari, se si ritiene il
proprio interesse superiore a quello altrui di solito si evita di ingaggiare
il conflitto ma ci si prepara per usare tutte le proprie risorse cercando di
distruggere o almeno danneggiare l'avversario, provando o almeno rischiando
di arrecargli danni, dolore e distruzione.
Queste due ipotesi possono integrarsi in quanto una difesa violenta permette
abbastanza facilmente di essere trasformata in sistema di attacco. Cio' non
e' immediato perche', per esempio, la costruzione di una portaerei, che e'
una tipica arma di attacco, richiede tempo e notevoli risorse, ma un modello
di difesa violenta e' un ottimo modello di base per un modello aggressivo.
Si trattera' di integrare il primo con gli strumenti e le metodologie utili
all'aggressione.
Un'altra maniera di difendersi e' con la forza ma senza violenza, senza
prevaricazione. Cio' richiede un impegno ad organizzare una difesa
concretamente, utilizzando anche delle risorse specifiche, distogliendole da
altri usi. Richiede quindi di impiegare risorse umane e materiali nella
prevenzione e, se necessario, nella reazione alla minaccia, serve
organizzare delle strutture che preparino e mantengano efficace tale difesa
e che siano in grado di attivare una difesa efficace al momento della
concretizzazione della minaccia. All'interno di questo logica rientrano
anche interventi di interposizione in conflitti altrui. Tali interventi,
rappresentano una maniera di agire l'ingerenza umanitaria senza che questa
possa configurarsi come forma di occupazione. E' una azione di contrasto a
minacce, anche se rivolte ad altri.
Se si ritiene, invece, sufficiente una preparazione culturale generalizzata,
considerando che basta essere educati in un certo contesto per evitare i
problemi, ci si puo' limitare ad utilizzare una piu' o meno limitata
quantita' di risorse per prevenire culturalmente i conflitti, lasciando alla
reazione istintiva dei singoli la risposta nel caso la minaccia prenda
corpo. Cio', per esempio, potrebbe valere, per quanto riguarda la protezione
civile, concependola come una educazione alla prevenzione, insegnando nelle
scuole ad evitare atteggiamenti rischiosi, come, per la difesa dalle minacce
umane, tramite una educazione alla pace e alla risoluzione dei conflitti
personali, sociali e internazionali.
Infine, si puo' anche scegliere di non organizzare preventivamente una
difesa, se si ritiene sufficiente la capacita' istintuale di reazione alle
avversita', per cui in ogni momento ogni essere umano e' capace
autonomamente, senza particolari preparazioni, di reagire ad una situazione
di minaccia.
Ci si limitera' a basarsi sulla difesa spontanea se si ritengono le
capacita' individuali di autodifesa sufficienti a superare i conflitti,
lasciando eventualmente al momento del conflitto l'organizzazione di una
difesa collettiva. Se invece si considera necessario prevenire i conflitti
ma si ritiene che per fare cio' sia sufficiente una preparazione culturale
ed una educazione della popolazione l'impiego di risorse sara' limitato, e
in caso di conflitto oltre che alla capacita' di difesa istintuale si
potrebbe contare sulle conoscenze acquisite a livello culturale.
Ritenendo pero' necessario preparare anche delle azioni di difesa, sara'
necessario impiegare delle risorse umane e materiali non solo per
l'educazione, la formazione e la preparazione della difesa, ma anche in
previsione dell'attuazione delle minacce. Sara' necessario predisporre una
organizzazione che gestisca e mantenga tali risorse, anche addestrando
coloro che verrebbero incaricati della difesa, prevedendo le strutture di
allerta e l'attivazione della difesa al momento dell'emergenza.
Nel caso di minacce umane volontarie, pero', si puo' ipotizzare di
difendersi anche mettendo a rischio l'incolumita' dell'avversario. E' la
classica risposta violenta in cui pur di difendere i propri interessi si
ritiene un proprio diritto danneggiare se non distruggere l'avversario. Cio'
deriva dal ritenere il proprio interesse piu' importante di quello altrui
anche se cio' puo' portare ad un inasprimento del conflitto e ci mette a
rischio di danni maggiori.
Se poi si tiene in conto solo il proprio interesse e soprattutto ci si sente
i piu' forti, si puo' essere tentati a "difendere i propri interessi" anche
attaccando gli interessi altrui. In tale caso, ovviamente, il termine difesa
e' volutamente forzato ma tale scelta e' alla base di buona parte dei
modelli di difesa attualmente utilizzati dagli eserciti occidentali.
*
Responsabilita' di difesa (chi difende)
L'ultimo punto riguarda la scelta di chi difende. Il problema e' che chi
difende puo' avere vari motivi e varie spinte. La difesa da parte di pochi
professionisti e' desiderata da chi vuole professionalita' e preferisce che
ci sia una specifica preparazione, molto raffinata, riguardo a questi
problemi. Il vantaggio della difesa basata su pochi professionisti e' che si
usano poche risorse umane, anche se in effetti servono risorse materiali che
sopperiscano al numero limitato di addetti. Dovendo delegare a poche persone
un compito cosi' delicato come la difesa di tutta una popolazione serve
fornirli di strumenti molto potenti e tecnologicamente avanzati la cui
vendita implica notevoli guadagni per chi li produce e commercializza. Anche
per questo avere una organizzazione in cui pochi professionisti curano la
difesa della collettivita' e' conveniente per chi fornisce tali strumenti
sofisticati. Peraltro, essendo necessaria una alta professionalita' nei
pochi difensori, costoro sono tra i fautori di tale tipo di scelta traendone
un notevole vantaggio economico.
Poche persone, pochi enti, sono attualmente interessati alla difesa degli
interessi collettivi. In questa maniera questi pochi hanno tutto il potere
di dare o levare sicurezza agli altri. Dare e levare sicurezza, e' una
questione estremamente delicata nella vita degli uomini, fin dalla loro
nascita, ed e' un rapporto di potere molto forte del cui abuso spesso non si
tiene sufficientemente conto, fino al giorno in cui l'esercito occupa il
parlamento o la polizia attacca i manifestanti inermi. Assegnare tale potere
a pochi crea uno squilibrio che crea timore a chi non si fida della fedelta'
al bene comune di costoro, sia che intendano abusarne sia che,
semplicemente, lo considerino in subordine al proprio, rinunciando a
difendere se cio' mette a repentaglio la loro stessa sicurezza.
Una parziale evoluzione di tale modello che sta sempre piu' spesso prendendo
campo e' quella di una difesa in cui nella fase di emergenza si ricorre a
personale specializzato non alle dipendenze dirette dello stato. Da un certo
punto di vista questo modello, che potrebbe anche permettere una economia di
gestione, anche se spesso non concede neppure questo, rende ancora piu'
debole la struttura dal punto di vista della detenzione del potere.
Per cercare di risolvere, almeno parzialmente, tali problemi, in alcuni
modelli di difesa si e' scelto che le poche persone delegate alla difesa lo
fossero a turno tra tutta la popolazione. Cio' consente un minore
accentramento del potere e riduce l'interesse degli addetti i quali lo
saranno solo a tempo parziale. Questa scelta, peraltro, riduce la
possibilita' di acquisire una alta professionalita' tra gli addetti e
richiede ugualmente che ci sia almeno una struttura dirigenziale stabile che
in definitiva continuerebbe a detenere il potere di dare o levare sicurezza,
anche se in misura decisamente minore.
Un'altra scelta presente negli attuali modelli di difesa prevede di
coinvolgere alcuni stabilmente o a turno e, in emergenza, tutti. I pochi
coinvolti stabilmente si limitano a mantenere la struttura di addestramento,
che si svolgera' a turno, e di allertamento. E' il modello classico della
difesa popolare. Questo modello e' auspicato da chi non vuole delegare
completamente la propria sicurezza ad altri ma costantemente essere
responsabile della propria sicurezza, pur permettendo di assicurare un buon
livello di difesa in caso di emergenza. Questo modello permette di non
tenere impiegate troppe risorse, perche' solo alcuni sono costantemente
impegnati, pur conservando a tutti il potere della propria difesa,
mantenendo l'efficacia, soprattutto attuando una rotazione tra gli addetti.
Una ultima possibilita' prevede una mobilitazione costante di tutti. Puo'
essere richiesta per avere la corresponsabilizzazione di tutti nella vita
sociale da chi si aspetta che tutti si sentano coinvolti in quello che
succede nella vita di tutta la popolazione.
In questo modello tutti sono chiamati costantemente all'autodifesa, ognuno
e' responsabile nel bene e nel male della difesa del bene collettivo e puo'
essere scelto se non si ritiene fondamentale una preparazione o,
contrariamente, si ritiene utile un utilizzo notevole di risorse per la
preparazione di un grande numero di soggetti.
*
Tempi della difesa (quando difendere)
Un aspetto importante da tenere in conto nella classificazione dei modelli
di difesa riguarda anche i tempi in cui i diversi modelli cercano di
rispondere alle minacce.
Prevenzione: e' la fase in cui il conflitto puo' essere gia' presente ma non
e' ancora esploso. In questa fase e' possibile operare per ridurre
l'intensita' del conflitto ed evitare che arrivi a scatenare le sue
conseguenze piu' nefaste. Durante questo periodo e' peraltro molto piu'
facile attrezzare le strutture di difesa per l'eventualita' dell'emergenza.
Purtroppo in questo periodo la minaccia non e' ancora esplicita e spesso non
viene percepita o per lo meno non viene percepita come pericolosa. Cio' fa
si' che spesso questa fase venga trascurata, anche contando su una
provvidenziale dissoluzione autonoma o non attivazione della minaccia.
Emergenza: e' la fase di cui solitamente ci si prende piu' cura proprio per
la drammaticita' della situazione. E' la fase in cui le capacita' di
autodifesa delle persone piu' facilmente si attiva. E' la fase in cui
maggiori sono i danni e il dolore provocati dall'attuazione della minaccia.
Recupero: una volta la minaccia (sia esso un conflitto aperto, un incendio o
una epidemia) ha generato i suoi danni anche la fase di recupero puo' essere
considerata parte dei tempi della difesa, soprattutto quando questa funzione
deve cominciare quando l'emergenza e' ancora attiva. Tenere in
considerazione nella difesa anche questa fase permette di ridurre
notevolmente i danni seguenti alla fase di emergenza, anche se, come, se non
piu' che per la prevenzione, e' difficile che sia sufficientemente tenuta in
considerazione quando la minaccia non e' ancora esplicita.
In sintesi: la difesa nella fase della prevenzione evita (ovvero cerca di
evitare) i danni; nella fase dell'emergenza blocca (ovvero cerca di
bloccare) i danni; nella fase del recupero riduce e allevia (ovvero cerca di
ridurre e alleviare) i danni.
*
Scopi e principi della difesa collettiva
Riguardo a tutti questi aspetti, da cio' che si decide deriva anche una
differenza del modello di difesa da adottare. Ovviamente tali scelte
diventano indirettamente delle scelte relative alla struttura delle
relazioni delle persone che intendono adottarla andando ad influire
notevolmente anche sulla forma e sulla pratica dell'istituzione statuale che
pratica la difesa.
Attualmente, per una stratificazione storica, le scelte differiscono da
minaccia a minaccia. Per esempio per le minacce volontarie la scelta e'
quella di fare difendere il territorio e il benessere economico da pochi
professionisti con la violenza se non con l'aggressione, con una limitata
attenzione alla difesa delle popolazioni e delle istituzioni. Per le minacce
naturali e quelle involontarie si e' scelto di usare un modello di azione
diretta delegato a pochi professionisti con il supporto di tutta la
popolazione durante le emergenze, come durante le epidemie in cui la cura
viene rimandata alle famiglie o in occasione di alluvioni e terremoti
durante i quali vengono mobilitati i volontari per il soccorso, soprattutto
a lungo termine.
Vediamo quali potrebbero essere le scelte da adottare per giungere ad una
Difesa civile non armata e nonviolenta.
*
Cosa
Il modello di Dcnan dovrebbe prevedere di difendere i deboli, aiutare chi
non ha la capacita' di difendersi, ma difendere anche le popolazioni, con le
loro culture autonome che devono poter coesistere con la salvaguardia della
cultura presente su un territorio, con ricchezza di scambio di diversita'
nel rispetto di alcuni principi fondamentali comuni. Un problema che
riguarda la difesa e' quello di imporre ad altre popolazioni di cessare
certe usanze che si ritengono non rispettose dei diritti umani. E' giusto
che la popolazione residente su un territorio veda rispettati i propri
principi fondamentali, ma anche la propria cultura pur essendo disponibile
ad accogliere la ricchezza di culture diverse. Tale modello dovrebbe anche
difendere lo spazio vitale nelle sue ricchezze, anche culturali, rendendole
disponibili a chiunque voglia farne un uso rispettoso e non esclusivo,
secondo organizzazioni decise autonomamente da tutti coloro che risiedono
sul territorio per nascita o per scelta.
*
Da cosa
La Dcnan dovrebbe difendere da tutte le minacce umane volontarie,
involontarie e naturali in un'ottica integrata.
Gia' attualmente lo stato si prende cura di difendere da tutte queste
minacce con modelli e strutture diverse. Cio' avviene a partire dal secolo
scorso, derivando da una evoluzione del concetto di difesa. Se all'inizio si
e' passati a convertire gli eserciti al servizio di signori della guerra in
strutture militari che difendessero dagli attacchi degli eserciti di altri
stati, in seguito sono state concepite strutture per la difesa da minacce
naturali come gli incendi o come le malattie, con i pompieri o le pubbliche
assistenze. Solo negli ultimi decenni si e' andati ad integrare le diverse
strutture sia per avere una migliore efficacia sia per ridurre l'impiego di
risorse.
Avere una struttura integrata che comprenda tutte le minacce non esclude la
possibilita' di avere strutture parallele che siano in grado di surrogare
e/o controllare le altre strutture. Cio' pero' non sarebbe lasciato al
momento dell'emergenza ma concepito ed organizzato fin dall'inizio.
*
Come
Il modello di Dcnan non deve essere basato su rapporti di forza ma di
giustizia, esso, quindi, puo' prevedere anche dinamiche di forza, ma non di
violenza, in cui le azioni derivano da criteri di giustizia.
Difendersi convinti che l'interesse particolare puo' realizzarsi solo
nell'interesse generale, quindi dove il mio interesse non e' ne' superiore
ne' inferiore a quello altrui ma e' comune, impiegando risorse umane
materiali nella prevenzione dei problemi oltre che nella loro eventuale
soluzione, lavorando per una crescita culturale e facendo anche leva sulle
capacita' istintuali.
La difesa dovrebbe essere attuata innanzitutto con la prevenzione, cercando
di evitare, per esempio, le minacce volontarie grazie ad un preventivo
sforzo, culturale ed economico, di collaborazione e condivisione, rimuovendo
le cause di minacce umane involontarie, sapendo rinunciare eventualmente ai
vantaggi parziali portati alla collettivita' e prevenendo le minacce
naturali evitando comportamenti rischiosi, come la costruzione di case sui
fianchi dei vulcani.
Tale prevenzione richiede la gestione della trasformazione con lo scopo di
evitare la degenerazione della corruzione e dell'abuso, lavorando quindi in
un contesto politico o sociale affinche' non si giunga ad una degenerazione.
E' quindi necessario non limitarsi semplicemente a una preparazione
organizzativa ma concretamente rendere partecipe e pronta ogni singola
persona, e non semplicemente determinate forze di controllo.
Per quanto riguarda la fase dell'emergenza, poi, le azioni di forza dovranno
essere basate sul principio del danno minore e della incolumita' di tutte le
persone coinvolte nel conflitto. A tal fine saranno da adottare tutte le
tecniche di azione diretta nonviolenta, organizzate prima dell'emergenza.
Tra queste sicuramente rientrano le strutture che consentano l'azione di
governi paralleli e il coinvolgimento di terze parti.
Da non trascurare l'aiuto di coloro che hanno subito danno da tutte le
minacce, dalla predisposizione di tendopoli per gli sfollati alla
eliminazione di terreni infestati da ordigni.
*
Chi
Infine, per quanto riguarda la responsabilita' della difesa, oltre a
prevedere una presenza costante, a turni tra tutte le persone, che consenta
una risposta immediata, ma soprattutto una mobilitazione e organizzazione di
tutti nei momenti di emergenza, si puo' scegliere di coinvolgere tutti ad un
livello minimo, affinche' prendano su di se' la responsabilita' della difesa
propria e di quella del vicino in tanti sensi, sia fisicamente che
socialmente. Servira' percio' prevedere dei periodi di preparazione che
consentono una prevenzione ed una azione efficace e competente; prevedere un
coinvolgimento generale nelle scelte organizzative politiche, cosa che
permette una distribuzione del potere annullando i pericoli legati all'abuso
di potere.
*
Quando
Come per le minacce di cui tenere conto, anche in questo caso il modello
dovrebbe prevedere tutti i tempi in modo da dare a tutti una sicurezza
generale. Sicuramente sara' da tenere maggiormente in conto la fase di
prevenzione rispetto al solito e affrontare in maniera del tutto nuova la
fase di emergenza, ma anche la fase di recupero dovrebbe essere tenuta in
debita considerazione anche come parte della strategia di difesa  durante
l'emergenza e di deterrenza.
In sintesi, la Difesa civile non armata e nonviolenta difende l'incolumita'
di tutte le persone, le loro scelte culturali ed esistenziali che non siano
in contrasto con diritti universalmente riconosciuti, i territori in cui
vivono sia per gli aspetti materiali che relazionali, pur con la
disponibilita' a condividerli con chi accetta di condividerli; difende da
minacce di qualsiasi tipo, siano o meno causate volontariamente dall'uomo o
dalla natura; agisce coinvolgendo per parte del tempo tutti ma impiegando
alcuni costantemente in una struttura organizzativa di prevenzione e
allerta; opera con una azione di prevenzione e monitoraggio, tramite la
deterrenza basata sulla noncollaborazione o l'ostruzione in caso di
violenza - ma senza mai minacciare o far uso della violenza-, con una
condivisione culturale ed una formazione continua, valorizzando e stimolando
la capacita' istintuale di autodifesa; interviene sia preventivamente, sia
durante l'emergenza, sia dopo l'emergenza.
*
Note
1. La Corte costituzionale nel 1985 dichiaro' la piena legittimita' del
servizio civile e la sua piena parita', ai fini del dovere costituzionale di
difesa della patria, col servizio militare. Cio' ha introdotto nella
giurisprudenza italiana il principio di forme di difesa alternative a quella
militare. Dato che la legge 230/1998, riformando il Servizio Civile
alternativo al servizio militare, assegna la gestione di tale Servizio
Civile all'Ufficio nazionale per il servizio civile e all'art.8.1.e assegna
a tale ufficio il compito di "predisporre, d'intesa con il Dipartimento per
il coordinamento della protezione civile, forme di ricerca e di
sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta", risulta evidente
come il sacro dovere di difesa della Patria, che puo' essere svolto tramite
il Servizio Civile, trova una sua attuazione concreta nella Difesa civile
non armata e nonviolenta che l'ufficio che gestisce tale Servizio Civile e'
tenuto a sviluppare. Cio' e' ulteriormente sancito dalla stessa legge n. 64
del 2001 che ha istituito il Servizio civile nazionale finalizzato a
"concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa
della Patria con mezzi ed attivita non militari" assegnandolo proprio
all'Unsc.
2. Documento sul nuovo modello di difesa.
3. Piu' vittime civili che militari.
4. Vittime civili in Iraq contro vittime militari.
(Parte prima - Segue)

3. LETTURE. TEA FRIGERIO, FELICE TENERO: FACCIAMO VITA LA PAROLA
Tea Frigerio, Felice Tenero, Facciamo vita la parola. Per una visione
globale della Bibbia, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2004, pp. 224, euro
10. Un utile strumento di lavoro per un accostamento comunitario alla
Bibbia; Tea Frigerio, delle missionarie di Maria (saveriane), dal 1974 in
Brasile, e' docente di Sacra Scrittura ed e' attualmente responsabile del
programma di formazione per operatori pastorali del Cebi (Centro di studi
biblici); Felice Tenero, dal 1982 al 1992 missionario in Brasile,
attualmente parroco a Stallavena Alcenago (Vr), e' animatore di gruppi
biblici e collaboratore del Centro unitario missionario (Cum). Per
richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax:
0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito:
www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm

4. LETTURE. MARIO LUZI: LA FERITA NELL'ESSERE
Mario Luzi, La ferita nell'essere. Un itinerario antologico, Passigli,
Firenze-Antella 2004, nuova edizione in suppl. a "La Repubblica", Roma 2005,
pp. euro 6,90. A cura di Valerio Nardone, "un'antologia non canonica, ma
libera e attiva" dell'opera poetica di una delle grandi voci della lirica e
della riflessione morale italiana del Novecento.

5. LETTURE. ANNA PUGLISI: DONNE, MAFIA E ANTIMAFIA
Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Centro siciliano di documentazione
Giuseppe Impastato, Palermo 1998, nuova edizione DG editore, Trapani 2005,
pp. 160, euro 14. Alcuni dei piu' rilevanti saggi di Anna Puglisi,
prestigiosa studiosa  e militante antimafia, fondatrice e infaticabile
animatrice dell'esperienza del Centro Impastato di Palermo. Con una nota
introduttiva di Augusto Cavadi, ed una utilissima ed aggiornatissima
bibliografia ragionata. Un libro la cui lettura vivamente consigliamo. Per
contatti con l'autrice, e per ulteriori informazioni: Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it Per richiedere il libro alla casa editrice: DG
editore, by Di Girolamo Crispino, corso Vittorio Emanuele 32-34, 91100
Trapani, tel. e fax 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.ilpozzodigiacobbe.com

6. LETTURE. WILLIAM SIMPSON: LA GUERRA IN CASA 1943-1944
William Simpson, La guerra in casa 1943-1944, Edizioni Qualevita, Torre dei
Nolfi (Aq) 2004, pp. 272, euro 10. La cospicua testimonianza William Simpson
sulla "Resistenza umanitaria dall'Abruzzo al Vaticano", in uno dei sempre
appassionanti volumi della utilissima collana di memorialistica "E si
divisero il pane che non c'era", curata dagli studenti, gli insegnanti e il
preside del Liceo scientifico statale "E. Fermi" di Sulmona; collana che
propone libri di intensa e rigorosa testimonianza "sulla seconda guerra
mondiale e su quel singolare fenomeno di spontanea solidarieta' delle
popolazioni peligne, e italiane in genere, nei confronti di migliaia di
prigionieri alleati fuggiti, dopo l'armistizio, dai campi di concentramento
e pervicacemente cacciati dalle truppe d'occupazione tedesche". Per
richieste: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail:
sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 924 del 9 maggio 2005

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