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La nonviolenza e' in cammino. 757



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 757 del 12 dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti: non uccidere per non morire
2. Riccardo Orioles: gasparizzazione
3. Giancarla Codrignani: una lettera aperta
4. Salvatore Scaglione intervista Antonio Cassese
5. Stefania Giorgi: bestiario in diciotto articoli
6. Ida Dominijanni: scienza e coscienza
7. Aggiornamento del "Cos in rete" e un blog per ampliare la partecipazione
8. Letture: Milena da Praga. Lettere di Milena Jesenska' 1912-1940
9. Riletture: S. Teresa di Gesu', Opere
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: NON UCCIDERE PER NON MORIRE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscali.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui abbiamo pubblicato il
piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di questo foglio, ricerca una
cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato appunto successivamente
aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario
della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.arpnet.it/regis, www.ilfoglio.org.
Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel
n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

"Andare verso la morte, uccisi ed uccisori, vittime ed assassini, rovescia
la ragione per cui si nasce e si cresce; gli atti quotidiani e le energie
spese non sono piu' un arricchimento del patrimonio umano, ma il contrario;
ed ancora di piu' quando questa scelta viene studiata e pianificata per
uccidere cittadini inermi o sparare nel mucchio: qui non e' persa solo la
speranza nel presente, ma anche la speranza nel futuro, e' la morte della
speranza stessa anche quando puo' sembrare di vincere. Vincere che cosa, se
perdi te stesso? La nonviolenza puo' rappresentare la conquista piu' alta
che i progressisti democratici possono fare per motivi etici, perche'
nobilita non soltanto i loro atti politici, ma anche il loro modo di vedere
e di pensare il mondo e l'essere umano nella sua centralita', dentro l'agire
politico e le sue scelte fondamentali per il futuro".
Cosi' scrive Ali Rashid, primo segretario della delegazione palestinese in
Italia (in "La nonviolenza e' in cammino", n. 739 del 23 novembre 2003), in
risposta all'appello di Farid Adly, che comincia con queste parole: "Noi
intellettuali arabi e musulmani, presenti in Italia e in Europa, non
possiamo piu' esimerci dal prendere una posizione chiara ed esplicita di
rifiuto del terrorismo" (ivi, n. 738 del 23 novembre 2003).
Le prime parole del brano citato di Rashid ricordano un detto di Mohamed, il
profeta dell'Islam: "Disse l'Inviato di Dio, il Profeta: "Quando due
musulmani si affrontano, armati di spada, l'ucciso e l'uccisore andranno
all'inferno". Allora gli chiese il discepolo Abu Bakrah: "Questo per
l'uccisore, o Inviato di Dio, ma perche' per l'ucciso?". Rispose il Profeta:
"Perche' bramava uccidere il suo compagno"". (Detti e fatti del Profeta
dell'Islam raccolti da al-Buhari, a cura di V. Vacca, S. Noja, M. Vallaro,
Utet, Torino 1982, cap. II, La fede, pp. 83-94, n. 13; citato in Per un
percorso etico tra culture, a cura di Pier Cesare Bori e Saverio
Marchignoli, Carocci, Roma 1996, seconda edizione 2003, p. 174). E' evidente
l'assonanza col vangelo: "Tutti quelli che prendono la spada, di spada
periranno" (Matteo 26, 52), dove non si tratta solo del perire fisico, ma
del perire umano.
*
Bisogna chiarire il famoso detto di Christa Wolf secondo cui tra l'uccidere
e il morire l'alternativa e' vivere. Il vivere, infatti, non sfugge al
morire. Il dilemma da cui vogliamo uscire vivi e' tra l'uccidere e l'essere
uccisi. Questa e' la tenaglia maledetta con cui la guerra, e ogni violenza,
ti persuadono ad uccidere, rubandoti l'umanita' per lasciarti la vita
animale.
Da ogni guerra si torna o morti o assassini. Si salvano i disertori.
Uccidere e' morire ancor piu' che l'essere uccisi. Infatti, io moriro'
certamente, o per limite naturale, o per mano umana. Dal punto di vista
della mia situazione (diverso e' per chi mi uccide), il venire ucciso sara'
soltanto un'anticipazione temporale rispetto al morire. Forse potrebbe
essere addirittura meno doloroso e umiliante di una lunga decadenza e
malattia. Non posso sapere se guadagno o perdo vita nel venire ucciso, come
Socrate non lo sapeva del semplice morire. Perdo anni di vita, ma, come
diciamo giustamente, conta di piu' dar vita agli anni che anni alla vita.
Non e' affatto detto che venire ammazzati sia il massimo male, da cui
difenderci con ogni mezzo. Se mi uccidono mentre lotto per una causa giusta,
muoio vivendo per un motivo umano, e non per mero esaurimento biologico.
Invece, se io uccido, anche per difendermi dall'essere ucciso - per questo
atto (difesa legittima, omicidio legittimo, depenalizzato) la societa' non
mi condanna - mi faccio autore di morte, la morte mi usa; divento rapinatore
di una vita che devo guardare, anche quando e' colpevole, con rispetto sacro
e assoluto, se voglio sperare lo stesso rispetto. L'evoluzione umana non e'
ancora arrivata, nelle morali, nelle leggi, nelle stesse religioni, a saper
superare la giustificazione dell'uccidere per evitare di essere uccisi.
Anche le legge migliori (Costituzione italiana, Carta dell'Onu) giustificano
ancora, entro molti limiti, la guerra di difesa. Ma le alternative a questi
omicidi legittimati sono la necessaria direzione di ricerca, spirituale
anzitutto, quindi pratica e politica.
Se io uccido una vita tolgo rispetto alla mia vita. Questo e' il piu' serio
fondamento possibile alla pena di morte: non la vendetta, ma la presunta
perdita del diritto alla vita in chi toglie ad altri la vita, a cui hanno
diritto. Eppure, la pena di morte va ugualmente condannata, perche' bisogna
evadere, come individui e come societa', dal mimetismo riproduttivo del
male, e trascenderlo. La legge contro il crimine non puo' somigliare al
crimine.
Invece, se vengo ucciso, mi e' tolta la vita fisica, ma diritto e dignita',
indistruttibili, sono intatti, anzi risaltano, come afferma l'onore che
rendiamo alle vittime. La dignita' e' inviolabile: "Non vi spaventate per
quelli che possono uccidere il corpo ma non possono uccidere l'anima"
(Matteo 10, 28). Qui non si tratta di una sostanza immortale, come ha
pensato una filosofia, ma del senso e valore imperdibile della vita offesa,
che dunque non rimane perduta.
*
L'obiezione di coscienza alla pena di morte, alle economie omicide, alla
guerra, all'esercito, alla fabbricazione e commercio di armi, alle spese e
alla cultura militare, alle politiche che includono tutto cio' nel catalogo
dei propri mezzi; il rifiuto del reclutamento obbligatorio come di quello
mercenario, la propaganda antimilitarista, la condanna delle culture e
politiche di dominio; queste obiezioni oggi non spettano solo al soldato, ma
al cittadino e alla cittadina qualunque, ribelli nonviolenti alla societa'
violenta, che li vuole coinvolgere in mille modi. Tutto questo, unito
all'impegno costruttivo di gestione nonviolenta dei conflitti, e' l'atto
restauratore di umanita', che afferma l'uscita in avanti, non di lato, dal
dilemma bellico: uccidere o venire uccisi.
A questa tenaglia, in entrambi i casi mortale, sfugge anche l'obiettore,
come Franz Jaegerstaetter, che paga con la vita, che non si sottrae al
venire ucciso da quella stessa autorita' dia-bolica (cioe', operatrice di
divisione), che gli comandava di uccidere. E questa autorita' non e' solo il
nazismo, ma ogni stato o potere che fa guerra e violenza, qualunque sia la
ragione che adduce.
Sulla tomba di Jaegerstaetter, nel pellegrinaggio internazionale compiuto il
9 agosto, nel giorno del sessantesimo anniversario del suo
martirio-testimonianza, ho visto che un morto come questo - incatenato,
decapitato, sotterrato, tacitato, annullato - agisce, parla, convoca,
insegna, ammonisce, testimonia, riunisce, incoraggia, consola, guarisce,
riconcilia, sprona, mette in cammino, costruisce politica e storia,
trasmette uno spirito, dunque vive: e' molto piu' vivo lui oggi di quanto
era vivo e potente chi allora lo ha ucciso. Molto piu' vivo lui di noi che
vivacchiamo nella paura e nell'incoscienza. Sperare si deve. Essere ucciso
per la giustizia e' vivere e produrre vita piu' del sopravvivere
fisicamente. Uccidere e' morire piu' di colui che e' ucciso. In Capitini
c'e' questa idea: la vita senza morte comincia col non uccidere.
Percio' ogni causa giusta - come dice Ali Rashid - deve ripudiare
attivamente l'uso della morte, che restera' il contrassegno delle cause
ingiuste.

2. EDITORIALE. RICCARDO ORIOLES: GASPARIZZAZIONE
[Dal notiziario telematico "Tanto per abbaiare" n. 208 dell'8 dicembre 2003.
Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles@libero.it) e' giornalista
eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e
quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e
coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani",
poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura attualmente
in rete "Tanto per abbaiare", un eccellente notiziario che puo' essere
richiesto gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha
formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani.
Per gli utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere
una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro
elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e'
possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri
suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e
letterari. Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando
Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini
perbene (Einaudi, Torino 1999)]

Gasparizzazione. L'informazione e' libera, ogni cittadino ha il pieno
diritto di fondare una sua televisione e di gestirla come vuole a condizione
di avere quel paio di miliardi di euri che oggi sono necessari per stare sul
mercato. La legge Gasparri non reprime (quasi) niente: dice semplicemente
che la televisione e' un monopolio in vendita al migliore offerente, che per
pura combinazione e' Berlusconi.
I concorrenti possono venire non piu' dall'Italia, dove non ci sara' mai
piu' la massa critica per fare un'altra televisione ma dall'Australia
(Murdoch), dal Brunei (il sultano), dalla Cina (quando entrera' nel settore)
o dalle due multinazionali americane. Dunque non e' che non ci sia
concorrenza. Semplicemente, non e' piu' concorrenza italiana. Con questo, la
storia della televisione finisce, e comincia quello di uno strumento tecnico
che sta fra l'intrattenimento e la propaganda; non sara' affatto vietato
criticare garbatamente il potere, purche' non sulle cose importanti; e'
ammessa Striscia la Notizia, non e' ammessa Samarcanda. Tutto qua.
La carta stampata segue, poiche' la raccolta pubblicitaria (da quando i
giornali hanno deciso di basarsi solo sulla pubblicita') e' di molto
inferiore a quella della televisione. Non e' solo in Italia: in Inghilterra,
patria della liberta' di stampa, Murdoch sta trasformando il Times in
tabloid proprio in queste settimane; in America ("E' la stampa, bellezza")
la Cnn ha ormai dei regolari fogli d'ordini sullenotizie ammesse.
"E' concepibile un paese senza governo, ma non senza libera stampa": chi
l'ha detto? Non Lenin, probabilmente; l'informazione libera era alla base
della civilta' liberale dell'ottocento, quanto e forse piu' dei parlamenti.
E ora, semplicemente, non c'e' piu'. Possiamo benissimo dire, ai nostri tre
amici, quel che ci pare; ma non possiamo piu' farlo arrivare agli altri
cittadini, poiche' non ci sono piu' i canali. Le scelte politiche non
possono dunque piu' essere, in senso largo, collettive, ma solo individuali;
o dell'individualita' che comanda, e che spalma le proprie idee individuali
su tutto il mondo, o dell'individualita' che subisce, e che cerca di
percorrere un proprio individuale percorso interno. La discussione, la
piazza, la polis, non c'e' piu'; ne restano dei succedanei a fini
d'addolcimento, per tener buona la generazione che ha conosciuto la
democrazia; ma fra una decina di anni neanche questi ci saranno piu'.
Ne' la Cnn, ne' i tabloid inglesi, ne' la Tv russa ne' Mediaset-Rai sono
piu' stampa libera nell'accezione liberale ottocentesca; ne' Bush, ne'
Blair, ne' Putin ne' Berlusconi sono leader parlamentari nell'accezione
liberale ottocentesca. Ciascuno di questi media e' organo - propaganda e
consenso - di un potere ben delineato; nessuno di questi leader e' stato
eletto regolarmente nel corso di libere e paritarie elezioni. Berlusconi non
e' l'eccezione, e' il mondo nuovo; rozzo, naturalmente, e texano e
brianzolo; la prossima generazione di berlusconi sara' molto piu' "seria" e
"professionale". Non sara' democratica, naturalmente.
*
Per quanto personalmente mi riguarda, sono stato gasparizzato tanti anni fa,
per cui la gasparizzazione collettiva mi tocca, egoisticamente, solo di
riflesso.
In questi vent'anni ho imparato pero' che ci sono tante vie per continuare a
informare. Da soli, per dare testimonianza, almeno quella; ma, in gruppo,
anche per produrre degli strumenti che arrivino da qualche parte, che
facciano danno. Che cosa facciamo adesso, dopo Gasparri? L'idea che la
televisione pubblica deve morire e' passata con l'unanimita' sostanziale di
tutti quanti. L'idea che l'informazione e' mercato, e non diritto acquisito
del cittadino, unifica l'onorevole Berlusconi di Forza Italia e il senatore
Debenedetti dei Ds.
Come gestiranno costoro la fase successiva? Cercheranno di ritagliarsi degli
spazi privati, piu' o meno vasti, ma comunque privati, nel nuovo mondo. Che
cosa proporranno a noi professionisti dell'informazione, ai giornalisti? Di
scegliere il privato meno brutale, di salvare se non il diritto del pubblico
ad essere informato sempre e comunque almeno qualche briciola occasionale di
liberta'. Una aurea mediocritas oraziana (Augusto in tv ha avuto successo,
mi dicono), con molte rassegnazioni e molte nostalgie.
C'e' poi un'altra strada, che e' la mia.
Buttarsi su tecniche nuove, non ancora invase; gettare subito un guanto,
sperando che sia raccolto e che faccia pensare; puntare sui ragazzi che
crescono, sulla humanitas istintiva dei giovani esseri umani; e ipotizzare
coerentemente un Gutenberg nuovo. "Buscar el levante por el poniente": se la
televisione col telecomando ormai e' conquistata, lasciamogliela, e puntiamo
su un continente - l'interattivita', lo scambio veloce, la parita' coi
lettori, la rete - completamente nuovo, su cui non sono ancora arrivati. Ma
bisogna puntarci tutto, fino in fondo, senza guardarsi indietro. Fa male -
ad esempio - Dario Fo, dopo tanto dibattito su tv alternative e di strada,
ad affittare un canale... da Murdoch. Non perche' sia sbagliato
"politicamente", qui ed ora: ma perche' fara' danno in avvenire, impedira'
di seguire l'altra strada.

3. LETTERE. GIANCARLA CODRIGNANI: UNA LETTERA APERTA
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri@libero.it) per
averci messo a disposizione questa lettera aperta inviata all'Autorita' per
le garanzie delle comunicazioni. Giancarla Codrignani, presidente della Loc
(Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare,
saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la
pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per
la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea
intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992;
Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi)
1994]

Al prof. Enzo Cheli
Autorita' per le garanzie delle comunicazioni

Caro professore,
mi rivolgo a lei come cittadina danneggiata nel suo diritto a ricevere dal
sistema radiotelevisivo pubblico un'informazione qualificata e
caratterizzata - come sostiene la Corte Costituzionale nella sentenza 112
del 24 marzo 1993- "dal pluralismo delle fonti... dall'obiettivita' e
imparzialita' dei dati forniti, dalla completezza, dalla correttezza e dalla
continuita' dell'informazione erogata, dal rispetto della dignita'
umana...".
Chiunque abbia occasione, anche solo saltuariamente, di vedere le
programmazioni televisive si rende conto di quanto esse contraddicano - e da
troppo lungo tempo - i principi sopra rappresentati e, in particolare,
quanto offendano l'intelligenza degli utenti.
*
Non e' il caso di elencare i documenti molte volte menzionati in questi
giorni che convalidano come diritti i principi di una corretta informazione:
dall'art. 21 della Costituzione italiana, all'art. 19 della Dichiarazione
dei diritti umani, dalla Convenzione di Roma al Patto di New York, dalle
sentenze della Corte costituzionale (con particolare sottolineatura la n.
466 del 20 novembre 2002, che si appella anche ai principii europei), alla
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, alle deliberazioni
dell'Ordine dei giornalisti e dei relativi consigli regionali, le
indicazioni sono molteplici e inequivoche.
Mesi or sono decisi di presentare un'obiezione di coscienza al pagamento del
canone all'Agenzia delle imposte; in seguito accettai di regolarizzare la
posizione per l'incompetenza della struttura fiscale nella gestione della
tassa di concessione. In seconda istanza ho inviato richiesta di ripetizione
del canone alla direzione Rai/tv che, nell'esimersi dalla responsabilita',
si e' dichiarata disposta a tener conto delle osservazioni rivolte.
*
A questo punto chiedo a lei che cosa puo' fare un cittadino per difendere i
suoi diritti. Con l'approvazione della legge Gasparri il Governo detentore
delle azioni Rai verra' a nominare il Consiglio di amministrazione e avra'
non solo il controllo totale sull'informazione pubblica, ma anche aumentera'
con la raccolta pubblicitaria la quota di mercato di Mediaset (che oggi e'
passata dall'1,9 % al 2,5 %, nonostante il calo dell'audience): e' cio' che
il prof. Leopoldo Elia definisce il premierato assoluto e comporta per la
pubblica opinione la perdita del diritto ad essere informata correttamente.
Anche accettando che il canone riguardi la detenzione di un elettrodomestico
che non e' necessario usare, siccome non si tratta di uno strumento
qualsiasi, ma del mezzo con cui io posso realizzare il mio diritto a essere
informata, chiedo come sia possibile far rispettare nel nostro paese - anche
a partire da una denuncia individuale - i principi elencati nei documenti
formali sopra citati.
O forse lei mi suggerisce di attendere gli esiti dell'inchiesta sullo stato
dell'informazione in Italia ordinata dall'Europarlamento?
*
Mi inquieta leggere che "Reporters sans frontieres" ha collocato l'Italia al
cinquantatreesimo posto nella scala mondiale del rispetto dell'informazione
e vedere le accuse - che debbo riconoscere perfettamente fondate - di
incompletezza, di subordinazione a diktat governativi o di autolimitazioni
degli operatori, di connivenza con le imprese del presidente del consiglio,
di colonizzazione delle coscienze del popolo che dovrebbe essere sovrano. In
tempi in cui torniamo a parlare di patria non posso vantarmi del fatto che
nella mia Italia l'intelligenza venga ritenuta eversiva.
*
Finche' la Rai e' pagata dal canone versato dai cittadini, mi dica che c'e'
un rimedio per ottenere il rispetto del diritto ad essere informati.
Oppure dovra' smettere anche lei di pagare le tasse (reato peraltro
condonabile a termini di legge)?
Molto cordialmente,
Giancarla Codrignani

4. RIFLESSIONE. SALVATORE SCAGLIONE INTERVISTA ANTONIO CASSESE
[Ringraziamo Luca Kocci (per contatti: lkocci@tiscali.it), curatore
dell'edizione di quest'anno dell'Annuario della pace (l'utilissimo strumento
di lavoro promosso dalla Fondazione Venezia per la pace e pubblicato presso
il benemerito editore Asterios, Trieste 2003, in questi giorni in libreria)
per averci messo a disposizione questa intervista che nel volume appare.
Salvatore Scaglione (per contatti: sascagl@infinito.it), docente di storia e
filosofia, ha collaborato a numerosi giornali e periodici ed e' autore di
varie inchieste; ha curato le edizioni 2001 e 2002 dell'Annuario della pace.
Antonio Cassese e' docente universitario, esperto di diritti umani, membro
di autorevoli istituzioni giuridiche internazionali. Tra le opere di Antonio
Cassese: Violenza e diritto nell'era nucleare, Laterza, Roma-Bari 1986; I
diritti umani nell'era nucleare, Laterza, Roma-Bari 1988; I diritti umani
nel mondo contemporaneo, Laterza, Roma-Bari 1994.
Va da se' che su varie opinioni qui espresse si possono avere punti di vista
diversi (e chi scrive queste righe di premessa e' in dissenso su non poche
cose), ma ci sembra che questa intervista costituisca comunque una utile
occasione di riflessione]

"Malgrado le affermazioni pretestuose con cui hanno cercato di giustificare
il loro atteggiamento, e' chiaro che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno
violato la Carta dell'Onu.  E' stata una violazione perche' si tentava di
legittimare l'uso della forza in una circostanza che non consentiva tale
uso". "Anche il bombardamento Nato in Kosovo ha violato la Carta dell'Onu".
"Ora e' stato fortemente sconvolto un sistema di gestione politica
internazionale".
Antonio Cassese e' professore ordinario di diritto internazionale
all'Universita' di Firenze. Le sue ricerche sui temi del diritto
internazionale e dei diritti umani, costituiscono un riferimento dottrinario
di indiscusso valore. Ha insegnato alle universita' di Pisa, Oxford e
all'Istituto universitario europeo. All'attivita' didattica ed a quella di
ricerca, ha unito la presenza attiva in numerosi organismi internazionali,
fra i quali la Conferenza delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, il
Comitato giuridico delle Nazioni Unite, la Conferenza di Ginevra per lo
sviluppo del diritto internazionale umanitario. Dal 1989 al 1993 e' stato
presidente del Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della
tortura; dal 1993 al gennaio 2000 e' stato giudice al Tribunale penale
internazionale per l'ex Jugoslavia, dal 1993 al 1997 presidente dello stesso
Tribunale.
- Salvatore Scaglione: Professor Cassese, specie negli ultimi anni, alcuni
Stati di tradizione democratica si sono affidati esclusivamente all'uso
della forza per risolvere i conflitti e per trattare con altri Stati.
Ritiene che questo quadro internazionale fortemente peggiorato  renda piu'
incerta la funzione stessa e la natura del diritto internazionale?
- Antonio Cassese: Non mi pare. L'atteggiamento degli Stati Uniti d'America
e dell'Inghilterra e degli altri Stati che hanno impedito l'approvazione di
una risoluzione del Consiglio di sicurezza, mostra anzi chiaramente che il
diritto e' certo. Malgrado le affermazioni pretestuose con cui hanno cercato
di giustificare il loro atteggiamento, e' chiaro che Stati Uniti e Gran
Bretagna hanno violato la Carta dell'Onu. E' stata una violazione perche' si
tentava di legittimare l'uso della forza in una circostanza che non
consentiva tale uso. Era in corso una soluzione pacifica - l'ispezione -,
per cui, in base alla Carta, bisognava attendere lo svolgersi di tale
soluzione per decidere, a livello collettivo, se era il caso di ricorrere
alla forza oppure no.
Direi dunque che, piu' che una situazione d'incertezza, questo atteggiamento
degli Stati Uniti, unito ad una loro precedente scarsa adesione a certe
norme consuetudinarie del diritto internazionale e l'intenzione di rimanere
fuori da trattati importanti, dal protocollo di Kyoto alla Corte penale
internazionale, fa capire che non si e' incrinato un sistema giuridico
internazionale ma e' stato, piuttosto, fortemente sconvolto un sistema di
gestione politica internazionale.
- S. S.: La prego di considerare il primo dei tre eventi piu' recenti:
Kosovo, Afghanistan, Iraq. Ritiene che nel caso del Kosovo sia stato violato
il diritto internazionale?
- A. C.: Si', e' stata violata la Carta dell'Onu. D'altra parte tale
violazione e' stata ammessa dagli stessi Stati, come la Germania che, pur
intervenendo militarmente, ha detto: e' una violazione, ma non deve
costituire un precedente. E' vero che questa violazione ha avuto una
copertura politica generale perche' tutti gli Stati della Nato l'hanno
voluta. Tuttavia, sia il comportamento degli altri Stati sia le violazioni
del diritto internazionale umanitario commesse durante l'intervento,
dimostrano che non si e' formata una norma internazionale che legittimi
l'uso della forza senza l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza, neppure
per rispondere a gravissime violazioni dei diritti umani, come stava
accadendo, appunto, in Kosovo. L'illegittimita' resta, anche se una ventina
di Stati era d'accordo.
A questo proposito, avevo scritto in un mio primo articolo che forse si
sarebbe potuto dire che "ex iniuria ius oritur" (il diritto sorge in seguito
ad una grave violazione del diritto stesso). Bisognava pero', perche' cio'
si realizzasse, da un lato, che gli Stati della Nato si comportassero in
conformita' al diritto internazionale umanitario, in particolare proteggendo
la popolazione civile; dall'altro, che si creasse nella comunita'
internazionale un consenso generale sulla formazione di una norma che
consenta l'uso della forza per reagire a gravissimi massacri. Tale norma non
si e' creata, anche, a me pare, per le gravi violazioni commesse dagli stati
della Nato, a danno dei  civili.
- S. S.: Tuttavia mi pare si ponga un ulteriore problema. Posto che una
motivazione etico-politica (come le esigenze umanitarie) sia sufficiente ad
usare la forza, non le pare che questa motivazione si trasformi, oggi, in un
grimaldello con cui si possono forzare moltissime situazioni del pianeta e,
con esse, tutte le regole? E non solo relativamente a situazioni locali,
limitate nel tempo e nello spazio, ma entrando in campi molto ampi, come la
stessa guerra all'Iraq che, fra l'altro, e' stata motivata anche da questo?
- A. C.: Ci puo' essere un conflitto fra esigenze etico-politiche e divieti
giuridici. Bisogna, infatti, essere molto cauti nel definire le esigenze che
siano tali da "giustificare" una violazione dei dettami giuridici, proprio
per le possibilita' di arbitrio cui si possono prestare. Si puo' affermare
che il diritto coincide con le motivazioni etico-politiche, se si forma,
nella comunita' internazionale, un orientamento tale che affermi che in
certi casi eccezionali, anche senza l'autorizzazione del Consiglio di
sicurezza, si puo' usare la forza per reagire a gravi massacri. Ma, come
dicevo, questa convinzione della comunita' internazionale non si e' formata,
per cui il diritto rimane quello di prima.
Insomma, il diritto internazionale puo' essere cambiato a patto che lo
vogliano tutti gli Stati, non solo un piccolo gruppo di essi, anche se tutti
i componenti di questo gruppo fanno parte della Nato.
Il diritto e' un po' conservatore, pero' questo suo carattere e' una
garanzia contro gli arbitrii. E regge di fronte alle nuove esigenze perche'
predispone garanzie contro gli abusi.
- S. S.: Il secondo dei tre casi citati, l'Afghanistan, nasce in seguito
allo slancio emotivo seguito alla strage di New York. Le pare che quella
guerra sia stata piu' rispettosa delle norme internazionali?
- A. C.: Neppure l'intervento statunitense in Afghanistan, secondo me, e'
stato conforme alla Carta dell'Onu. Devo tuttavia aggiungere che, subito
dopo l'11 settembre, ci sono state due risoluzioni del Consiglio di
sicurezza che, sia pure in modo ambiguo, hanno fatto riferimento al diritto
di ogni Stato di esercitare la legittima difesa. Sembra dunque che abbiano
avallato, in modo preventivo, la motivazione addotta  dagli Stati Uniti
contro l'Afghanistan: al governo di quel Paese c'erano i talebani, ritenuti
responsabili dei fatti di New York  perche' consentivano che  nel loro
territorio venissero installate le basi dei terroristi, ed anche perche'
proteggevano attivamente quei terroristi.
- S. S.: Tuttavia, professore, la "legittima difesa" e' gia' difficile da
definire nel diritto penale. Ritiene che, trasferita nel diritto
internazionale, mancando elementi precisi di prova e mancando una
verificabile situazione di pericolo effettivo, passare dal sospetto ad un
attacco armato, sia "adeguato e proporzionato"?
- A. C.: Infatti, sono d'accordo nel ritenere impropria la motivazione della
legittima difesa. Impropria da parte degli Usa e impropria da parte del
Consiglio di sicurezza. Pero', se fosse stato subito evidente - come non e'
stato - che questi attacchi provenivano da uno Stato che ospitava basi
terroristiche, questo Stato si esponeva ad un attacco "punitivo" sul suo
territorio. Insomma, trovo giustificato l'attacco degli Usa, solo che
avrebbe dovuto essere autorizzato dal  Consiglio di sicurezza. Che, pero',
l'ho gia' detto, aveva dato una sorta di ambigua autorizzazione preventiva.
Puo' darsi che abbia giocato, in tutto questo, una sorta di emotivita'
diffusa, a seguito dei fatti dell'11 settembre.
- S. S.: Nel terzo esempio, quello dell'Iraq, non si puo' piu' ricorrere
all'emotivita'...
- A. C.: Per l'Iraq era in corso una sorta di trattativa, attraverso gli
ispettori. Lo stesso Consiglio di sicurezza doveva poi riunirsi per decidere
cosa fare, in caso di persistente violazione, da parte dell'Iraq, dei suoi
obblighi internazionali. L'illegittimita' dell'azione militare e', dunque,
certa.
Riepilogando, si puo' dire che alcuni Stati hanno violato la Carta dell'Onu,
come e' successo tante volte in passato, ma la maggior parte degli altri
Stati non ha accettato tali violazioni. Dunque, il diritto internazionale
non si e' incrinato nella sua veste formale.
Resta pero' un'incertezza che va chiarita: la legittima difesa preventiva.
Ha ragione chi dice: se nell'era dei missili si chiede di reagire solo dopo
essere stati colpiti, si chiede l'assurdo. Perche' non devo reagire ad
attacchi illegittimi quando so che stanno per arrivare nel mio territorio
missili devastanti? E' un problema serio, che non ha niente a che fare con i
tre casi precedenti, ma che bisogna definire per il futuro.
Oggi la Carta dell'Onu esclude l'attacco preventivo. Che fare, pero', di
fronte ai vettori intercontinentali che hanno un potere massiccio di
distruzione? Nel 1945, data della Carta dell'Onu, questi mezzi non c'erano.
Ora bisognera' tener conto dello sviluppo della tecnologia in questo
settore. E' dunque vero che il diritto internazionale regge abbastanza bene,
ma c'e' qualcosa in cui deve adattarsi a nuove esigenze: gli Stati
dovrebbero prevedere in quali casi si puo' ricorrere al diritto di difesa
preventiva.
C'e' il precedente di Israele che, nel 1967, ha usato la forza in via
preventiva contro Egitto, Giordania e gli altri Stati che lo stavano
attaccando. In quel caso la comunita' internazionale non ha protestato. Lo
ha fatto invece quando Israele ha bombardato il reattore nucleare di Osirak
in Iraq. Reattore pacifico, ma suscettibile, secondo Israele, di essere
usato a fini militari. Anche in quel caso, Israele disse "legittima difesa
preventiva", ma gli altri Stati gli diedero torto.
Altro punto debole e' costituito dai mutati rapporti di forza nella
comunita' internazionale, cosa che puo' incidere negativamente sul sistema
giuridico attuale, creato in funzione di un equilibrio multipolare. Se la
superpotenza agisce non tenendo conto delle norme internazionali e delle sue
restrizioni, l'assetto politico della comunita' internazionale finira' per
avere un impatto devastante su quello giuridico.
- S. S.: Ma, professore, non pensa che per l'opinione pubblica questo sia
gia' avvenuto?
- A. C.: Non credo. Il rischio e' che il protrarsi di questa situazione,
unito all'accettazione da parte degli altri Stati, possa portare al
cambiamento delle norme. Per ora, sia i giuristi che quasi tutti gli Stati
del mondo, ritengono che quanto e' stato fatto in Iraq sia una violazione
del diritto internazionale. Non c'e' sanatoria per questo. Dunque, non sarei
pessimista, nonostante i pericoli.
- S. S.: Lei, in qualche occasione, ha sottolineato come si dia spesso una
soluzione "selettiva" alle controversie, ad esempio, nel caso dei crimini
contro l'umanita'. Tanto selettiva da risultare, mi pare, un po' sospetta:
ci sono tribunali per il Rwanda, per la ex Jugoslavia, ma non c'e' un
tribunale per  eventuali, simili reati commessi da Israele, o dalla Nato, o
per il Pakistan, o per Mugabe in Zimbabwe, o per l'Indonesia, o per la
giunta militare in Birmania: solo gli sconfitti, dunque, possono essere
processati?
- A. C.: Quello dei tribunali ad hoc e' un limite gravissimo. Per superarlo
si e' creata la Corte penale internazionale, perche' giudicasse in modo non
selettivo ma universale  quei casi che non possono essere risolti dalle
giurisdizioni nazionali.
Purtroppo, anche in questo caso la superpotenza ha un atteggiamento ostile,
chiaramente motivato dalla paura che i propri governanti possano essere
trascinati in giudizio. E' chiaro sempre piu' che gli americani non hanno
paura che i propri militari possano essere incriminati quanto piuttosto che
lo possano essere i dirigenti politici. Nello statuto del Tribunale infatti
e' prevista la responsabilita' penale dei superiori (militari o politici)
per non aver impedito o represso crimini dei subordinati, ed inoltre non
esistono immunita' per i capi di Stato o di governo, o per i ministri.  Per
lo stesso motivo, la Corte non e' stata accettata dagli Stati arabi. Tanto
di cappello, dunque, per Francia e Inghilterra che hanno accettato che loro
autorevoli personaggi si espongano  ad incriminazioni.
Quanto al rischio di mettere sotto giudizio i perdenti, esiste
indubbiamente. E' per questo che dissento dalla procura del Tribunale per
l'ex Jugoslavia, quando ha rifiutato di considerare le gravi accuse mosse
alla Nato, relativamente ai bombardamenti in Serbia, senza condurre nemmeno
un'indagine preliminare.
- S. S.: Cosa distingue, nel diritto, una "strage di civili" da un "effetto
collaterale"?
- A. C.: Sul piano oggettivo puo' essere, a seconda delle circostanze, la
stessa cosa. La differenza sta soprattutto nell'intenzione.
In realta', in questo settore il diritto e' un po' fumoso perche' gli Stati
fanno il diritto per vincolare se stessi. E dunque, le grandi potenze spesso
lo rendono ambiguo per potere, poi, pescare nel torbido. Certamente un
attacco deliberato e indiscriminato contro la popolazione civile e' vietato.
D'altra parte, in un conflitto armato, le cose non sono quasi mai cosi'
lineari. Accade che, attaccando obiettivi militari, si coinvolgano anche
civili. Il diritto internazionale prescrive che l'effetto collaterale non
debba essere sproporzionato rispetto al vantaggio militare che il
belligerante intendeva conseguire. Parole generiche, come si puo' capire...
Si aggiunga che  in taluni casi, gli obiettivi civili vengono colpiti quando
il belligerante sostiene che nascondono obiettivi militari e, quindi,
secondo il diritto, perdono il loro status di obiettivi civili. Ma chi
accerta preventivamente tutto questo?
Il diritto, in questo, non ci aiuta molto, anzi, e' equivoco.
Un esempio del 1921. Navi-ospedale degli alleati, secondo i tedeschi,
venivano usate per trasportare armi. I tedeschi se ne accorgono ed emettono
una specie di avvertimento: poiche' usate le navi ospedale per queste
ragioni, d'ora in poi, noi le attaccheremo. E l'hanno fatto. La Corte di
Lipsia, in seguito, ha dato ragione ai tedeschi. E, secondo me, ha fatto
bene, perche' c'era stato un preavviso ed una motivazione, data dalla
circostanza che gli alleati abusavano di una norma internazionale e della
protezione che essa accordava alle navi-ospedale. In questi casi dovrebbero
essere i giudici ad emettere delle sentenze "creative" e supplire cosi' alle
genericita' del diritto.
- S. S.: L'attuale forza di stabilizzazione in Iraq e' stata decisa dagli
Usa senza alcun avallo di organismi internazionali. A mia conoscenza, ne' la
Nato, ne' l'Ue, ne' il Segretario generale dell'Onu hanno trovato da ridire.
E' davvero una procedura corretta o un'ulteriore infrazione?
- A. C.: Dal punto di vista formale, non si e' ritenuto di reagire alla
costituzione della forza di stabilizzazione, perche' posti davanti al fatto
compiuto di una occupazione militare (occupatio bellica). Direi che si
tratta di una situazione illegittima ab initio, che pero' gli altri Stati
accettano tacitamente, anche quando contestano (come la Francia e la
Germania) la legittimita' iniziale del ricorso alla forza contro l'Iraq.
- S. S.: Pensa che l'Onu possa uscire indenne dall'attuale tendenza degli
Stati Uniti ad umiliarne sempre piu' la funzione?
- A. C.: Certo, l'Onu ne esce ridimensionata, quanto meno. Ma la posizione
degli Usa e l'abuso che essi fanno della loro forza
economico-politico-militare, non toglie che l'Onu rimane un foro
internazionale indispensabile, nel quale gli Stati si incontrano e
coagulano, per  cosi' dire, la loro volonta' maggioritaria.
- S. S.: Professore, se il diritto d'asilo e' un diritto umano, come si
giustificano le legislazioni variamente restrittive dei diversi Stati?
- A. C.: Il diritto d'asilo e', certamente, un diritto umano fondamentale.
Pero' nel diritto internazionale non c'e' una norma che obblighi a dare
asilo, per esempio, ai rifugiati politici che temano persecuzioni in un
altro Stato. C'e', invece, nell'ordinamento costituzionale di vari Stati.
L'asilo e' legato al fatto che lo straniero possa essere oggetto, nel
proprio Paese, a gravi persecuzioni. A livello europeo, c'e' una norma della
Convenzione europea che afferma che uno Stato non puo' respingere uno
straniero che, nel proprio Paese, "possa essere sottoposto a trattamenti
disumani e degradanti". E' una bella norma ed e' anche l'unica tutela a
livello europeo, piu' volte applicata, ad esempio a profughi dalla Turchia.
Lo si fece in Italia con Ocalan, ad esempio, anche se incredibilmente gli si
accordo' l'asilo quando se n'era gia' andato.
- S. S.: Come si concilia l'interesse delle case farmaceutiche a mantenere a
lungo il controllo del brevetto sui farmaci salvavita, con l'interesse
primario degli abitanti del mondo povero ad acquistare quei farmaci che,
proprio per il brevetto, hanno prezzi insostenibili da queste popolazioni?
- A. C.: Su questo tema non ci sono norme internazionali che impongano
obblighi specifici alle parti. Siamo nel campo della liberta' economica, che
fa comodo ai piu' forti. In questo settore, l'azione di gruppi o di Stati
(come il Sudafrica) che tendono a modificare il diritto e' piu' che
giustificata.
C'e' un diritto alla vita non sancito da norme consuetudinarie, anche se lo
e' nel Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, non ancora
ratificato da taluni Stati. Il diritto ha certamente dei limiti che
dovrebbero essere superati dall'agire politico.

5. RIFLESSIONE. STEFANIA GIORGI: BESTIARIO IN DICIOTTO ARTICOLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 dicembre 2003. Stefania Giorgi e'
giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine cuturali del
quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e illuminanti,
su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di difesa
intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del pensiero
delle donne]

A passo di carica, blindata, la legge sulla fecondazione assistita in
dirittura di arrivo si squaderna davanti agli occhi - increduli e
inorriditi - del popolo italiano come una mostruosita' giuridica, una
creatura chimerica partorita da ibridi e trasversali integralismi. Una legge
disumana, talebana, fondamentalista, medioevale, oscurantista ma soprattutto
inapplicabile.
Un colpo mortale in primo luogo alla autorevolezza e alla credibilita' di un
parlamento che detta legge infischiandosene sia delle effettive possibilita'
di applicazione delle norme, sia delle conseguenze perverse che ne possono
derivare. Articolo dopo articolo, infatti, tesse una rete di impedimenti,
divieti, sanzioni e controlli spesso in contraddizione tra loro.
Filiazione di una concezione dello stato etico che si erge a controllore fin
nella intimita' della vita di ciascuna e ciascuno, a dispensatore di cure e
diritti per alcuni e non per tutti. Discriminando nella tutela dei diritti
fondamentali, quali la salute, la sessualita', la procreazione. Facendo
l'elenco dei buoni e dei cattivi, eterosessuali e accoppiati da premiare,
omosessuali e single da cancellare. Un preliminare e assurdo discrimine che
potrebbe, paradossalmente, in nome del "diritto uguale per tutti", aprire la
strada della riduzione per tutti della tutela di questi diritti estendendo
divieti, limiti e sanzioni anche alla procreazione sessuale? Se e'
costituzionalmente inammissibile negare una terapia a donne sterili soltanto
perche' non in coppia si arrivera' a negarlo anche a quelle che restano
incinte dopo un rapporto sessuale, magari occasionale? La domanda che
provocatoriamente si/ci ponevano Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa sul
"Manifesto" di martedi' scorso non e' poi tanto peregrina visto il giro di
vite annunciato anche per quel che riguarda la revisione - in nome della
coerenza giuridica per garantire a tutti i nascituri la stessa tutela e gli
stessi diritti - della legge 194 lanciata dal cardinale Ruini e ripresa dal
chierichetto (Udc) Maurizio Ronconi. Divieto chiama divieto, restrizione
chiama restrizione. Il parlamento comincia l'opera e il governo la
rifinisce.
Come si tradurra', nella pratica, l'ordine del giorno approvato dal senato -
presentato da Renzo Gubert, Calogero Sodano, Leonzio Borea e Giuseppe
Gaburro del fronte cattolico e del gruppo centrista dell'Udc - che fissa i
criteri di accertamento della convivenza di chi richiede l'accesso alle
tecniche di fecondazione assistita? Criteri che "garantiscano che tale
convivenza sia stabile, tenuto conto al riguardo del preminente interesse
del nascituro". Il compito di verificare quanto stabile e affidabile sia una
coppia di conviventi e' affidato nientemeno che al governo. Come? Con un
provvedimento affidato a quale ministero? da una commissione di esperti? a
un servizio di "volanti" sguinzagliate sul territorio di poliziotti,
carabinieri, vigili urbani e assistenti sociali? La fantasia di ciascuna/o
puo' sbizzarrirsi all'infinito.
Altro punto di fumosita' applicativa riguarda gli embrioni congelati, circa
trentamila, e conservati nelle strutture. Sparita dal testo l'adottabilita',
al ministro della sanita' Sirchia e' stato dato l'incarico di provvedere al
loro destino con un decreto amministrativo. Ma non si capisce come si potra'
cavare dall'impaccio visto che la legge non gli permettera' ne' di
distruggerli ne' tantomeno - di impiantarli nell'utero di una donna perche'
inciamperebbe nella vietatissima e sanzionata (dai trecentomila ai
seicentomila euro di multa) fecondazione eterologa.
E che dire dell'obbligatorieta' dell'impianto dei tre embrioni? Vietata la
revoca del consenso, anche in caso di embrioni malati, la donna non ha
scelta ne' scampo. Cosa ipotizzano i legislatori anziani del nostro
parlamento? Di costringerla contro la sua volonta' dichiarata e manifesta?
Il medico che si ritrova a dover impiantare questi tre embrioni dovra'
chiedere un'ingiunzione al giudice? Rivolgersi a polizia e carabinieri per
prelevarla da casa e portarla in ambulatorio? agli infermieri di inchiodarla
al lettino per procedere all'impianto? I medici potranno invocare
l'obiezione di coscienza di fronte a una tale mostruosita' e disumanita' di
trattamento? Non risolve i dilemmi, anzi complica ulteriormente i problemi
attuativi e interpretativi di questa materia (articolo 6), l'ordine del
giorno approvato dal senato e presentato del relatore Flavio Tredese (Forza
Italia) relativo alla possibilita' di revoca del consenso fino al momento
della fecondazione chiedendo - di nuovo al governo - di impegnarsi a
"esplicitare, nelle linee guida, che di fronte a una revoca del consenso
oltre i limiti stabiliti non vi e' obbligo di attuazione coercitiva di
impianto dell'embrione"; "a esplicitare che il medico, avendo agito
legittimamente nella sua responsabilita', non e' responsabile della
situazione". Al di la' dell'incerto e oscuro linguaggio, cosa prevarra' alla
fine? il testo della legge o la "raccomandazione" del governo?
Ma i trattamenti da lager riservati alle donne non si fermano qui. Come
definire in altro modo il divieto di produrre piu' di tre embrioni per
volta? In caso di insuccesso (molto frequente) la donna dovra' sottoporsi a
nuovi bombardamenti ormonali con alcuni effetti collaterali possibili come
menopausa precoce e neoplasie ovariche. Ma che importa, quello che conta non
e' la salute della donna ma la salvaguardia dell'embrione.
Nessuna speranza, infine, per i poveri infertili ai quali tocchera'
rassegnarsi. L'articolo 3 stabilisce infatti che la procreazione assistita
non rientra nelle prestazioni del servizio sanitario nazionale. Il che
significa che serviranno circa 10.000 euro per ogni tentativo. I ricchi, al
contrario, potranno sempre andare all'estero oppure ricorrere al fiorente e
lucroso mercato clandestino, al parallelo mondo del "si puo' tutto basta
sganciare i soldi" che questa legge produrra'. Una storia antica e ben nota,
la stessa che ha condizionato per secoli il ricorso all'aborto.

6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: SCIENZA E COSCIENZA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'"11 dicembre 2003. Ida Dominijanni (per
contatti: idomini@ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una
prestigiosa intellettuale femminista]

Trionfali lanci d'agenzia annunciano che l'Ulivo, anzi tutta l'opposizione,
ha trovato la sua unita' sulle riforme istituzionali. Accade in un vertice
di nove uomini alla camera, nelle stesse ore in cui al senato l'Ulivo perde
la faccia e qualcosa di piu' sulla pelle delle donne. Gli elettori e
soprattutto le elettrici saranno lieti di votare una coalizione, anzi una
lista unica, compatta e riformista sui poteri del premier e sfracellata e
controriformista su quisquilie da niente come lo statuto dell'embrione e la
laicita' dello stato. Ma nell'Ulivo e' opinione comune, questa si', che i
poteri del premier siano una questione politica e di interesse generale,
mentre la procreazione assistita e' una questione privata e di coscienza, e
che c'entra la coscienza con la politica? Vanno presi sul serio.
In scienza e coscienza, non per subalternita' all'ideologia cattolica o alle
gerarchie vaticane ma per profonda convinzione, i senatori della Margherita,
d'accordo con quelli della Casa delle liberta', ritengono che l'embrione sia
una persona contrapposta alla madre, che le donne siano mediamente delle
irresponsabili e i ginecologi dei delinquenti. Che la ricerca medica sia
sospetta per definizione. Che lo stato e la legislazione debbano
indirizzare, sorvegliare e punire le scelte morali dei cittadini. Che
l'unica famiglia degna di chiamarsi tale sia quella col bollo del parroco o
del sindaco, che single e gay godono di diritti inferiori a quelli degli
eterosessuali e degli accoppiati, che si debba decidere per via
amministrativa, forse contando quanti spazzolini da denti ci sono in una
casa, se un uomo e una donna convivono o no. In scienza e coscienza
ritengono che una donna partorira' con dolore in natura, e si fara'
inseminare con le sevizie in un laboratorio.
In scienza e coscienza questo pensa la maggioranza - trasversale - dei
nostri rappresentanti e questa e' la radiografia del legislatore italiano
che la legge sulla procreazione assistita ci consegna. Il dibattito
parlamentare che l'ha incubata e messa al mondo, in questa ma anche nella
precedente legislatura, ci consegna altresi' la radiografia di una classe
politica mediamente incolta e disinformata, invasa da incubi
fantascientifici, animata da sentimenti di revanche maschile sulla liberta'
femminile, convinta di rispondere a una cittadinanza e a un elettorato
incapace di intendere e di volere. Questo per due terzi. E nel terzo che
rimane a sinistra, piu' colta, piu' informata, meno invasa da fantasmi, ma
inadeguata a valutare la posta in gioco e dire: da qui non si passa.
C'e' di che riflettere. Non e' solo una legge oscurantista, moralista,
proibizionista, inapplicabile e per svariati profili incostituzionale quella
che abbiamo davanti. E' la decadenza rassegnata delle istituzioni, della
concezione del diritto, dell'idea e della pratica della politica, della
visione della societa'. Una cattiva legge si puo' abrogare, e questa verra'
abrogata se un referendum dara' parola alle cittadine di questo paese che
gia' altre volte l'hanno sottratto a una deriva fondamentalista. Ma questa
decadenza non si puo' abrogare: va guardata in faccia. In scienza e
coscienza. Senza illudersi che domani e' un altro giorno, ci si ritrova sui
poteri del premier, si fa e si legge un altro titolo, si guarda un altro
talk-show e si passa ad altro.
Sta a tutti, sta alle donne in primo luogo, dentro il parlamento e fuori
soprattutto. Non e' in questione un elenco di divieti, che sono
trasgredibili quanto una legge e' abrogabile, e si sa che il desiderio di
essere e di non essere madre difficilmente si ferma dinanzi a dei divieti.
E' in questione qualcosa di piu', uno schiaffo alla soggettivita' e alla
liberta' femminile, un "adesso basta" che il parlamento pronuncia e che una
sponda mediatica autorizza. Sta a noi trasformarlo in un boomerang.

7. INFORMAZIONE. AGGIORNAMENTO DEL "COS IN RETE" E UN BLOG PER AMPLIARE LA
PARTECIPAZIONE
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail:
capitini@tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo]

Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento del "C.O.S. in rete"
(www.cosinrete.it) una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla
stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo; tra cui: Wanted; La delusione; I divi part
time; L'indemoniata; Me ne frego; Le strane coppie; Il sesso che chiude; La
pomata; Le delizie del passato; La scadenza; La sublime follia; Il pareggio
impossibile; Maestri distratti; Al contadino non far sapere; Lo scandalo;
Primavera burrascosa; L'ira sacrosanta; L'anima buona del Sezuan; ecc.; piu'
scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli
stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al
"C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti.
*
Nello spirito che era del C.O.S. di "ascoltare e parlare", abbiamo aperto
accanto al "C.O.S. in rete" un sito blog: http://cos.splinder.it sul quale
potrete scrivere articoli, commentare articoli del cosinrete o il contributo
di altri.
Per immettere articoli vostri potete inviarli all'indirizzo e-mail:
capitini@tiscalinet.it; i commenti possono essere scritti direttamente.

8. LETTURE. MILENA DA PRAGA. LETTERE DI MILENA JESENSKA' 1912-1940
Milena da Praga. Lettere di Milena Jesenska' 1912-1940, Citta' Aperta,
Troina (En) 2002, pp. 310, euro 18. A cura di Alena Wagnerova', con un'ampia
introduzione di Claudio Canal che ha anche curato l'edizione italiana, una
raccolta delle lettere della Milena amata da Kafka, eroina della Resistenza,
deportata dai nazisti nel lager di Ravensbrueck in cui mori' nel 1944 (ed in
cui fu compagna di prigionia della grande Margarete Buber Neumann che,
sopravvissuta al lager, le dedico' un libro che non si dimentica).

9. RILETTURE. S. TERESA DI GESU': OPERE
S. Teresa di Gesu', Opere, Postulazione generale dei carmelitani scalzi,
Roma 1950, pp. XLII + 1.524. Le opere di Teresa d'Avila, che straordinaria
lettura.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini@tin.it,
angelaebeppe@libero.it, mir@peacelink.it, sudest@iol.it, paolocand@inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 757 del 12 dicembre 2003