La nonviolenza e' in cammino. 875



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 875 del 21 marzo 2005

Sommario di questo numero:
1. Raniero La Valle: L'obiettivo
2. Alfredo Galasso: La verita' storica e la verita' giudiziaria
3. Mohandas K. Gandhi: Sarvodaya. Un'economia a servizio degli ultimi
(1908). Parte seconda e conclusiva
4. Alejandra Pizarnik: Segni
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: L'OBIETTIVO
[Ringraziamo Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscalinet.it)
per averci messo a disposizione questo suo articolo pubblicato sul
quotidiano "Liberazione" il 20 marzo 2005. Raniero La Valle e' nato a Roma
nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de
"L'avvenire d'Italia", direttore di Vasti - scuola di critica delle
antropologie, presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia'
parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace;
autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori
dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi
fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della
liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987;
Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003]

Mancato l'obiettivo che era stato fissato per l'8 marzo il Senato votera' la
nuova Costituzione mercoledi' prossimo, che una volta si chiamava mercoledi'
santo. Cio' facendo il Senato votera' non solo contro l'ordinamento della
Repubblica, per dare vita a un nuovo regime, ma votera' anche contro se
stesso; infatti nel nuovo sistema il Senato non avra' piu' alcuna funzione
politica di controllo del governo del Paese, e perdera' anche il suo ruolo
nella formazione delle leggi, tranne di quelle che, attraverso un complicato
gioco di competenze, gli verrebbero ancora date in esame in quanto
interessanti le regioni. Il Senato pertanto, benche' col nuovo nome
pretenzioso di "Senato federale", diverrebbe una "Camera muerta", come ha
detto il sen. D'Amico della Margherita, alludendo al nome irriverente con
cui e' chiamata la seconda Camera spagnola.
Forse e' per questa riluttanza al suicidio che i senatori hanno fatto
mancare piu' volte il  numero legale, provocando l'ira di Calderoli e
facendo scattare l'ennesimo ricatto della Lega, che vuole a tutti i costi la
riforma prima delle elezioni regionali, e percio' prima di Pasqua. Se dunque
anche questa volta il ricatto funzionera' ("bastano cinque ore e mezzo di
lavoro", ha detto Berlusconi), la nuova Costituzione completera' tra poche
ore la sua prima lettura parlamentare, quella nella quale le storture piu'
vistose della riforma potevano ancora essere corrette. Dopo il voto del
Senato, o la nuova Costituzione, con la sua seconda parte interamente
rifatta, arrivera' fino in fondo in questa forma, o non ci arrivera'
affatto. Ma quando questo avverra' dipende esclusivamente dai calcoli
elettorali del presidente del Consiglio (si chiama ancora cosi') che
decidera' se accorciare o allungare i tempi della seconda lettura
parlamentare, da tre mesi ad un anno, unicamente in base a quelle che
ritiene le sue convenienze, come del resto accade per tutto il resto, truppe
in Iraq, tasse, ponte sullo Stretto ecc., che andranno avanti o indietro a
seconda dei sondaggi e dei supposti vantaggi elettorali per il cavaliere.
Cosi' anche la Costituzione della Repubblica e' pronta ad essere scambiata
per un piatto di lenticchie; se sara' elettoralmente conveniente, il trofeo
sara' consegnato a Bossi prima dell'estate, cosi' che il referendum
costituzionale si svolgerebbe prima delle elezioni politiche del 2006;
altrimenti i tempi della seconda lettura saranno ritardati, e la Lega
continuera' a minacciare sfracelli.
Questo gioco sui tempi, che agita le acque della maggioranza di governo, e'
molto significativo, perche' vuol dire che l'illusione della destra di un
cambio di regime indolore, fatto senza che la gente se ne accorga, senza
rischiare l'impopolarita', sta tramontando. La tattica dell'occultamento,
del silenzio, della dissimulazione del sovvertimento della Repubblica dietro
la maschera della "devolution" e del federalismo, ha funzionato per mesi,
per anni, grazie anche alla complicita', o alla trascuratezza, o alla
incredulita' dei giornali, della tv, e della stessa sinistra; ma basta che
il velo si squarci, che la vera natura della riforma si venga a sapere,
perche' l'opinione pubblica si allarmi, chieda di essere informata, si
accorga di avere nella Costituzione un bene che sta per perdere e si prepari
a combattere nel referendum, come possono attestare tutti quelli che in
questi giorni girano l'Italia per difendere la Costituzione, a cominciare
dal presidente Scalfaro, gratificato dal piu' totale silenzio-stampa. E
mentre la gente si sveglia, l'operazione coperta, clandestina, intrapresa
dalla destra si rivela perdente e indifendibile.
Una clamorosa conferma di cio' si e' avuta nelle reazioni furenti che si
sono scatenate contro Prodi quando infine ha denunciato questo "assalto alle
istituzioni" proprio perche' "nessuno possa dire domani che non sapeva, che
non vedeva, che non capiva". La virulenza delle contumelie rovesciate su
Prodi, l'irrisione, la caricatura, la volonta' di screditarlo e
delegittimarlo, senza in nessun modo entrare nel merito della sua critica,
da Berlusconi a Fini a Schifani, sono state cosi' esacerbate e adirate da
mostrare che non ce l'avevano con quello che Prodi aveva detto, ma col fatto
che l'avesse detto, cioe' che avesse rotto l'omerta', la finzione,
l'inganno, e avesse detto: il re e' nudo.
Dunque e' essenziale che si faccia chiarezza su quello che e' il vero
obiettivo della riforma: questo obiettivo e' la Repubblica. Si e' creduto o
si e' fatto finta di credere che la Lega avesse rinunziato al suo proposito
di scardinare lo Stato, passando dal programma secessionista ai piu' miti
consigli del federalismo. Ma il 12 marzo scorso Bossi ha detto al "Corriere
della Sera": "La devoluzione e' la leva per scardinare il sistema. Fatto il
federalismo politico, sara' difficile tornare indietro. Quando la gente
potra' decidere i programmi, reclamera' i soldi per realizzarli". Il fisco
come tessuto connettivo dello Stato moderno; distrutto il fisco, e'
distrutto lo Stato. E nella manifestazione leghista di Verona contro il
giudice Papalia, una lapide in marmo celebrava insieme la morte metaforica
del procuratore-capo Guido Papalia, "con la morte della Repubblica
italiana".
Berlusconi invece non vuole dividere la Repubblica, ma unificarla sotto il
proprio potere sovrano. Tale e' la riforma che, proprio come ha detto Prodi,
esautora il Presidente della Repubblica, umilia le Camere, limita il ruolo
delle istituzioni di garanzia, espropria le opposizioni (perfino del voto in
Parlamento), instaura la dittatura del primo ministro, e insomma trasforma
la Repubblica parlamentare e rappresentativa nel feudo inalienabile di un
monarca, benche' ancora formalmente elettivo. Sicche' non sara' nemmeno
proponibile il paragone tra la nuova Costituzione e quella del '47 oggi
vigente; il vero confronto dovra' farsi per analogia col precedente della
legge 24 dicembre 1925 in cui venne istituito "il governo del re" esercitato
dal "capo del governo, primo ministro, segretario di Stato", che sanciva la
subordinazione del Parlamento al potere esecutivo, sicche' il capo del
governo, primo ministro e segretario di Stato (e Mussolini aggiunse di suo:
duce del fascismo), poteva far di nuovo votare e approvare senza discussione
una proposta di legge rigettata da una Camera; fu quello l'inizio del
regime.
Quando Brecht si chiedeva nel suo dramma come era potuta avvenire "la
resistibile ascesa di Arturo Ui", ecco, era avvenuta cosi'.
E a chi non vuol sentir parlare di regime, basti dire che secondo la nuova
Costituzione i poteri del primo ministro non incontrerebbero limiti
istituzionali; e cio' e' tanto vero che un difensore della riforma, il
senatore di Forza Italia Vizzini, intervenendo al Senato ha esortato a non
preoccuparsi per la "deriva bonapartista", perche' in ogni caso a frenare
"il potere governante" interverrebbero "altri fattori di natura
extraistituzionale, quale ad esempio la cultura politica dominante nel
Paese". Questo e' dunque l'avversario nei cui confronti vuole affermarsi il
nuovo potere, questo e' l'antagonista contro cui la riforma e' fatta: "la
cultura politica dominante", cioe' la cultura democratica del Paese.
E in effetti e' proprio questa che deve salvare la Repubblica. Anche
ricordando che c'e' uno specifico divieto costituzionale che rende
radicalmente illegittima la riforma in corso d'opera: e' l'art. 139 della
Costituzione, l'ultimo, il quale stabilisce che "la forma repubblicana non
puo' essere oggetto di revisione costituzionale". Cio' non riguardava i
Savoia, a cui pensava un'altra norma, transitoria e finale, della
Costituzione. Riguardava la forma repubblicana, cioe' parlamentare e
rappresentativa dello Stato, che e' appunto quella che la riforma
demolitrice, il cui obiettivo e' la Repubblica, verrebbe a travolgere.

2. RIFLESSIONE. ALFREDO GALASSO: LA VERITA' STORICA E LA VERITA' GIUDIZIARIA
[Ringraziamo Alfredo Galasso (per contatti:
galassoeassociati at studiolegalegalasso.it) per averci messo a disposizione
questo suo saggio, presentato come relazione al seminario di studi su
"Diritto di critica e liberta' di ricerca" svoltosi a Palermo nel dicembre
2003. Alfredo Galasso, nato a Palermo nel 1940, avvocato, docente
universitario, parlamentare, dal 1981 al 1986 membro del Consiglio Superiore
della Magistratura, rappresenta e difende i familiari delle vittime in
diversi processi, come il maxiprocesso contro la mafia, il processo per la
strage di Ustica, quello per l'incendio del Moby Prince; e' tra le figure di
riferimento della lotta contro la mafia, per la legalita' e la democrazia.
Opere di Alfredo Galasso: La mafia non esiste, Pironti, Napoli 1988; Trenta
anni di mafia, L'altritalia, Roma 1992; La mafia politica, Baldini &
Castoldi, Milano 1993]

Proprio perche' collegato ad un'autorita' difficilmente riconoscibile, il
giurista medioevale ha insegnato da tempo a noi giuristi positivi
un'espressione che posso riprodurre: "narra mihi factum, dabo tibi ius". Il
nostro compito e' quello di accertare un fatto, un comportamento, e di
stabilire qual'e' e se c'e' una regola da applicare, senza alcuna pretesa di
verita' assoluta.
Dunque "verita' giudiziaria e verita' storica" sono in qualche modo una
sorta di provocazione per dire qualche cosa che nasce da un'esperienza in
larga misura autobiografica, che vorrei portare come testimonianza.
Nasce anche da una indignazione, che voglio qui premettere, come sentimento
che mi ha mosso in questa direzione. L'indignazione consiste nel fatto che
non una verita' giudiziaria, ma il dispositivo assolutorio di una sentenza
ha consentito di propagandare, complici tenutari di mass media, una sorta di
revisione di una parte di storia di questo paese; di cancellare le malefatte
di un sistema politico che ha dominato a lungo in Italia e particolarmente
nella nostra terra; di imputare al presidente della Commissione Antimafia,
della quale io facevo parte all'epoca, la responsabilita' di avere
addirittura promosso indebitamente un'azione giudiziaria, piuttosto che
ricordare, come si sarebbe dovuto in quella circostanza, quali erano i fatti
accertati nella Commissione parlamentare Antimafia, quali erano le
responsabilita' politiche che ne erano derivate, e quale era la ragione per
la quale la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica non hanno mai
messo all'ordine del giorno una relazione approvata all'unanimita' dalla
Commissione parlamentare Antimafia. L'indignazione verso questa
mistificazione della vicenda, fatta attraverso un uso strumentale, ripeto,
non di una sentenza, non di una istruttoria, ma di un dispositivo
assolutorio, mi ha portato a ritenere che cio' che si e' detto nella
presentazione di questo seminario, e cioe' che l'accertamento della verita'
nelle assemblee politiche, per un verso, e nei tribunali, per un altro,
risponde a tecniche o finalita' che sono diverse da quelle della ricerca,
finisce con l'essere un'affermazione assolutamente condivisibile ma molto
lontana dall'esperienza politica e anche giornalistica di questi mesi e di
queste settimane.
*
Ma qual e' la ragione per la quale cio' si e' determinato?
Vorrei, innanzitutto, citare la pagina introduttiva di una sentenza del
Tribunale di Palermo, firmata dal Consigliere Istruttore dott. Antonino
Caponnetto nell'ordinanza sentenza nel procedimento penale contro Abbate
Giovanni piu' 706, che e' stata depositata l'8 novembre del 1985. In questa
premessa c'e' scritto: "All'istruttoria che qui si conclude hanno preso
parte, per delega, i giudici istruttori Giovanni Falcone, Paolo Borsellino,
Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello Finuoli, i quali hanno preparato il
materiale per la redazione del documento finale. Ad essi va dato atto della
dedizione, dello scrupolo, della professionalita' fuori del comune con cui
hanno operato in condizioni difficili e in una istruttoria eccezionalmente
complessa e laboriosa. Riteniamo inoltre doveroso ricordare che
l'istruttoria venne iniziata oltre tre anni fa dal Consigliere istruttore
Rocco Chinnici, che in essa profuse tutto il suo impegno civile a prezzo
della sua stessa vita".
Dunque la questione, secondo me, ha come punto di partenza il fatto che una
istruttoria, cioe' una serie di accertamenti giudiziari estremamente
complessi e laboriosi, arriva all'accertamento di alcuni fatti, che vengono
presentati al giudice perche' il giudice applichi la regola che ritiene
necessario applicare, e che riguardano appunto fenomeni estremamente
complessi e laboriosi da accertare.
Non era mai accaduto che un'istruttoria cosi' complessa riguardasse
l'attivita', per decenni, di una organizzazione criminale radicata nel
nostro paese, come era Cosa Nostra. Non era accaduto, e quando cio' era
accaduto in un'altra sede di accertamento dei fatti, che era la prima
Commissione parlamentare antimafia, i risultati o meglio le responsabilita'
di ordine politico, come accadde molti anni dopo con la Commissione
presieduta da Violante, non hanno mai trovato spazio di verifica nella sede
propria che era la sede politico-parlamentare.
Dunque l'accertamento di questi fatti metteva in crisi, per la prima volta,
un sistema di impunita' diffusa, e quando parlo di impunita' mi riferisco
non all'impunita' sul versante giudiziario ma l'impunita' sul versante
politico, sul versante professionale e anche sul versante morale. L'azione
di chi, facendo appunto con scrupolo professionale il proprio mestiere,
accertava fatti, mettendo a disposizione pubblicamente, come avviene nel
processo, le risultanze di questi fatti, senza avere la pretesa che da cio'
dovesse nascere l'accertamento di una verita' assoluta e tantomeno una sorta
di condanna precostituita, era quindi vista come la rottura di un meccanismo
d'impunita' che fino a quel momento aveva largamente dominato. In altri
termini, l'accertamento della "verita' giudiziaria" metteva in crisi il
grave difetto esistente nell'intero circuito democratico delle
responsabilita', perche' chiamava in causa, rispetto a quei fatti in quel
modo accertati, la responsabilita' politica, la responsabilita'
professionale e la responsabilita' morale.
E' dunque la materia trattata in alcune istruttorie che ha dato alla
magistratura e all'accertamento giudiziario la qualita' di fonte, anche dal
punto di vista storico. Ma, ovviamente, era una fonte strettamente regolata
dalla funzione da svolgere. E' evidente che quando un teste racconta un
fatto che conosce, il magistrato, inquirente o giudicante che sia, deve
arrestarsi di fronte a questo; ma se un teste racconta, invece, una sua
motivatissima opinione, una deduzione che nasce dalla sua esperienza, cio'
viene affidato alla valutazione dello storico, del politico, ma non
certamente del giudice. Tuttavia, se il circuito della responsabilita' tende
ad esaurirsi, a prosciugarsi nell'ambito della responsabilita' penale, che
e' giustamente caratterizzato da un livello elevato di garanzie, e' del
tutto ovvio che si cerchera' di far tacere la voce degli unici soggetti che,
in qualche modo, svolgono dentro queste regole la funzione di ricerca della
verita' e di fonte di dati, di documenti, di fatti. Ecco perche' bisognava
far si' che questi personaggi venissero via via smitizzati, quando si
poteva, o apertamente contrastati, e non solo sul versante giudiziario, ma
anche su quello politico e giornalistico, sul versante dell'opinione
pubblica, affinche' queste responsabilita' non emergessero.
*
Mi limitero' a fare due esempi, ricordando una pagina nota ed una pagina
inedita, quasi aneddotica, tratte dall'esperienza fatta in questi anni.
La pagina nota e' quella della sentenza ordinanza, gia' citata, firmata da
Antonino Caponnetto, dove viene riportato un documento, il diario del
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con una premessa nella quale si spiega
che, in realta', Carlo Alberto Dalla Chiesa era stato catapultato in terra
di Sicilia nelle condizioni meno idonee per apparire l'espressione di una
effettiva e corale volonta' statale di porre fine al fenomeno mafioso.
Si potra' dire che questa e' una valutazione di ordine sociale, di ordine
politico, di ordine culturale, ma e' ampiamente documentata, e comunque la
condivisione di questo giudizio e' affidata, in un documento pubblico come
la sentenza ordinanza, non ad una autorita' ma alla capacita' di
comprensione e di valutazione di chi legge. Nel diario di Dalla Chiesa del 6
aprile si legge: "nella giornata di venerdi' e fino ad ora tarda si sono
succedute telefonate di rallegramenti e auguri, insomma tantissimi, poi ieri
anche l'Onorevole Andreotti mi ha chiesto di andare, e naturalmente date le
sue presenze elettorali in Sicilia, che mi sembra siano indubitabili, in
quell'epoca specialmente, si e' manifestato per via indiretta interessato al
problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato pero' la certezza che non
avro' riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi
grandi elettori. Sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno, anche
se mi ha voluto ricordare il suo lontano intervento per chiarire la
posizione di Messeri a Partinico, lo ha condotto e lo conduce a errori di
valutazione di uomini e di circostanze. Il solo fatto di raccontarmi che
intorno al fatto Sindona un certo Inzerillo, morto in America, e' giunto in
Italia in una bara con un biglietto da dieci dollari in bocca, depone nel
senso...".
Questa vicenda ci dice che lo stesso generale Dalla Chiesa, probabilmente,
non credeva a quel tipo di integrata relazione del senatore Giulio Andreotti
con gli ambienti della mafia siciliana, successivamente delineato non nella
sentenza, ma nella istruttoria non contraddetta del processo di Palermo e
del processo di Perugia. Tuttavia, il fatto che il senatore Andreotti abbia
negato di aver mai detto queste cose al generale Dalla Chiesa - che le ha
scritte in un diario, tra l'altro dedicato alla moglie morta, che
rappresenta quindi il massimo dell'intimita' e che non e' stato certamente
scritto nella previsione che potesse essere presentato in un Tribunale - e'
negli atti giudiziari. Cosi' come la serie infinita di menzogne che, nel
corso delle istruttorie di Palermo e di Perugia, il senatore Andreotti ha
inanellato l'una dopo l'altra, tra cui forse quella piu' eclatante riguarda
la mancata conoscenza dei cugini Salvo, che non poteva non conoscere. E'
assolutamente incredibile che Ignazio Salvo, uno degli uomini economicamente
e politicamente piu' potenti della Sicilia, lo ricevesse nel suo albergo,
tenendosi venticinque passi indietro perche' non voleva essere presentato al
senatore Andreotti, salvo ad avere poi scritto nell'agenda il suo numero di
telefono col nome Giulio. Tutto cio' non e' stato smentito neanche dalle
recente sentenza delle sezioni unite della Cassazione, che riaccredita il
percorso di ricostruzione dell'accertamento dei fatti e anche le
conseguenze, in termini di insufficienza di prova per la condanna per il
mandato omicidiario nei confronti di Pecorelli, rispetto alla sentenza di
appello e alla sentenza di primo grado del processo di Perugia. Qui non
parlo della sentenza di secondo grado di Palermo, perche' finche' una
sentenza non diventa definitiva non e' bene parlarne [Nel frattempo la
sentenza e' divenuta definitiva col pronunciamento della Coprte di
Cassazione che ha confermato als entenza d'appello; per un breve commento ed
ulteriori indicazioni cfr. l'editoriale nel n. 870 di questo foglio - ndr-],
ma la sentenza della Cassazione ha messo il sigillo su una ricostruzione dei
fatti che e' stata operata in primo grado dalla Corte di Assise di Perugia.
Il brano citato non ha rilievo dal punto di vista delle regole del processo,
probatoriamente e' irrilevante, e' un elemento di contorno utilizzato
insieme ad altri per ricostruire lo scenario nel quale si trovava ad operare
il generale Dalla Chiesa, ma perche' mai non dovrebbe essere una fonte di
accertamento di fatti e di responsabilita' politica? Io credo che dovrebbe
esserlo, e noi dovremmo essere grati ai magistrati che sono andati a
scovarlo quando nessuno lo avrebbe mai fatto.
*
L'altra vicenda che vorrei ricordare e' tratta dal processo di Perugia per
l'omicidio Pecorelli. In questo caso cito il rapporto che due sottufficiali
della Direzione Investigativa Antimafia hanno svolto nei confronti del
pregiudicato Enrico De Pedis, esponente di spicco della banda della
Magliana, autore di decine di omicidi, poi ucciso il 2 febbraio 1990. I due
sottufficiali riferiscono nel corso dell'istruttoria che "personale
dipendente si e' recato presso l'ufficio anagrafe defunti del Comune di
Roma, al fine di verificare quanto riferito da una fonte confidenziale,
secondo cui la salma del pregiudicato De Pedis Enrico, detto Renato o
Renatino, era stata tumulata all'interno di una basilica del centro di Roma.
Effettivamente gli accertamenti esperiti presso il citato ufficio hanno
consentito di accertare che il cadavere del De Pedis, dopo essere stato
tumulato per circa due mesi presso il cimitero del Verano, e' stato spostato
presso la basilica di Sant'Apollinare, sita in Roma nell'omonima piazza al
civico 43. Il dottor Jose' Marcus, direttore di promozione e sviluppo
dell'Ateneo romano, ha riferito di non essere a conoscenza di recenti
sepolture all'interno della cripta della citata basilica, ma si e'
dichiarato disponibile ad accompagnarvi personale dipendente. Effettivamente
nella cripta di quella basilica e' stata costatata la presenza di un
sarcofago in marmo bianco con incisa la scritta 'Enrico De Pedis', la foto
dello stesso e sulla sinistra del sarcofago, incastonata in oro e zaffiri,
la scritta 'Renato', pseudonimo utilizzato dal De Pedis. Nella cripta in
oggetto le altre sepolture risalgono al secolo scorso. Durante il servizio
sono state scattate alcune fotografie del sarcofago, che si trasmettono in
allegato. Tanto si comunica a codesta autorita' giudiziaria per opportuna
notizia". E si allega a questo la lettera che il rettore della basilica di
Sant'Apollinare di Roma scrive al Vicario della Santa Sede, che e' il
Cardinale Poletti, in cui gli dice: "si attesta che il signore Enrico De
Pedis, nato in Roma Trastevere, e' stato un grande benefattore che
frequentava la basilica. Ha aiutato tante iniziative di bene che sono state
patrocinate in questi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato
particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare
per la loro formazione cristiana e umana. In fede. Monsignor Pietro Vergari,
rettore della Basilica di Sant'Apollinare in Classe." Risponde il Cardinale
Poletti: "si dichiara che da parte del Vicariato nulla osta, per quanto e'
di sua competenza alla tumulazione della salma di Enrico De Pedis, deceduto
il 2-2-1990, in una delle camere mortuarie site nei sotterranei della
basilica di Sant'Apollinare in Classe. Cardinale Poletti, Vicario generale."
Anche in questo caso il problema non e' quello della rilevanza penale di
questi fatti. Ma e' lecito domandarsi: che considerazione c'era nel 1990 per
un personaggio di tal fatta, noto per essere un assassino e ucciso in un
conflitto a fuoco tra membri della banda della Magliana, per potere ottenere
un risultato di questo genere? E' una vicenda grave in quanto
rappresentativa di un certo tipo di relazioni ambientali.
*
Dunque, in questi anni, una parte della magistratura, forse una parte
minoritaria della magistratura, ha messo a disposizione dell'opinione
pubblica e, quindi, degli uomini politici, degli storici, degli
intellettuali, la conoscenza di una serie di fatti accertati, tanto piu'
garantiti in quanto accertati secondo regole rigorose.
Perche' mai tutto cio' non ha attivato tutte quelle conseguenze che avrebbe
potuto produrre nel circuito delle responsabilita', che in un ordinamento
democratico non si puo' certamente esaurire nella responsabilita' penale? E'
la reazione del ceto politico ad averlo impedito. Una reazione talvolta
trasversale, di volta in volta accentuata a seconda delle circostanze, che
non dipendeva, cioe', dalle diverse maggioranze di governo, ma dai rischi e
dai pericoli che si determinavano quando l'accertamento della verita'
giudiziaria incideva sull'accertamento di una verita' storica, quando i
fatti accertati avrebbero potuto attivare quel circuito di responsabilita'
politica e morale che si e' voluto mantenere assolutamente lontano, estraneo
rispetto all'opinione pubblica.
Per queste ragioni tutti questi atti, documenti, fatti accertati devono
essere messi a disposizione della gente, affinche' possa individuare le
responsabilita' politiche, sociali e morali, indipendentemente dall'esito
dei processi penali. Questo e' cio' che ci compete fare, questo e' cio' che
dobbiamo fare con la massima diffusione possibile, perche' credo che sia il
modo migliore per accompagnare e sollecitare, anche in memoria di alcuni che
sono stati qui ricordati, il lavoro dei magistrati capaci e onesti, che non
sono moltissimi e proprio per questa ragione vanno scrupolosamente
custoditi.

3. DOCUMENTI. MOHANDAS K. GANDHI: SARVODAYA. UN'ECONOMIA A SERVIZIO DEGLI
ULTIMI (1908). PARTE SECONDA E CONCLUSIVA
[Da "Quaderni satyagraha" n. 6 del dicembre 2004, volume monografico sul
tema La gioia della poverta' conviviale, riprendiamo questo testo del 1908
in cui Gandhi riassume l'opera di Ruskin, Unto This Last, che molto influi'
su di lui. Nel saggio di presentazione del volume, il direttore dei
Quaderni, Rocco Altieri, scrive: "In questo quaderno, la poverta' viene
indagata non soltanto in quanto dimensione etica e religiosa fondamentale,
ma anche in quanto categoria sociologica utile a una critica dei miti della
modernita', facendo ricorso a quei 'pensatori radicali' che piu' di altri
hanno posto, al centro del loro interesse, 'gli ultimi' tra gli uomini. John
Ruskin e' stato il primo pensatore sociale, nell'Inghilterra vittoriana
dell'Ottocento, ad accusare l'economia politica di essere una scienza
ingannevole, a dismal science, in quanto si e' estraniata da ogni
considerazione etica. Il suo libro Unto this Last ispiro' profondamente
Gandhi e il suo programma per l'indipendenza indiana: il movimento
Sarvodaya, che significa 'agire per il bene di tutti, nessuno escluso'.
Gandhi, quando era ancora in Sudafrica, entusiasmatosi alla lettura di
Ruskin, ne appronto' un compendio in gujarati che pubblico' a puntate,
durante il 1908, sul settimanale 'Indian Opinion'. Sulla versione inglese e'
stata condotta la traduzione di questo scritto fondamentale, che ora viene
offerto, per la prima volta in italiano, alla riflessione dei lettori dei
'Quaderni Satyagraha'". La traduzione dall'inglese e' di Shanti Hagen.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota
e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio:
Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente
Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora
sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della
drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati
pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?,
in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in
proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile,
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le
biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem. Per abbonarsi ai "Quaderni
Satyagraha" (per contatti: tel. 050542573, e-mail:
roccoaltieri at interfree.it, sito: pdpace.interfree.it): abbonamento annuale
30 euro da versare sul ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S.
Cecilia 30, 56127 Pisa, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"]

Esaminiamo, allora, quali sono le leggi della giustizia che riguardano la
retribuzione del lavoro.
Come affermato precedentemente, un giusto salario per un lavoratore sarebbe
quello che gli assicuri lo stesso lavoro, quando ne ha bisogno, poiche' lo
ha fatto per noi oggi. Se gli diamo una paga minore egli sara' sottopagato,
se gli diamo di piu', sovra-pagato.
Supponete un uomo voglia impiegare un operaio. Due persone offrono i loro
servizi. Se viene preso quello che accetta una paga piu' bassa, egli sara'
sottopagato. Se c'e' un gran numero di datori di lavoro e un solo operaio,
questo otterra' le proprie condizioni e molto probabilmente sara' pagato in
eccesso. Il giusto salario si trova fra queste due posizioni.
Se qualcuno mi prestasse del denaro, che dovrei ripagare dopo un certo
tempo, gli dovrei pagare degli interessi. Similmente, se qualcuno mi
offrisse il suo lavoro oggi, devo dare indietro un'identica quantita' di
lavoro e qualcosa in piu' come interesse. Se qualcuno mi da' un'ora di
lavoro oggi, devo promettergli di dare in cambio un'ora e cinque minuti o
piu'. Questo e' vero per tutti i lavoratori.
Se, ora, dei due uomini che mi offrono i loro servizi, impiegassi colui che
accetta la paga piu' bassa, il risultato sarebbe che questi sarebbe affamato
a meta' e l'altro sarebbe disoccupato. Anche al contrario, se io pagassi
salari interi all'operaio che assumo, l'altro uomo sarebbe disoccupato. Ma
il primo non farebbe la fame, e avrei fatto un uso giusto dei miei soldi. Ci
si trova a morire di fame veramente quando i salari dovuti non vengono
pagati. Se pagassi i salari dovuti, il surplus di ricchezza non si
accumulerebbe nelle mie mani. Non dovrei buttar via soldi in cose di lusso
ed accrescere la poverta'. L'operaio che pago equamente imparera' a pagare
equamente gli altri. Cosi' il fiume della giustizia non si prosciughera';
anzi, aumentera' di velocita' nello scorrere. E la nazione che ha tale senso
di giustizia crescera' felicemente e prosperera' nella giusta direzione.
Secondo questa linea di ragionamento, gli economisti si sbagliano. Essi
sostengono che maggiore competizione voglia dire crescente prosperita' per
la nazione. Di fatto questo non e' vero. La competizione e' voluta perche'
riduce l'ammontare dei salari. In questo modo il ricco diventa piu' ricco e
il povero piu' povero. Verosimilmente tale competizione rovinera' la nazione
nel lungo periodo. La corretta legge della domanda e dell'offerta dovrebbe
assicurare all'operaio il pagamento di un salario equo rispetto al suo
merito. Anche questo significhera' competizione, ma il risultato sara' che
le persone saranno felici e capaci, poiche', invece di essere costretti ad
offrire servigi a prezzi minori rispetto agli altri, essi dovranno acquisire
nuove abilita' per assicurarsi un impiego. E' per questa ragione che gli
uomini sono attratti dai servizi governativi. Li' i salari vengono fissati a
seconda della graduatoria dei posti. La competizione riguarda soltanto
l'abilita'. Un candidato non offre di accettare un salario minore, ma
dichiara di essere piu' capace degli altri. Lo stesso vale per l'esercito e
la marina, ed ecco perche' vi e' molta meno corruzione in questi impieghi.
Ma solo negli scambi e nel commercio c'e' cattiva competizione, il cui
risultato e' che sono aumentate le pratiche corrotte, quali la frode, i
raggiri, i furti. Inoltre, vengono prodotti beni di bassa qualita'. Il
produttore vuole la parte piu' grande del prezzo per se stesso, che
l'operaio getti polvere negli occhi degli altri e il consumatore sfrutti la
situazione a proprio vantaggio. Questo avvelena tutti i rapporti umani, c'e'
fame tutto intorno, gli scioperi si moltiplicano, i produttori diventano dei
farabutti e i consumatori non hanno riguardo per le considerazioni etiche.
Una ingiustizia conduce a molte altre, e alla fine il datore di lavoro, il
lavoratore e il cliente sono tutti insoddisfatti e si imbattono nella
rovina. Un popolo in cui prevalgono queste pratiche corrotte alla fine
giunge all'angoscia. La sua grande ricchezza agisce come un veleno.
Questo e' il motivo per cui uomini saggi hanno sostenuto che dove Mammona e'
dio, nessuno celebra il vero Dio. La ricchezza non puo' conciliarsi con Dio.
Dio vive solo nelle case dei poveri. Questo e' cio' che gli inglesi
professano, ma nella pratica mettono la ricchezza sopra ogni altra cosa,
stimano la prosperita' della nazione dal numero dei suoi ricchi, e i loro
economisti formulano precetti per tutti per arricchirsi velocemente. La vera
economia e' l'economia della giustizia. Sara' felice solo la gente che
imparera' ad operare con giustizia e ad essere giusti in qualunque
condizione di vita. Tutto il resto e' vano. Insegnare alla gente ad
arricchirsi ad ogni costo e' dare loro una cattiva lezione.
*
Che cosa e' giusto?
Abbiamo visto nei tre capitoli precedenti che i principi economici
generalmente accettati non sono validi. Se si agisce secondo questi
principi, essi renderanno gli individui e le nazioni infelici. Il povero
diventera' piu' povero e il ricco piu' ricco; nessuno dei due sara' piu'
felice per questo.
Gli economisti non prendono in considerazione la condotta degli uomini, ma
stimano la prosperita' dall'ammontare della ricchezza accumulata e cosi'
concludono che la felicita' delle nazioni dipende soltanto dalla loro
ricchezza. Cosi' appoggiano la crescente accumulazione di ricchezza
attraverso il sempre maggiore lavoro nelle fabbriche. In Inghilterra e
altrove le fabbriche si sono moltiplicate a causa della diffusione di queste
idee. Molti uomini lasciano le loro fattorie e si concentrano nelle citta'.
Abbandonano l'aria pura e fresca delle campagne e si sentono felici
respirando l'aria sporca delle fabbriche. Come risultato, la nazione si
indebolisce, ed aumentano l'avarizia e l'immoralita', e se qualcuno
suggerisce misure per sradicare il vizio, i cosiddetti saggi sostengono che
il vizio non puo' essere eliminato, che l'ignorante non puo' essere istruito
tutto in una volta e che e' meglio lasciare stare. Nell'avanzare questa
argomentazione, dimenticano che sono i ricchi ad essere responsabili per
l'immoralita' dei poveri. I poveri lavoratori faticano come schiavi per
loro, giorno e notte, affinche' essi possano essere riforniti dei loro
oggetti di lusso. Non hanno un momento per se', per l'auto-miglioramento.
Pensando ai ricchi, anche loro vogliono diventare ricchi. Quando non vi
riescono, si arrabbiano e diventano pieni di risentimento. Allora, nella
loro rabbia, dimenticano se stessi e, avendo fallito nell'accumulare
ricchezza con mezzi onesti, passano dalla disperazione all'inganno. Sia la
ricchezza che il lavoro sono allora sprecati, poiche' vengono utilizzati per
promuovere la frode.
Il lavoro, nel vero senso della parola, e' quello che produce articoli
utili. Gli articoli utili sono quelli che supportano la vita umana.
Supportare la vita umana vuol dire provvedere a cibo, abiti, ecc., in modo
da dare la possibilita' agli uomini di vivere una vita morale e agire
correttamente durante la loro vita. Per questo scopo, le imprese industriali
di larga scala appariranno essere inutili. Cercare di acquisire ricchezza
stabilendo grandi fabbriche portera' molto probabilmente al peccato. Molte
persone ammassano ricchezze, ma solo poche ne fanno buon uso. Se il fare
soldi conduce una nazione verso la sua distruzione, quel denaro e' inutile.
Al contrario, i capitalisti di oggi sono responsabili di diffuse e ingiuste
guerre. La maggior parte delle guerre del nostro tempo sorgono dall'avidita'
di denaro.
Sentiamo gente dire che e' impossibile insegnare ad altri il modo di
migliorarsi, e il corso migliore sarebbe vivere cosi' come si puo' e
accumulare ricchezza. Quelli che sostengono questi modi di vedere mostrano
poca considerazione per i principi etici. Poiche' la persona che da' valore
ai principi etici e non cede all'avarizia ha una mente disciplinata; egli
non si allontana dalla retta via ed influenza altri semplicemente con il suo
esempio. Se gli individui che costituiscono una nazione non osservano i
principi morali, come puo' la nazione diventare morale? Se ci comportiamo
come vogliamo e poi puntiamo il dito su un vicino che sbaglia, come possono
essere buone le conseguenze delle nostre azioni?
Vediamo cosi' che il denaro non e' altro che un mezzo che puo' favorire la
felicita' o la miseria. Nelle mani di un uomo giusto, puo' essere usato per
coltivare la terra e far crescere i raccolti. I coltivatori troverebbero
soddisfazione nel lavoro semplice e la nazione sarebbe felice. Nelle mani di
uomini malvagi, esso e' usato per la produzione, ad esempio, di armi e
porteranno la gente alla totale rovina. Di conseguenza soffrono sia coloro
che producono le armi sia coloro che ne sono vittime. Vediamo, quindi, che
non c'e' altra ricchezza se non la vita. La nazione ricca e' quella onesta.
Questo non e' il tempo per la mollezza. Ognuno deve lavorare secondo la
propria abilita'. Come abbiamo visto precedentemente negli esempi, se un
uomo e' inattivo, un altro deve lavorare il doppio. Questo e' alle radici
dell'inedia prevalente in Inghilterra. Ci sono uomini che fanno poco lavoro
utile essi stessi a causa della ricchezza che hanno accumulato nelle loro
mani, e cosi' costringono altri a lavorare per loro. Questo tipo di lavoro,
essendo improduttivo, non e' vantaggioso per i lavoratori. Di conseguenza,
il reddito nazionale risente di una diminuzione. Sebbene tutti gli uomini
sembrino avere un impiego, troviamo, ad un esame piu' dettagliato, che un
gran numero e' disoccupato per forza. In piu', sorge l'invidia, il
malcontento mette radici e, alla fine, il ricco e il povero, il datore di
lavoro e il lavoratore violano i confini della decenza nelle loro relazioni
reciproche. Come il gatto e il topo sono sempre in disaccordo l'un con
l'altro, cosi' il ricco e il povero, il datore di lavoro e il lavoratore
diventano ostili l'uno all'altro, e l'uomo, cessando di essere uomo, e'
ridotto al livello delle bestie.
*
Conclusione
Il nostro compendio dell'importante libro di Ruskin e' ora concluso. Sebbene
qualcuno puo' essersi annoiato, suggeriamo a coloro che hanno letto gli
articoli una volta, di leggerli di nuovo. Sarebbe troppo aspettarsi che
tutti i lettori di "Indian Opinion" meditino su di essi e agiscano di
conseguenza. Ma anche se solo alcuni lettori facessero uno studio attento
del sommario e afferrassero l'idea centrale, dovremmo ritenere il nostro
lavoro ampiamente ricompensato. Anche se cio' non accadesse, la ricompensa
del lavoro, come Ruskin dice nell'ultimo capitolo, consiste nell'aver fatto
il proprio dovere e questo deve soddisfarci.
Quello che Ruskin ha scritto per i suoi connazionali, gli inglesi, e' mille
volte piu' applicabile agli indiani. Nuove idee si stanno diffondendo in
India. L'avvento di un nuovo spirito fra i giovani che hanno ricevuto
un'educazione occidentale e' sicuramente da accogliere. Ma il risultato
sara' benefico solo se quello spirito sara' canalizzato propriamente; se non
lo sara', e' destinato ad essere dannoso. Da un lato sentiamo la richiesta
per l'auto-governo (swarajya); dall'altro, per la veloce accumulazione di
ricchezza, avviando fabbriche come quelle in Gran Bretagna.
La nostra gente capisce appena cosa sia lo swarajya. Il Natal gode dello
swarajya, ma se dovessimo imitare il Natal, lo swarajya non sarebbe meglio
dell'inferno. I bianchi del Natal tiranneggiano i Kaffir, cacciano gli
indiani, e nella loro cecita' danno libero sfogo al loro egoismo. Se, per
caso, i Kaffir e gli indiani dovessero lasciare il Natal, essi
distruggerebbero loro stessi in una guerra civile.
Dovremmo noi, quindi, agognare il tipo di swarajya che si ottiene nel
Transvaal? Il generale Smuts e' una delle loro figure leader. Egli non
mantiene alcuna promessa, orale o scritta. Dice una cosa e ne fa un'altra.
Gli inglesi ne sono disgustati. Fingendo di rendere efficace l'economia, ha
deprivato i soldati inglesi dei loro mezzi di sussistenza e li ha
rimpiazzati con gli olandesi. Non crediamo che nel lungo periodo questo
rendera' felici gli olandesi. Coloro che servono solo i loro interessi
saranno pronti a derubare la propria gente dopo aver finito di derubare gli
altri.
Se osserviamo gli avvenimenti di tutto il mondo, dovremo essere capaci di
vedere che cio' che la gente chiama swarajya non e' abbastanza per
assicurare la prosperita' e la felicita' della nazione. Possiamo percepire
questo attraverso un semplice esempio. Tutti noi possiamo visualizzare cio'
che accadrebbe se una banda di ladri godesse dello swarajya. Nel lungo
periodo sarebbero felici solo se non fossero sottoposti al controllo di
uomini che non fossero loro stessi ladri. L'America, la Francia e
l'Inghilterra sono grandi Stati. Ma non c'e' ragione di pensare che siano
veramente felici.
Il vero swarajya consiste nel dominio di se'. Il solo capace di questo e'
colui che conduce una vita onesta, che non inganna nessuno, che non nasconde
la verita' e compie il suo dovere nei confronti dei suoi genitori, di sua
moglie, dei suoi figli, dei suoi domestici e dei vicini. Tale uomo godra'
dello swarajya ovunque gli capitera' di vivere. Una nazione che ha molti
uomini cosi', gode sempre dello swarajya.
Normalmente e' sbagliato che una nazione domini su di un'altra. Gli inglesi
che governano in India sono un male, ma non dobbiamo credere che ne
deriverebbe grande vantaggio per gli indiani se gli inglesi dovessero
lasciare l'India. La ragione per cui ci dominano e' da ricercare in noi
stessi; quella ragione e' la nostra disunione, la nostra immoralita' e la
nostra ignoranza.
Se queste tre cose scomparissero, non solo gli inglesi lascerebbero l'India,
ma godremmo di un vero swrajya.
Molta gente esulta all'esplosione di bombe. Questo mostra soltanto ignoranza
e mancanza di comprensione. Se tutti gli inglesi venissero uccisi, coloro
che li uccidono diventerebbero i signori dell'India, e come risultato
l'India continuerebbe ad essere in uno stato di schiavitu'. Le bombe, con
cui gli inglesi verrebbero uccisi, cadranno sull'India dopo che gli inglesi
saranno partiti. L'uomo che ha ucciso il presidente della Repubblica
Francese era lui stesso un francese e l'assassino del presidente
dell'America, Cleveland (17), era un americano. Dobbiamo stare attenti,
quindi, a non essere frettolosi e sconsiderati nell'imitare la gente
dell'Occidente.
Proprio come non possiamo realizzare il vero swarajya seguendo il sentiero
del male - cioe', uccidendo gli inglesi - allo stesso modo non sara'
possibile per noi realizzarlo stabilendo grandi fabbriche in India.
L'accumulazione di oro e argento non portera' allo swarajya. Questo e' stato
dimostrato in modo convincente da Ruskin.
Si ricordi che la civilta' occidentale ha solo cento anni, o per essere piu'
precisi, cinquanta. In questo breve periodo la gente occidentale sembra
essere stata ridotta in uno stato di anarchia culturale. Preghiamo che
l'India non venga mai ridotta allo stesso stato dell'Europa. Le nazioni
occidentali sono impazienti di gettarsi l'una sull'altra, e sono fermate
solo dall'accumulazione di armamenti tutt'intorno. Quando la situazione si
infiammera', saremo testimoni dello sprigionarsi di un autentico inferno in
Europa. Tutte le nazioni bianche guardano alle razze nere come loro
legittime prede. Questo e' inevitabile quando il denaro e' l'unica cosa che
conta. Ovunque trovino un territorio, si avventano su di esso come corvi su
una carogna. Ci sono ragioni per suggerire che questo e' il risultato delle
loro grandi imprese industriali.
Per concludere, la richiesta di swarajya e' la richiesta di ogni indiano, ed
e' una richiesta giusta. Ma lo swarajya deve essere realizzato attraverso
mezzi giusti. Deve essere vero swarajya. Non puo' essere raggiunto con
metodi violenti o con l'installazione di fabbriche. Dobbiamo avere
industrie, ma del tipo giusto. L'India una volta era vista come una terra
d'oro, perche' gli indiani allora erano gente di autentico valore. La terra
e' ancora la stessa, ma la gente e' cambiata ed ecco perche' e' diventata
arida. Per trasformarla di nuovo in una terra dorata dobbiamo trasmutare noi
stessi in oro conducendo una vita di virta'. La pietra filosofale che puo'
determinare questo consiste di due sillabe: satya. Se, quindi, ogni indiano
si impegna a seguire la verita', sempre, l'India realizzera' lo swarajya
come un fatto naturale.
Questa e' la sostanza del libro di Ruskin.
*
Note
1. Il riferimento e' alla massima di Bentham: "the greatest good of the
greatest number". Gandhi vi si oppose su un terreno morale. Anche Ruskin
critico' la costruzione di una "scienza" dell'economia su un modello
newtoniano da cui sono stati completamente espunti i "sentimenti sociali".
Ruskin sostiene che la piu' grande arte o scienza sia quella che sviluppa
"il piu' grande numero delle idee migliori".
2. John Ruskin (1819-1900) scozzese e autore di molti libri
sull'architettura, la pittura, i problemi sociali e industriali ecc.;
docente di Arte a Oxford per un certo tempo, piu' tardi divento' un fermo
oppositore della vivisezione e dell'usura, interessato all'educazione dei
lavoratori e a promuovere cooperative di artigiani.
3. Qui Gandhi si riferisce a Unto this last, che raccoglie una serie di
quattro articoli usciti in precedenza su "Cornhill Magazine".
4. Cfr. la parabola dei vignaioli in Matteo, XX, 14: "I will give unto this
last, even as unto thee".
5. Corrisponde al capitolo "Roots of Honour" in A quest'ultimo [Unto This
Last].
6. Il testo in gujarati ha "common interest".
7. Cfr. Matteo, X, 39.
8. Pegni di lavoro vincolato in cambio del rifornimento dei bisogni correnti
del debitore.
9. "Repubblica", nel testo originale di Ruskin, A quest'ultimo [Unto This
Last].
10. Attrezzi agricoli, semi, ecc.
11. Il frumento e le attrezzature agricole trattenuti dall'intermediario.
12. Questo corrisponde al capitolo di Ruskin "Qui iudicatis terram". "Voi
che siete giudici della terra, [amate la giustizia]".
13. Salomone (993-953 a. C.) era considerato ai tempi di Ruskin l'autore del
libro dei Proverbi dell'Antico Testamento.
14. Cfr. Proverbi 21: 6 e 10: 2.
15. In gujarati c'e' "Khuda".
16. Cfr. Proverbi 22: 2 "Il ricco e il povero si sono incontrati: Dio e' il
loro creatore" e Proverbi 29: 13 "Il povero e il disonesto si sono
incontrati: il Signore illumina gli occhi di entrambi". Ruskin stesso usa la
Vulgata.
17. Il presidente Cleveland in realta' mori' di morte naturale. Gandhi puo'
averlo confuso con Lincoln.
(Parte seconda. Fine)

4. POESIA E VERITA'. ALEJANDRA PIZARNIK: SEGNI
[Da AA. VV., L'altro sguardo. Antologia delle poetesse del Novecento,
Mondadori, Milano 1996, 1999, p. 348. Alejandra Pizarnik, nata a Buenos
Aires nel 1939, visse a lungo anche a Parigi, poetessa, saggista, pittrice,
traduttrice, si tolse la vita nel 1972]

E ancora oso amare
il suono della luce in un'ora morta,
il colore del tempo su un muro abbandonato.

Ho perso tutto nello sguardo.
Cosi' lontano il chiedere. Cosi' vicino sapere che manca.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 875 del 21 marzo 2005

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