La nonviolenza e' in cammino. 908



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 908 del 23 aprile 2005

Sommario di questo numero:
1. Per il sessantesimo compleanno di Aung San Suu Kyi
2. Giancarla Codrignani: Religiosi e laici dopo Vojtyla
3. Giovanni De Martis: Il nazismo contro le donne
4. Maria Luisa Boccia: Maternita' di Stato
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. APPELLI. PER IL SESSANTESIMO COMPLEANNO DI AUNG SAN SUU KYI
[Da "Ebo", struttura di solidarieta' con il popolo birmano e con la lotta di
Aung San Suu Kyi per la democrazia (per contatti: burma at euro-burma.be),
riceviamo e diffondiamo il seguente appello promosso da Assistenza Birmania
(per contatti: assistenzabirmania at hotmail.com). Aung San Suu Kyi , figlia di
Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la
leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha
subito - e subisce tuttora - dure persecuzioni da parte della dittatura
militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. Opere
di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, 1996, 1998]

Cari amici,
vorremmo celebrare insieme a voi il sessantesimo compleanno di Aung San Suu
Kyi (19 giugno 2005) unendoci alla campagna internazionale lanciata dal
gruppo americano "US Campaign for Burma". Vogliamo far sapere al governo
birmano che Aung San Suu Kyi ed il popolo birmano non sono soli e che c'e'
qualcuno che pensa a loro anche in Italia.
Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far si' che la campagna abbia l'effetto
sperato.
Abbiamo realizzato e mettiamo a disposizione di chi ne fa richiesta
(inviandola per e-mail allegata in Pdf file) una cartolina composta da una
foto di Aung San Suu Kyi ed un breve riassunto che sintetizza la lotta per
la democrazia ed i diritti umani della leader democratica in Birmania; la
cartolina puo' essere stampata e inviata all`ambasciata birmana in Italia.
Per favore inoltrate questo messaggio a chiunque possa essere interessato ad
aiutarci.
Grazie  per la vostra gentile collaborazione,
Assistenza Birmania
Per informazioni e contatti: assistenzabirmania at hotmail.com

2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: RELIGIOSI E LAICI DOPO WOJTYLA
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso nella cronaca di
Bologna de "L'Unita'" del 12 aprile 2005. Non e' necessario sottolineare che
queste parole sono state scritte prima che il cardinale Ratzinger divenisse
papa Benedetto XVI (elezione avvenuta il 19 aprile). Giancarla Codrignani,
presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio
militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di
liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu'
rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza.
Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema,
Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]

Nonostante la tendenza giornalistica a dare dei funerali di Giovanni Paolo
II un'immagine indifferenziata emozionalmente travolgente, sono molte e
diverse le considerazioni che si dovranno fare di quest'evento,
straordinario per i credenti come per i laicisti.
Guardavo sullo schermo il volto del cardinal Ratzinger e mi domandavo i suoi
pensieri: sono passate poche settimane da un suo duro documento sullo stato
generale del cattolicesimo in anni in cui si consuma tutto, anche la fede.
Denunciava il calo della partecipazione, l'abbandono della disciplina, una
"sporcizia" che intaccava la santita': ieri il dolore non gli sottraeva
certo il pensiero critico e forse neppure lui era del tutto rassicurato
dall'emozione collettiva, dalla quantita' delle presenze, dai tanti giovani
che si esprimevano con liturgie di canti e danze non diverse da altri riti,
anche profani.
Papa Wojtyla - si dice - e' stato un uomo di contraddizioni: occasione
grande di riflessione per tutti, a partire dalla Chiesa che vive in questo
mondo sommerso dai problemi e dai conflitti prodotti dall'avanzare di
innovazioni di ogni genere, che chiamiamo "modernizzazioni" e che
rivoluzioneranno in breve ogni aspetto della nostra vita. Sappiamo questo,
ma restiamo disorientati per incapacita' di controllare i processi e
ricorriamo all'antica voglia di restaurare poteri e controlli o di
abbandonarci all'inerzia.
La spettacolarizzazione della malattia e della morte di un Papa che aveva
capito il bisogno universale dei "simboli" e dei "segni", ne ha mediatizzato
i significati. L'esibizione del corpo vecchio e malato e' apparso a molti
inopportuna e sgradevole: ma l'umano, ci diceva Wojtyla attraverso se
stesso, e' anche la vecchiaia e la malattia, che non vanno rimosse solo
perche' non piacciono. Cristianamente il Papa non e' diverso
dall'handicappato che per via ci mette a disagio o dall'anziano che
escludiamo dalla nostra vita: non e' cristiana la societa' che scarica sulla
famiglia (sulle donne della famiglia) la "cura" (il "peso" della cura)
perche' nega sia i servizi, sia l'educazione ad accettare il limite della
vita degradata e il dovere di porvi rimedio attraverso l'intervento sociale,
priorita' della spesa pubblica ed equita' fiscale in primo luogo.
Poi c'e' il lutto delle folle: riscoperta del pellegrinaggio in forma
cristiana? O pagana? Ratzingzr non deve essersi sentito rassicurato da tanta
emozione rispetto alla responsabilita' di governare la Chiesa del futuro.
Ma anche i politici hanno i loro problemi e non possono o adeguarsi al
cordoglio o limitarsi al lamento per la laicita' perduta. I popoli vogliono
qualcosa di piu', anche se non sanno con chiarezza che cosa: possono essere
indotti, non solo nel Sud del mondo, a reazioni irrazionali, anche indotte,
e ad affidarsi (come diceva dieci anni fa agli italiani don Dossetti) a
qualche "seduttore" che finga di conoscere il loro bene.
Non vediamo, invece, dietro questo accorrere di genti il bisogno comune di
verita', di giustizia, di pace? Da quanto tempo i poteri politici - anche di
sinistra - non portano piu' tra la gente il messaggio dei valori alti che
pur posseggono? Davvero pensiamo che la gente non abbia bisogno urgente di
aria non inquinata e di miglior respiro morale?

3. STUDI. GIOVANNI DE MARTIS: IL NAZISMO CONTRO LE DONNE
[Dal sito www.olokaustos.org riprendiamo il seguente saggio di Giovanni De
Martis, "La 'questione femminile' nella Germania nazista". Giovanni De
Martis, presidente dell'associazione Olokaustos, consulente di marketing e
comunicazione, si occupa di formazione per le aziende; "laureato in storia
ha sempre coltivato la passione per gli studi umanistici cercando di
coniugarla con l'impegno politico e sociale"; ha scritto per l'editore
Marsilio un libro sulle "stragi del sabato sera"]

La Repubblica di Weimar: un nuovo ruolo femminile
Joseph Goebbels - destinato a divenire il ministro della propaganda del
Reich hitleriano - in un suo racconto giovanile intitolato "Michael"
scriveva negli anni Trenta: "La donna ha il compito di essere gradevole e di
mettere al mondo figli. Questa non e' una idea cosi' retriva e crudele come
si puo' pensare in un primo momento. Le femmine degli uccelli si puliscono
per il proprio compagno e si prendono cura delle uova. In cambio il maschio
si incarica di portare il cibo al nido, rimane vigile e combatte contro
tutti i nemici".
A parte la scarsa conoscenza delle numerose variabili di ruoli che il mondo
degli animali assegna al maschio ed alla femmina di ogni specie, Goebbels
esprime in modo quasi perfetta la divisione dei sessi ideale nei principi
nazisti.
Intorno all'ancora minuscolo partito nazionalsocialista al principio degli
anni Venti ruotava una societa' profondamente differente da quella
vagheggiata da Goebbels. La Repubblica di Weimar che aveva sostituito la
monarchia prussiana dopo la sconfitta del 1918 aveva dato alla donna tedesca
un nuovo ruolo nella societa'. La repubblica aveva concesso il diritto di
voto alle donne e contemporaneamente si era verificata una rivoluzione
sociale di ampia portata. Durante la prima guerra mondiale le donne per le
necessita' belliche erano entrate a pieno titolo nel mondo del lavoro e,
alla fine del conflitto, erano circa 11 milioni le donne con un impiego a
tempo indeterminato.
Vi era certamente molta strada da percorrere nel cammino verso una reale
parita' tra i sessi: ancora a parita' di funzioni le donne percepivano
salari piu' bassi; nella professione medica e giuridica esistevano forti
opposizioni al pieno impiego femminile. Nonostante cio' si era rotto un
equilibrio nella societa' tedesca, un equilibrio che destinava la donna
esclusivamente ad un ruolo di moglie e di madre.
I costumi sessuali tradizionali , almeno nelle grandi citta' come Berlino,
entravano in crisi e i classici ruoli si infrangevano in un'atmosfera di
sperimentalismo e di modernizzazione. In letteratura si parlava molto di
"matrimonio di prova", di problemi di menage a' trois, e non sembrava piu'
esserci un argomento realmente tabu'. In altri termini la Germania di Weimar
dopo secoli di distacco stava riprendendo contatto con le correnti culturali
europee.
La reazione delle chiese e dei partiti di destra che gridavano alla
corruzione della societa' non ebbe grande peso: al di la' di - rari -
atteggiamenti provocatori o trasgressivi il movimento femminile nella
Germania di Weimar andava acquistando una sempre maggiore autocoscienza e
consapevolezza.
*
La reazione: l'ideale della donna nordica
I circoli conservatori tedeschi vedevano nel crescere del ruolo femminile
una minaccia precisa non tanto all'unita' della famiglia, quanto, cosa ancor
piu' grave, una minaccia all'integrita' del "Volk", del popolo e della razza
tedesca.
A guidare questa variegata area di neo-conservatori era una rivista
intitolata "Volk und Rasse" ("Popolo e Razza") che alla meta' degli anni Ven
ti raccoglieva intorno a se' antropologi, medici e "scienziati sociali" di
orientamento apertamente reazionari.
La rivista nel 1926 bandi' un concorso tra i suoi lettori per trovare il
"miglior viso nordico".
Si trattava di ritrovare l'incarnazione dell'ideale dell'uomo e della donna
nordici secondo le teorie razziali della rivista. Al primo ottobre 1926
erano giunte alla redazione 793 fotografie di uomini e 506 di donne. I
giudici (tra i quali l'antropologo razzista Eugen Fischer) dichiararono che
per quanto riguardava gli uomini gli "esemplari pregevoli" erano stati cosi'
tanti da rendere difficile la scelta. Viceversa per quanto riguardava le
donne "nessuna delle concorrenti catturava realmente l'essenza del tipo
nordico". Questa assenza di una concorrente in grado di rappresentare
pienamente l'ideale nordico segnala una difficolta' di base del
conservatorismo razzista dell'epoca.
Se la forza e la determinazione erano le qualita' ideali dell'uomo nordico
per la donna le qualita' richieste non erano tanto fisiche quanto "morali".
Per certi versi in quegli anni l'ideale estetico della donna nordica era
gia' incarnato: la Marlene Dietrich che nell'"Angelo azzurro" seduceva e
portava alla perdizione il professore di liceo bigotto e moralista era
quanto di piu' nordico si potesse desiderare. Ma la "nordicita'" di Marlene
Dietrich era intrisa di un "veleno della modernita'" che contrastava con il
ruolo che la donna nordica doveva ricoprire nella societa'.
Paradossalmente dunque l'impossibilita' di trovare una donna che incarnasse
l'ideale femminile nordico rivelava che per i conservatori tedeschi questa
idealita' non era estetica ma "morale". Il compito di stabilire quali
fossero le "qualita' morali" ed il ruolo della nordica fu assunto non dagli
scienziati razziali ma dai militanti nazisti.
*
La donna nazista come procreatrice
Se i teorici del razzismo erano cosi' concentrati sull'uomo nordico da avere
forti difficolta' ad immaginare la "donna nordica", i piu' pratici militanti
del neonato partito nazista avevano idee piu' chiare non sull'estetica
(abbastanza irrilevante) ma sul ruolo della donna nella societa'.
Sin dal 1921 il partito nazionalsocialista pur ammettendo le donne nel
partito precludeva loro di accedere ai ruoli dirigenti dell'organizzazione.
La visione nazista escludeva in partenza le donne dalla politica. Negli anni
Trenta un gerarca nazista scriveva: "Noi nazionalsocialisti abbiamo la
ferrea convinzione che la politica sia un affare per uomini. La donna
tedesca e' per noi troppo sacra per contaminarsi con le sporche questioni
della politica parlamentare".
L'obiettivo dell'ideologia nazista non e' in prima battuta definire la donna
nordica ma darle un ruolo all'interno della societa'. E questo ruolo
consisteva in termini pratici nel "rimettere la donna al proprio posto"
allontanandola dal mondo del lavoro e riconducendola all'interno della casa
per ottemperare al proprio compito naturale: generare piu' figli possibile.
Giunto al potere il nazismo varo' una serie di leggi che favorissero la
"naturale tendenza alla maternita' delle donne".
Gli uomini sposati le cui mogli accettavano di uscire dal circuito del mondo
del lavoro ricevevano prestiti che raggiungevano il valore di un intero anno
di salario medio (dai 500 ai 1.000 Reichmarks). Per ogni figlio nato dopo la
concessione del prestito gli interessi venivano ridotti del 20%, al quarto
figlio gli interessi sul debito venivano azzerati. Alla fine del 1940 erano
stati erogati 1.700.000 prestiti di questo genere con il risultato pratico
di aver ricondotto a casa quasi due milioni di donne che avevano rinunciato
al lavoro.
Uno dei piu' acclamati scienziati razziali, Otmar von Verschuer, nel 1935
scriveva che la "migliore politica contro la disoccupazione consisteva nel
favorire il ritorno a casa delle donne".
La politica nazista non poteva pero' accontentarsi di eliminare la donna
dalla politica e dal lavoro. Se, come disse Hitler nel 1939, "il campo di
battaglia della donna era la casa", occorreva che la donna nordica desse il
suo contributo per creare la "famiglia ideale tedesca". E su questa famiglia
ideale i nazisti, ancora una volta, avevano le idee ben chiare.
Il 16 dicembre 1938 venne creata la Croce d'Onore della Madre Tedesca. Si
trattava di una medaglia che copiava esattamente nella sua forma la Croce di
Ferro che veniva elargita ai combattenti particolarmente valorosi. La Croce
d'Onore veniva consegnata in bronzo alle madri di quattro figli, in argento
al raggiungimento dei sei figli e in oro alla nascita dell'ottavo figlio.
Contemporaneamente a tutti gli impiegati pubblici tedeschi venne imposto di
sposarsi o di dimettersi. Con una legge si impose una tassa aggiuntiva alle
coppie prive di figli dopo cinque anni di matrimonio. Parallelamente venne
modificata la legge sul divorzio: l'incapacita' della donna a procreare
diveniva una ragione lecita per lo scioglimento del matrimonio.
*
Il nazismo e il problema dell'aborto
Nella Germania prenazista l'aborto era regolato dall'articolo 218 del Codice
introdotto dalla Repubblica di Weimar. In esso si prevedeva la liceita'
dell'aborto nel caso in cui il parto avesse messo in pericolo la vita della
madre.
I nazisti non modificarono la legge se non consentendo l'aborto nel caso in
cui la nascita del bambino fosse un pericolo per l'igiene razziale tedesca.
In altri termini l'aborto veniva consentito per sopprimere "incroci
razziali" non desiderati. Per il resto l'aborto era strettamente vietato.
Nel 1937 i medici che praticavano aborti venivano puniti con dieci anni di
prigione e - nel 1939 - l'aborto non autorizzato venne considerato
"tradimento contro il popolo tedesco" punibile con la pena di morte.
Parallelamente non era consentita alla donna alcuna pianificazione familiare
scientifica essendo fuorilegge tutti gli strumenti anticoncezionali.
L'aborto per i nazisti era legato non tanto alla donna in quanto tale ma
alla "appartenenza razziale" della donna. Infatti mentre si vietava alle
donne "ariane tedesche" ogni possibilita' di decidere sulla propria
maternita', si autorizzavano per legge le donne ebree ad abortire senza
dover richiedere autorizzazioni ai tribunali tedeschi.
Nel 1943 veniva concesso e incoraggiato l'aborto alle lavoratrici straniere
coatte impiegate nelle fabbriche tedesche. Il problema dell'aborto veniva
dunque legato alla "razzialita' della donna". Negato alla donna ariana
tedesca tenuta a generare il piu' possibile, autorizzato ed incoraggiato per
le donne "razzialmente inferiori".
Le motivazioni naziste contro l'aborto non erano ne' morali ne' etiche ma
demografiche e razziali. La donna tedesca aveva un potere decisionale
limitato sula propria maternita': i figli non erano il frutto esclusivo
della maternita' ma una "proprieta'" dell'intero popolo tedesco.
Non avere figli o, peggio, abortire significava privare il popolo del suo
futuro. La donna che si opponeva alla propria maternita' di fatto era
"colpevole di tradimento" verso il popolo e lo Stato.
*
"Questione femminile" e demografia
"Quando la donna ha completato i suoi studi come conseguenza dell'eta'
avanzata, della perdita della bellezza e del mancato studio dell'economia
domestica, diviene inadatta al matrimonio. Per la maggior parte delle donne
che lavorano fuori casa si verifica lo stesso fenomeno". Questo assioma
venne espresso dal fondatore dell'"igiene razziale" Fritz Lenz nel 1914. Le
sue parole rappresentarono una pietra miliare cui si ancoro' l'ideologia
nazista della donna.
La "questione femminile" per i nazisti doveva essere inserita all'interno
degli interessi generali dello Stato. Per questo motivo una miscela di
propaganda, strumenti di incentivi finanziari e premi vennero riservati alle
donne che si "uniformavano" al pensiero nazista, mentre leggi sempre piu'
dure venivano ideate per tutte coloro che cercavano - coscientemente o
meno - di mantenere indipendenza di scelte e di stili di vita.
Cosi' le donne nubili superati i 35 anni non vennero piu' considerate come
cittadine con pieno godimento dei diritti civili ma vennero relegate nella
categoria subordinata degli "Staatsgehoringen" insieme con gli ebrei.
Contemporaneamente si indebolirono i diritti del lavoro femminile per cui
sino ai 35 anni la protezione legale rispetto ai licenziamenti immotivati
venne notevolmente indebolita.
A partire dal 1936 venne proibita alle donne la professione di avvocati e di
giudici.
L'accesso all'Universita' per le donne venne drasticamente limitato fissando
una quota massima del 10% sul totale degli iscritti.
I ruoli dirigenziali in ogni professione vennero rigidamente sbarrati alle
donne.
Contemporaneamente vennero stabiliti incentivi per le donne madri di figli
nati da relazioni extraconiugali.
La principale preoccupazione tedesca era dunque eliminare dall'orizzonte
spirituale e materiale della donna qualsiasi cosa potesse mettere in secondo
piano la maternita'. La liberta' femminile entrava in contrasto con la
maternita' e la maternita' era un'arma per non far soccombere la "razza
ariana".
Una martellante propaganda metteva costantemente in luce il pericolo che i
"popoli razzialmente inferiori" mantenessero un livello di crescita
costantemente piu' alto rispetto ai tedeschi. Si sottolineava in modo
ossessivo non soltanto la "quantita'" dei figli ma soprattutto la "qualita'"
delle famiglie.
Lo Stato nazista voleva spingere verso la maternita' la borghesia medio-alta
non solo per avere molti figli ma per averli "qualitativamente" migliori.
Occorreva invertire la tendenza che vedeva le classi piu' disagiate
procreare di piu' rispetto alle classi piu' abbienti.
Cio' che si chiedeva alla donna in termini riproduttivi sarebbe soltanto
grottesco se non fosse il frutto delle menti considerate allora piu' lucide
e credibili. Ancora Fritz Lenz sosteneva che "Si tratta di un fatto che la
donna sia fisicamente in grado di procreare per un periodo medio di 30 anni.
Considerando che la donna puo' generare soltanto una volta ogni due anni
questo significa mettere al mondo 15 figli come minimo. Qualsiasi cifra
inferiore a questa va considerata come la conseguenza di cause non naturali
o patologiche".
La questione era tanto presente ed angosciante per la macchina statale
nazista che sin dall'inizio le grida di allarme si fecero sentire.
Il 28 giugno 1933 il ministro degli Interni Frick dichiaro' che la Germania
stava cadendo vittima della ideologia borghese dei due figli per coppia e
questo era il primo passo verso la catastrofe demografica.
Questi allarmi ripetuti sulla possibilita' di una "scomparsa della razza
tedesca" furono la base non solo per lanciare la politica di incentivi
demografici ma anche per stroncare definitivamente il movimento femminista
tedesco.
Occorre considerare che nel 1933, alla vigilia dell'arrivo al potere dei
nazisti, in Germania esisteva il piu' grande movimento femminista al mondo
con 600.000 donne iscritte in associazioni che coprivano tutte le posizioni
politiche allora espresse. Ovviamente per il nazismo qualsiasi forma di
femminismo, di autocoscienza femminile, rappresentava una minaccia. I
movimenti femministi vennero esplicitamente accusati di essere una delle
cause del calo demografico registratosi in Germania a partire dall'inizio
del Novecento.
La "questione femminile" per i nazisti doveva prevedere l'eliminazione di
ogni movimento femminile non allineato. Nel giro di pochi anni tutte le
strutture associative nate durante la repubblica di Weimar vennero sciolte.
*
Appropriarsi del corpo femminile: la donna come proprieta' dello Stato
Vi e' nel nazismo una sostanziale caratteristica di disumanizzazione della
diversita'.
La "normalita'" nel nazismo e' maschile ed ariana. La donna - in quanto
ritenuta incapace di servire la patria con le armi - e' per definizione in
una posizione di inferiorita' rispetto all'uomo. Una inferiorita' che puo'
essere parzialmente "riscattata" attraverso la procreazione.
In questo senso la donna viene riconosciuta nella sua umanita' ed importanza
soltanto in rapporto alla sua capacita' procreativa. Tuttavia questa
capacita' non le viene riconosciuta come una caratteristica personale.
Il corpo femminile non appartiene alla donna ma allo Stato.
Nel 1939 il professor Wagner, direttore della clinica femminile del
prestigioso ospedale della Charite' di Berlino e direttore della rivista
"Archiv fuer Gynaekologie", dichiaro' che "lo stock nazionale di ovaie
rappresenta una risorsa nazionale dello Stato tedesco" ed invitava lo Stato
a tutelare per legge questo "stock nazionale". La donna, o meglio il suo
corpo visto come elemento riproduttivo, non appartiene a se' stessa ma allo
Stato.
Viene cioe' compiuto il passo piu' estremo di negazione dei diritti
fondamentali: il diritto alla gestione del proprio corpo.
La donna fertile e' un patrimonio statale come le miniere, le fonti, le aree
di pesca.
Il ministro Frick fu il piu' esplicito quando dichiaro' che la soluzione
della questione femminile (die Loesung der Frauenfrage) passava per la
politica demografica.
La donna eliminata dal mondo del lavoro, ridotta a elemento dotato di
dignita' giuridica solo se e in quanto madre di numerosi figli, espropriata
dei suoi diritti elementari sul proprio corpo, cessava di rappresentare una
minaccia sociale per il mondo maschilista nazista.
Questa "soluzione della questione femminile" passava per il raggiungimento
di un obiettivo chiaro ed esplicito: il raggiungimento di tre milioni di
figli in piu'. Un risultato che venne effettivamente raggiunto. Nel 1938
nacquero 1.347.000 bambini e nel 1940 1.645.000.
In questo raggiungimento di risultati - debitamente enfatizzato dalla
macchina propagandistica - veniva sottaciuto un dato che rivela quanto
disprezzo per la donna animasse il nazismo: il tasso di mortalita' femminile
a causa dei parti crebbe del 15% passando da 1,6 decessi ogni 10.000 nascita
a 1,8 nel solo biennio 1933-'35.
La morte di centinaia di donne, la perdita di una parte dello "stock
nazionale di ovaie", rappresentava un prezzo adeguato alla crescita
demografica della nazione.
*
Le contraddizioni naziste: la donna tra la casa e il lavoro
Nonostante la propaganda nazista sul ritorno a casa delle donne fosse
martellante e l'imponente crescita delle nascite aumentasse il peso della
gestione dei nuclei familiari, la percentuale delle donne occupate non solo
non diminui' ma aumento'.
Nel 1938 il 36% delle donne tedesche erano occupate, contro il 26% della
Gran Bretagna ed il 18% degli Stati Uniti.
Al di la' di qualsiasi spinta ideologica esistevano necessita' pratiche:
occorreva manodopera.
Sempre piu' uomini venivano inquadrati nell'esercito e sottratti al mercato
del lavoro, a sostituirli senza che fosse dichiarato esplicitamente vennero
chiamate le donne. Ovviamente i vuoti riempiti dal lavoro femminile erano
posti di lavoro a basso salario e qualsiasi competizione per accedere a
professioni ben remunerate era scoraggiata.
Parallelamente al sempre piu' massiccio utilizzo del lavoro femminile il
nazismo creo', attraverso una serie di strutture organizzative, le premesse
per un indottrinamento ideologico sempre piu' profondo.
*
Le organizzazioni naziste femminili e l'indottrinamento ideologico
La tradizione organizzativa femminile che aveva segnato la Repubblica di
Weimar non poteva essere ignorata dal regime nazista. In altre parole il
nazismo non poteva semplicemente far "ritornare a casa" le donne. Occorreva
organizzare una struttura femminile nazista che fosse in grado di mobilitare
e indottrinare le donne.
Nel 1931 il Partito creava la Nsf, l'organizzazione nazista femminile. La
Nsf raccoglieva tutte le organizzazioni femminili di orientamento nazista
che erano sorte piu' o meno spontaneamente a partire dal 1923. In questa
trasformazione la Nsf veniva legata strettamente al partito e i vertici
femminili sia a livello locale che centrale vennero nominati non attraverso
elezioni interne ma secondo la volonta' del partito. Tuttavia la "gestione"
delle donne divenne un motivo di lotta interna al partito facendo fiorire
altre organizzazioni femminili gestite da questo o quel gerarca nazista.
Nacque cosi' la Bdm (Lega delle Ragazze Tedesche) "protetta" da Baldur von
Schirach, il capo dell'organizzazione giovanile del partito (Hitlerjugend).
Robert Ley, il capo del Fronte del Lavoro Tedesco, nel maggio 1933 creava il
Dff che presto si trasformava in Deutsches Frauenwerk (Dfw).
Le competenze delle diverse organizzazioni non furono mai chiarite. Il
partito si limito' a subordinare le diverse organizzazioni ad un'unica
leader nella persona di Gertrud Scholtz.
Uno degli elementi di piu' forte indottrinamento ideologico era
rappresentato dal cosiddetto "Arbeitsmaiden", il piano delle "Ragazze al
lavoro".
Sin dal 1931 venne varato il Servizio di Lavoro per la Gioventu' Femminile
(Radwl): ogni ragazza doveva trascorrere un periodo di 6 mesi all'interno di
campi agricoli insieme ad altre coetanee e lavorarvi tagliando
obbligatoriamente i contatti con la famiglia per tutto il periodo di lavoro.
Questo periodo di tempo (veementemente osteggiato dai genitori delle
ragazze) mirava a indottrinare attraverso il lavoro le giovani.
Parallelamente al lavoro nei campi le ragazze infatti seguivano corsi di
preparazione ideologica.
Con la guerra questo periodo venne innalzato arrivando nel 1941 a due anni e
mezzo.
*
Fin da bambine. Tentativi di selezione intellettuale
Mentre gli "Arbeitsmaiden" rappresentavano un impegno comune a tutte le
ragazze tedesche il regime si preoccupo' di avviare una selezione per
soggetti particolari. Erano le cosiddette "ragazze particolarmente
pregiate", in altri termini bambine che dimostravano attitudini di
intelligenza particolarmente spiccate.
Dietro suggerimento dell'Obergruppenfuehrer August Heissmeyer vennero creati
tra il 1938 ed il 1939 "scuole speciali nazionalpolitiche" destinate a
queste ragazze.
Queste scuole speciali denominate "Napolas" erano gia' sorte nel 1933 per i
maschi. Si trattava di luoghi nei quali si sarebbero dovute raccogliere e
crescere le ragazze che mostravano "tratti razziali, intellettuali e
caratteriali al di sopra della media". L'idea era di formare l'elite
femminile della nuova Germania.
Tuttavia l'idea incontro fortissime opposizioni all'interno dello stesso
partito: molti gerarchi guardavano con sospetto l'idea di creare delle donne
intellettualmente istruite. Cosi' mentre le Napolas per ragazzi vennero
ampiamente usate dalla propaganda, quelle femminili passarono
sostanzialmente sotto silenzio. Ne vennero edificate soltanto due:
Hubertendorf Tuernitz nel 1938-'39 e Kolmar nel 1941.
Il sostanziale fallimento di questa impresa testimonia ancora una volta
l'incertezza e il timore che un ruolo della donna che andasse al di la'
dello stereotipo della "riproduttrice" suscitava nel regime
nazionalsocialista.

4. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA: MATERNITA' DI STATO
[Da "La rivista del manifesto", n. 46, gennaio 2004. Maria Luisa Boccia e'
nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di
Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso
parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima
importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione
politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione
civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano.
Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e
umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a
motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne,
cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il
posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha
dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore",  "Reti" -
e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre
al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu'
profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta"
dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato
dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo.
E' stata giornalista,  oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle
attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della
direzione del Pci, poi del Pds, ed ha  concluso questa esperienza politica
nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia,
e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato  moltissimi
interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative.
Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista"
n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne
per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto,
Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga,
Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione
artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e
la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi
mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita'
simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista
centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della
liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in
Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La
differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002]

Dopo vent'anni, il Parlamento italiano ha approvato una pessima legge sulla
fecondazione assistita. Una legge-manifesto, che sacrifica l'esigenza
prioritaria della tutela della salute della donna e dei nascituri a
un'ideologia rigida e astratta, intrisa di valori, che vengono affermati
come obblighi: ogni embrione deve essere impiantato e fatto nascere, ogni
"coppia" genetica deve costituire una famiglia giuridica.
Il rispetto di questi obblighi, sanzionati con pene, riguarda solo chi
ricorre alle tecniche - almeno finche' l'aborto e' legale e dal momento che
per il codice le figure giuridiche di padre e madre non coincidono con i
genitori biologici. Basti pensare all'adozione, ma anche alla norma, ben
piu' antica, sulla paternita' presunta. Tutti coloro che sono esclusi dalla
fecondazione assistita, perche' non corrispondono ai requisiti richiesti -
il seme e l'ovulo necessari al concepimento non sono cioe' di una coppia
eterosessuale stabile e benestante, poiche' l'intervento non e' coperto dal
servizio sanitario -, possono divenire legittimamente genitori nel vecchio
modo, con un rapporto sessuale.
Si dice che lo Stato non puo' vietare quello che la natura consente, mentre
deve ricondurre al rispetto di una presunta norma naturale chi vuole avere
figli in modo artificiale, avvalendosi di strutture sanitarie. In questo
caso - solo in questo caso? - la prima responsabilita' verso i nuovi nati e'
dello Stato, e della societa' tutta, proprio perche' ammette un mezzo
artificiale, contro natura, di procreare. Ma e' la legge dello Stato, non la
natura, a riconoscere come padre un gay, come madre una donna singola o una
lesbica in coppia, come genitori un uomo e una donna sposati, che
riconoscono il figlio di lui partorito da un'altra donna (caso prossimo alla
famigerata maternita' surrogata) o concepito da lei con altro uomo (caso
analogo alla vietata inseminazione eterologa).
*
La legge approvata e' un tale groviglio inestricabile da risultare
inapplicabile, oltre che inconcepibile per il buon senso, e in piu' punti
incostituzionale. Pure e' un esito coerente della rappresentazione sulla
fecondazione assistita costruita in questi lunghi anni di inerzia
parlamentare, motivata da un esclusivo intento: enfatizzare l'allarme
sociale, convogliando inquietudini reali sull'immagine di un disordine
dilagante, di eccessi illimitati, perseguiti in modo indistinto da medici e
ricercatori, come da uomini e donne.
Da uno scandalo all'altro, scena dopo scena, e' stato raffigurato il Far
West selvaggio popolato da Frankenstein intenti a fabbricare il vivente, e
da donne determinate ad avere un figlio a tutti i costi. Donne piu' che
uomini, poiche' il desiderio smisurato, come e' noto, e' intrinseco alla
temibile, per gli uomini, onnipotenza materna. Miscelando notizie sulle
effettive tappe della ricerca e sperimentazione - alcune delle quali pongono
senza dubbio questioni serie e delicate - con veri e propri falsi - siamo
pronti alla clonazione umana! - e, soprattutto, evocando fantasmi antichi
quanto l'uomo, per nutrirne l'immaginario sociale di chi vive immerso in un
mondo fantascientifico, si e' creato il contesto necessario a evocare la
Legge come baluardo, ripristino dell'Ordine, fonte esclusiva di Autorita'.
Poco importa se nessuna legge puo' adempiere, ormai, a questo compito. Ne'
di certo lo potra' questa legge che, grazie al suo impianto proibizionista,
avra' come conseguenza la clandestinita', il diffondersi del mercato
illegale, il ricorso al cosiddetto turismo procreativo. E lascera' senza
riferimenti certi medici, ricercatori e cittadini.
Del resto l'esigenza di conoscere, controllare e orientare le attivita' dei
centri e' stata volutamente disattesa fin dall'inizio. Gia' nel lontano 1985
una circolare ministeriale vietava pressoche' tutto negli ospedali pubblici,
per non compromettere lo Stato con pratiche eticamente illecite e, per lo
stesso motivo, lasciava il privato senza regole, pur di non legittimare i
centri che le adottavano. Perfino l'Ordine dei medici, invece di fornire
regole deontologiche ai suoi iscritti, si preoccupava nel '95 di definire
l'idoneita' dei pazienti a richiedere l'intervento. Dunque se ci sono stati
eccessi, forme di commercializzazione, sperimentazioni azzardate, rischi per
la salute, usi discutibili di materiale genetico, la prima responsabilita'
e' politica e ricade sulle spalle di chi oggi plaude alla fine del Far West:
in primo luogo del composito schieramento cattolico, ma non solo. Intendo di
tutti e tutte coloro che ritengono l'approvazione di questa legge una scelta
secondo coscienza, coerente con il rispetto di valori etici indisponibili.
*
Alcuni/e favorevoli alla legge ammettono che non e' perfetta, ma obiettano
che dal fronte opposto si intende affermare una liberta' illimitata, sia sul
versante della scienza e delle sue applicazioni, sia sul "diritto" a
procreare se, quando e come si vuole. Insomma il solo limite valido e' il
divieto imposto con la forza della sanzione, poiche' liberta' equivale a
liceita' senza misura e regola.
Per comprendere a fondo il ritorno di questa contrapposizione, in se'
statica e inevitabilmente destinata a rendere insanabile il conflitto etico
e politico sulla regola sociale, occorrerebbe risalire alle sue origini,
alla concezione moderna dell'individuo e dello Stato. Non mi e' ovviamente
possibile farlo qui, ma davvero e' difficile prendere sul serio, come
andrebbe fatto, il richiamo alle sfide epocali, alla frontiera di civilta'
cui siamo pervenuti con le tecnologie, in particolare nel campo biogenetico,
se poi non si e' disposti a riconsiderare criticamente, come anche e'
necessario fare, quali presupposti siano davvero in questione, quanto siano
difendibili, e soprattutto se offrono criteri convincenti per misurarsi con
quelle sfide.
Non e' neppure possibile dare conto, sia pure sommariamente, delle letture
che confutano la secca alternativa tra liberta' e divieto, e mostrano come
l'ordine sociale non sia effetto esclusivo della sovranita' della legge, ma
di una trama di istituzioni, di discorsi, di luoghi, di forme, attraverso i
quali il potere arriva fino ai comportamenti piu' minuti e piu' individuali,
raggiunge le forme appena percettibili del desiderio, penetra e controlla il
piacere individuale, in breve determina verita' e menzogna rispetto a chi e'
ognuno/a, a cosa e' questo o quell'oggetto, fatto, esperienza. E' proprio
dallo studio del sesso - sessualita' e procreazione - che Michel Foucault ha
tratto una teoria politica radicalmente critica sul binomio, dominante in
epoca moderna, tra legge e liberta', tra potere politico che emana la prima
e individuo che afferma l'autodeterminazione.
Sebbene quest'impostazione abbia prevalso nel discorso pubblico sulla
fecondazione assistita, le prospettive davvero inedite che le tecnologie
aprono restano in essa del tutto opache.
*
Una delle conseguenze piu' gravi - francamente scoraggiante - del corto
circuito tra spettacolorita' mediatica e appelli etici alla legge e' quella
di aver sottratto alla sfera pubblica l'opportunita' di comprendere quali
siano i mutamenti in atto, che risultano in grado di incidere sul futuro,
per profondita' e durata, e quale rivoluzione del pensiero richiederebbe
affrontarli. Perche', se e' certo che il processo iniziato non sara'
arrestato da una legge tanto ipocrita quanto retorica, essa contribuisce a
distogliere l'attenzione dagli aspetti piu' problematici, alimentando
l'illusione che il nuovo modo di procreare sia stato ricondotto entro i
rassicuranti argini della terapia di coppie sterili. Non ci sara' nessuna
rottura epocale del sistema di relazioni familiari, con un moltiplicarsi
vorticoso di padri e madri. Anzi, grazie alla scienza vi sara' certezza per
tutti e tutte dell'identita' biologica; anzi verra' in primo piano perfino
l'evidenza dell'"essere persona", fin dal concepimento. E al bisogno di
tutti i bambini e le bambine del mondo di avere la vera mamma e il vero
papa' a fianco, almeno per quelli nati grazie alle tecniche lo Stato offre
assoluta garanzia. Non sto ironizzando, ma riassumendo seri ragionamenti,
fatti piu' volte in questi anni da intellettuali ed esperti di bioetica.
Purtroppo l'argine non tiene, perche' le tecnologie tendono a ridefinire la
normalita' della procreazione, sul piano simbolico prima ancora che nelle
pratiche. Se queste ultime per ora rispondono a una domanda sociale
circoscritta, anche se in espansione, prevalentemente costituita da coppie
sterili, la rivoluzione simbolica, gia' avvenuta, accomuna tutte le
tecniche, dalle piu' semplici alle piu' sofisticate, nella possibilita' del
concepimento senza rapporto sessuale: tecnicamente senza coito, per
l'immaginario e il simbolico senza contatto tra i corpi. Senza attivare
cioe' quello scambio tra sostanze biochimiche e significati, tra fantasie e
volonta' che, per dirlo con la psicoanalista Marie Magdalene Chatel "negli
esseri parlanti... realizza una precipitazione (in senso chimico)
dell'incrociarsi di desideri inconsci", per cui ogni gravidanza e' "in
qualche modo un incidente" (1).
Una volta spezzata la continuita' tra rapporto sessuale e concepimento
fisico siamo entrati in quello che Jacques Testart chiama "il tempo morale
della dissociazione: ti amo e ti do' un figlio senza carezze ne' contatto,
ti desidero e faccio un figlio con te senza amarti. Fino a oggi solo questa
seconda ipotesi era possibile" (2). Se vogliamo parlare di artificialita',
questa consiste nell'assenza di rapporto sessuale tra donna ed uomo. E'
questo a scompaginare il rapporto tra natura e cultura, costruito da secoli,
e non gia' la possibilita' che la coppia procreativa non corrisponda piu' a
quella giuridica dei genitori.
La dissociazione tra sessualita' e procreazione, se per un verso rende
possibile il ricorso a piu' soggetti, dando luogo alla scomposizione e
moltiplicazione di padri e madri, per altro verso accomuna questo scenario a
quello piu' accettato dell'inseminazione omologa nella coppia legittima.
Perche' mai la tecnica di inseminazione dovrebbe essere diversamente
regolata a seconda di chi vi ricorre? L'intervento non prevede neppure
l'indispensabile partecipazione del medico. Dove consiste, allora,
l'artificialita'? Nella distinzione, come si fa intendere, tra "omologa" ed
"eterologa"? In cosa, la possibilita' che una donna porti in se' il frutto
di un seme diverso da quello del marito, costituisce un artificio? E' qui la
frattura creatasi rispetto al modo normale di concepire, al modello sociale
di filiazione? O non e' piuttosto la messa fuori scena della sessualita' che
contraddistingue, sia pure con diversa intensita', l'inseminazione come la
fecondazione in vitro (Fivet), omologa o eterologa?
*
Se nelle pratiche sessuali sono i corpi che parlano, a volte assecondando,
altre smentendo le scelte consapevoli, i desideri elaborati, anche nelle
nuove pratiche non e' solo il saper fare strumentale a decidere dei
risultati. Non basta sostituire materiale efficiente per porre riparo. Si
attivano fantasie sessuali insieme all'immaginario sulle tecnologie. Donne e
uomini che vi ricorrono comunicano tra loro e con i medici in una lingua che
miscela biologico, immaginario e simbolico, creando legami diversi da quelli
tra domanda e prestazione. Si puo' ipotizzare che "concepire senza contatto"
incida profondamente sul desiderio: posso avere un figlio mio, senza patire
del legame con l'altro. La fantasia narcisistica e' stigmatizzata per
stilare la lista degli anormali, ma e' presumibilmente attiva anche nei
normali.
Nell'ottica impersonale della tecnica il sesso e' un mezzo che puo'
funzionare piu' o meno bene, si tratta di perfezionarlo o sostituirlo. Per
farlo, le tecnologie per un verso mimano il processo "naturale", e per un
altro lo modificano piu' o meno massicciamente. Come gia' sapeva Francis
Bacon, per dominare la natura occorre conoscerla ed obbedire alle sue leggi.
Per ottenere un concepimento il medico deve trattare "organi senza corpi"
(3), scomponendo la procreazione in funzioni e sostanze, diversamente
rilevanti per le distinte fasi del processo, con relativi problemi di
disponibilita' e uso. Questo punto di vista, necessario per intervenire, si
riproduce nella rappresentazione sociale e nella percezione soggettiva di
chi vive nel corpo questa riduzione ad organi: la donna. Se generare e' un
problema di organi da combinare, riproducendo la sequenza delle loro
funzioni, anche in modi distinti, e ottenendoli da corpi diversi, si
rafforza l'idea che tutti i soggetti abbiano uguale diritto e possibilita'
di farlo, utilizzando materiale biologico proprio o altrui. Da qui il
discorso sul riconoscimento di questo diritto, garantendo a tutti e tutte
uguali opportunita' di accesso alle tecniche. Ho gia' detto che considero
bizzarro, oltre che costituzionalmente discutibile, vietare per queste
ultime quello che non si puo' non ritenere legittimo per il sesso. E
tuttavia questo diritto individuale e uguale poggia sulla finzione che sia
definitivamente azzerata la differenza tra donna ed uomo, proprio sul nodo
cruciale della procreazione.
*
Ma le tecniche non possono sostituire il corpo femminile, tuttora
indispensabile nella gravidanza. Ne' l'utero e' un organo disponibile
all'uso, separato dal corpo, dunque dalla donna. Equipararlo agli altri
organi riproduttivi, come avviene di frequente, tradisce l'assurdita' di
questa distinzione tra i corpi, la disponibilita' di parti e funzioni e le
libere volonta' soggettive che si accordano attorno a questo uso. Equiparare
seme, ovocita e utero riduce la gravidanza a un transito come un altro verso
la nascita. L'embrione ottenuto dalla provetta passa al grembo senza che
questo venga ritenuto l'evento decisivo per la sua vita, per il suo esserci
nel mondo. Concepimento, gravidanza, parto diventano stadi diversi di un
unico processo: momenti di una stessa vita racchiusa nella biologia.
Non va sottovalutata la forte discontinuita' che l'extracorporeita'
rappresenta. Poiche' l'essenziale e' avvenuto fuori di lei (senza lei?), per
la donna gestante si tratta di completare l'opera. Ma, finche'
l'extracorporeita' dovra' arrestarsi alla soglia della gestazione, i figli
della scienza continueranno a essere "nati da donna". Alla gestazione
corporea resta quindi connessa la differenza tra divenire madre e divenire
padre.
Tuttora il Codice civile riconosce come madre colei che partorisce. Un
riconoscimento che diviene problematico dal momento che non vi e' piu'
coincidenza tra "madre" genetica e "madre" gestante. Ed e' questa l'altra
novita' sconvolgente prodotta dalla fecondazione in provetta. Per la prima
volta due donne possono contribuire alla nascita di un nuovo essere umano,
senza che vi sia relazione con un uomo, dell'una o dell'altra; e'
sufficiente la disponibilita' di seme congelato. Ovviamente le due donne
devono ricorrere all'imprescindibile mediazione del medico, e alla complessa
struttura che egli ha alle spalle. Viceversa per un uomo non e' sufficiente
procurarsi un ovulo, o un embrione, deve esserci una donna che acconsenta al
suo reimpianto e a partorire il figlio di lui. Lungi dall'avvicinare la
prospettiva di una parita' biologica e giuridica tra i due sessi, le
tecnologie riattivano, come ho gia' detto, tutti i fantasmi sull'onnipotenza
materna. Non e' difficile ricondurre a questo la difesa del modello di
famiglia tradizionale. Nella famiglia eterosessuale, anche nella versione
aggiornata della parita' di diritti, l'uomo resta la figura centrale;
attribuendo alla coppia la normalita' della scelta procreativa, il suo
diritto continua a essere privilegiato rispetto al differente potere di
generare di donne ed uomini.
*
Finche' si nasce da donna, anche la tutela dei non-nati non puo'
prescinderne. Non vi e' diritto che possa essere fatto valere in nome del
concepito, che non si traduca per la donna in un dovere giuridico di portare
a termine la gravidanza. La legge italiana, da poco approvata, prevede
l'obbligatorieta' dell'impianto dei tre embrioni ottenuti. Essendo vietata
la "revoca del consenso", la donna non ha scelta, anche se la situazione e'
mutata o, semplicemente, valuta diversamente le conseguenze al momento di
decidere l'impianto. E' davvero mostruoso ipotizzare di costringerla, contro
la sua volonta'. Ed e' contro il buon senso affermare che il riconoscimento
del diritto a nascere non mette in questione l'aborto. La conclusione
coerente di quel diritto e' di vietare, senza eccezione alcuna, ogni sua
violazione. Perfino se si dovesse scegliere tra le due vite, questo
paradossale "diritto dell'embrione" - patrocinato dalla legge - andrebbe
privilegiato sul diritto della donna, se e' compito dello Stato proteggere i
piu' deboli. Evocata dal concepimento fuori del corpo materno,
l'indipendenza acquisita dal concepito consente alla societa' e allo Stato
di controllare in forme odiose il corpo femminile.
All'idea che l'embrione sia autonomo fin dal concepimento le tecnologie
offrono una parvenza realistica, eternizzando la sua fantasmatica presenza.
Si discute se l'embrione e' o no persona senza fare distinzione tra grembo
materno e provetta, come se fosse trascurabile se a fare il vivente sia il
corpo o lo strumento. E come se tra embrione in vivo e in vitro la
condizione fosse la stessa, e dunque si dovessero adottare gli stessi
principi per decidere cosa e' lecito o no fare. Ma la personificazione trae
forza simbolica dall'immagine di un essere vivente, piu' difficile da
riconoscere in un insieme di cellule congelate, dunque la vita deve essere
presa in carico, assistita, difesa, nel luogo concreto del suo farsi, il
corpo femminile. La presunta indipendenza dall'embrione in vitro serve a
giustificarlo.
Ma la nozione di persona giuridica e' inapplicabile alla relazione primaria,
di dipendenza corporea e non solo, con la donna. In quanto soggetti di
diritti, embrione e donna o sono considerati autonomi l'uno dall'altra, come
se fossero separati, anche e prima di tutto nell'integrita' dei corpi;
oppure l'embrione e' parte inscindibile del suo corpo, della quale lei
disporrebbe come di altre. In entrambi i casi si nega la realta' sui generis
della relazione grazie alla quale la vita prende forma in un essere
distinto, pronto a separarsi dalla madre. Sottratto all'essere generato da
madre, il non-nato appartiene tutto e subito allo Stato che fa della sua
vita, fin dall'inizio, una materia sua. Catturato dal biologismo proprio
delle tecnologie, il diritto presume di fondarsi sulla verita' biologica,
versione aggiornata, quanto dogmatica, del giusnaturalismo. Ma, una volta
ridotta la nascita a una modo tecnico di venire al mondo, concentrato il
senso dell'essere umano nell'identita' genetica, davvero non c'e' modo di
porre un limite all'intervento invasivo, politico e tecnologico, sul
vivente.
Per concludere, la procreazione assistita mostra in tutta evidenza che le
relazioni procreative sono tuttora centrate sulla figura femminile.
Rispettare la volonta' della donna "di procreare e costituire la forma di
famiglia che meglio crede, liberamente e responsabilmente", "eliminare
qualunque limite che ponga impedimenti alla sua volonta'", favorire
"un'etica civile non priva di componenti pragmatiche": sono questi i criteri
ai quali si e' ispirato il legislatore in Spagna. Una buona premessa per
provare a governare questo passaggio epocale.
*
Note
1. Marie Magdeleine Chatel, Il disagio della procreazione, Il Saggiatore,
Milano 1995.
2. Jacques Testart, L'uovo trasparente, Bompiani, Milano 1988.
3. Rosi Braidotti, Soggetti nomadi, Donzelli, Roma 1995.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 908 del 23 aprile 2005

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