La nonviolenza e' in cammino. 870



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 870 del 16 marzo 2005

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Una sentenza
2. Anna Bravo: Una precisazione
3. Giobbe Santabarbara: Su di un tema del saggio di Anna Bravo
4. Adriana Zarri ricorda Pia Bruzzichelli
5. Giulio Vittorangeli: In memoria di Oscar Romero
6. Marco Bertotto: Peter Benenson, il cavaliere della coscienza
7. Ottavio Di Grazia: Dietrich Bonhoeffer, la liberta' e l'impotenza di Dio
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA SENTENZA
[Peppe Sini e' da decenni il principale oppositore del sistema di potere
andreottiano nell'Alto Lazio e la persona che piu' ha contribuito a
denunciare e contrastare le penetrazioni mafiose nell'area tra Viterbo,
Montalto di Castro, Civitavecchia. Come giornalista d'inchiesta e come
pubblico amministratore (gia' consigliere comunale e provinciale, alla meta'
degli anni novanta fu eletto col voto unanime di tutti i gruppi del
Consiglio Provinciale di Viterbo presidente della Commissione d'inchiesta
sui poteri criminali istituita dall'Amministrazione Provinciale) ha
realizzato numerose inchieste, iniziative e denunce. Piu' volte querelato
per diffamazione a mezzo stampa ha ottenuto in tribunale sentenze vittoriose
in rilevanti processi che lo opponevano a uno dei maggiori imprenditori
catanesi (uno dei "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" come li aveva
definiti l'indimenticabile Pippo Fava), e al faccendiere collegato alla
'ndrangheta che secondo attendibili ricostruzioni reco' a Pecorelli l'ultimo
"avvertimento" prima dell'uccisione. A seguito di un suo articolo su "La
mafia a Viterbo" che denunciava il ruolo del vertice del gruppo andreottiano
viterbese e laziale nell'aver creato i prerequisiti che avevano favorito la
penetrazione mafiosa a Viterbo fu querelato per diffamazione dall'allora
presidente della Regione Lazio: la sentenza della magistratura in tutti i
gradi di giudizio diede ragione a Peppe Sini e torto al Rodolfo Gigli
querelante: attualmente il Gigli e' parlamentare di Forza Italia, e il suo
delfino di allora e' parlamentare della Margherita]

L'eccellente rivista palermitana "Segno", diretta da padre Nino Fasullo e da
trentun anni una delle voci piu' autorevoli della riflessione morale
contemporanea, nel volume n. 262 del febbraio 2005 pubblica integralmente
(alle pagine da 9 a 118) le motivazioni della sentenza della Corte di
Cassazione relativa al processo sui rapporti tra il senatore Andreotti e la
mafia.
E fa precedere il testo da un editoriale dal titolo Come ai tempi di Cesare
Borgia, editoriale la cui lettura vivamente raccomandiamo, cosi' come - va
da se' - la lettura integrale della sentenza della Suprema Corte.
La sentenza, che conclusivamente "PQM rigetta il ricorso del Procuratore
Generale e dell'imputato e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese
processuali", conferma quello che gia' tutti sapevamo: tutti quelli che
abbiamo pianto le nostre sorelle ed i nostri fratelli assassinati dalla
mafia, tutti quelli che non abbiamo volto lo sguardo da un'altra parte. Quei
rapporti ci furono. Quei rapporti tra la personalita' politica piu'
rappresentativa del potere governativo lungo l'arco dell'intera storia
dell'Italia repubblicana, e il potere criminale piu' feroce della nostra
storia, quei rapporti ci furono.
Mentre donne e uomini di incomparabile generosita' venivano assassinati e
dei loro corpi si faceva scempio; mentre le persone migliori che al servizio
dello stato come garante del civile convivere avevano messo a disposizione
l'intera loro esistenza venivano massacrate in una mattanza tale che a
ricordare nomi e date non basterebbe ne' questo articolo ne' questo foglio;
mentre la mafia uccideva per arricchirsi e si arricchiva uccidendo, ed i
nostri piu' grandi e piu' cari maestri e compagni di lotta e di vita
venivano falcidiati l'uno dopo l'altro; ebbene, mentre tutto cio' accadeva,
e tuttora continua, quei rapporti c'erano stati, il piu' importante uomo di
governo di mezzo secolo di storia italiana aveva intrattenuto rapporti con
la mafia, si era incontrato con la mafia, si era accordato con la mafia: in
segreto, da complice, da complice degli assassini, da complice degli
stragisti.
Quel signore siede ancora in Parlamento, quel signore e' tuttora senatore,
addirittura senatore a vita: quel signore, quindi, ancora concorre a fare le
leggi, ed ancora riceve il ripugnante omaggio di quanti nel consesso che
detiene il potere legislativo si contendono la sua amicizia e i suoi favori
vilmente adulandolo.
Noi non chiediamo che a un uomo ormai anziano sia inflitta dura una pena,
cio' non riportera' in vita gli assassinati.
Noi riconosciamo la piena legittimita' della sentenza della Suprema Corte di
Cassazione che conferma il pronunciamento della Corte d'Appello di Palermo
la quale, ritenendo che "la cessazione della consumazione del reato nel 1980
ne ha determinato la prescrizione" (ed il reato di cui si parla e' la
"partecipazione nel sodalizio criminoso"), ha lasciato libero il senatore
Andreotti: poiche' questa puo' legittimamente esser ritenuta corretta
valutazione e decisione, alla luce delle norme vigenti, nell'ambito
giuridico e specificamente giudiziario in riferimento agli specifici capi
d'imputazione ed agli specifici fatti oggetto di indagine e giudizio; ma
altra valutazione ed altro giudizio vigono nell'ambito morale, ed in quello
politico, ed in quello storiografico. Ed altri fatti ed elementi ancora, a
nostro avviso, erano e restano degni di costituire oggetto di indagine e di
disamina in sede processuale (fatti ed elementi che anche chi scrive queste
righe ha piu' volte portato all'attenzione delle competenti magistrature).
Noi non chiediamo nulla, se non che una persona che ragionevolmente deve
ritenersi essere stata - per una fase almeno della sua vita pubblica e
ricoprendo primari incarichi istituzionali - in rapporti, in buoni rapporti,
col potere mafioso, sia allontanata dal luogo in cui si fanno le leggi, le
leggi che questa persona evidentemente non rispettava quando teneva quei
rapporti, ed anche in seguito quando su essi taceva mentre aveva il dovere
giuridico e morale di denunciarli, di farne ammenda, e di dimettersi da ogni
pubblico ufficio.
Per richiedere questo fascicolo di "Segno", ed anche per abbonarsi alla
rivista, si possono utilizzare i seguenti riferimenti: "Segno", c. p. 565,
90100 Palermo, e-mail: rivistasegno at libero.it, sito: www.rivistasegno.it;
abbonamento 2005: ordinario euro 45, sostenitore euro 100, estero euro 100;
un numero: euro 10; arretrato: il doppio. Gli abbonamenti vanno effettuati
sul ccp 16666901 intestato a Centro culturale Segno, c. p. 565, 90100
Palermo.

2. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: UNA PRECISAZIONE
[Ringraziamo di cuore Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per
questo intervento. Siamo grati anche ad Ileana Montini, che condividendo la
medesima sensibilita' di Anna Bravo sul tema qui posto, ha dato occasione a
questa sottolineatura. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e
lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle
donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile,
cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche
partecipato a convegni nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del
comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita
promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa
parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici
dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione
Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo:
(con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini
nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una
misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia,
Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di
donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del
novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili
della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; Storia
sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il
Fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003]

Non vorrei rispondere, non ora, ai punti sollevati dallo scritto di Ileana
Montini su "La nonviolenza e' in cammino" 869, ne' voglio chiederle cosa
intenda precisamente con il termine "revisionismo", e in compagnia di quali
altri "revisionismi" mi collochi.
Ma quando scrive: "Vorrei poi aggiungere che il punto di vista di Anna Bravo
si situa ancora nella concezione antropocentrica della cultura occidentale",
tocca un tema che mi sta infinitamente a cuore, devo percio' invocare il
rispetto per le parole, e citare da "Noi e la violenza, trent'anni per
pensarci", p. 30: "Anche i movimenti e lo stesso amato '68 hanno contribuito
a questa impasse, impregnati com'erano di un antropocentrismo secco e non
riflettuto, in cui la natura e i viventi non umani (o non ancora umani)
erano tranquillamente ignorati. 'Vi siete mai chiesti che cos'avranno
pensato le capre di Bikini? e i gatti nelle case bombardate? e i cani in
zona in guerra? e i pesci allo scoppio dei siluri?', scriveva Calvino nel
'46 . La risposta e' 'no', e ha molte radici, dalla lunga cecita' delle
ideologie politiche e della dottrina cattolica, all'incapacita' di
immaginare che possa esistere un interesse comune fra classi o fra popoli in
conflitto, a una militanza cosi' totalizzante e dominata dall'antinomia
amico/nemico da cancellare quel che la eccedeva, a cominciare dalla
prossimita' fra l'umano e il resto del mondo senziente. Ancora oggi, dopo
tanti anni e tanti ripensamenti, non so se quando ci viene in mente
Nietzsche, che crolla in ginocchio davanti a un cavallo preso a frustate dal
vetturino, ci identifichiamo con il dolore dell'uomo o dell'animale".

3. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: SU DI UN TEMA DEL SAGGIO DI ANNA BRAVO
[Giobbe Santabarbara, come e' noto, e' uno dei principali - e solitamente,
ama dire lui stesso, piu' sgradevoli - collaboratori di questo foglio]

Su uno dei molti temi che il saggio di Anna Bravo "Noi e la violenza.
Trent'anni per pensarci" (pubblicato nella bella rivista della Societa'
delle storiche "Genesis", nel fascicolo attualmente in libreria; e
riprodotto anche su questo foglio nei numeri 862-864) offre alla comune
riflessione vorrei qui proporre alcune brevi, limitate considerazioni, di
carattere per cosi' dire meramente testimoniale e non piu' che esplorativo,
e vorrei farlo mettendo in gioco la mia personale vicenda e memoria, le mie
esperienze e riflessioni che credo non siano granche' diverse da quelle di
non poche altre persone.
*
Gli anni settanta e i movimenti tra violenza e nonviolenza
il movimento di contestazione degli anni '70 (dal "sessantotto" fino al suo
spegnimento come fenomeno di massa; ma chi veniva da quelle esperienze
animo' poi il movimento antinucleare e il nuovo ambientalismo, il movimento
per la pace che nacque contro il dispiegamento dei nuovi missili russi e
americani, il movimento antimafia che fu la cosa migliore degli anni ottanta
e novanta e fu anche il nocciolo duro - consapevole, colto, limpido,
intransigente - del sostegno da parte della societa' civile alle inchieste
giudiziarie contro il regime della corruzione) fu in larghissima parte
nemico della violenza e vittima della violenza.
Ma la violenza vi fu anche nelle elaborazioni e nelle esperienze militanti
di parte non piccola della nuova sinistra degli anni settanta, e non solo in
alcuni ristretti gruppi che dagli slogan truculenti passarono alla
scellerata messa in atto dei deliri piu' immondi e dei crimini piu'
efferati, i gruppi che passarono all'orrore della commissione degli omicidi,
delle stragi, i gruppi cioe' esplicitamente e consapevolmente terroristici.
Vi fu un'area di consenso all'accettazione e all'uso della violenza come
strumento di lotta politica che coinvolse molte, moltissime persone che
certo dovettero fare una tremenda violenza alla propria stessa psiche per
arrivare - loro che avevano cominciato a impegnarsi nello spazio pubblico
per affermare la dignita' di tutti gli esseri umani e perseguiire la
liberazione dell'umanita' - a divenire insensibili persino alla morte degli
esseri umani.
Il fatto che ancor oggi si fatichi a parlarne e' assai significativo, e
riguarda il nostro presente: fare i conti onestamente con quel che accadde
allora, negli anni insieme dei movimenti e "di piombo", e' necessario anche
e soprattutto per l'oggi.
*
Tre atteggiamenti inammissibili
E fare i conti onestamente con quegli anni significa evitare tre
atteggiamenti che cooperano sia alla rimozione della verita' sulla violenza
di allora, sia alla riproduzione oggi (in varie forme, a vari livelli) della
cultura e delle pratiche della violenza, della violenza che infine uccide.
Il primo atteggiamento e' l'omerta' che tuttora perdura: e credo che il mero
enunciato sia sufficiente.
Il secondo atteggiamento e' il generico e infame "eravamo tutti colpevoli"
con cui coloro che allora si macchiarono le mani di sangue o istigarono
altri a divenire assassini (e, talora, assassinati) pretendono di coprire le
loro personali responsabilita' e fare una chiamata di correo del tutto
irricevibile: io che scrivo queste righe allora c'ero, e con tante e tanti
altri - la grandissima parte del movimento di contestazione - mi sono
battuto contro tutti coloro che picchiavano, sprangavano, sparavano,
mettevano bombe: tutti, indipendentemente dal colore della camicia che
indossavano, poiche' un pestaggio e' sempre un pestaggio, un omicidio e'
sempre un omicidio, una strage e' sempre una strage, e nessun arabesco di
parole, nessuna ideologica fantasmagoria, puo' mutare questa realta'; e chi
vuole affermare un valore umano deve in primo luogo sapere che occorre
difendere sempre le vite umane. Sempre.
Il terzo atteggiamento e' quello pretesamente apotropaico, bassamente
escapista, di chi vuol ridurre l'accettazione e l'uso della violenza nella
cultura e nelle prassi dei movimenti degli anni settanta a cosa che riguarda
solo i gruppi terroristici. Non era affatto cosi'.
Giornali, riviste, libri di quel torno di anni restano a documentare che in
tanti furono corrivi, e che ancora anni e anni dopo vi fu chi non ebbe
vergogna a scrivere cose che a chiunque ripugnerebbe anche solo leggere. E
non parlo dei giornali, delle riviste e dei libri scritti dai "tecnici
addetti all'oppressione" (gli intellettuali del potere, secondo la
formulazione che sottende la ricerca condotta in quel grande libro che e'
Crimini di pace, Einaudi, Torino 1975) del sistema di potere, dei golpisti e
dei neofascisti; parlo della pubblicistica prodotta dai movimenti, da alcuni
dei quotidiani della nuova sinistra ai libri editi allora da Savelli e molti
altri editori.
La mole di documentazione e' immensa. Basterebbe volerla leggere. Che tanti
di quelli che allora furono variamente corresponsabili o di sanguinari
crimini o di istigazione a quei crimini o di favoreggiamento di quei crimini
o di apologia di quei crimini oggi siedano, oltre che sulle cattedre e nelle
redazioni, finanche nelle pubbliche istituzioni, aderendo ora agli
schieramenti politici e culturali piu' diversi, e' un dato di fatto. Che
forse rivela qualcosa: forse spiega perche' questi tre atteggiamenti che
cooperano alla rimozione della verita' e all'occultamento delle
responsabilita' abbiano tuttora corso; e vi siano dei giovani che nulla
sapendo di cio' che accadde allora ancora oggi ripetono slogan e condotte al
cui termine c'e' l'orrore, ed ascoltano oggi come maestri di vita e
carismatici leader persone che hanno contribuito a seminare dolore e morte e
che mai hanno dismesso la medesima tracotanza e sicumera.
Dobbiamo parlare, tutti, dobbiamo dire ai giovani cio' che ignorano perche'
nascosto sia dalla propaganda dei criminali al potere, sia dalla propaganda
dei facitori di violenza infiltrati fin dentro i movimenti per la pace.
Non si sta qui sostenendo che quelle persone non possano cambiare, ed essere
cambiate; che debbano essere pietrificate in cio' che erano trent'anni fa.
Al contrario: si sta chiedendo che si compia pienamente il travaglio
dell'elaborazione del lutto, che si collochino anch'esse all'ascolto di
luminose esperienze come quelle del movimento delle donne, come quelle
emerse da situazioni assai piu' terribili di quella dell'Italia degli anni
settanta, come la Commissione per la verita' e la riconciliazione
sudafricana. Che si mettano alla scuola della nonviolenza, del principio
responsabilita', di cio' che Mohandas Gandhi chiamava satyagraha, la forza
della verita', l'attaccamento alla verita', la verita' che libera.
*
Fare i conti con la violenza, fare la scelta della nonviolenza
Le persone amiche della nonviolenza sanno bene due, anzi tre cose: che la
violenza e' in noi, che essa va distinta dall'aggressivita', che il campo di
lotta tra violenza e nonviolenza e' nella gestione dei conflitti e finanche
nel suscitamento e nel disvelamento dei conflitti.
Poiche' la nonviolenza e' lotta, e' conflitto, e' coscienza e pratica di
autocoscienza dialogica e maieutica.
Agli studenti con cui lavoro e che hanno la bonta' di voler ragionare con me
di cosa sia educarsi alla pace e accostarsi alla nonviolenza propongo sempre
in primo luogo di prendere sul serio la violenza e le teorizzazioni della
sua liceita' datesi nel corso della storia del pensiero umano, e ragiono con
loro su questo specifico argomento non a partire dagli orrori su cui tutti
siamo d'accordo ad emettere la piu' sollecita, facile ed ovvia condanna, ma
a partire da tradizioni e persone autorevoli che hanno teorizzato la
liceita' della violenza, dell'uccidere, della guerra: ragiono con loro sulle
maggiori tradizioni giuridiche in campo penale, ragiono con loro sulla
teoria della "guerra giusta" nella teologia cristiana, ragiono con loro
sulle teorie di Fanon e di Guevara. Prendere sul serio la violenza e' il
primo passo per poterla contrastare con il rigore intellettuale e morale che
occorre, per poterla contrastare nell'unico modo praticamente efficace e
teoreticamente ed assiologicamente fondato: facendo la scelta della
nonviolenza.
*
Alla scuola del femminismo
Una parola ancora prima di concludere: la cosa migliore dei movimenti di
contestazione e di rinnovamento degli anni settanta fu il femminismo, che
delle esperienze storiche dei movimenti di liberazione e' stata ed e'
l'unica che sempre ha avuto chiaro un fatto decisivo: la necessita'
dell'opposizione alla violenza, la lotta incessante contro la violenza, la
scelta della nonviolenza - anche quando non usava questo termine, anche
quando mescidava il suo sentire e pensare e dire ed agire con altri
linguaggi e tradizioni non altrettanto nitidi, non altrettanto
autocoscienti, non altrettanto coerenti nel nesso tra fini e mezzi, tra
teoria e pratica.
E' difficile oggi spiegare quale autentica liberazione fu non solo per
tutte, ma per tutti, l'emersione delle riflessioni e delle pratiche del
femminismo nelle culture e nelle esperienze dei movimenti degli anni
settanta.
Per i militanti maschi che seppero cominciare a mettersi all'ascolto non fu
una lezione facile, ed anzi  e' insieme una ferita e un acquisto con cui
ancora oggi giorno dopo giorno dobbiamo fare i conti, ci dobbiamo
confrontare; poiche' il pensiero e la prassi delle donne, quel che
sintetizzando in una formula molte e diverse vicende e proposte qui
chiamiamo ancora in una parola femminismo, irrompendo nello spazio pubblico
con la sua differenza, la sua autonomia, la sua alterita', ed insieme la sua
ricchezza, la sua inclusivita', la sua peculiare capacita' di "mettere al
mondo il mondo", smascherava, denunciava, criticava, combatteva e rendeva
evidente a noi stessi la parte di noi che era restata segnata e impregnata e
tuttora veicolava e riproduceva il ruolo dell'oppressore, il ruolo del
portatore della cultura e della pratica autoritaria, gerarchica, belluina,
il ruolo del maschio cosi' come costituitosi e riprodottosi per generazioni
e generazioni in un immenso lasso di tempo in cui meta' del genere umano
aveva pensato di negare la piena umanita' dell'altra meta' ed aveva
praticato questa mutilazione dell'umanita' di tutte e quindi di tutti con
una ferocia cosi' immane da essere divenuta invisibile allo sguardo del
carnefice, ed occulta alla sua psiche, cosi' come accade a tutti i
torturatori, che non riescono a vedere piu' l'umanita' dell'altra persona e
solo a questa condizione riescono a sopravvivere all'orrore di cui sono ad
un tempo facitori e schiavi e vittime infine anch'essi.
Fu il femminismo, io credo, che mi libero' dalla corazza che senza che io me
ne rendessi conto mi imprigionava, mi piagava e mi soffocava: e' stato un
dolore, una fatica, un travaglio non lieve, che tuttora perdura, ma questa
coscienza di me e della parte oscura di me, coscienza che il femminismo mi
schiuse e quindi mi restitui' imponendomi di guardare cio' che di me non
volevo vedere, ebbene, e' stato il dono grande e decisivo che ha fatto si'
che in quegli anni io non sia stato corrivo col male, non abbia permesso che
i sofismi mi ingannassero e mi rendessero complice della violenza. Fu il
femminismo che mi accosto' alla nonviolenza, un cammino che ancora continuo;
che mi rivelo' la forza della nonviolenza, che ogni giorno scopro di nuovo,
perche' la nonviolenza e' forte, come e' forte la donna che genera, e' piu'
forte, infinitamente piu' forte dell'uomo che uccide, infinitamente piu'
forte di tutti gli eserciti e tutte le guerre.
Dal femminismo so di avere appreso non solo un modo diverso di guardare e
sentire la lotta politica, non solo la dolorosa coscienza - la lacerante
autocoscienza - del fascista che e' in me e con cui devo combattere ogni
volta che lo sento latrare o ruggire dal lago nero del cuore, dal pozzo nero
del fondo dell'animo; ma anche questo ho appreso: una piu' profonda
consapevolezza e maturazione di me per molti altri aspetti ancora: io ero di
quelli che sciocchi credevano, per una lunga tradizione monastica e
cavalleresca, che il proprio corpo andasse tenuto in non cale, come
impedimento e prigione; ero di quelli che sciocchi credevano che il buon
militante dovesse essere tutto ragione; ero di quelli che sciocchi credevano
all'etica del sacrificio di se' ed in primo luogo dei propri desideri e dei
propri sentimenti e delle proprie emozioni e pulsioni. Fu il femminismo a
rivelarmi che il personale e' politico; che la scissura cartesiana tra corpo
e mente era un delirio; che la sfera della sessualita' era decisiva; che
dobbiamo voler bene al nostro corpo; che si pensa col cuore; che si deve
lottare per una felicita' sobria e condivisa: la feliciita' altrui, ma anche
la propria, e che chi non ha cura anche di se stesso non puo' riescire ad
aver cura degli altri. Certo, avevo gia' letto Freud e Foucault, i
surrealisti e i francofortesi, l'Antigone di Sofocle e i Manoscritti
economico-filosofici del 1844, Sein und Zeit e Qohelet, Sartre e Camus,
Leopardi e Cervantes: ma fu il femminismo che mi insegno' a vedere con occhi
nuovi e finalmente tutto: solo allora imparai a piangere in pubblico, che e'
la cosa che ancor oggi sconvolge i miei studenti, di vedere questo canuto
barbone non aver paura di dire e di dare a vedere che il suo cuore sanguina
ed e' per questo che chiama alla lotta.
*
Un ringraziamento, infine
Su molti altri temi, lo so, nel saggio di Anna Bravo si riflette, e tutti
meritano profonda una discussione, una discussione seria, appassionata,
vibratile, energica, esplicita. Che questo foglio vi contribuisca e' per me
una gioia grande. Che Anna Bravo a questa dialogica, maieutica, corale
riflessione ci abbia invitato scrivendo quelle dense sue pagine, e' per me
cosa della quale dal profondo del cuore le sono grato.

4. LUTTI. ADRIANA ZARRI RICORDA PIA BRUZZICHELLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 marzo 2005.
Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista.
Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella,
Assisi; Erba della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia,
Milano; Il figlio perduto, La Piccola, Celleno.
Pia Bruzzichelli ha lasciato nitido e luminoso un ricordo di se' in tante e
tanti, Dal sito del Pro civitate museum - osservatorio cristiano alla
Cittadella di Assisi (www.procivitate.assisi.museum) riprendiamo soave
questo estremo saluto: "Pia Bruzzichelli dall'11 febbraio 2005 contempla il
Volto del Signore, dopo averlo annunciato per tutta la vita attraverso
l'arte. Sin dal 1947 e per parecchi anni nella Pro Civitate Christiana,
attraverso contatti con gli artisti, la realizzazione di mostre, convegni e
pubblicazioni, ha contribuito alla formazione delle raccolte della Galleria
d'arte contemporanea. I suoi numerosi articoli su 'Rocca', rivista della Pro
Civitate Christiana, hanno parlato di Cristo attraverso la bellezza"]

La stampa ne ha parlato meno di quanto Pia Bruzzichelli - mancata l'11 dello
scorso febbraio - avrebbe meritato (nemmeno "Il manifesto" ne ha fatto
memoria). La ricordiamo rapidamente in queste note. Le avevo telefonato,
sapendola inferma, poco prima che mancasse, ed ero rimasta rassicurata. Ma
mi sbagliavo: il suo coraggio mi aveva ingannata.
Attivissima alla Cittadella di Assisi, si era occupata di arte, organizzando
incontri e mostre. Sposatasi poi con Gigi Rovo, con lui aveva creato un
centro di incontri e studi a San Fortunato, nelle colline prossime ad
Assisi. Di lassu', e nella successiva residenza a Bastia Umbra, aveva
condotto una vasta attivita' culturale e politica, sempre attenta agli umori
culturali e alle problematiche femminili. Chi l'ha conosciuta (un gran
numero di uomini d'arte e di cultura, nonche' di ignoti e affezionati amici)
ora ne rimpiange l'impegno o ne soffre la dipartita. Ma l'eredita' del suo
lavoro - quello conosciuto e quello, non meno importante, noto solo agli
amici - restera' a lungo, nella storia del movimento delle donne e nel cuore
di chi le e' stato vicino.

5. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI: IN MEMORIA DI OSCAR ROMERO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'".
Oscar Arnulfo Romero, nato nel 1917, arcivescovo di San Salvador, voce del
popolo salvadoregno vittima dell'oligarchia, della dittatura, degli
squadroni della morte. Muore assassinato mentre celebra la messa il 24 marzo
1980. Opere di Oscar Romero: Diario, La Meridiana, Molfetta 1991; Dio ha la
sua ora, Borla, Roma 1994 Opere su Oscar Romero: AA. VV., Il vescovo Romero,
martire della sua fede, per il suo popolo, Emi-Asal, Bologna 1980; AA. VV.,
Romero... y lo mataron, Ave, Roma 1980; James R. Brockman, Oscar Romero:
fedele alla parola, Cittadella, Assisi 1984; Placido Erdozain, Monsignor
Romero, martire della Chiesa, Emi, Bologna 1981; Abramo Levi, Un vescovo
fatto popolo, Morcelliana, Brescia 1981; Jose' Maria Lopez Vigil, Oscar
Romero. Un mosaico di luci, Emi, Bologna 1997; Ettore Masina, Oscar Romero,
Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1993 (poi riedito,
rivisto e ampliato, col titolo L'arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995); Jon Sobrino, Monsenor Romero, Uca, San Salvador 1989.
David Maria Turoldo - di cui Giulio riporta integralmente una giustamente
celebre poesia - nato in Friuli nel 1916, ordinato sacerdote nel 1940,
partecipo' alla Resistenza; collaboratore di don Zeno Saltini a Nomadelfia,
fondatore con padre Camillo De Piaz della "Corsia dei Servi", poi direttore
del "Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII" a S. Egidio Sotto il Monte.
Ha pubblicato numerose opere di riflessione religiosa, di intervento civile,
di poesia. E' scomparso nel 1992. Opere di David Maria Turoldo: della sua
vastissima produzione segnaliamo particolarmente alcune raccolte di versi:
Il sesto angelo (poesie scelte - prima e dopo il 1968), Mondadori, Milano
1976; e O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990, 1993; Ultime
poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; ed almeno la raccolta di testi in
prosa La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996. Per una
bibliografia piu' ampia: a) poesia: Io non ho mani, Bompiani, Milano 1948;
Udii una voce, Mondadori, Milano 1952; Gli occhi miei li vedranno,
Mondadori, Milano 1955; Preghiere tra una guerra e l'altra, Corsia dei
Servi, Milano 1955; Se tu non riappari, Mondadori, Milano 1963; Poesie, Neri
Pozza, Vicenza 1971; Fine dell'uomo?, Scheiwiller, Milano 1976; Il sesto
angelo, Mondadori, Milano 1976; Laudario alla Vergine, Dehoniane, Bologna
1980; Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, Napoli
1978, poi Gei, Milano 1984; Impossibile amarti impunemente, Quaderni del
Monte, Rovato 1982; Ritorniamo ai giorni del rischio, Cens, Liscate 1985; O
gente terra disperata, Paoline, Roma 1987; Il grande Male, Mondadori, Milano
1987; Come possiamo cantarti, o Madre?, Diakonia della theotokos, Arezzo
1988; Nel segno del Tau, Scheiwiller, Milano 1988; Cosa pensare., La Rosa
Bianca, Trento 1989; Canti ultimi, Carpena, Sarzana 1989, poi Garzanti,
Milano 1991; (con G. Ravasi), Opere e giorni del Signore, Paoline, Cinisello
Balsamo 1989; O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990; Mie
notti con Qohelet, Garzanti, Milano 1992; Ultime poesie (1991-1992),
Garzanti, Milano 1999; Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002; b) teatro: La
terra non sara' distrutta, Garzanti, Milano 1951; Da una casa di fango
(Job), La Scuola, Brescia 1951; La passione di San Lorenzo, Morcelliana,
Brescia 1961, poi Citta' Armoniosa, Reggio Emilia 1978; Vigilia di
Pentecoste, Giac (pro manuscripto), Milano 1963; Oratorio in memoria di
frate Francesco, Messaggero, Padova 1981; Sul monte la paura, Cens, Liscate
1983; La morte ha paura, Cens, Liscate 1983; c) saggistica: Non hanno piu'
vino, Mondadori, Milano 1957, poi Queriniana, Brescia 1979; La parola di
Gesu', La Locusta, Vicenza 1959; Tempo dello Spirito, Gribaudi, Torino 1966;
Uno solo e' il Maestro, Signorelli, Milano 1972; Nell'anno del Signore,
Palazzi, Milano 1973; Alla porta del bene e del male, Mondadori, Milano
1978; Nuovo tempo dello Spirito, Queriniana, Brescia 1979; Mia terra addio,
La Locusta, Vicenza 1980; Povero Sant'Antonio, La Locusta, Vicenza 1980; (a
cura di), Testimonianze dal carcere, Paoline, Roma 1980; Amare, Paoline,
Roma 1982; Perche' a te, Antonio?, Messaggero, Padova 1983; Ave Maria, Gei,
Milano 1984; (con A. Levi, M .C. Bartolomei Derungs), Dialogo sulla
tenerezza, Cens, Liscate 1985; L'amore ci fa sovversivi, Joannes, Milano
1987; Come i primi trovadori, Cens, Liscate 1988; Il diavolo sul pinnacolo,
Paoline, Cinisello Balsamo 1988; Il Vangelo di Giovanni, Rusconi, Milano
1988; Per la morte (con due meditazioni di P. Mazzolari), La Locusta,
Vicenza 1989; Amar, traduzione portoghese, a cura di I. F. L. Ferreira,
Paulinas, Sao Paulo 1986; (con R. C. Moretti), Mani sulla vita, Emi, Bologna
1990; La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996; Il mio amico
don Milani, Servitium, Sotto il Monte 1997; Il dramma e' Dio, Rizzoli,
Milano 1992, 1996, 2002; d) traduzioni: I Salmi, Dehoniane, Bologna 1973;
Salterio Corale, Dehoniane, Bologna 1975; Chiesa che canta, volumi I-VII,
Dehoniane, Bologna 1981-1982; (con G. Ravasi), "Lungo i fiumi..." - I Salmi,
Paoline, Cinisello Balsamo 1987; Ernesto Cardenal, Quetzalcoatl, Mondadori,
Milano 1989; e) narrativa: ... E poi la morte dell'ultimo teologo, Gribaudi,
Torino 1969. Opere su David Maria Turoldo: un'utile bibliografia di avvio e'
in D. M. Turoldo, Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002]

Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, viene assassinato con
indosso i paramenti sacri mentre celebra la messa nella cattedrale il 24
marzo 1980 (venticinque anni fa) perche' era diventato un acceso sostenitore
di una giusta pace e si era apertamente opposto alle forze della violenza e
dell'oppressione. Perche' difendeva i poveri, perche' chiedeva ai soldati di
non sparare piu' sui contadini, perche' aveva chiesto pubblicamente al
Presidente degli Usa di non mandare piu' armi all'esercito salvadoregno.
Padre David Maria Turoldo, alcuni anni dopo, ha scritto questa poesia:

"In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi..."

Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero.
Ucciso infinite volte
dal loro piombo
e dal nostro silenzio.

Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.

Ucciso perche' fatto popolo: ucciso perche' facevi
"cascare le braccia
ai poveri armati",
piu' poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.

Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sara' un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pieta'.

Non ci sara' un potente, mai,
che abbia pieta'
di queste turbe, Signore?
Nessuno che non venga ucciso?

Sara' sempre cosi', Signore?
*
Difficile, davvero, per tutti noi, nel terzo millennio, ricordare il
martirio di Romero.
Eppure qualcosa ci spinge ancora a soffermarci, a leggere la sua vita, ad un
quarto di secolo da quel colpo di fucile... tra passato e  presente.
Il passato e' il Centro America degli anni '80, con tutto il suo scenario di
spaventose atrocita': una delle principali stanze degli orrori del mondo. I
gorilla militari armati ed addestrati da Washington (nella famigerata
Escuela de las Americas gestita dal Pentagono a Panama, in cui i vertici
delle forze armate latino-americane venivano addestrate alla tortura, agli
attentati, agli omicidi), hanno devastato la regione distruggendo tutto e
rendendosi protagonisti di un'orribile serie di nefandezze, dall'aggressione
al terrore, condannate dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja.
Sentenza che Washington, complice il silenzio dei governi "democratici"
occidentali, ha ignorato alzando le spalle fra l'irritazione e il disprezzo.
Cosi' gli Stati Uniti non hanno mai pagato l'oneroso rimborso al Nicaragua
in miseria fino a quando il debito legale e' stato condonato dalla
presidente Violeta Chamorro, nella vana illusione che gli aiuti
nordamericani al paese appena "scampato" al pericolo sandinista (febbraio
1990), sarebbero stati notevolmente superiori. Era l'applicazione della
legge del piu' forte, una legge che, com'e' noto, non riconosce altro
diritto che quella della forza.
In questo senso e' cambiato poco o nulla, anche se siamo passati dalle
guerre "a bassa intensita'" (che Romero ha ben conosciuto), ad una serie
infinita di aggettivi che affiancano il sostantivo guerra: chirurgica,
umanitaria, preventiva, infinita, ecc.
Soltanto, che in nome della sicurezza nazionale, gli Stati Uniti d'America
continuano a travolgere ogni legalita' internazionale e i diritti umani dei
popoli, le loro sovranita' nazionali; oggi sono il carcere di Guantanamo, i
bombardamenti in Afghanistan, o le torture in Iraq.
Il presente e' tutto racchiuso nell'interrogativo di quelle morti: Romero,
Marianella Garcia Villas, i sei gesuiti dell'Uca massacrati il 16 novembre
1989, solo per ricordare quelli piu' conosciuti; e poi quelle di decine di
migliaia di salvadoregni, guatemaltechi, nicaraguensi, ecc.
Apparentemente, ora tutto e' cambiato: dopo il tempo dei gorilla militari,
adesso siamo entrati nell'era del neoliberismo; ma gli Usa hanno lasciato
sostanzialmente i Paesi centroamericani devastati, forse, oltre la loro
possibilita' di ripresa, disseminati di migliaia di cadaveri torturati e
mutilati.
Da noi, in Italia, i nostri benpensanti farebbero bene a rinfrescare la
memoria storica, a guardare con attenzione, e senza pregiudizi a quanto
accadeva nel lontano continente americano; in particolare in quello che gli
Stati Uniti hanno da sempre considerato il "cortile di casa". Cosi' come i
tanti che elogiano acriticamente il pontificato di Giovanni Paolo II,
farebbero bene a rinfrescare la memoria storica, ricordando che proprio in
America latina e in Centro America e' venuto fuori il lato peggiore di
Wojtyla.

6. MEMORIA. MARCO BERTOTTO: PETER BENENSON, IL CAVALIERE DELLA COSCIENZA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 febbraio 2005. Marco Bertotto e'
presidente della sezione italiana di Amnesty International. Peter Benenson
di Amnesty International e' stato il fondatore]

L'avvocato inglese Peter Benenson e' morto venerdi', all'eta' di 83 anni,
nell'ospedale Jonh Radcliffe di Oxford. Sono milioni in tutto il mondo le
vittime di persecuzioni e violazioni dei diritti umani che conservano un
debito di riconoscenza nei suoi confronti. E' stata la sua ispirazione, nel
1961, a lanciare quella che sarebbe stata presto definita "la repubblica
della coscienza", Amnesty international: un movimento globale di attivisti
per i diritti umani, impegnati a denunciare le ingiustizie dei governi ed
esprimere solidarieta' verso le vittime.
L'intera vita di Peter Benenson e' stata dedicata a combattere l'ingiustizia
nel mondo. Racconta chi lo conosceva da vicino che all'eta' di 16 anni
riusci' nell'impresa di coinvolgere la sua scuola in una campagna per il
sostegno agli orfani della guerra civile spagnola. Sempre a scuola si
dedico' in quegli anni alla sorte di alcuni ebrei in fuga dalla Germania di
Hitler.
Dopo aver studiato storia all'universita' di Oxford, Peter Benenson si
arruolo' nell'esercito inglese, fungendo da addetto stampa. In seguito
lascio' le forze armate ed inizio' ad esercitare la professione legale. Si
iscrisse al Partito laburista.
All'inizio degli anni '50, il sindacato inglese decise di inviarlo in Spagna
ad osservare i processi che si stavano celebrando contro alcuni sindacalisti
locali. Benenson rimase sconvolto da cio' che vide e, con piglio
professionale e forte impegno civile, decise di preparare una lista completa
delle inadempienze legali da discutere con il giudice. Anche grazie alla sua
intransigenza, la sentenza finale del processo fu di completa assoluzione.
Una rarita' nella Spagna franchista.
E' stato attraverso queste attivita' che Peter Benenson inizio' a
conquistare una reputazione internazionale. A Cipro sostenne l'attivita' di
alcuni avvocati greci impegnati a far prevalere il diritto contro le logiche
perverse della burocrazia inglese; convinse poi suoi colleghi avvocati a
recarsi in Ungheria come osservatori internazionali durante i fatti del
1956, e poi in Sudafrica per seguire un importante processo sulle liberta'
civili. Il successo di questi interventi lo porto' a decidere la
costituzione dell'organizzazione inglese Justice.
E' stata questa costante attivita' in favore dei diritti umani a gettare le
fondamenta per quello che sarebbe stato il suo piu' eccezionale contributo,
il significato di una vita intera spesa rincorrendo l'ideale di un mondo
piu' giusto.
Nel maggio del 1961, lesse dell'arresto di due giovani che in un caffe' di
Lisbona avevano brindato alla liberta' delle colonie portoghesi.
L'indignazione che suscito' in lui quel fatto lo porto' a pubblicare su un
settimanale di Londra un articolo intitolato "I prigionieri dimenticati".
Era un appello per un campagna di dodici mesi dedicata alla liberazione di
tutti i prigionieri per motivi di opinione: l'adesione entusiasta di
migliaia di persone in tutto il mondo convinse Benenson a trasformare quella
campagna in cio' che sarebbe divenuto il piu' importante movimento globale
per i diritti umani. Da quel giorno, il termine "prigioniero di coscienza"
divenne di uso comune e il logo del movimento, una candela con filo spinato
intorno, un simbolo universale di speranza e liberta'.
Nei primi anni di vita di Amnesty international, Peter Benenson lavoro'
instancabilmente alla sua idea rivoluzionaria. Assicuro' all'organizzazione
il sostegno finanziario per muovere i primi passi, prese parte ad alcune
missioni di ricerca, si occupo' di tutte quelle incombenze necessarie a far
crescere in dimensioni ed importanza la sua creatura.
Nel 1966 scoppio' una crisi interna al movimento a seguito della
pubblicazione di un rapporto di Amnesty sulle torture commesse dalle forze
armate inglesi. Peter Benenson ipotizzo' che i servizi segreti si fossero
infiltrati all'interno di Amnesty. Un'indagine indipendente smenti' questa
supposizione e spinse Benenson a ritirarsi temporaneamente
dall'organizzazione.
Torno' a tempo pieno alla meta' degli anni '90. Il 10 aprile 2001, il "Daily
Mirror" lo insigni' del premio Orgoglio della Gran Bretagna. Era il
quarantesimo anniversario dalla nascita di Amnesty international.
Lo ricorderemo con le parole pronunciate in occasione dei 25 anni di
Amnesty, una sorta di testamento spirituale tradotto in decine di lingue:
"Questa candela non brucia per noi, ma per tutte quelle persone che non
siamo riuscite a salvare dalla prigione, che sono state uccise, torturate,
rapite, scomparse. Per loro brucia la candela di Amnesty International".

7. RIFLESSIONE. OTTAVIO DI GRAZIA: DIETRICH BONHOEFFER, LA LIBERTA' E
L'IMPOTENZA DI DIO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 12 aprile 2002.
Ottavio Di Grazia e' docente di storia delle religioni all'Istituto suor
Orsola Benincasa dell'Universita' di Napoli, e di storia della diaspora
ebraica all'Universita' di Trieste.
Dietrich Bonhoeffer, nato a Breslavia nel 1906, pastore e teologo, fu ucciso
dai nazisti il 9 aprile del 1945; non e' solo un eroe della Resistenza, e'
uno dei pensatori fondamentali del Novecento. Opere di Dietrich Bonhoeffer:
Resistenza e resa (lettere e scritti dal carcere), Paoline, Cinisello
Balsamo (Mi) 1988; Etica, Bompiani, Milano 1969; presso la Queriniana di
Brescia sono stati pubblicati molti degli scritti di Bonhoeffer (tra cui
ovviamente anche Sanctorum Communio, Atto ed essere, Sequela, La vita
comune). Opere su Dietrich Bonhoeffer: Eberhard Bethge, Dietrich Bonhoeffer,
amicizia e resistenza, Claudiana, Torino 1995; Italo Mancini, Bonhoeffer,
Morcelliana, Brescia 1995; AA. VV., Rileggere Bonhoeffer, "Hermeneutica"
1996, Morcelliana, Brescia 1996; Ruggieri (a cura di), Dietrich Bonhoeffer,
la fede concreta, Il Mulino, Bologna 1996]

Alle prime luci dell'alba del 9 aprile 1945 Dietrich Bonhoeffer (pastore
luterano, uno fra i massimi teologi del Novecento, membro attivo della
resistenza al nazismo) viene impiccato a Flossenburg, per ordine del Fuehrer
in persona. Aveva 39 anni.
Dietrich Bonhoeffer e' sicuramente un caso singolare nel panorama della
teologia contemporanea, Ed e' significativa la fortuna arrisa a questo
teologo dopo la sua morte.  In Italia a dare risalto all'autore dei testi
raccolti in Resistenza e Resa era stato nel 1969 Italo Mancini con una
ricostruzione complessiva del pensiero bonhoefferiano. Due anni prima veniva
pubblicata quella che a tutt'oggi e' considerata la piu' importante
biografia dedicata a Bonhoeffer, quella dell'amico Eberhard Bethge. Una
biografia che metteva in luce lo stretto legame esistente tra la vita e il
pensiero di Bonhoeffer. Prospettiva che nel 1971 veniva confermata
dall'importante lavoro di Feil, il quale estendeva al versante teorico
l'analisi sviluppata da Bethge. Recentemente, Alberto Gallas ha proposto una
magistrale ricostruzione del cammino di fede e di pensiero del teologo
tedesco.
*
Il rischio per un'opera che gode di una fortuna postuma e' quello di essere
catturata dentro infinite maschere che non gli appartengono. Se poi a questo
aggiungiamo il fatto che Bonhoeffer non ha lasciato opere sistematiche,
allora il rischio di una facile appropriazione acritica da parte di
chicchessia diventa ancora piu' allarmante. Infatti si tradirebbe Bonhoeffer
se non si leggesse tutta la sua teologia e la sua testimonianza di credente
alla luce della Parola di Dio che resta l'unica chiave di lettura possibile
per decifrare il rapporto fra ultimo e penultimo; fra teologia e storia; fra
l'annuncio della salvezza e la sua realizzazione; fra gia' e non ancora; fra
fedelta' a Dio e alla terra.
In anni in cui lo smarrimento delle coscienze era reso piu' acuto dalla
tragedia dei totalitarismi e dai campi di sterminio, Bonhoeffer ha scelto la
strada dell'esposizione della propria esistenza, della testimonianza forte e
intransigente.
Le tappe fondamentali della vita e della ricerca di Bonhoeffer illustrano
ampiamente la ricchezza e la complessita' di un laboratorio teologico che
culmina in opere come Sanctorum Communio, Sequela, Etica e Resistenza e
Resa. La sua opera, pero', non sarebbe comprensibile senza l'intensa
attivita' pastorale che Bonhoeffer seppe dispiegare. Solo questo intreccio
di pensiero e azione; solo questa riflessione su Dio e sull'essere umano
come essere plurale, irriducibile a strutture e fondamenti o principi
esplicativi che non siano nutriti della carne e del sangue di uomini e donne
con nome e cognome, poteva determinare una delle critiche piu' radicali alla
tradizione teologica e filosofica occidentale. Solo in questo senso
Bonhoeffer poteva affrontare la frammentazione della modernita' e tentare di
coniugare l'esigenza di un cristianesimo integralmente vissuto con quella di
un mondo diventato adulto.
*
Qui si apre la scena sulla quale appaiono le questioni e le interrogazioni
bonhoefferiane: la dimensione dialogica della teologia, il recupero
originale dei contenuti (delle  Scritture ebraiche e cristiane, la sequela
di Cristo, la Chiesa, la teologia della Croce, l'incarnazione, la questione
ebraica ("soltanto chi alza la voce a favore degli ebrei puo' cantare il
gregoriano"), l'ecumenismo, la testimonianza contro il nazismo nella Chiesa
Confessante, la dottrina della giustificazione, la non-religiosita' del
mondo moderno, l'etica della responsabilita'.
Bonhoeffer ricorda nella sua opera una figura paolina, quella dell'anthropos
teleios.  Chi e' l'anthropos teleios? (cui si e' richiamato Alberto Gallas,
nel suo libro sul teologo luterano).
Per rispondere a questa domanda decisiva occorre, sia pure di sfuggita,
ricordare una delle questioni centrali della filosofia heideggeriana che ha
attraversato il dibattito filosofico di questo secolo: quella del rapporto
fra esistenza autentica e inautentica.  L'immagine di uomo che per
Bonhoeffer simboleggia l'esistenza inautentica e' l'uomo dalle due anime,
dal cuore diviso, che accetta i conflitti e le contrapposizioni come un dato
statico e insuperabile della realta'; mentre colui che mette in movimento i
conflitti, e ristabilisce una relazione tra i poli contrapposti, e'
l'anthropos teleios, l'uomo compiuto, nella cui essenza si realizza,
consapevolmente o inconsapevolmente, sia egli "cristiano" o sia "pagano",
l'invito di Gesu' ad essere teleioi, appunto "perfetti".
L'anthropos teleios e' l'uomo che sa vivere autenticamente la propria vita,
non nell'anticipazione della morte, ma nell'essere per gli altri, nella
responsabilita' per altri, nell'ascolto, nel dialogo.
*
Il Moderno, la Secolarizzazione introducendo un "mondo senza Dio", un mondo
dal quale tutti "gli dei sono fuggiti" segna anche la "fine di tutte le
cose", di tutte le grandi parole, dei valori. Ha senso dunque cercare ancora
Dio? La risposta di Bonhoeffer e' netta. Se la volonta' di Dio e' la
liberta' dell'umanita', in nome di questa liberta' egli si lascia espellere
dal mondo sulla Croce.
L'impotenza di Dio, il lacerante problema della finitezza, rendono piu'
acuta la necessita' di un pensiero che non dichiari il suo lungo addio dalla
vita. La responsabilita' per altri non e' la risposta, debole, alla
sconfitta di Dio nel Moderno, ma il tentativo di guardare alla salvezza come
a qualcosa di essenziale, persino sotto la forma della marginalita', del
vuoto, del frammento. Un Dio che salva nonostante tutto e salva nel cuore
del "villaggio".
Gli interrogativi di Bonhoeffer rimangono centrali ed essenziali per tutti
coloro che amano il fascino rischioso del pensiero in cui ne va della vita
stessa.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 870 del 16 marzo 2005

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