La nonviolenza e' in cammino. 916



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 916 del primo maggio 2005

Sommario di questo numero:
1. Nadia Cervoni: Appello per la liberazione di Muyeser Gunes
2. Shadi Sadr: Presidente Khatami, perche' mi e' stato tolto il passaporto?
3. Lucio Magri ricorda Andre Gunder Frank
4. Giancarla Codrignani: Giovanni Paolo II e le donne
5. Ileana Montini: Quando il multiculturalismo diventa complicita'
6. Andrea Cozzo: La capacita' di identificare la violenza
7. Enrico Peyretti: Costermano
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. APPELLI. NADIA CERVONI: APPELLO PER LA LIBERAZIONE DI MUYESER GUNES
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento.
Nadia Cervoni (per contatti: e-mail: giraffan at tiscalinet.it) e' impegnata
nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace, solidarieta',
nonviolenza.
Muyeser Gunes e' una delle figure piu' autorevoli del popolo curdo, e una
delle voci piu' vive della lotta nonviolenta per la pace e la giustizia in
Turchia]

Soseniamo l'appello per la liberazione di Muyeser Gunes dell'associazione
delle "Madri della pace" e degli altri componenti la carovana della pace
rinchiusi nelle prigioni turche in attesa di processo.
Muyeser Gunes, 53 anni, del quartiere curdo Gazi di Istanbul, madre di due
figli uccisi in guerra, fa parte dell'"Associazione delle Madri della Pace
in Turchia" come portavoce della sede di Istanbul.
Figura autorevole in Turchia, piu' volte protagonista insieme a tante altre
donne di significative azioni nonviolente alla ricerca del dialogo e di
percorsi di pacificazione interna. Riconosciuta a livello internazionale,
soprattutto in Europa, in Italia, Francia, Germania, come ambasciatrice di
pace per la questione kurda.
Arrivata in Italia la prima volta grazie a Dino Frisullo a cui voleva molto
bene, cosi' come tutto il popolo curdo, Muyeser ha partecipato, intervenendo
in modo sempre incisivo e straordinariamente coinvolgente, al Genova social
forum delle donne nel giugno 2001, alla marcia Perugia-Assisi, a Roma alla
manifestazione nazionale contro la guerra in Iraq nel marzo 2003.
Sempre presente nelle manifestazioni in Turchia, l'8 marzo del 2004 fu
protagonista di un'azione di grande impatto simbolico, recandosi insieme ad
altre donne presso la sede del governo di Ankara per offrire in dono il
simbolico velo bianco. La loro voleva essere una preziosa offerta di pace,
purtroppo respinta, cosi' come tante altre importanti azioni compiute in
questi anni dal popolo kurdo che vive in Turchia.
Cosi' come accaduto il 3 aprile del 2005, quando Muyeser Gunes, portavoce
della carovana di pace partita da Istanbul si e' recata nella regione del
Kurdistan per fare con il proprio corpo interposizione nonviolenta insieme
ad altre 70 persone e chiedere la fine delle azioni militari governative che
ancora di fatto occupano le citta' nel Kurdistan turco imponendo una dura e
repressiva legge militare.
La manifestazione pacifica e' stata caricata dall'imponente schieramento
delle forze dell'ordine, e 27 persone tra cui anche Muyeser Gunes sono state
rinchiuse nelle prigioni del distretto di Mardin in attesa di processo. Da
fonti dirette pare che nel frattempo il numero sia salito a 58 manifestanti
trasferiti nelle prigioni turche.
Tutto cio' mentre il primo ministro turco Erdogan a Roma per i funerali del
Papa, mostrava tutto il suo risentimento per la presenza in piazza S. Pietro
della comunita' curda romana presente con la propria bandiera, cosi' come
tanti altri popoli.
*
Come Donne in Nero abbiamo conosciuto Muyeser Gunes gia' dalla sua prima
visita nel 2001 a Roma, e da allora costante, preziosa e fondamentale e' la
relazione costruita con lei e con l'associazione Madri della Pace per il
lavoro di sostegno alla societa' curda-turca democratica.
Per questo lanciamo un appello, inviato dalle Donne in Nero al governo turco
e all'ambasciata turca in Italia, che chiediamo di sostenere e di
diffondere.
Muyeser Gunes ha percorso tutta la Turchia costretta ad abbandonare case e
villaggi per sfuggire alla repressione e alla poverta'. Ha perso due dei
suoi sei figli, uccisi da una guerra a bassa intensita', una guerra sporca
mai riconosciuta cosi' come continua ad essere negata l'identita' del popolo
kurdo e le sue espressioni politiche bollate invece come organizzazioni
terroristiche.
Ma Muyeser ha dimostrato a molte e molti di noi che e' possibile trasformare
il dolore in forza che non uccide. Lei sta dedicando la sua forza alla vita,
alla pace. I kurdi hanno bisogno di lei ma anche noi tutti e tutte abbiamo
bisogno che Muyeser continui a lavorare per noi, con noi.
*
modello di appello indirizzabile all'ambasciata turca in Italia, via
Palestro 28, 00185 Roma, fax: 064941526
a) Testo italiano:
Chiediamo l'immediata liberazione di Muyeser Gunes, dell'associazione Madri
della Pace, autorevole voce internazionale del movimento della pace e
protagonista di pace in Turchia. L'arresto di Muyeser Gunes e di altre 26
persone, avvenuto a Derik mentre partecipavano ad una protesta pacifica per
far cessare le operazioni militari in corso, rappresenta una grave
violazione dei diritti umani e un duro colpo per il cammino della Turchia
verso l'Europa.
b) Testo turco
Sizden acil olarak baris analarinadan olan muyeser gunesin serbes
birakilmasini istiyoruz, kendisi uluslararasi baris hareketinin onemli baris
sesi olmakla birlikte, turkiyedede baris gisimcisidir. Askeri bir
operasyonun durmasi icin bolgeye giden Muyeser Gunes ve diger 26 kisinin
tutuklanmasi, buyuk bir insan haklarinin ihlalidir ve urkiye'nin Avrupa
Birligine dogru giden yuruyusune buyuk bir darbedir.

2. DIRITTI. SHADI SADR: PRESIDENTE KHATAMI, PERCHE' MI E' STATO TOLTO IL
PASSAPORTO?
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione questo intervento di Shadi
Sadr. Shadi Sadr e' una giornalista iraniana, avvocata ed attivista per i
diritti umani delle donne, premiata per il suo "coraggio nel giornalismo" da
"Women e-news" nel 2004. Il mese scorso le e' stato ritirato il passaporto.
Shadi Sadr sta tentando di sapere dal presidente iraniano Mohammad Khatami
perche' le viene impedito di viaggiare]

Negli ultimi tempi, il mio lavoro per migliorare la rappresentanza delle
donne nell'ambito legale in Iran e' andato abbastanza bene.
Lo scorso ottobre, assieme al mio staff, abbiamo aperto il "Centro delle
donne per la consulenza legale" a Teheran. Sebbene questa sia
un'organizzazione non governativa (in sigla: ong) e lo staff sia composto da
cinque persone, ho fornito consulenza legale gratuita e patrocinio in
tribunale a varie donne coinvolte in dispute familiari o casi criminali. E'
la prima organizzazione di questo genere, qui. Come ogni genitore
orgoglioso, ero ansiosa di parlare del Centro con altri e di scambiare
suggerimenti ed intuizioni. Percio', il mese scorso, quando sono stata
invitata a partecipare al summit internazionale su "Democrazia, terrorismo e
sicurezza" a Madrid, in Spagna, organizzato dall'indipendente "Club di
Madrid", ho fatto salti di gioia per la possibilita' che mi si offriva di
rappresentare il Centro.
Ma quando sono andata alla Divisione Passaporti per organizzare il viaggio,
ho avuto uno shock dal quale non mi sono ancora ripresa. Mi e' stato detto
che mi si impedisce di lasciare il paese. Senza che mi venisse fornita
alcuna spiegazione, un ufficiale mi ha ordinato di dargli il passaporto.
L'ufficiale ha detto che c'era un'ordinanza contro di me. Poi mi ha dato una
ricevuta, che attestava il fatto che il mio passaporto era stato confiscato.
Da allora ho vissuto in un limbo, poi lunedi' ho deciso di intraprendere il
passo di scrivere una lettera aperta al presidente Khatami. Ho chiesto al
presidente di spiegare quale autorita' ha emesso l'ordinanza. Ho anche
chiesto quali fossero le basi legali della stessa.
*
Il Centro e' la realizzazione di un sogno che risale a dieci anni orsono,
quando ero ancora alla facolta' di legge. Fu li' che cominciai a
preoccuparmi dell'ineguaglianza di genere nel sistema legale iraniano, dove
una donna sposata non puo' viaggiare all'estero senza il permesso di suo
marito.
Il Centro mette a disposizione personale qualificato ed esperto: avvocate,
psicologhe, mediche, consulenti familiari, che sono in grado di offrire una
gamma di servizi di sostegno alle utenti, donne in difficolta'. Risorse
aggiuntive ci vengono dall'aiuto dei volontari di altre ong.
Lo scorso gennaio, sono stata in grado di vincere in appello la causa di una
cliente condannata a morte, A'zam Gharah-shiran, che doveva essere
giustiziata pochi giorni dopo per omicidio del marito. Sottoposta ad un
severo interrogatorio, Gharah-shiran si era dichiarata colpevole, ma non era
in grado di dire dove fosse il corpo del marito, che non era ancora stato
ritrovato. Ho argomentato di fronte all'ayatollah Shahroudi, che presiedeva
la Corte, che non aveva senso l'aver ucciso il marito e non sapere nulla del
corpo, e al caso e' stata garantita la revisione da un altro tribunale.
Ma i successi che abbiamo avuto nei tribunali a beneficio delle donne, da
quando all'improvviso ed inspiegabilmente mi si impedisce di viaggiare, sono
stati oscurati dalla profonda paura dell'abuso di potere.
*
Da quando ho lasciato quell'ufficio a mani vuote, ho spesso guardato la
ricevuta datami dall'ufficiale che mi aveva confiscato il passaporto, per
assicurare a me stessa che questo era veramente accaduto, che non stavo
sognando.
No, non e' un sogno. Basta che io ricordi cio' che e' accaduto ai blogger
iraniani, per sapere che qui accadono cose peggiori. Lo scorso anno, hanno
ricevuto condanne a detenzioni esageratamente lunghe, dopo che i tribunali
avevano stabilito che il loro scrivere su Internet aveva compromesso la
sicurezza nazionale della Repubblica Islamica. Questa e' una parte del
disastro che negli ultimi tre anni ha investito la stampa indipendente in
Iran. Recentemente, tuttavia, ci sono state buone notizie sui blogger
(dodici uomini e due donne, che hanno passato mesi in celle oscurate ed
hanno sofferto di abusi psicologici); la scorsa settimana, dieci di loro
sono stati rilasciati per non aver commesso i fatti. Fra loro le due donne,
una delle quali, Mahboubeh Abassgholizadeh era difesa da me.
La mia situazione, naturalmente, non e' grave come quella dei blogger. Io
non sono in prigione. Ma per il mio lavoro l'accesso internazionale e'
assolutamente necessario. I membri di ong come me dipendono da questi viaggi
per avere la possibilita' di mettere insieme le teste, e arrivare a migliori
strategie per combattere problemi come la violenza domestica e le iniquita'
legali nei confronti delle donne. Se ci si impedisce di partecipare a questi
forum, solo i membri ufficiali del governo rappresenteranno le donne
dell'Iran nell'arena internazionale.
*
Quando il passaporto mi e' stato tolto, ho dapprima sperato di risolvere la
questione chiedendo al Ministero dell'Informazione di seguire il mio caso.
Come avvocata sapevo di avere il diritto costituzionale ad un processo. Ho
chiesto copia di ogni eventuale ordinanza emessa contro di me, in modo da
poter preparare la mia difesa. Non ho ricevuto risposta.
Posso solo ipotizzare che si tratti di un'oscura regolamentazione
sopravvissuta dal passato regime, la quale dice che se il viaggio di un
cittadino all'estero compromette la nazione, a costui dev'essere negato il
permesso di lasciare il paese.
Dopo aver esaurito durante il mese scorso tutti i canali possibili, ho
deciso di rendere pubblica la mia storia.
Presumendo che io venga trattenuta per ragioni di sicurezza nazionale, ho
chiesto al presidente quale minaccia il viaggio di una giornalista, avvocata
ed attivista per i diritti delle donne pone agli interessi della nazione.
Ironicamente, mentre io sono fisicamente trattenuta dal recarmi all'estero,
la mia lettera sta circolando liberamente sui media locali e nella comunita'
internazionale. Gia' oltre 12 siti web e blog hanno pubblicato la lettera,
che sta generando dibattiti on line.
La mia lettera potrebbe essere una delle sfide finali al secondo mandato di
Khatami, che avra' fine il prossimo luglio.
*
Khatami e' conosciuto e rispettato come figura internazionale. La settimana
scorsa le riprese televisive indugiavano sul viso sorridente di questo
leader dall'aspetto piacevole, mentre scambiava saluti con i maggiori
politici mondiali ai funerali di papa Giovanni Paolo II.
Khatami e' stato eletto con margine schiacciante per due volte, essendo
riuscito con successo ad ottenee il consenso di milioni di giovani votanti,
che dal 1997 sono sempre piu' disillusi rispetto alla Repubblica Islamica.
Uno dei punti della sua piattaforma era lo stabilire leggi e ordine.
Nelle ultime settimane della sua presidenza, io gli chiedo di realizzare
quella promessa elettorale.
Non so quale effetto, se pure ne avra' uno, la  mia lettera aperta al
presidente possa produrre nei miei confronti. Ma e' necessario che ciascuno
sappia come i procedimenti possano venire sospesi da questo sistema legale.
Ogni cittadino ha il diritto di confrontarsi con chi lo accusa e di
difendere se stesso, anche se l'accusatore e' il governo.
*
Per maggiori informazioni:
Shadi Sadr - Open Letter to the President:
http://weblog.shadisadr.com/archives/2005/Apr/042605,2202,22.php
Women in Iran - Women's Rights Activist Open Letter to the President:
http://www.womeniniran.net/archives/ESR/002158.html
International Summit on Democracy, Terrorism and Security - The Madrid
Agenda: http://english.safe-democracy.org/

3. LUTTI. LUCIO MAGRI RICORDA ANDRE GUNDER FRANK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 agosto 2005.
Lucio Magri e' stato tra i promotori dell'esperienza del "Manifesto", poi
segretario del Pdup per il comunismo, promotore con Claudio Napoleoni di una
iniziativa per l'unita' delle sinistre in anni in cui avrebbe potuto avere
una rilevanza decisiva, negli ultimi anni ha diretto "La rivista del
Manifesto"; e' uno degli intellettuali piu' acuti e rigorosi della sinistra
italiana.
Andre Gunder Frank, deceduto una settimana fa, e' stato uno dei grandi
intellettuali della sinistra del XX secolo: "In fuga dalla Germania di
Hitler, approdo' negli Usa. Marxista eterodosso insegno' a lungo in Brasile,
dove scappo' dal golpe dei militari per arrivare in Cile, dove collaboro'
attivamente con Allende" (cosi' sinteticamente il quotidiano "Il manifesto"
nel sottotitolo del testo che di seguito riproponiamo). Era nato a Berlino
nel 1929, economista, impegnato nella critica dell'imperialismo e del
sottosviluppo, e nella solidarieta' con i popoli del sud del mondo. Tra le
molte opere di Andre' Gunder Frank: Capitalismo e sottosviluppo in America
Latina, Einaudi; Sociologia dello sviluppo e sottosviluppo della sociologia,
Lampugnani Nigri; Riflessioni sulla nuova crisi economica mondiale,
Pellicanolibri. Dalla rete telematica riprendiamo la seguente piu' ampia
bibliografia essenziale in inglese: "General Productivity in Soviet
Agriculture and Industry", 1958, JPE; "Goal Ambiguity and Conflicting
Standards: An approach to the study of organization", 1958, Human
Organization; "The Development of Underdevelopment", 1966, MRP; Capitalism
and Underdevelopment in Latin America, 1967; Latin America: Underdevelopment
or revolution, 1969; Lumpenbourgeoisie, Lumpendevelopment, 1972; On
Capitalist Underdevelopment, 1975; Economic Genocide in Chile: Equilibrium
on the point of a bayonet, 1976; "Long Live Transideological Enterprise: the
socialist economies in the capitalist international division of labor",
1977, Review; World Accumulation, 1492-1789, 1978; Dependent Accumulation
and Underdevelopment, 1978; Mexican Agriculture 1521-1630: Transformation
and the mode of production, 1979; Crisis in the World Economy, 1980; Crisis
in the Third World, 1981; Reflections on the Economic Crisis, 1981; Dynamics
of Global Crisis, con S. Amin, G. Arrighi e I. Wallerstein, 1982; The
European Challenge, 1983; Critique and Anti-Critique, 1984; "Ten Theses on
Social Movements", con M. Fuentes, 1989, World Development; "Theoretical
Introduction to Five Thousand Years of World System History", 1990, Review;
"Civil Democracy, Social Movements in World History", con M. Fuentes, 1990,
in Amin et al., Transforming the Revolution; "Revolution in Eastern Europe:
Lessons for democratic socialist movements (and socialists)", 1990, in Tabb
(a cura di), Future of Socialism; "The Underdevelopment of Development", con
M. F. Frank, in Savoie (a cura di), Equity and Efficiency in Economic
Development. Globalization, 1400-1800; Third World War Reorient: Global
economy in the Asian age, 1998]

Ho rivisto Andre Gunder Frank solo qualche settimana fa, di passaggio a
Roma, e dopo ormai molti anni. Nel riabbracciarlo ebbi come una stretta al
cuore: nel suo corpo, nei suoi movimenti, erano evidenti i segni di un male
grave. Come stai, si usa dire? Dovrei essere gia' morto - mi rispose come
sempre da uomo di poche essenziali parole - sarei gia' morto se le cure di
questa donna (la sua compagna che gli stava a fianco) non mi avessero finora
tenuto in vita. Dove vivi e dove lavori? Un modesto insegnamento, un po'
precario, nell'angolo del Lussemburgo; una volta l'anno, per qualche
settimana all'universita' della Calabria.
Ma poi cenando insieme e discutendo fino a tardi senza stanchezza rividi i
suoi occhi di sempre, dove l'ironia e la malizia non testimoniavano il
disincanto e la delusione, ma sorvegliavano una immutata passione di capire
e rivedere l'attuale corso delle cose del mondo, trovandovi le ragioni
fondate di una critica radicale come sempre ma senza indulgere a facili
illusioni sul modo di cambiarlo.
Era cosi'. E infatti nella lunga discussione fu subito chiaro che non gli
interessava tanto ricostruire e riflettere su molte battaglie, intuizioni
feconde e speranze deluse, di un passato comune e lontano in contesti e
ruoli pur tanto diversi - come forse a me sarebbe piaciuto e non inutile
fare - ma piuttosto comunicarmi cio' che stava ora pensando e facendo, con
tempi cosi' stretti di vita e tra le difficolta' dell'isolamento.
Non cercava alcuna autocritica assolutoria ne' la quietante consolazione di
una vita ben vissuta e di una stima gia' meritata come intellettuale e come
militante che aveva pagato tanti prezzi. Cercava testardamente invece, dopo
e malgrado lo sconquasso dell'ultimo decennio, di sviluppare e riannodare il
filo di un discorso gia' avviato piu' di trent'anni fa per ribadirne il
valore alla luce di cio' che accade e di cio' che si puo' prevedere. E su
questo ha continuato a lavorare anche negli ultimi giorni della sua vita con
scritti non ancora pubblicati che vorrei contribuire a pubblicare.
Sintetizzava tutto in uno slogan provocatorio: "la teoria della dipendenza
e' morta, viva la teoria della dipendenza". (Cioe' della nuova dominazione
imperiale).
Nelle poche righe di questo breve, affettuoso ma improvvisato saluto non e'
qui e ora il caso di riassumere in poche frasi il filo lontano di quel
discorso ne' i suoi piu' recenti sviluppi. Mi pare possibile solo
esprimergli un ringraziamento e in poche parole motivarlo.
Il primo punto del ringraziamento dovrebbe essere collettivo - cioe' di
tutta una generazione di comunisti non dogmatici - ed essere rivolto a un
altro collettivo - un gruppo di grandi intellettuali degli anni '60, eterni
profughi immersi e dispersi nelle esperienze di lotta di liberazione del
terzo mondo. Andre infatti era tra i piu' rimarchevoli, insieme con Samir
Amin, tra coloro che non solo si limitarono - cosa pure essenziale - a
dimostrarci la tragedia del terzo mondo e legittimarne cosi' le lotte aspre
di liberazione; ma fu tra i pochi che incrociando la storiografia della long
duree, rilessero e rifondarono la vulgata marxista introducendovi la
categoria della polarizzazione del mondo tra centro, semiperiferia,
periferia come elemento permanente se pure in forme continuamente nuove.
Essi infatti non solo ci aiutarono a superare l'eurocentrismo ma anche a
demistificare la realta' del neocolonialismo e della borghesia compradora, e
poi tutte le illusioni del cosiddetto "rattrapace". In sostanza il contenuto
ultimo di classe di quella battaglia di liberazione.
Il secondo ringraziamento, e questo va in particolare soprattutto ad alcuni
(oltre a lui ad Amin, a Wallerstein, ad Arrighi, a Sweezy, a Brenner) che
per primi videro e interpretarono, parallelamente ma con piu' assiduita' e
perseveranza di noi, la crisi degli anni '70 come l'avvio di una crisi degli
assetti mondiali e di lunga durata che avrebbe investito la metropoli
capitalistica e l'avrebbe coinvolta anche nei suoi meccanismi produttivi,
oltreche' sociali e politici.
Un terzo ringraziamento ancora piu' specifico rivolto ad Andre: e' per aver
visto per primo (1972) il crollo dell'Unione sovietica e di avere tuttavia
insistito sul carattere immediatamente distruttivo cioe' entro un periodo
relativamente prossimo della ristrutturazione capitalistica, l'impotenza
delle soluzioni moderate nell'affrontarne tale crisi, senza peraltro
indulgere a illusioni troppo facili sul "nuovo mondo" che e' gia' in
cammino. Una visione cioe' fredda e impietosa dello stato effettivo delle
cose, fredda ma non disperata, che egli ci lascia aperta come interrogativo
di riflessione e vincolo di verita'.

4. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: GIOVANNI PAOLO II E LE DONNE
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente
intervento. Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it),
presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio
militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di
liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu'
rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza.
Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema,
Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]

Non si poteva, ai funerali di Giovanni Paolo II, guardare la folla che gli
si stringeva attorno senza vedere che era una folla di donne e di uomini,
mentre il sagrato occupato dal clero e dai potenti era esclusivamente
riservato ad uomini (fatta eccezione per i governanti, accompagnati dalle
mogli o - come si dice - dalle "loro signore", oltre a Condoleeza Rice e
poche altre).
Nessuno si e' sognato di toccare la questione, ma se si fosse chiesto a
qualche intervistata come giudicasse il contenuto profetico del magistero di
Papa Wojtyla, nessuna avrebbe lamentato l'esclusione. Forse avrebbe
ricordato con gratitudine la sottolineatura del genio femminile che rende
forte la dignita' delle donne.
Il problema si fa, dunque, complesso, per almeno due ordini di ragioni: uno,
comune a tutto il mondo cattolico, perche' manca la consuetudine con le
fonti della Scrittura e nessuno saprebbe argomentare la propria fede (detto
in altre parole, restiamo pagani); e uno, specifico delle donne, che
subiscono il pregiudizio che le esclude e le fa diverse senza valorizzarne
la diversita', ma inducendole, al contrario, all'accettazione della
subordinazione gerarchica.
Per le donne e' sempre stato difficile, anche nelle epoche favorevoli ai
cambiamenti, contendere non tanto con chi e' piu' forte, quanto con chi e'
oggetto d'amore. In Svezia, dove le donne hanno maggior parita' nelle
istituzioni e ci sono perfino delle vescove (luterane), si sta aprendo una
campagna contro i maltrattamenti in famiglia.
Perche' la donna, anche emancipata, "subisce" se non perche' chi da' le
botte e' una persona che e' (stata) cara, il padre dei figli? E quando non
riesce a fare carriera si tratta di "debolezza" di un sesso incapace di
eccellenza scientifica (come sostiene il rettore di Harvard), o di cura per
altri interessi di vita? Sarebbe bello se gli uomini desiderosi di un altro,
migliore sistema capissero e cercassero l'alleanza con le donne.
Sarebbe bello se anche le chiese capissero e, anzi, precedessero le
autorita' mondane cercando quell'alleanza. Ma gli "angeli del focolare"
hanno sempre fatto comodo a tutti e cosi' il "genio femminile" secondo papa
Wojtyla deve essere speso fondamentalmente in famiglia.
Ma cosi' la Chiesa perde lo spirito e la profezia.
*
Gesu' aveva rovesciato le gerarchie e contestato la discriminazione delle
donne: gli apostoli furono gelosi di Maddalena e delle altre e ne celarono
la presenza e perfino i nomi. La Chiesa velera' loro il capo, imporra' il
silenzio, l'obbedienza al marito, vieteranno il sacerdozio femminile,
inventeranno il celibato, si opporranno all'uguaglianza di ogni genere,
consolidando ovunque il sistema gerarchico, patriarcale e sessista.
Giovanni Paolo II ha confermato la tradizione, pur credendo di onorare il
genere femminile a partire da un culto esemplare della Madonna, vergine e
madre, piu' icona che semplice ragazza palestinese. Le teologhe hanno
accolto il femminismo e contestato il contestabile detto dai loro "padri";
la stessa presidente delle superiore americane nel corso della prima visita
papale negli Usa, lesse, senza chiedere rivendicazioni immediate, il cahier
de doleances delle religiose, a partire dall'impossibilita' del sacerdozio,
provocando nel papa una reazione di rigetto visibilmente emotiva.
Non sono mancate le contraddizioni in un pontefice che ha avuto il coraggio
di opporsi alla guerra e ha mantenuto i cappellani militari con il vescovo
castrense che porta i gradi di generale; che ha sentito l'urgenza del futuro
e ha limitato la liberta' religiosa e la ricerca scientifica; che ha aperto
alle altre confessioni e ha affermato l'unica verita' assoluta del
cattolicesimo; che ha voluto essere testimone di Cristo nel mondo ed e'
rimasto vittima dei media. Ma anche le contraddizioni stanno nella storia e
possono essere stimolanti; dove non c'e' possibilita' di equivoco, invece,
e' proprio nella chiusura sul femminile e sulla concezione dell'etica
personale.
Se si riconosce alle donne una marcia in piu' per la pace, non ha senso
relegare alla famiglia il beneficio del genio: forse si deve suggerire ai
governi che assegnino alle donne i ministeri degli esteri e della difesa. Se
Gesu' risana la donna che soffriva di perdite e che era due volte impura per
essere donna e per sanguinare; se e' alla samaritana, donna di etnia
inferiore e di vita privata irregolare, che affida il messaggio piu' alto;
se ci sono solo donne sotto la croce perche' i maschi erano scappati e
Pietro aveva rinnegato; se e' a Maddalena che il Cristo si rivela dopo la
Resurrezione, non ha senso negare il sacerdozio. Se il corpo e' gloria di
Dio - e papa Wojtyla riconosce la grandezza materiale della creazione - non
si sa perche' la paura di quello femminile abbia dato connotati sessuofobici
alla dottrina morale. Se l'amore umano e' santificato nel matrimonio e se
gli esseri umani godono della liberta' dei figli di Dio, il celibato e'
incongruo con le Scritture (perfino Pietro e' sposato e il Vangelo ne nomina
la suocera) e viola i diritti umani...
*
Che fare? Giovanni Paolo II ha ricevuto il consenso affascinato anche di
laici e laicisti, meno dalle donne, ma senza che questo silenzio faccia
rumore. Tuttavia Giovanni Paolo II ha finito il suo compito e occorre
guardare avanti. Al successore - ma non solo - il monito di papa Wojtyla:
"non abbiate paura". Sono parole da rivolgere a tutti, anche alla sinistra:
davanti a un referendum sulla fecondazione assistita conteranno di piu' le
donne (anche credenti) o l'ossequio al Vaticano?

5. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: QUANDO IL MULTICULTURALISMO DIVENTA
COMPLICITA'
[Dal sito de "IL paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento di Ileana Montini. Ileana Montini (per contatti:
ileana.montini at tin.it), prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita'
maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su
Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

Nel mese di aprile in Afghanistan una donna e' stata lapidata perche'
adultera, ovvero per aver disonorato padre e marito, mentre il suo amante ha
ricevuto cento frustate. La lapidazione e' stata vietata in tutto il Paese,
ma come si sa le abitudini sono dure a scomparire.
Il 18 aprile, in prima serata sulla rete televisiva La 7 nella trasmissione
"Otto e mezzo", e' apparsa, mite e sorridente ma decisa e precisa, la
deputata somala in Olanda Ayaan Hirsi Ali. C'era gia' stato un ampio
servizio su "La Repubblica" il 19 marzo con il titolo "Io, musulmana in
fuga, sfidero' ancora i terroristi".
Ora e' uscito in Italia la traduzione del suo libro Non sottomessa
(Feltrinelli, Milano 2005) con un'ampia introduzione di Adriano Sofri. E
cosi', di nuovo, ci troviamo di fronte ai problemi delle donne musulmane nel
mondo, in particolare di quelle emigrate in occidente. E cosi', di nuovo,
non possiamo sottrarci dal fare i conti con la nostra situazione di donne
emancipate e con la loro di donne appartenenti, prima di tutto, ai clan,
alle tribu', agli uomini della famiglia, anziche' a loro stesse.
Hirsi Ali vive sotto scorta da quando hanno ucciso il regista Theo Van Gogh
per il film Submission, il cui testo aveva scritto, e la cui protagonista e'
un'adultera che viene uccisa dai maschi perche' disonora la famiglia.
Su "La Repubblica" del 22 aprile Michele Serra ha pubblicato un articolo con
il titolo "Submission e i vili europei". Chi sono i "vili europei"? e
perche'?
Prima di tutto il Parlamento europeo che ha vietato la proiezione del film
nella sala stampa dell'europarlamento per ragioni di sicurezza. Di piu',
Serra ci ricorda che, a qualche mese dall'assassinio di Teo Van Gogh, il
cortometraggio e' stato oscurato da istituzioni culturali e politiche di
tutta l'Europa democratica.
E' altrettanto vero che la proposta di proiettarlo era stata chiesta dal
gruppo leghista al Parlamento europeo, e anche a Treviso e' stato proiettato
sempre per iniziativa dei leghisti.
Sia Adriano Sofri, che Michele Serra, analizzano che e' la destra ad
affrontare il problema della segregazione delle donne islamiche, mentre la
sinistra, ovunque sia, tende a minimizzare. Serra si chiede: "E' blasfemo
Submission? Lo e' tanto quanto lo furono, agli occhi dell'integrismo
cristiano, Ti saluto, Maria di Godard, o addirittura La dolce vita di
Fellini, accusato a suo tempo d'immoralismo e blasfemia perche' osava
parlare di suicidio".
Scrive Sofri: "D'altra parte, le posizioni piu' conservatrici e avare verso
gli stranieri (per non dire di quelle senz'altro xenofobe) sono piu' pronte
a denunciare la soggezione delle donne nell'Islam". In Italia, sono stati i
quotidiani "Libero", a firma di Fawzia Tarek, e "Il foglio", a firma di
Cristina Giudici, a dedicare piu' pagine d'inchiesta sulle violenze
familiari e contro le donne tra gli immigrati musulmani. Qui sta il
problema: il multiculturalismo, cosi' come e' stato predicato e affermato
per lo piu' dalla sinistra, e' in crisi, che lo si ammetta oppure no.
Scrive in proposito Serra: "Che sia questo il famoso relativismo culturale,
questo posporre i principi alla convenienza, l'orgoglio della liberta' alla
paura, la difesa dell'integrita' fisica e intellettuale delle persone a un
malinteso (molto malinteso) dialogo con l'Islam?".
Il rispetto di tutte le religioni (e le culture) puo' diventare, come nel
caso dell'Islam, censura della base costitutiva delle tradizioni e delle
leggi che attraversano i comportamenti e penalizzano, soprattutto, le donne.
Sofri inizia la sua introduzione al libro Non sottomessa con queste parole:
"Che il corpo delle donne sia il campo di battaglia e insieme la posta del
famoso scontro di civilta' sembrava fino a qualche tempo fa un'idea balzana,
o provocatoria: ora e' quasi un'ovvieta'. Ci siamo accorti che anche gli
ultimi, quelli che non avevano da perdere che le loro catene, hanno da
perdere almeno le loro donne. Quel che piu' conta e' che se ne sono accorti
loro, gli ultimi: da quando le distanze si sono cosi' accorciate da renderli
spettatori di un mondo in cui le donne diventano padrone di se'".
L'idea multiculturalista, scrive Sofri, "si puo' tradurre bruscamente cosi':
i panni sporchi si lavano in famiglia, e i panni sporchi musulmani nelle
famiglie musulmane... E c'e' quindi una violenza domestica che viene
legittimata dal punto di vista culturale e religioso. Il gesto del colpevole
e' accettato all'interno della sua societa'. Di piu', il colpevole, in molti
casi, viene spinto alla violenza".
Sono paurosamente in aumento i suicidi delle donne musulmane, ad esempio nel
Regno Unito le asiatiche sono il triplo delle coetanee inglesi. Poi ci sono
le giovani ustionate che dicono di essersi ustionate con le friggitrici.
Gia', peccato che non abbiano friggitrici.
Un'altra denuncia ci giunge dalla Francia e da una giovane donna marocchina.
La sua storia e' stata pubblicata anche in Italiano con il titolo Murata
viva (Piemme). Leila (nome fittizio), nata in Francia, e' stata costretta -
come tante altre giovani - a sposare un uomo marocchino scelto dai genitori.
Ha tentato di sfuggire alla sua condizione di sottomessa con il suicidio e
la fuga da casa. Ora vive nascosta, anche se divorziata e in pace con la sua
famiglia.
Spaventa - e dovrebbe interrogarci - la descrizione della solitudine delle
donne musulmane che vogliono ribellarsi: "Non c'e' via possibile senza la
famiglia, la tribu', i parenti, o la protezione di un uomo. In Europa, una
ragazza francese, svizzera, belga, di diciotto anni, che scappa di casa, ha
molte risorse: centri di accoglienza, un poliziotto a cui dire che il padre
o il fratello la picchiano, la possibilita' di far scoppiare uno scandalo.
Nella comunita' marocchina alle ragazze non passa nemmeno per la testa
l'idea di denunciare la famiglia. E' una vergogna che nessun altro puo'
capire. Ci logoriamo, ci consideriamo vigliacche, ci dibattiamo
maldestramente, e alla fine subiamo, perche' fuori dalla famiglia non c'e'
salvezza".
Ora a Roma c'e' un nuovo pontefice che ha scritto, da cardinale, una lettera
sull'essere donna, o meglio, sulla vocazione sponsale e materna
nell'oblativita', come modalita' primaria per una donna di realizzarsi. Un
messaggio per gli uomini, piu' che per le donne.
Appunto, come scrive Sofri, il corpo delle donne e' merce e simbolo di uno
scambio tra uomini per il potere. Ieri come oggi. Ma noi che facciamo?
Perche' siamo in silenzio, e magari inclini al multiculturalismo, che ci
rende cieche e sorde alle lacrime delle donne islamiche?

6. RIFLESSIONE. ANDREA COZZO: LA CAPACITA' DI IDENTIFICARE LA VIOLENZA
[Da "Azione nonviolenta" di marzo 2005 (per contatti: e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente
intervento.
Nel corso del 2005, ogni mese, sulla rivista mensile del Movimento
Nonviolento, "Azione nonviolenta", verra' proposta una riflessione su una
delle dieci caratteristiche della personalita nonviolenta proposte da un
saggio di Giuliano Pontara. Una nota editoriale di presentazione cosi'
illustra l'iniziativa: "Ogni mese svilupperemo una riflessione su una delle
dieci caratteristiche della personalita' nonviolenta. Abbiamo chiesto ad
amici ed amiche della nonviolenza di aiutarci in questa ricerca. Proponiamo
a singoli e gruppi di seguire questo percorso, sviluppando iniziative locali
(una lettura comunitaria, un giorno di digiuno, un banchetto in piazza, una
cartello esposto, un dibattito pubblico, ecc.) che confluiranno poi in una
azione nonviolenta comune e nazionale. Il Congresso del Movimento
Nonviolento ha individuato un percorso, che lungo tutto il 2005 utilizzera'
i dieci numeri di 'Azione nonviolenta', seguendo come traccia le 'Dieci
caratteristiche della personalita' nonviolenta' individuate da Giuliano
Pontara, rilette nella loro valenza collettiva e politica (il ripudio della
violenza; la capacita' di identificare la violenza; l'empatia; il rifiuto
dell'autorita'; la fiducia negli altri; la disposizione al dialogo; la
mitezza; il coraggio; l'abnegazione; la pazienza). E' stata infatti
sottolineata l'esigenza che l'iniziativa, nel suo svolgersi e nella sua
conclusione, testimoni dell'aggiunta che la nonviolenza e' in grado di dare
alla politica. Per questo si e' anche sottolineato trattarsi di una
iniziativa che proponiamo a tutti i singoli e a tutte le forze per le quali
'il rifiuto della guerra e della sua preparazione e' la condizione
preliminare per un nuovo orientamento', e che sono alla ricerca di una
valida alternativa. In tal senso le dieci parole possono avere applicazioni
concrete nella politica e nel sociale sui temi fondamentali della convivenza
civile, individuando azioni che possano essere concretamente sperimentate e
che confluiscano in una pubblicazione del Movimento Nonviolento da
diffondere nel modo piu' largo".
Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di
cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita'
didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene
da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha
pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte
del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue
opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della
complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi
e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio
dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di),
Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999;
Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti
delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo
2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le
facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario
accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001;
Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando',
A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?,
Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i
Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa,
Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema
scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che
cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione,
discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza,
conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2,
2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232,
febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche
di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004]

Non e' cosa ovvia essere in grado di identificare la violenza. Certo c'e'
una violenza che appare subito chiara a tutti: e' quella fisica e di
attacco. Ma la chiarezza finisce li', mentre, a parte che non sempre e'
chiaro chi ha attaccato, chi ha cominciato per primo, si potrebbe andare ben
oltre nella messa a fuoco delle forme di violenza. La violenza verbale,
quella psicologica sono troppo poco appariscenti, troppo "normali", per
essere considerate violenza? Eppure anch'esse producono sofferenza e sono
vettori, per dirla con Pat Patfoort, della catena della violenza o della sua
escalation (oppure di frustrazione, se la violenza viene non rivolta verso
altri ma introiettata).
Se non la sappiamo individuare, la violenza poi esplode senza che ne capiamo
il perche' e si rischiano spiegazioni banali come "ero (o era) nervoso", o
altre che alla fine giustificano senza permetterci di intervenire in nessun
punto del processo.
Identificare la violenza significa dare questo nome ad azioni che forse
siamo stati abituati a chiamare in un modo che ci induce ad accettarle
passivamente o a compierle inconsapevolmente o a ritenerle addirittura
positive, come spesso capita nel caso della violenza strutturale.
Consideriamo la scuola: gia' la struttura frontale delle lezioni, con
l'insegnante da un lato e coloro che imparano tutti/e insieme come se
fossero un essere unico e indistinto dal lato opposto, suggerisce
implicitamente che non vale la pena che coloro che stanno tra i banchi si
guardino, parlino e si ascoltino reciprocamente: e' un'ottica trasmissiva e
non comunicativa. Del resto, l'insegnante non ha come proprio appannaggio la
cattedra, la lavagna e tutto cio' che mostra chi "comanda"? Danilo Dolci,
quando costrui' la scuola di Mirto, a Partinico vicino Palermo, si pose
questi problemi e cerco' di superarli: banchi ad anfiteatro o, per piccoli
gruppi, a circolo ecc. Si preoccupo' di lavorare anche sul vocabolario -
altro mezzo di trasmissione della violenza invisibile - e propose di
sostituire scuola con centro educativo, classe con gruppo, disciplina con
responsabilita' e cosi' di seguito. Non si trattava di puro nominalismo ma
di incanalamento del pensiero in direzione cooperativa anziche' autoritaria;
infatti con le parole si vedono le cose in un certo modo o in un altro e si
fanno le cose in un certo modo piuttosto che in un altro. Ad esempio,
possiamo trattare davvero con rispetto i bambini se continuiamo a chiamarli
col nome di minori che dice della loro inferiorita'? Si', certo, per questo
badiamo a loro; ma per questo anche decidiamo per loro.
Per fare ancora qualche esempio relativo al linguaggio: quante volte, con
logica autoritaria, diciamo "devo (o deve, o dovrebbe) fare questo o
quest'altro"? e non ci viene insegnato che gli "altri" sono terroristi senza
distinguere il terrorismo dal basso di questi ultimi dal nostro terrorismo
dall'alto che uccide innocenti con la guerra? non si dice che ci sono gli
Stati-canaglia senza dare lo stesso nome agli Stati occidentali che vendono
loro le armi?
I giochi: sono violenti solo quelli che imitano le azioni degli eserciti
oppure non dico solo il pugilato, ma anche il calcio e gli scacchi possono
esser tali se mentre facciamo goal o scacco al re godiamo dell'avere
sconfitto l'altro? Non affermo; domando veramente, perche' non credo che ci
sia una risposta univoca valida per tutti i casi: dipende dallo spirito con
cui gioco - anche se, certamente, in ogni forma di gioco e' gia' insita una
tendenza cooperativa o competitiva.
C'e' violenza nell'indifferenza, ma forse anche nel semplice "non fare agli
altri cio' che non vorresti fosse fatto a te", visto che potremmo pure "fare
agli altri cio' che vorremmo fosse fatto a noi". Aggiungerei la violenza
contro le cose inanimate: se l'altro nome della nonviolenza (ahimsa) e'
satyagraha, cioe' "tenere alla verita' (satya)", cosa composta da tutto cio'
che e' (sat), allora la nonviolenza e' tenere a tutto, ad ogni cosa che e',
vivente o non vivente che essa sia.
Identificare la violenza non e' cosa facile. Ma non e' neppure impossibile:
non si tratta di vivere "in continua paranoia", basta solo un po' di
lentezza e di attenzione e la consapevolezza puo' crescere piano piano con
uno sforzo sempre minore.
Forse puo' essere d'aiuto l'idea che ogni cosa si puo' fare in tre modi: con
violenza, senza violenza, con nonviolenza. "Con violenza" e' chiaro: rimanda
a qualsiasi forma di aggressione. "Senza violenza": ad esempio, quando si
parla senza alzare la voce, senza interrompere e in generale quando non si
prevarica. "Con nonviolenza": quando si ha cura dell'altro e si cerca di
contribuire alla sua espressione di se' o, nel caso di conflitto, di badare
a non fargli male, a lottare l'azione e non la persona.

7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: COSTERMANO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e'
nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di
questo notiziario]

Oggi sono stato a Costermano, sul Garda: cimitero di 22.000 ammazzati in
guerra. Non importa che siano tedeschi, sono uomini, colpevoli e non
colpevoli. Irreperibili i miei tre senza nome. Tantissimi senza nome.
Uno dei tanti cimiteri di guerra, dappertutto. Ogni morto dice che c'e'
stato un omicidio. Tutti insieme gridano come la terra insanguinata da Abele
che c'e' stata - e c'e' - una follia diabolica. Mi ha molto commosso.
Sto leggendo Drewermann, "La guerra e' la malattia, non la soluzione"
(Claudiana). Da psicologo dice che in realta', prima della guerra, lo stesso
sistema militare e' la malattia della politica, della convivenza umana.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 916 del primo maggio 2005

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