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La nonviolenza e' in cammino. 729



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 729 dell'11 novembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: l'8 novembre a Verona
2. Daniele Lugli: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. Robin Morgan: perche' allora
4. Raniero La Valle: l'Europa, l'America e il nomos dell'Occidente (un
contributo alla proposta di Lidia Menapace)
5. Una stanza di Magda Isanos
6. Nanni Salio: Israele-Palestina, dentro il conflitto
7. Livio Maitan ricorda Pietro Tresso
8. Il 22 novembre a Roma le donne riflettono sull'informazione
9. Il "Cos in rete" di novembre
10. Riletture: Marinella Correggia, Manuale pratico di ecologia quotidiana
11. Riletture: Giuliana Di Febo, Rosa Rossi (a cura di), Interpretazioni di
Cervantes
12. Riletture: Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: L'8 NOVEMBRE A VERONA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]

La riunione di Verona l'8 appena scorso e' stata molto bella, accogliente,
serena, non supponente, curiosa.
Nel senso che tutti e tutte avevamo voglia di sapere come avevamo colto le
proposte che erano in gioco, ed anche eravamo curiosi/e di capirci.
Non accade cosi' spesso: ricordo che una delle frasi ricorrenti nelle
riunioni politiche, appena uno ha finito di parlare, e' di chiedersi
sottovoce: "Che cosa voleva dire?", dato che si suppone sempre che il
linguaggio sia almeno doppio e allusivo. Invece tra noi abbiamo detto quel
che dicevamo, e non vi erano possibili dubbi interpretativi o messaggi
subliminali.
Insomma abbiamo scambiato impressioni e convenuto che il tempo per avanzare
una proposta di definizione giuridica del diritto alla pace e' giusto, dato
che e' in corso - sia pure in modo "clandestino" - il dibattito sulla
Costituzione europea.
A me e' servito molto sentire proposte agganciabili e che anzi danno un
orizzonte migliore, una buona infinita' al discorso: ad esempio la proposta
dell'obiezione ai governanti, la pratica del transarmo, e anche l'idea di
fare una iniziativa pubblica a Venezia l'8 dicembre nel corso del salone
dell'editoria di pace, con aspetti anche espressivi molteplici.
Insomma abbiamo cominciato bene con il piede giusto e con una bella gara di
reciproca comprensione e riconoscimento.
Per me la cosa forse piu' piacevole e' stata che - avendo detto che pratico
il disinquinamento del linguaggio politico dalle metafore belliche, militari
ecc., e che percio' non dico ne' tattica ne' strategia, ma preferisco
tessere, seminare, cucinare ecc. - abbiamo incominciato a tessere discorsi e
proposte e a impollinare relazioni tra noi con grande e repentina
naturalezza. Gli scambi di linguaggio e le relazioni sul simbolico sono -
come e' noto - molto importanti.
Ringraziamoci, siamo anche stati bene insieme in modo appunto sereno, anche
con ironia e gioco tra noi.

2. MEMORIA E PROPOSTA. DANIELE LUGLI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici
della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a
tutti i lettori del nostro notiziario - a  rinnovare (o sottoscrivere per la
prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Daniele
Lugli (per contatti: daniele.lugli@libero.it). Daniele Lugli e' il
segretario nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della
nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e
politico anche una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed
amministrativo, ed e' persona di squisita gentilezza e saggezza grande]

Perche' negli anni - con fatica, umilta', consapevolezza di quanto siano
inadeguate, rispetto al compito, le forze - "Azione nonviolenta" ha saputo
essere un centro del grande lavoro per la nonviolenza.
Perche' ricordo quando, sono passati quaranta anni, si decise l'avvio di
un'azione precisa ed esterna del Movimento Nonviolento, attraverso il Gan
( Gruppo di Azione Nonviolenta) e la rivista.
Perche' fu l'uscita dal bozzolo, per usare le parole di Piero Pinna, del
Movimento - nel quale gia' stavo - costituito dopo la marcia Perugia-Assisi,
sul finire del '61.
Perche' ricordo il primo numero, che, con gli scritti programmatici di
Capitini, riportava le prime azioni del Gan.
Perche' "Sia discussa la legge per l'obiezione di coscienza" stava scritto
sulla casacca di Piero, con altri sei fermato e denunciato a Milano per
avere, in coppie successive, distribuito volantini.
Perche' di questo mi sono ricordato in un incontro tenuto a Casalecchio, con
gli amici di Percorsi di pace, il 4 novembre scorso, esattamente quaranta
anni dopo la manifestazione milanese.
Perche', prima che uscisse "Azione nonviolenta" e a parte la lettera
ciclostilata che Capitini mandava ai suoi amici, sulla stampa si parlava di
nonviolenza e obiezione di coscienza solo per le manifestazioni del Gan e
gli interventi e denunce della polizia: la prima, gia' ricordata, a Milano
il 4 novembre 1963, e poi Bologna il 17, Firenze il primo dicembre, Padova
il 15 e Roma il 20 dicembre.
Perche' nel gennaio del '64 usci' il primo bellissimo numero e chissa' cosa
Mao Valpiana ci prepara per il primo numero del 2004.
Perche' Piero Pinna sara' a Ferrara il 5 dicembre a concludere il primo
ciclo della Scuola della nonviolenza che, con amici e fiducia, ho promosso.
Perche', ci diceva Capitini, se la nonviolenza e' fatta per un quarto di
amore e' fatta per la meta' di pazienza.
Perche' persone, non poche e non pochi giovani, manifestano interesse per la
nonviolenza.
Perche' non conosco miglior regalo per le feste di un abbonamento ad "Azione
nonviolenta".

3. MAESTRE. ROBIN MORGAN: PERCHE' ALLORA
[Da Robin Morgan, Sessualita', violenza e terrorismo, La Tartaruga, Milano
1998, 2003, pp. 231-232. Robin Morgan e' nata a Lake Worth in Florida nel
1941, e vive e lavora a New York; poetessa, saggista, romanziera,
giornalista, e' dagli anni '70 una delle figure piu' vive del movimento
delle donne. Tra le sue opere disponibili in italiano: l'intervista a cura
di Maria Nadotti, Cassandra non abita piu' qui, La Tartaruga, Milano 1996;
Sessualita', violenza e terrorismo, La Tartaruga, Milano 1998, 2003]

"E' vero, e' proprio vero?", chiede la donna con forza, stringendo Maria con
una mano e me con l'altra, "E' vero che da tante parti le donne stanno
reagendo alla violenza? Che non si lasciano piu' maltrattare?".
"Si'", rispondiamo, un groppo di lacrime in gola, "e' vero. Le donne stanno
reagendo. Da molte, molte parti. Ben al di la' di Catania. In tutto il
mondo".
"E un giorno riusciranno a farli cessare? La violenza, il dolore? Finira'?
Loro - noi - riusciremo a farcela?". Gli occhi le brillano.
"Si', si'", le diciamo, abbracciandoci e abbracciandola, "un giorno. Le
donne stanno tentando un po' ovunque. Metteremo fine alla violenza. Si'".
Annuisce, benedicendoci con un sorriso raggiante e sdentato.
"Molto bene", sussurra. Poi aggiunge con calma dignita', "Perche' allora non
sono sola".

4. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: L'EUROPA, L'AMERICA E IL NOMOS
DELL'OCCIDENTE (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE)
[Ringraziamo di cuore Raniero La Valle (per contatti:
raniero.lavalle@tiscalinet.it) per averci messo a disposizione, come
contributo alla riflessione promossa da Lidia Menapace, questo suo
intervento apparso sul n. 1 della rivista "Alternative" diretta da Domenico
Jervolino (altro caro amico e maestro che cogliamo l'occasione per
salutare). Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso
intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia",
direttore di Vasti - scuola di critica delle antropologie, presidente del
comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle
figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla
parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano
1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano
1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della
Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte
alle grazie, Milano 2003]

Ora sappiamo che l'Europa nasce - se nasce - senza una "visione". E' questa
la critica tagliente che il presidente della Commissione europea, Romano
Prodi, ha rivolto al progetto di Costituzione europea elaborato dalla
Convenzione presieduta da Giscard D'Estaing. "Vision" e' il termine
anglosassone che si usa negli statuti associativi per definire l'idea che
ogni istituzione ha di se stessa e del proprio ruolo; "mission" e' invece
quello che indica i suoi obiettivi. Senza "vision" non e' neanche definibile
una "mission".
Priva di "mission" e di "vision" l'Europa, nel suo progetto costituente, si
e' trovata anche priva di "heritage", di eredita', cioe' di un patrimonio di
esperienze e di valori. Dio non ce lo potevano metterlo, prima di tutto
perche' al retaggio giudeo-cristiano appartiene l'impronunciabilita' del
nome di Dio, e in ogni caso il comandamento di non nominarlo invano, e poi
perche', come ha osservato Jacques Le Goff che quale storico del Medioevo sa
bene di che cosa parla, "le nazioni e i popoli che invocano con solennita'
Dio sono fra quelli maggiormente responsabili di colpe gravi". In ogni caso
Dio non e' l'antenato dell'Europa. In altro senso e' significativo per essa.
Non potendo metterci Dio, gli alchimisti del progetto di Costituzione hanno
pensato bene di toglierne anche l'eredita' greco-romana e quella
dell'umanesimo e dei Lumi, che pur facevano parte del macinato iniziale;
cosi' l'Europa, almeno allo stato dell'arte, si trova, nel momento in cui si
scrive la sua Costituzione, incapace di pensarsi, di definire se stessa, e
percio' di rappresentarsi dinanzi agli altri soggetti.
In effetti la seconda cosa e' la causa della prima: la incapacita' di
rapportarsi agli altri, di immaginarsi un compito per il mondo, una "vision"
e una "mission" dell'Europa per il mondo, la rende incapace (almeno a
livello di Giscard D'Estaing, Fini, Amato e degli altri estensori del
progetto costituente) di rintracciare la propria identita', di esprimersi
come soggetto. Data la procedura adottata, era inevitabile che fosse cosi'.
Sarebbe stato importante per contro che si attivasse un grande dibattito in
Europa, per il quale essa riuscisse a prendere coscienza di se', a
raccontare qualcosa della sua identita', a esprimere qualcosa che anche al
di la' della sua vision, della sua mission e del suo heritage, ne dicesse
cio' che, nei termini di un'altra cultura, potremmo chiamare il suo "karma",
insomma l'essere Europa dell'Europa.
Mancato il dibattito di base, ci hanno provato i filosofi a definirlo,
mediante un'iniziativa presa da Juergen Habermas che ha sollecitato altri
intellettuali europei (ed uno americano) a scriverne nello stesso giorno su
grandi quotidiani del continente; cosi' il 31 maggio 2003 si sono potuti
leggere su altrettanti giornali gli articoli di Umberto Eco e Gianni
Vattimo, di Fernando Savater e di Adolf Muschg, di Habermas e Jacques
Derrida, nonche' dello statunitense Richard Rorty, tutti alla ricerca
dell'Europa perduta o da trovare.
A parte il valore del tentativo in se stesso, e dell'appello che comunque
esso faceva risuonare alla coscienza europea, il risultato e' stato
deludente. Tutti hanno cercato di esprimere (e di raccomandare ai governi)
il proprium dell'Europa in dialettica o in contrapposizione con la nuova
egemonia americana, cercando nella differenza dagli Stati Uniti l'identita'
europea, e nella capacita' europea di sottrarsi alla presa del dominio
globale americano la possibilita' per l'Europa di non scomparire come
soggetto nel nuovo scenario planetario. Ma non ci sono riusciti per due
motivi, perche' hanno cercato questa differenza dove non poteva essere
trovata, e perche' hanno cercato la soggettivita' solo in rapporto agli
Stati Uniti, quando essa ha senso e va cercata in rapporto al mondo, e
soprattutto in rapporto al mondo escluso, cioe' a quel mondo che e' previsto
come scarto sia  nel processo della globalizzazione che nel progetto del
"nuovo secolo americano".
*
La prova dei filosofi
La differenza con gli Stati Uniti non poteva essere trovata perche' e' stata
cercata nel logos. Infatti si sono messi a cercarla i filosofi. Come ha
rilevato Franca D'Agostini sul "Manifesto" del 4 giugno, la scelta dei
partecipanti al dibattito stava a indicare che "nella questione
dell'identita' europea 'la filosofia' - e soprattutto l'uso
politico-culturale delle idee, della teoria - gioca un ruolo del tutto
particolare, e particolarmente significativo"; ma per quanto siano
interessanti i tentativi di rimarcare le differenze (come nelle implicazioni
collettivistiche della soggettivita' che secondo Vattimo ed Eco sarebbero
presenti nel dna europeo, e assenti invece in quello americano), e' pur vero
che Europa e America scaturiscono dalla stessa matrice culturale, e
professano, pur quando se ne allontanano, lo stesso mondo di "valori"; del
resto anche "i filosofi continentali", come dice la D'Agostini, ormai
trasmettono "una immagine disfattista della filosofia", e "anche a loro si
deve quella vasta pragmatizzazione del discorso politico che ha tolto la
teoria dalla prassi, e con cio' ha consegnato la prassi stessa nelle mani
della televisione".
Dunque qui non si poteva andare lontano. La differenza va invece cercata nel
nomos, che  e' cio' in cui si esprime non solo il modo in cui e' pensata la
societa', ma il modo in cui e' organizzata e normata, e in cui e' stabilito
il rapporto con l'Altro. E' li' che tra Stati Uniti ed Europa le strade si
stanno divaricando; e' nel nomos che risiede la vera identita' dell'Europa;
ed e' rimettendo profondamente in questione il suo nomos che l'Europa puo'
oggi trovare il suo karma (vision, mission ed heritage) e assurgere a un
ruolo positivo sia riguardo agli Stati Uniti che al mondo. A guardare le
cose da questo punto di vista, si troverebbe che questo nomos e' in crisi;
ma non e' in crisi solo il nomos dell'Europa, e' il nomos dell'Occidente,
che attraverso di esso e della sua maggiore potenza armata, gli Stati Uniti,
sta diventando il nomos del mondo, un nomos che pero' non e' in grado di
reggerlo, di conservarlo alla vita, di dargli un futuro, sicche' oggi il
mondo e' in condizioni di massimo pericolo.
Dovrebbe essere questo l'assillo dell'Europa. Essa sta venendo alla luce
come nuovo soggetto politico, e non piu' solo economico o monetario, mentre
e' coinvolta in due universi: da un lato l'ordine della globalizzazione, nel
quale essa e' gia' totalmente immersa, dall'altro l'ordine della sovranita'
planetaria ultimamente reclamata dagli Stati Uniti e ipotecata con le due
guerre gia' combattute dopo l'11 settembre. Rispetto a quest'ultimo,
l'ordine del nuovo Impero, o se si vuole rispetto a questa nuova figura del
nomos dell'Occidente sotto le insegne imperiali americane, l'Europa non si
e' ancora definita, non ha stabilito che cosa essere, e le sue scelte,
benche' assai condizionate, sono ancora politicamente impregiudicate. Questa
e' la questione decisiva: l'Europa puo' essere isola, provincia, nicchia,
retrovia privilegiata dell'Impero, e gendarme anch'essa del suo nomos,
oppure sua alternativa: e si tratterebbe allora di vedere in che modo.
*
Il nuovo Impero
Le caratteristiche del nuovo Impero non sono peraltro ancora definite. Si
tratta di un lavoro in progress. Disponiamo della sua carta fondativa, che
e' il documento del settembre 2002 sulla sicurezza nazionale degli Stati
Uniti, dove la sicurezza americana viene fatta consistere in sostanza nel
dominio del mondo, nella sua riduzione e omologazione agli "interessi e
valori" degli Stati Uniti, e nella pratica della guerra preventiva capace di
distruggere qualunque potenziale avversario prima che diventi nocivo, e anzi
prima ancora che diventi nemico.
Che cosa cio' puo' comportare, a parte le prove sul campo, lo si e' potuto
apprendere dalla viva voce dei protagonisti della attuale svolta americana,
esponenti della nuova destra radicale giunta al potere con Bush, che sono
venuti a raccontarlo a Venezia nel maggio scorso, in un convegno a porte
chiuse dell'Aspen, l'istituto transatlantico in cui ci si consulta sul
destino dell'Occidente. C'erano Robert Kagan, Richard Perle, Charles
Kupchan, e anche quel Samuel Huntington che aveva inventato e propagandato
il progetto dello "scontro di civilta'" proprio quando lo spirito di
conciliazione tra religioni e culture sembrava aver raggiunto il massimo
storico, dopo le lacerazioni del Novecento e la rimozione del muro di
Berlino. C'erano dunque gli ispiratori e autori di quel progetto per "il
nuovo secolo americano" che era stato illustrato in un manifesto-documento
del settembre 2000, intitolato Rebuilding America's Defenses, e che dopo
l'11 settembre e' diventata la politica ufficiale del presidente Bush.
Possiamo ricordare che il progetto per il nuovo secolo americano sosteneva
esservi tutte le condizioni e l'"opportunita' strategica" per instaurare una
leadership mondiale americana per tutto il XXI secolo, propugnava lo
stabilimento di una "global Pax americana", e postulava a tale scopo
l'aumento della spesa militare degli Stati Uniti fino al 4 per cento del Pil
e un rafforzamento spettacolare dello strumento militare in tutte le sue
componenti, terrestri, navali, aeree e spaziali.
Con grande capacita' di anticipazione il documento Rebuilding, pubblicato un
anno prima dello scempio delle Torri gemelle, denunciava una mai prima
ipotizzata vulnerabilita' dello stesso territorio americano ad opera di
"poteri canaglia", tra cui erano nominati gia' allora i tre Stati che
sarebbero poi stati inclusi nell' "Asse del male" di Bush, Nord Corea, Iran
e Iraq, e avanzava un'ipotesi troppo inusuale per non essere inquietante:
quell'espansione della spesa militare e quel potenziamento delle Forze
Armate avrebbero potuto richiedere molto tempo (piu' tempo di quanto
"l'occasione" straordinaria da cogliere avrebbe permesso) "a meno del
prodursi di qualche evento catastrofico e catalizzatore (some catastrophic
and catalyzing event), come una nuova Pearl Harbour".
Si deve a Mario Pirani, che era presente a Venezia non come giornalista ma
come socio dell'Aspen, un resoconto su "Repubblica" (del 16 maggio 2003) di
quella riunione, una specie di "brogliaccio" delle posizioni e previsioni
che gli esponenti di tale nuovo corso americano erano venuti ad annunciare
in Europa. E la prima tesi da loro affermata era che "la svolta epocale
impressa alla politica americana con la guerra all'Iraq" non e' dovuta a "un
piccolo gruppo di intellettuali", cioe' a loro, ma all'11 settembre, cioe'
precisamente all'avverarsi di quell'evento catalizzatore che essi avevano
avanzato come ipotesi un anno prima del suo verificarsi; ed anzi hanno detto
che anche Al Gore, se fosse stato eletto al posto di Bush, dopo l'11
settembre si sarebbe comportato allo stesso modo. Insomma le loro visioni
politiche non avrebbero potuto avere un successo maggiore.
Pirani dice di essere uscito dal convegno con angoscia al sentire enunciare
con tanta franchezza e tutte insieme le nuove posizioni americane, che sono
queste: non e' piu' possibile accettare lo status quo in talune zone del
mondo; la sicurezza (degli Stati Uniti) impone di portare la democrazia,
anche usando la forza militare, dove permangono minacciosi regimi
dittatoriali; le alleanze internazionali stabili sono finite, la Nato e'
morta; le vecchia destra, alla Kissinger, e' fuori gioco; la differenza tra
Stati Uniti ed Europa sta nel fatto che i primi sono una potenza globale, la
seconda e' una potenza regionale (e tale deve restare); cresce il divario
tra potere e legittimita' nell'azione degli Stati Uniti, ma la colpa sarebbe
della Carta dell'Onu inadatta alle nuove esigenze; il potere dei mullah in
Iran non e' piu' tollerabile: se si puo' ottenere un cambio di regime per
via pacifica, bene, altrimenti "si dovra' seguire la via dell'Iraq.
Altrettanto dicasi per la Siria". Anche sul piano economico prevarra'
l'unilateralismo; gli Stati Uniti, irritati con l'Europa ("insopportabili i
contrasti sugli organismi geneticamente modificati") si preparano ad uscire
da destra dalla globalizzazione: non piu' regolamenti multilaterali nel
quadro delle grandi strutture internazionali, ma accordi bilaterali di
liberalizzazione e di libero commercio con singoli Paesi; dunque due regimi
di scambio, due categorie di Stati, due mondi.
*
La partita con gli Stati Uniti
E' dunque in questo contesto che si pone la questione dell'Europa e della
sua identita'. Ma sarebbe del tutto fuorviante se la soluzione adombrata
fosse quella di misurarsi con gli Stati Uniti mettendosi sul loro stesso
terreno, contrapponendo al dollaro l'euro, all'esercito imperiale l'esercito
europeo, al secolo americano un secolo europeo. Vorrebbe dire stare nella
stessa cultura e nella sua crisi e rimestare l'acqua nello stesso mortaio.
Come scriveva Hannah Arendt gia' negli anni Cinquanta (lo ha ricordato Ida
Dominijanni sul "Manifesto" del 3 giugno scorso): "americanismo ed
europeismo, due ideologie che si affrontano, si combattono e soprattutto si
assomigliano come tutte le ideologie apparentemente contrapposte: che sia
questo il pericolo cui stiamo andando incontro?". E si potrebbe ricordare,
quanto alle somiglianze, che le due ideologie hanno entrambe elaborato una
cultura della diseguaglianza, affermato la propria superiorita' sugli altri
da se' e provveduto al genocidio degli Indiani dell'America centrale e
meridionale prima, settentrionale poi. Ma soprattutto occorre non sbagliarsi
sulla natura della crisi, che non e' solo legata a quest'ultima emergenza,
non e' solo, come dice Franca D'Agostini,  "un disguido legato alla
sventurata amministrazione Bush".
La guerra preventiva e perpetua di Bush non rappresenta in realta' il punto
d'arrivo catastrofico di un solo processo. Da un lato essa e' la frontiera
estrema cui giunge la pulsione di dominio della destra radicale americana.
Per un altro verso e' l'ultima e disperata scelta della globalizzazione
capitalistica nel momento in cui, fallito il suo progetto di unificazione
del mondo all'insegna delle "magnifiche sorti e progressive", deve prendere
le armi per rimpiazzare la mancata egemonia col dominio e per difendere la
dura selettivita' del mercato totale. Ma attraverso di cio' e oltre a cio',
la guerra finale di Bush e' la stazione terminale e il punto di caduta di un
intero corso storico, di cui il capitalismo ha segnato solo l'ultimo tratto.
*
Una crisi che viene da lontano
Non a caso la manifestazione piu' vistosa e quasi riassuntiva della crisi
sta nella rovina del diritto, e nella dichiarata antitesi tra potere e
legittimita'. Nell'annunciare l'imminente attacco all'Iraq il 17 marzo 2003
Bush proclamo' che non era questione di autorita' ("con quale autorita' fai
questo?" e' la domanda antica) ma di volere (this  is not a question of
authority, it is a question of will): non si tratta di ius ad bellum, ma di
volonta' di guerra.
Tutto il diritto e' investito dalla crisi: il diritto internazionale, con il
licenziamento dell'Onu; il diritto di guerra e il diritto umanitario di
guerra (le vittime della Televisione iugoslava, i prigionieri uccisi in
Afghanistan, Guantanamo, le stragi di civili per eliminare Saddam Hussein,
le "esecuzioni mirate" in Palestina), il garantismo penale (la fine
dell'"habeas corpus" sancita da una Corte federale americana); il diritto
del lavoro (radicalmente ricondotto a merce); i principi essenziali della
giurisdizione (riformati dagli stessi delinquenti, come in Italia); le
Costituzioni.
Le dure prove cui il diritto e' sottoposto in tutti gli ordinamenti fanno
pensare che non si tratti solo di crisi di una parte, ma della totalita', di
quell'ordinamento complessivo della vita sociale i cui principi, i cui
modelli, le cui norme sono stati posti ben prima del capitalismo e che non
hanno mai cessato di evolvere attraverso elaborazioni e lotte di ogni tipo.
E' ben vero che questa crisi esplode quando ai vertici del sistema si sono
insediati dei poteri estremisti che ormai concepiscono la sicurezza e la
salvezza (o, secondo una delle culture implicate, la "redenzione") come beni
da conseguire attraverso la catastrofe e come suo prodotto (la guerra totale
e definitiva, cioe' infinita, di Bush; la terra promessa rivendicata da
Sharon come "degli ebrei e solo loro", sono figure apocalittiche); ma per
capire come cio' sia potuto accadere e quali ne sono le premesse occorre
risalire a prima del capitalismo e della sua ultima versione
global-liberista.
E' questa l'operazione a cui gia' invitava Claudio Napoleoni, quando
constatava il carattere sempre piu' distruttivo della societa' capitalista e
tecnocratica, e ricercava le ragioni dell'insuccesso anche teorico del
marxismo nel delinearne il superamento. Egli affermava che
l'assolutizzazione del momento produttivo, per cui la produzione non ha
altro fine che la produzione stessa, giunta al suo apice nella societa'
tecnologica e opulenta, non faceva "che ripetere ed estremizzare quella cosa
antica che e' il rapportarsi dell'uomo alla cosa, al mondo, alla natura,
come a nient'altro che a cio' che puo' essere prodotto, il producibile" (1);
secondo Napoleoni e' cio' che Marx non aveva visto, non cogliendo come
"l'alienazione specifica del capitalismo e' il termine necessario a cui
tendeva e in cui si rovescia un'alienazione piu' essenziale, che domina
tutta la storia dell'Occidente, l'annullamento cioe' della cosa nel
soggetto, annullamento che procede dall'idea... di una producibilita'
universale, nella quale lo stesso soggetto alla fine si trova incluso,
rimanendo percio' contraddittoriamente identificato col suo opposto" (2). A
questa "figura 'originaria' (rispetto alla storia dell'Occidente)" di una
producibilita' universale, si accompagna peraltro la figura, ancora piu'
'originaria', di una appropriabilita' universale, che rende lo stesso
soggetto appropriabile (alienato); sicche' il compito che ultimamente
indicava Claudio Napoleoni, "perche' la liberazione sia possibile", era di
"guardare in modo diverso al rapporto tra l'uomo ed il mondo, diverso cioe'
da quello stabilito dalla prospettiva della
produzione-appropriazione-dominazione" (3).
Ma che cos'e' questa triade dell'appropriarsi, produrre e dominare se non il
nomos dell'Occidente? E' di lui che si parla. Nella sua attuale versione
americana esso e' giunto all'ultimo stadio della dominazione, intesa come
dominio mondiale per mezzo della guerra. E' su questo che l'Europa ancora
non si e' determinata, e in questo si e' aperta una divaricazione tra il suo
nomos e quello dell'America. Questa divaricazione si puo' tuttavia
ricomporre sul lato del dominio, sulla scia di Blair, cio' a cui potenti
forze dentro e fuori l'Europa stanno lavorando; e questa sarebbe una
catastrofe per tutti. Ma l'esito puo' essere diverso se l'Europa resiste,
sulla spinta della sua opinione pubblica, dei movimenti e delle Chiese, se
al dominio contrappone l'universalita', se da' voce e sponda al mondo
escluso; e se precisamente in questo rimette in gioco il suo nomos, lo
critica e ne fa scaturire un altro nomos, un  nomos per tutta la terra.
*
Un ordine del mondo
Occorre dunque indagare su questo nomos. Il nomos, che e' il nome greco
della legge, non e' solamente un codice, un complesso di norme scritte e non
scritte. Per i greci esso era nello stesso tempo ethos, costume, usanze,
culto, insomma l'ordine complessivo della societa'; non a caso nomos e' la
parola con cui i Settanta traducono l'ebraica "Torah". Il nomos rimandava
addirittura all'ordine del cosmo; sicche' fu gia' un primo choc quando ci si
accorse che non c'era un solo nomos ma c'erano tanti nomoi, sicche' il nomos
valse ad indicare l'identita' di ogni popolo; tanto che Omero disse di
Ulisse, all'inizio dell'Odissea, che "egli vide molte genti e conobbe il
loro nomos", almeno stando alla versione preferita da Schmitt (4).
Cosa e' dunque il nomos dell'Europa e dell'Occidente, a partire dai suoi
inizi mediterranei, e qual e' il suo peccato originale?
Carl Schmitt ha spiegato a piu' riprese il significato originario (e
permanente) di nomos, sia in "Terra e mare", sia nel "Nomos della terra",
sia in un saggio "Appropriazione, divisione, produzione" del 1953 che si
trova ora nella raccolta bolognese "Le categorie del politico". Egli spiega
che il sostantivo nomos deriva dal verbo greco nemein; si tratta del nome di
un'azione il cui contenuto e' dato dal verbo. E nemein significa tre cose.
In primo luogo significa prendere, e dunque si tratta dell'appropriazione;
anzitutto appropriazione della terra, poi del mare e infine, nel modo di
produzione industriale, appropriazione dei mezzi di produzione. In secondo
luogo significa dividere cio' di cui ci si e' appropriati, dunque la
fondamentale (primitiva) divisione e distribuzione della terra nonche'
l'ordinamento della proprieta' basato su di essa. Il terzo significato e'
l'uso, la coltivazione, la valorizzazione delle terre e delle cose
appropriate: la produzione, nella quale entra lo stesso consumo. Dunque
"appropriazione, divisione, produzione" sono, dice Schmitt, "i tre concetti
fondamentali di ogni ordinamento concreto"; e al variare dell'ordine tra
loro, varia anche il tipo di societa'. Figuriamoci come varierebbe la
societa' se non solo il loro ordine, ma i concetti stessi variassero, e
fossero sostituiti da nuovi.
In ogni caso questo, appropriazione, divisione, produzione, e' il nomos
dell'Occidente, la sua identita'; ed e' facile vedere come questi tre
contenuti del nomos rinvenuti da Schmitt corrispondono, benche' in diversa
successione e con l'esplicitazione del loro concludersi in dominio, alle tre
categorie indicate da Napoleoni, produzione, appropriazione, dominazione,
dalla cui stringente concatenazione occorrerebbe liberarsi per uscire dalla
crisi.
*
Un nomos dell'uomo economico
Parlare del nomos dell'Europa e dell'Occidente vuol dire parlare di questo.
Vuol dire parlare di un ordine fin dal principio identificato e finalizzato
al ciclo economico, non alla generalita' della vita e del rapporto tra gli
esseri umani; vuol dire parlare di un ordine che e' stato fondato sulla
legge della cosa, sul primato della proprieta' e della produzione, e che
come tale implica un'antropologia che sottopone l'essere umano alla legge
della cosa, e ne fa tutt'uno con la cosa.
Prima di tutto, ed emblematicamente, occorre rilevare che e' un ordine
maschile. Nell'originaria appropriazione e divisione rientrano infatti anche
le donne, in quanto appropriate, come del resto vi rientrano gli schiavi, i
servi, e tutti gli esseri umani non riconosciuti, non cooptati nella loro
qualita' di soggetti. Sicche' e' tutto da verificare che cosa sarebbe stato
e sarebbe un diritto che fosse stato o fosse scritto dalle donne, che poi
vuol dire dalle donne e dagli uomini insieme.
Ma piu' in generale si puo' vedere come tutte e tre le categorie
fondamentali del nomos, passate attraverso tutte le variazioni della
crescita del diritto e delle lotte economiche e politiche, sono oggi
arrivate a un punto di crisi che ne svela l'ultima potenzialita'
distruttiva.
La produzione ha trasformato gradualmente tutto il mondo in mondo manufatto,
prodotto, non rinnovabile, impossibile ad essere "aggiustato" ("iustari"
sarebbe il significato dello ius, secondo l'Aquinate), e destinato man mano
a rompersi ed essere scartato come i pezzi di un meccano (la crisi ecologica
viene da qui).
L'appropriazione ha via via privatizzato, confiscato e assoggettato tutte le
cose, anche quelle che erano comuni e destinate all'utilita' comune, le
terre, le acque, le foreste, i fondi marini, le orbite spaziali; non ci sono
piu' beni comuni, diritti d'uso, usi civici e ormai anche le sementi, i
prodotti agricoli, e gli stessi codici genetici vengono coperti da brevetti.
La divisione delle risorse, e perfino dei mezzi necessari alla vita, non
puo' far fronte ai bisogni di tutti gli abitanti della terra. E quando non
c'e' piu' nulla da distribuire, quando i fiumi sono stati interrati, gli
invasi creati dalle gigantesche dighe sono stati riempiti, gli alberi
dell'Amazzonia sono stati tagliati, quando l'atmosfera si e' saturata di
anidride carbonica e il mondo che respirava nel cosmo e' diventato una
scatola chiusa come una serra, allora a quel punto questo mondo o si rinnova
o finisce.  E chi non lo vuole rinnovare, chi pensa, forte del suo potere,
che ci sia un'uscita solo per se', di fatto ne preferisce le fine.
*
Resistere, disattivare, innovare il nomos
Per questo ci vuole un cambiamento del nomos, non solo delle filosofie ma
degli ordinamenti concreti.
Il cammino della civilta' e' passato attraverso le trasformazioni del nomos.
La contestazione che dalle leggi della citta' ha appellato ad altre leggi
piu' pietose e piu' giuste ha messo in tensione il nomos e lo ha scosso fin
dalle fondamenta da Antigone alla legge italiana sull'obiezione di
coscienza. L'illuminismo ha cercato di fare del nomos l'antidoto alla forza,
la certezza del diritto, la difesa del debole. Le rivoluzioni si sono
proposte di passare dall'uno all'altro nomos.
Ma e' stato Paolo che ha ingaggiato col nomos la partita decisiva. Paolo si
e' trovato di fronte una legge, la Torah, che non solo stabiliva e
consacrava un ordine, ma anche pretendeva dare la salvezza. Ma la salvezza
non la dava; essa giudicava ma non "giustificava", e soprattutto
discriminava tra eletti ed esclusi, tra ebrei e gentili (gli appartenenti
alle genti); e non solo la Torah ebraica, anche il nomos greco spezzava la
comune appartenenza umana, dividendo gli esseri umani in liberi e schiavi,
signori e servi, cittadini e stranieri, uomini e donne. E anche la lex
romana, la legge dell'Impero, discriminava tra romani e barbari, uomini  e
no. Tutti i primi termini di queste coppie di opposti erano i beneficiari di
un'elezione, depositari di un privilegio originario: si nasce ebreo, si
nasce romano, si nasce civis. A questa discriminazione essenziale,
ontologica, corrispondeva la discriminazione nella titolarita' e
nell'esercizio delle funzioni economiche proprie del nomos, dal massimo del
potere alla mancanza di ogni potere. Disparita' e scarto di potere
ultimamente garantiti al vertice dal potere politico e religioso, sovrano
del nomos (benche' Pindaro, piu' moderno di Bush,  avesse tentato di
accreditare al nomos stesso la sovranita', facendolo re, nomos basileus). Il
nomos si presenta dunque essenzialmente come una legge (un ordine) di
discriminazione e di selezione tra gli esseri umani.
Percio' Paolo si scontra col nomos, con la "legge", perche' pretesa di
salvezza per gli uni, perdizione per gli altri, affermando che l'umano e' di
tutti, che percio' la salvezza va cercata fuori dal nomos. E Paolo dice:
meno male che non c'e' solo il nomos, c'e' qualche altra cosa, che lui
chiama la fede. Ma non si tratta di contrapporre fede a fede, la disputa non
e' una disputa tra dottrine, tra antropologie, che si possa dirimere nella
Scuola di Atene. Cio' che Paolo si trova di fronte e' appunto un nomos,
cioe' un ordinamento concreto. Naturalmente non lo puo' abbattere e neanche
vuole, perche' l'anomia, la perdita di ogni regola e' ancora peggio del
nomos. E allora Paolo oppone alla legge due atteggiamenti che, come ha
spiegato Giorgio Agamben, appartengono all'ordine del vivere messianico: il
primo e' la resistenza, il fare argine, intercettare e frenare le forze di
distruzione proprie del nomos; quella "forza frenante" che Paolo chiama
katekon; il secondo e' la "disattivazione" della legge e del suo potere, che
vuol dire svuotarla della sua pretesa di assolutezza, svigorirla, toglierle
forza di dominio, negarle l'assenso pur osservandola, cio' che Paolo chiama
katargein (5).
In tal modo l'Europa dovrebbe resistere alla imposizione a tutto il mondo
della legge imperiale, prolungamento iperbolico del suo stesso nomos
discriminatorio ed eurocentrico, e dovrebbe sottoporre a critica e rimettere
in gioco il nomos dell'Occidente, disattivarlo nella sua pretesa di unicita'
e di dominio, metterlo in relazione con gli altri nomoi, schierarlo contro
le nuove esclusioni del Mercato globale, dare mano a costruire un
ordinamento atto a comprendere il terzo escluso, il non eletto, l'esubero,
le classi negate sia dentro che fuori i confini dell'Impero.
Dal nomos dell'Occidente al nomos dei popoli, al nomos della terra:
universale, inclusivo, pluralistico, panumano, senza popoli canaglia e Stati
zizzania.
Non sara' una Costituente a poter varare questo nuovo nomos. Sara' un
processo, una lunga rivoluzione, una gestazione, come dice Raul Mordenti
(6), il liberarsi di un nuovo ordine dalla crisalide del vecchio; non solo
appropriazione, divisione, produzione, dominazione, ma libera fruizione,
condivisione, contemplazione, liberazione, per tutti gli uomini, per tutto
l'umano.
*
Note
1. "Napoleoni", in Raniero La Valle, Prima che l'amore finisca, Ponte alle
Grazie, Milano 2003, p. 161.
2. Claudio Napoleoni, Discorso sull'economia politica, Boringhieri, Torino
1985, p. 120.
3. Ivi, pag. 136.
4. Carl Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, p. 296.
5. Giorgio Agamben, Il tempo che resta. Un commento della lettera ai Romani,
Bollati Boringhieri, Torino 2000.
6. Raul Mordenti, La rivoluzione, Tropea, Milano 2003, pag. 95.

5. POESIA E VERITA'. UNA STANZA DI MAGDA ISANOS
[Da  AA. VV., L'altro sguardo. Antologia delle poetesse del '900, Mondadori,
Milano 1996, 1999, pp. 287-288. E' una stanza di Mattino di primavera, della
poetessa rumena Magda Isanos (1916-1944)]

Dico "vita"... e prende a battere il cuore
veloce, come un uccello colto da paura.
Fuori, la notte di marzo sbianca a poco a poco,
e spuntano alberi e torri.

6. MATERIALI. NANNI SALIO: ISRAELE-PALESTINA, DENTRO IL CONFLITTO
[Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: regis@arpnet.it) per averci messo a
disposizione come anticipazione questo suo articolo che apparira' sulla
bella rivista pedagogica "Ecole". Nanni Salio, torinese, segretario
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da diversi anni di
ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli
della nonviolenza in Italia. Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa
popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, Perugia; Scienza e guerra (con
Antonino Drago), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1982; Ipri, Se vuoi la pace
educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; Le centrali nucleari e
la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Ipri, I movimenti per la pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Progetto di educazione alla pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Le guerre del Golfo, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1991; Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento,
Verona 2001. Per contatti: Centro Studi "Domenico Sereno Regis", via
Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824, fax: 0115158000, e-mail:
regis@arpnet.it, sito: www.arpnet.it/regis]

Se l'educazione alla pace e' innanzi tutto educazione alla trasformazione
nonviolenta dei conflitti, dal micro al macro, disponiamo oggi di un
utilissimo strumento per sperimentare concretamente cosa significa tutto
cio'.
Il "gioco di ruolo" La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, ideato
da Angela Dogliotti Marasso e Maria Chiara Tropea per le Edizioni Gruppo
Abele di Torino, permette di simulare la complessa, difficile e sofferta
storia del conflitto israelo-palestinese seguendo una metodologia attiva,
coinvolgente, efficace al fine di acquisire le competenze fondamentali
necessarie per affrontare costruttivamente e creativamente anche i conflitti
piu' spinosi.
Da tempo, i "giochi di ruolo" vengono utilizzati per affrontare questioni
complesse, globali e controverse, per calarsi in situazioni reali e
comprendere i diversi punti di vista degli attori in gioco, senza cadere in
futili stereotipi che bloccano la comunicazione, aumentano la tensione sino
a favorire l'esplosione della violenza e impediscono la soluzione creativa
del conflitto.
E' merito di Elena Camino e del Gruppo di Ricerca in Didattica delle Scienze
Naturali, da lei diretto presso il Dipartimento di biologia animale
dell'Universita' di Torino, aver introdotto in Italia i primi giochi di
ruolo applicati alla didattica delle scienze su questioni controverse
(dall'allevamento intensivo dei gamberetti alle piogge acide, dai rifiuti
alla deforestazione). E che cosa c'e' di piu' controverso di un conflitto
come quello tra Israele e Palestina, trasformatosi, nel corso dell'ultimo
mezzo secolo, in una guerra endemica, lacerante, autodistruttiva, un vicolo
cieco senza vie d'uscita?
Il gioco di ruolo permette a studenti, insegnanti, attivisti dei movimenti
per la pace, di vivere in maniera piu' diretta, ma pur sempre decentrata, le
ragioni, le paure, le sofferenze degli uni e degli altri, evitando le
contrapposizioni superficiali e banali tipiche del confronto puramente
verbale di molti sterili dibattiti, che troppo spesso finiscono di suscitare
solo un "tifo da stadio".
Il gioco prevede la partecipazione di un numero massimo di 14 personaggi che
si identificano in ebrei israeliani, altri 14 palestinesi e 6 cittadini di
diversi paesi. Per ognuno e' prevista una scheda di ruolo che viene
consegnata all'inizio dell'attivita', a sua volta strutturata in due parti.
La prima e' centrata sulla storia, secondo le narrazioni dei due punti di
vista, esaminati prima separatamente e poi insieme. La seconda affronta
l'analisi e la trasformazione del conflitto, mettendo in evidenza in
particolare le metodologie nonviolente. Per prepararsi a ognuna delle due
fasi, i partecipanti possono accedere a una considerevole quantita' di
documentazione (libri, articoli, video, bibliografie, siti Internet),
accuratamente selezionata e messa a disposizione per conoscere la storia e
le dinamiche del conflitto in corso.
La scansione temporale puo' essere calibrata a seconda delle esigenze
specifiche dei partecipanti, ma richiede non meno di un giorno e mezzo e
puo' essere preceduta da una o due sessioni preliminari di un paio d'ore
ciascuna.
In un momento in cui e' sempre piu' evidente a un gran numero di persone che
la guerra non consente di raggiungere una soluzione stabile ed equa, i
segnali di speranza vengono da quelle componenti della societa' civile che
non si rassegnano e continuano il lavoro "dal basso" di incontro,
riconoscimento, ricerca creativa, che i vertici politici e i gruppi
oltranzisti non sono stati sinora in grado di realizzare.
L'"Accordo di Ginevra" elaborato da autorevoli esponenti della societa'
civile israeliana e palestinese costituisce un esempio concreto del cammino
che e' possibile compiere. Anche noi, come parti esterne internazionali,
possiamo svolgere un ruolo efficace nel creare quei presupposti culturali
indispensabili per facilitare la trasformazione nonviolenta del conflitto e
il successivo cammino verso la riconciliazione di due popoli che la storia
ha unito nel bene e nel male e che possono riconoscersi nella loro comune
umanita'.
La scuola puo' essere un luogo privilegiato per contribuire a questa
straordinaria impresa, purche' si sappia uscire da schemi mentali vecchi e
superati e ci si doti di strumenti e metodologie educative che permettano di
sbrogliare i nodi di una intricata matassa.

7. MEMORIA. LIVIO MAITAN RICORDA PIETRO TRESSO
[Dalla mailing list "Bandiera Rossa News" (per contatti:
ba.ro.news@inwind.it) riprendiamo questo intervento di Livio Maitan apparso
sul quotidiano "Liberazione" del 26 ottobre 2003. Abbiamo omesso l'ultima
frase, decisamente di circostanza.
Livio Maitan, militante del movimento operaio, docente universitario,
illustre studioso di Trotskij, e' autore di molte rilevanti pubblicazioni.
Pietro Tresso (1893-1943), militante del movimento operaio, tra i fondatori
del Partito comunista d'Italia, combattente antifascista, fu assassinato
dagli stalinisti. Sulla sua figura: Alfredo Azzaroni, Blasco, Milano 1962
(l'introduzione di Ignazio Silone a questo libro e' ora anche in Ignazio
Silone, Romanzi e saggi, volume II, Mondadori, Milano 1999, pp. 1331-1336);
Paola Casciola, Giorgio Sermasi, Vita di Blasco. Pietro Tresso dirigente del
movimento operaio internazionale, Vicenza 1985. Sulla tragica vicenda della
sua morte si veda il libro rigorosamente documentato, acuto e appassionato,
di Pierre Broue' e Raymond Vacheron, Assassinii nel maquis. La tragica morte
di Pietro Tresso, Prospettiva Edizioni, Roma 1996]

Sono passati esattamente sessant'anni dalla morte, in tragiche circostanze,
di Pietro Tresso, militante attivo sin da giovanissima eta' nel movimento
operaio, prima nel Partito socialista, da Livorno al 1930 nel Partito
comunista e poi nel movimento trotskista. Dalla meta' degli anni '60 sono
usciti, in Italia e in Francia, vari saggi su di lui, apprezzabili per la
documentazione, anche se, in certi casi, discutibili nell'impostazione. La
Storia del Pci di Paolo Spriano parla di Tresso a proposito della vicenda
che avrebbe portato alla sua espulsione, con indicazioni sulle sue scelte
successive: ma neppure un accenno alla sua morte e alle circostanze di
questa morte, in volumi pur comparsi oltre quindici anni dopo il '56.
Pietro Tresso era nato a Magre', in provincia di Vicenza, nel 1893 e gia' a
nove anni aveva cominciato a lavorare come apprendista sarto. Militante
della gioventu' socialista a quattordici anni, all'inizio della prima guerra
mondiale doveva comparire dinnanzi a un tribunale militare per la sua
attivita' antimilitarista. Era assegnato a un battaglione di disciplina e,
divenuto ufficiale, subiva per oltre due anni la disumana esperienza della
vita nelle trincee. Ammalatosi di tubercolosi, era congedato dall'esercito e
riprendeva la vita civile, che, per lui, era di nuovo, immediatamente,
l'impegno politico militante. Nel Partito socialista si schierava
risolutamente a sinistra, collaborando con l'ala bordighista. A Livorno, nel
1921, partecipava alla fondazione del nuovo partito e l'anno successivo
faceva parte della delegazione italiana al IV congresso dell'Internazionale
comunista. A Mosca, dove aveva una responsabilita' nell'Internazionale dei
sindacati rossi, collaborava con Antonio Gramsci. Al congresso di Lione, nel
1926, era eletto membro candidato del Comitato centrale, di cui diveniva poi
membro effettivo. Era quindi eletto nello stesso organismo di direzione piu'
ristretto, l'Ufficio politico, assumendo compiti di primo piano sia nel
Centro organizzativo interno sia nel Centro che operava all'estero. Nel
febbraio 1927 partecipava a una conferenza per la ricostruzione della
Confederazione sindacale ed era eletto al Comitato direttivo provvisorio.
*
Nel 1929-1930 l'Internazionale comunista, ormai sotto il controllo del
gruppo dirigente staliniano, proclamava la linea del cosiddetto "terzo
periodo" che combinava una visione catastrofista della crisi del capitalismo
e un tetragono settarismo verso i partiti socialdemocratici, definiti con il
paradossale epiteto di "socialfascisti". Nel Pci l'opposizione a questa
linea, espressa anche da Gramsci dal carcere, era presente anche
nell'Ufficio politico che a un certo momento risultava diviso a meta': per
uscire dall'impasse si calcolava irritualmente come effettivo il voto del
rappresentante della Federazione giovanile. Secondo una versione, dura a
morire, Tresso, come Leonetti e Ravazzoli in accordo con lui, si sarebbe
opposto al rilancio dell'attivita' all'interno del paese. In realta' Tresso
negava che esistesse in Italia una prospettiva di rovesciamento del fascismo
a breve termine e, se era d'accordo su un rilancio del lavoro interno,
contrastava impostazioni di fatto avventuristiche che si sarebbero pagate a
caro prezzo. Nel giugno 1930 i tre oppositori erano, comunque, espulsi dal
partito. Solo dopo avrebbero preso conoscenza delle posizioni sostenute da
Trotskij e dall'Opposizione internazionale di sinistra. Tresso si legava al
movimento trotskista, continuando il suo lavoro nell'emigrazione italiana,
ed entrando poi nel Partito socialista (massimalista) in applicazione della
scelta entrista fatta allora dai trotskisti in Francia. Nel settembre 1938
era presente al congresso di fondazione della IV Internazionale ed era
eletto al Comitato esecutivo.
*
La guerra era ormai imminente e nel giugno 1940 la Francia era occupata.
Ricercato, come molti altri, dalla Gestapo, Tresso si impegnava
nell'attivita' clandestina. Arrestato nel giugno 1942, era condannato da un
tribunale di Vichy a dieci anni di reclusione. Ma un anno dopo un'azione
coraggiosa di partigiani liberava dalla prigione di Puy-en-Velay un gruppo
di prigionieri politici tra cui Tresso. Sembrava aprirsi, dunque, per lui
una nuova fase di lotta antifascista e rivoluzionaria e, invece, i suoi
giorni erano contati. Tra i partigiani che lo avevano liberato, c'erano
militanti legati al Partito comunista francese, che venivano a conoscenza
della sua vera identita'. Pochi giorni dopo, alla fine di ottobre, sempre
del 1943, Tresso, con tre altri militanti di orientamento trotskista, erano
assassinati e i loro parenti e compagni perdevano a lungo ogni loro traccia.
Si e' molto indagato sugli esecutori materiali dell'assassinio. Comunque,
drammaticamente certo e' che hanno agito su istruzione di apparati e di
singoli dirigenti, ispirati dalla logica perversa dello stalinismo.
*
Un anno prima della morte, Tresso aveva scritto dal carcere una lettera
struggente: "Proprio perche' siamo rimasti giovani - vi si leggeva - ci
troviamo praticamente fuori dalle diverse 'chiese'. Le stesse aspirazioni
morali che ci hanno spinto, fin dalla giovinezza all'interno di un partito,
ce ne hanno spinto fuori quando si sono trovate in disaccordo con quelle che
vengono definite necessita' pratiche. Se fossimo invecchiati, avremmo
ascoltato la voce dell'esperienza, saremmo diventati 'saggi', ci saremmo
adattati, come molti altri, all'astuzia, alla menzogna, al sorriso
ossequioso verso i vari 'figli del popolo', ecc. Ma questo ci e' stato
impossibile. Perche'? Perche' siamo rimasti giovani. E per questo sempre
insoddisfatti di cio' che e' e sempre aspiranti a qualcosa di meglio. Quelli
che non sono rimasti giovani sono diventati, in realta', dei cinici. Per
loro, gli uomini e tutta l'umanita' non sono che strumenti, dei mezzi che
debbono servire ai loro scopi particolari, anche se questi scopi vengono
mascherati con frasi di ordine generale; per noi gli uomini e l'umanita'
solo le sole realta' esistenti".
L'autore di queste righe aggiunge subito dopo che tutto questo era "molto
generico". Ma cio' non deve impedirci di coglierne il significato piu'
genuino...

8. INCONTRI. IL 22 NOVEMBRE A ROMA LE DONNE RIFLETTONO SULL'INFORMAZIONE
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo e
diffondiamo. Invitiamo tutte e tutti a visitare il sito, che propone molti
preziosi materiali ed al quale sovente anche questo foglio attinge]

"Il Paese delle donne" invita tutte a partecipare all'incontro seminariale
che si terra' il giorno 22 novembre presso la Casa internazionale delle
donne di Roma (dalle ore 10 alle 18) per discutere insieme non solo del
rilancio della nostra testata ma, piu' in generale, dell'informazione
politica delle donne e del suo futuro.
Come contributo al dibattito che speriamo sara' ricco e denso di sviluppi
futuri, pubblichiamo nel sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net)
gli interventi di Marina Pivetta, Monica Lanfranco, Simona Mafai e Cristina
Papa.
Coloro che pur non potendo partecipare all'incontro del 22 novembre vogliono
comunque inviarci contributi di riflessione possono inviare una e-mail ad
articoli@womenews.net

9. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI NOVEMBRE
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail:
capitini@tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo]

Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di novembre 2003 del "C.O.S. in
rete" (www.cosinrete.it), una selezione critica di alcuni riferimenti
trovati sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della
pace, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione
aperta, educazione aperta, antifascismo; tra cui: La storia di destra;
Libere dagli uomini; Le colpe rimosse; Ribellarsi e' giusto; Il buio che
illumina; Stasera grande musica; Vecchiaia bruciata; Morire a venezia; I
preferiti; I malati volontari; L'Onu dal basso; La scelta; Olio antimafioso;
Il tetto; Pieta' l'e' morta; Un maestro scomodo, ecc.
Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale
sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al
"C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti.

10. RILETTURE. MARINELLA CORREGGIA: MANUALE PRATICO DI ECOLOGIA QUOTIDIANA
Marinella Correggia, Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori,
Milano 2000, 2002, pp. 432, euro 9,30. Informazioni, riflessioni e proposte
per un agire quotidiano che migliori la vita nostra e altrui, e il mondo di
tutti.

11. RILETTURE. GIULIANA DI FEBO, ROSA ROSSI (A CURA DI): INTERPRETAZIONI DI
CERVANTES
Giuliana Di Febo, Rosa Rossi (a cura di), Interpretazioni di Cervantes,
Savelli, Roma 1976, pp. 208. Una raccolta di testi di straordinario
interesse.

12. RILETTURE. VIRGINIA VACCA (A CURA DI): VITE E DETTI DI SANTI MUSULMANI
Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani, Utet, Torino
1968, Tea, Milano 1988, pp. 416, lire 12.000. Un'ampia selezione dalle
"Vite" di Sha'rani (con alcune integrazioni), una lettura che continuiamo a
raccomandare.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 729 dell'11 novembre 2003