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La nonviolenza e' in cammino. 700



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 700 dell'11 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Sergio Paronetto: nonviolenza forza di liberazione
2. Mao Valpiana: sulla proposta di Lidia Menapace, dalla riflessione
all'incontro all'iniziativa
3. Una persona, un voto
4. Mario Di Marco: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Ausilia Riggi Pignata: sulla proposta di Lidia Menapace (parte seconda)
6. Francesco Tullio: il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa
(un contributo alla proposta di Lidia Menapace). Parte seconda
7. Angelo Gandolfi: alla Perugia-Assisi per i corpi civili di pace
8. Catiuscia Barbarossa: da Perugia ai popoli del mondo
9. Roberta Bertoldi: l'intervento di Vandana Shiva a Perugia
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. SERGIO PARONETTO: NONVIOLENZA FORZA DI LIBERAZIONE
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto@yahoo.com)
per questo intervento. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di Pax
Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta']
Cari amici, cerco di esprimere la mia opinione sulle violenze accadute a
Roma il 4 ottobre, riprendendo alcune idee scritte in occasione del G8 di
Genova.
Purtroppo siamo all'ennesima replica. Concordo con molti intervenuti nel
dibattito.
So bene che in certe manifestazioni e' difficile calibrare le parole. Noto
anch'io che il linguaggio di alcuni sedicenti "pacifisti" e' cupo,
gladiatorio, militarizzato, maschilista. Quasi sempre ultimativo, eccitato.
Alcuni vivono, per cosi' dire, un orgasmo da scontro. Lo cercano. Mimano la
guerra o la rivoluzione armata. Desiderano il "martirio".
E' una logica tipica dell'estrema destra radicale, politica o esoterica. Il
mito del guerriero e' duro a morire. Fiorisce in molti giardini. Cresce in
luoghi diversi, uguali e contrari. Puo' contagiare persone miti e generose.
Da' spazio ai teppisti e ai provocatori organizzati. A volte, nel clima teso
di alcune grosse manifestazioni, molti partecipanti ritengono secondaria la
presenza di violenti disposti a usare sassi, bastoni, scudi, o a fare
"guerriglia urbana". Pur dissentendo o denunciando il fatto, qualche
"pacifista" pensa ancora che si tratti di compagni o amici che sbagliano. E'
un abbaglio! I violenti sono pericolosi avversari del movimento per la pace.
Lo umiliano. Lo sgretolano. Lo screditano. E' per questo che, a volte,
vengono lasciati fare o sono manipolati.
E' una storia vecchia. Il modo migliore per eliminare o indebolire un
soggetto politico alternativo e' quello di minarlo dall'interno, usando
parole d'ordine condivise. E' quello di portarlo al degrado e al suicidio.
Condivido l'allarme lanciato piu' volte da Susan George in riferimento a
episodi di violenza avvenuti a Goteborg, a Genova e altrove: "ne ho
abbastanza di questi gruppi che arrivano nelle manifestazioni per
distruggere...;  ne ho abbastanza di questi teppisti e temo che se si
continua a lasciarli fare finiranno per distruggere il movimento: la piu'
bella speranza politica da trent'anni a questa parte" ("Azione nonviolenta",
n. 7, 2001). Per Susan George, "il movimento che lotta per una
globalizzazione diversa e' in pericolo... Non potra' piu' andare avanti allo
stesso modo... Noi, la immensa maggioranza che avanza proposte serie, noi
che crediamo fermamente che un altro mondo e' possibile, dobbiamo agire
responsabilmente... Dovremo trovare nuovi percorsi democratici per portare
avanti la lotta".
Alcuni pensano che lanciare i sassi sia legittimo o, comunque, poco
rilevante davanti ai problemi dell'umanita'. C'e' chi si appella, tra
l'altro, alla "legittima difesa" senza rendersi conto che usano proprio
l'argomentazione di coloro che preparano le guerre o la corsa agli
armamenti. La loro "disobbedienza civile" assomiglia a una disperata sfida
di guerra. Sono complici e vittime della logica dello scontro.
Chi giustifica i  "microviolenti" ripete frasi solo apparentemente sensate
come: "la vera violenza e' quella dei potenti",  "ci sono violenze piu'
grandi", "il mondo e' pieno di violenza". A mio parere, tali espressioni
sono pericolose e subalterne. Chi pensa cosi' non si rende conto che la
violenza fa sempre il gioco dei potenti. Bisogna ripeterlo con calma e
determinazione.
Le cosiddette "microviolenze" rafforzano le "macroviolenze". Le imitano. Le
riproducono. Le riciclano. Le occultano. Le giustificano. Accreditano chi
compie nel mondo orribili misfatti, e continua a farlo indisturbato, capace
di presentarsi come benefattore o salvatore. La violenza corrompe ogni fine
cui venga subordinata. Appartiene alla notte della democrazia. Alla
preistoria, ancora in atto, dell'umanita'.
Le "microviolenze" sono figlie e complici delle grandi violenze. Sono la
loro clonazione.  Bisogna dire con fermezza che ogni violenza e' cattiva. Un
sasso, un bastone, un oggetto lanciato possono ammazzare. Non colpiscono il
capitalismo, l'imperialismo, il male ma un essere umano, una persona. Il suo
diritto alla vita. Occorre ripeterlo.
Oltre che cattiva, la "microviolenza" e' stupida, ingenua, controproducente.
Da' ampio spazio alla repressione. E' certamente vero, osservava Enrico
Peyretti, che c'e' una differenza tra le violenze, "ma la cultura
nonviolenta non si accontenta di questa graduatoria e vuole un passo in
piu': vuole l'onore di cominciare ad abolire la violenza nella difesa degli
offesi. La nonviolenza vuole questo primato onorevole, perche' essa e' onore
umano e coraggio: percio' ha piu' paura di uccidere che di morire... Nulla
e' piu' gradito ai padroni del mondo che le manifestazioni contrarie in
forma violenta. Esse permettono agli oppressori di apparire oppressi, quindi
sono uno stupido regalo fatto ai padroni da rivoluzionari ingenui, complici
per ignoranza e superficialita', succubi della stessa cultura dei loro
avversari, percio' profondamente sconfitti" ("Adista" 28, 9 aprile 2001).
La sconfitta e', soprattutto, umana. Chi sottovaluta il peso avvilente e
degradante delle violenze o le vede come un fenomeno "normale" del mondo
moderno, per quanto protesti o gridi, e' sull'orlo della resa. Sta cadendo
nella disperazione. Sta incubando il cinismo.
Il popolo della pace deve esprimere in tutti i modi la sua radicale
estraneita', il suo irriducibile antagonismo nei confronti di ogni forma di
violenza.
*
La violenza e' male perche' e' disumana. Crea una spirale autodistruttiva
nella persona e nella societa'.
Sarebbe interessante approfondire, al riguardo, gli studi di Rene' Girard.
Egli analizza il "ciclo della rivalita' mimetica" che moltiplica la violenza
e scatena il meccanismo del "capro espiatorio". I "doppi nemici" diventano
l'uno lo specchio dell'altro, preda del "contagio" o dell'"invasamento"
mimetico.
Possiamo spesso verificare attorno a noi il carattere devastante e avvilente
dell'automatismo legato alla logica botta-risposta, amico-nemico, occhio per
occhio. Penso alla diffusa assuefazione alle violenze (in molti casi
all'incitamento ad esse) di ogni giorno, ad alcuni orribili episodi di
violenza urbana e familiare per motivi futili. Alla spirale che sta
travolgendo il Medio Oriente o l'Iraq, il Centro Africa o la Cecenia...
La violenza ci ingabbia in un meccanismo mortifero che paralizza il piacere
di vivere e blocca ogni energia vitale. Ci inchioda in una coazione a
ripetere che Erich Fromm chiamerebbe "necrofilia". La nonviolenza, invece,
rappresenta la "biofilia" operosa. Una forma di sanita' mentale. Il libero
civile dispiegarsi del piacere di vivere. La gioia di comunicare. La fiducia
nella possibilita' di costruire rapporti liberi, giusti e fraterni.
Per questo e' importante riattivare il movimento per il disarmo
(convenzionale e nucleare, batteriologico e chimico...) partendo anche
dall'opposizione a fatti come il potenziamento delle basi nucleari in
Sardegna, la costruzione dello "scudo spaziale", la formazione di un grande
esercito europeo, le prossime spedizioni militari contro la Siria o l'Iran.
Occorre denunciare guerre e violenze, che costituiscono un'immensa
ingiustizia verso i poveri, con proposte di una politica di pace basata
sulla nonviolenza come forza di liberazione. "La nonviolenza in cammino" ne
ha gia' fatte molte. Cosi' pure la Rete Lilliput o la Tavola dela pace.
Altre stanno emergendo dalla quinta assemblea dell'"Onu dei popoli" e dalla
Perugia- Assisi. Altre ancora stanno maturando in vista della prossima
Giornata mondiale della pace (primo gennaio 2003), promossa da alcune
associazioni cattoliche (in accordo col papa Giovanni Paolo II) sul
tema-appello "Il diritto internazionale, una via per la pace".
Non c'e' pace, infatti, senza diritto. Ce lo diceva la "Pacem in terris" nel
1963 con l'idea dei "quattro pilastri" della pace nella nonviolenza che e',
appunto, forza di verita', spirito di liberta', fame di giustizia, potere
dell'amore che trasforma.

2. EDITORIALE. MAO VALPIANA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE, DALLA
RIFLESSIONE ALL'INCONTRO ALL'INIZIATIVA
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta@sis.it) per
questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle
della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera
come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato
nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza
come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato
di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della
Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico,
scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n.
435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]
Non sono intervenuto finora nel dibattito perche' condivido il senso e i
contenuti della proposta ed anche di gran parte degli interventi fatti.
Ora, pero', mi pare giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica,
dal pensiero all'azione.
Dobbiamo dare spessore politico al progetto.
Avanzo alcune ipotesi di lavoro, sulle quali chi lo desidera potra'
esprimersi. Se saranno condivise, potremo poi definire il percorso comune,
con date e luoghi.
1) Penso che sia importante un incontro di tutti coloro, singoli e
associazioni, che si sono espressi e che condividono l'idea, per mettere a
punto un documento "per un'Europa neutrale, disarmata, smilitarizzata,
nonviolenta" da diffondere e sul quale trovare adesioni.
2) Una volta definito il documento , bisognera' individuare le modalita' ed
il carattere di una manifestazione nonviolenta nel corso della quale
presentare all'opinione pubblica e alle istituzioni la nostra visione di
Europa, con la volonta' di far giungere il messaggio nonviolento anche alla
Conferenza intergovernativa dei capi di stato e di governo (che si riunira'
a Bruxelles il 12 e 13 dicembre).
*
Ritengo importante che nel nostro percorso ci sia il momento della
manifestazione pubblica, esemplare nei fini e nei mezzi. Non sara' tanto
importante il numero dei partecipanti, quanto la qualita' del nostro agire.
Non sara' una manifestazione contro qualcuno, non inseguira' nessun vertice,
non avra' "zone rosse", ma sara' un momento alto per far conoscere il nostro
progetto costruttivo europeo, per il disarmo unilaterale e per la
costituzione dei corpi civili di pace.
Il movimento della nonviolenza organizzata ha la maturita', la capacita',
l'autorevolezza per mettere in campo una propria specifica iniziativa
politica.
Questo e' un possibile percorso che tiene conto delle nostre forze e dei
tempi politici. Dobbiamo avere attenzione alle nostre idealita' ma anche
all'efficacia del nostro agire. Essere nel contempo idealisti e realisti,
"candidi conme colombe e astuti come serpenti".
*
Avanzo possibili date e luoghi di questa proposta:
1) Fissare l'incontro a Verona il giorno 8 novembre (sabato) presso la Casa
per la nonviolenza (via Spagna 8), dalle ore 12 alle ore 16 (per permettere
a tutti di arrivare e ripartire in giornata).
2) Organizzare la manifestazione/sit-in a Roma, in piazza Colonna, davanti
alla sede del governo, il giorno 8 dicembre: e' un lunedi' festivo,
ricorrenza dell'Immacolata Concezione e ... anniversario della scomparsa di
John Lennon...
Sono convinto che possiamo davvero avviare una politica della nonviolenza.
Abbiamo due mesi di tempo per preparare una buona iniziativa.

3. EDITORIALE. UNA PERSONA, UN VOTO
Democrazia e' prendere in comune le decisioni che tutti riguardano.
E cosi' non vi e' dubbio che chi in un luogo vive abbia diritto a esprimere
la sua opinione su cio' che anche lui riguarda, abbia diritto a concorrere a
formare la volonta' comune.
E dunque il riconoscimento del diritto di voto agli immigrati residenti nel
nostro paese e' cosa buona e giusta e necessaria. Che doveva essere
realizzata da molti anni, lo si faccia almeno adesso senza perdere altro
tempo.

4. RIFLESSIONE. MARIO DI MARCO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Mario Di Marco (per contatti: mdmsoft@tin.it) per questo
intervento. Mario Di Marco e' responsabile degli obiettori di coscienza in
servizio civile presso la Caritas diocesana di Viterbo, ed e' uno dei
fondamentali punti di riferimento a Viterbo per tutte le persone di volonta'
buona]
Il dibattito in corso su piu' fronti circa i principi da includere nella
Costituzione europea sta facendo affiorare la confusione (e la carenza) dei
valori che da tempo interessa un po' tutte le societa' occidentali. La
riscoperta di nobili radici comuni (e tra queste non si potrebbero
trascurare quelle cristiane originarie, che, tra l'altro, potrebbero portare
a trarre inevitabili conseguenze nella direzione della pace e della
nonviolenza) risulterebbe senz'altro importante, ma in ogni caso cozzerebbe
contro una realta' che manifestamente le contraddice e le rende
anacronistiche.
Certo non per questo si puo' rinunciare a proporre un nuovo modello di
Europa che possa contrastare (e non assorbire) quello neoliberista made in
Usa, tant'e' vero che molti di noi si stanno preparando al grande
appuntamento della Perugia-Assisi che quest'anno e' finalizzata proprio
all'inserimento nella Costituzione europea sia del ripudio della guerra
quale mezzo di soluzione dei conflitti, sia del ruolo di costruttrice di un
ordine internazionale pacifico e democratico.
Temo sara' pero' molto difficile che la proposta venga accolta, ed
altrettanto ardua sara' una iniziativa per il principio della neutralita' di
cui si sta trattando su questa rivista telematica. Se l'Europa davvero lo
volesse adottare, dovrebbe infatti prima liberarsi dalla dipendenza
politica, economica, militare (e per tanti versi persino culturale) da quel
paese "straniero" le cui politiche (interne ed estere) sono sempre piu'
ispirate ai principi di un neoliberismo disumano e delirante.
Non si vuole dimenticare il ruolo decisivo degli Stati Uniti nella
liberazione dell'Europa dalla barbarie nazista, ne' quello (seppur
contraddittorio) di deterrente contro l'espansionismo sovietico, ma ormai da
tempo il debito e' stato pagato e nessun patto prevedeva l'asservimento ad
allucinanti piani di dominio globale quali sono quelli della cosiddetta pax
americana. Invece i padri costituenti sono dei progressisti come Blair,
fedele scudiero di qualunque avventura, dei conservatori come Chirac, che
ultimamente occorre ringraziare anche se sappiamo si muove soprattutto per
interessi nazionalistici, dei servi di corte (all'uopo giullari) come certi
altri personaggi.
Ciononostante la proposta di Lidia Menapace e' intelligente ed opportuna in
quanto, come dice lei stessa, e' gia' stata realizzata da piu' di uno stato
europeo dando i suoi frutti. Essa e' realizzabile anche perche', diciamolo,
e' "sostenibile" pure dal punto di vista occupazionale (e con la neutralita'
anche se gli eserciti restassero, sarebbero comunque un male minore se
fossero finalizzati strettamente alla legittima difesa). Tuttavia credo che
l'ambito vincente non sia quello europeo, bensi' quello nazionale: solo se
il numero degli stati neutrali crescera' si potra' arrivare ad un'Europa
neutrale.
Dobbiamo allora agire prima di tutto in casa nostra.
Abbiamo gia' nella nostra Costituzione un'avanzata base giuridica quale
l'art. 11, siamo prossimi ad una probabile svolta di governo, ebbene, che
sia allora un vero cambiamento. Che tutte le sigle della societa' civile
"democratica" si riuniscano attorno ad un progetto di neutralita' del nostro
paese, che sulla base del suo inserimento nei programmi di governo
discriminino le compagini che si affronteranno nelle prossime elezioni
politiche, considerando anche la possibilita' di non votare qualora nessuno
si dovesse prendere impegni precisi. Un'Italia neutrale sarebbe un grosso
passo avanti sulla via della pace ed avrebbe una grande forza trainante su
tutto il continente.

5. RIFLESSIONE. AUSILIA RIGGI PIGNATA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
(PARTE SECONDA)
[Ringraziamo Ausilia Riggi Pignata (per contatti: donnecosi@virgilio.it) per
questo suo impegnativo intervento, di cui pubblichiamo oggi la seconda parte
in attesa che ci invii il seguito. Ausilia Riggi Pignata e' un'acuta
pensatrice e testimone di scelte di forte rigore intellettuale e morale e di
profondo anelito alla liberazione di tutte e tutti; "si e' data - come ha
scritto lei stessa - un campo circoscritto di impegno per abbattere la
violenza istituzionale quando contrasta con la liberta' di coscienza; e
nello stesso ambito ha particolarmente approfondito il tema 'donna e sacro'
(su cui si veda il sito www.donne-cosi.org)"]
(Chiedo scusa se anche in questa seconda parte mi attardo sull'impostazione
del concetto della nonviolenza, senza giungere ancora al tema proposto dalla
Menapace).
Nell'universo umano la liberta' dovrebbe giocare la sua parte per
svincolarsi dal determinismo; eppure in esso la "lotta di tutti contro
tutti" e' ancora, in maniera piu' o meno velata, legge rigorosa, la piu'
violenta. La legge elaborata dalla mente umana ha di fatto sostituito alla
violenza naturale un altro tipo di violenza, adoperata da "persone di
potere" che predominano sui deboli.
Dove mai c'e' stato ordine (sempre relativo) senza strutture di potere,
qualunque esse fossero? (Qui apro una lunga parentesi: e' proprio vero che
le primitive societa' ci avrebbero superato in materia di partecipazione
alle comuni decisioni? Sarebbe troppo lungo tentarne una dimostrazione:
basti dire che delle civilta' "morte" sono rimaste tracce che testimoniano
una tale magnificenza del potere, che puo' liberarci dalla tentazione di
immaginare paradisi terrestri per tutti; sono stati sempre i pochi a far uso
ed abuso del potere a discapito degli altri. Talvolta si e' verificata
qualche esemplare anticipazione di novita', ma di forma, durata ed
estensione ben limitata).
*
Non e' inutile confessare a noi stessi che di fronte alle continue sconfitte
della razionalita' non c'e' speranza di far attecchire la nonviolenza ad
ogni livello. Soltanto le lotte per uguali diritti e doveri costituiscono
una pagina necessaria da scrivere sulla nonviolenza, nonostante la scarsita'
dei risultati.
Non sono pochi a pensare che la "forza (che e' violenza) legalizzata" abbia
una sua ragion d'essere, quasi che la violenza avesse diritto di
cittadinanza se usata nell'esercizio della giustizia. La nonviolenza
dovrebbe evitare sempre e in ogni caso l'uso della violenza, perche', anche
se dispiegata contro i trasgressori della legge, si contagia e si perpetua
in coloro che puniscono e in coloro che sono puniti. Fa male sentir parlare
di "debito da pagare alla giustizia". La tutela della legge non puo' e non
deve assumere carattere meramente punitivo, bensi' riabilitativo:
ricostruttore dell'umanita', sconfitta dalla perversione indegna di essere
chiamata umana.
E' vero: siamo testimoni giorno dopo giorno del facile esplodere della
violenza, anarchica, distruttiva, corrosiva di ogni principio; e la
nonviolenza non puo' stare a guardare. Ma, o si fa di questa il perno
attorno a cui far ruotare ogni tipo di convivenza pacifica, o si puo'
battere la ritirata e dar ragione a chi vuole "l'uso legittimo della forza".
*
Analogo discorso si puo' fare circa alcune ideologie che hanno ispirato
forme di governo impostate sull'idea di "Stato etico". Secondo la tesi su
cui si fonda, esso trasferisce la liberta' dei singoli nello stato o in una
fede. Facendo coincidere religione o razionalita' con eticita', la liberta'
dei cittadini e' inghiottita nella piu' terribile delle costrizioni, perche'
diviene uniformita' estorta con la violenza. La violenza strutturale invade
l'orizzonte della liberta', nel cui ambito i singoli non contano. Cio' non
significa dare spazio al libero arbitrio di ciascuno. Siamo in molti a
ritenere che una societa', per vivere in pacifica convivenza, debba essere
attraversata da un sentire morale non imposto, nutrito di fede nei valori
umani.
Nelle tappe successive a quelle in cui ci si ispirava (detto in modo
approssimativo) all'idea di stato etico, tuttora dietro l'angolo e
sistematicamente in vigore in molti paesi, si sono avute forme di governo
piu' razionali. Le odierne democrazie, disincagliate per principio dal vizio
originale dell'uso della violenza di stato, tardano a tradurre la
nonviolenza nella concretezza della vita. Il potere ha cambiato volto e
alcuni metodi irrazionali, mettendo da parte il "patto sociale". E'
insopportabilmente lungo il tempo che trascorre tra la legge imposta e
quella iscritta, come dice Russeau, nel cuore e nella mente di ciascuno. Se
dovessimo non attendere piu' e cedere allo scoraggiamento, sarebbe inutile
il nostro discorrere di nonviolenza.
*
Debbo confessare che anch'io, nell'insegnamento della storia, ho percorso
con una certa angoscia, insieme agli studenti, il succedersi dei fatti
storici che ripetono, dietro il protagonismo delle guerre, il camuffato
riaffermarsi della volonta' di potenza dei forti.
Fa eccezione il pensiero marxiano? Marx e' da rileggere guardando all'utopia
che egli contrappone alle ideologie. Strappare il potere ali cosiddetti
Grandi e donarlo alle masse, come lui preconizza, implica un capovolgimento
tale da rendere necessarie innumerevoli fasi di transizione, nonche',
possiamo aggiungere, una riformulazione continua del concetto di potere.
Procedendo a partire dal suo pensiero, ma sviluppandolo, ci si e' resi conto
che anche la teoria desunta da una prassi deve essere riesaminata e corretta
mediante la riflessione sui metodi. Forse la sua eredita' piu' credibile e'
nell'insistente richiamo a non lasciarsi sfuggire di mano un potere di cui
nessuna struttura e' autorizzato ad impossessarsi. Un pensiero da non
accantonare a causa del fallimento del cosiddetto "socialismo reale"; che
merita molti sviluppi, soprattutto in merito alla prefigurazione di un
riassetto davvero nuovo della societa'. Questa dovrebbe reggersi, non sulla
sovranita' dello stato, e forse - per ora lo affermiamo con sussiego -
neanche tramite la rappresentanza partitica, ma su un tipo di struttura in
movimento, in crescita, come avviene nello sviluppo di ogni organismo
vivente; struttura sostanziata di ricerca, propositiva, tale che, volta per
volta, potesse farsi compagna di tutti i movimenti di liberazione.
Oggi, se sapessimo interpretare lo spirito dei tempi, e non le sue
aberrazioni, vedremmo profilarsi la grande voglia di guardare in avanti,
operando il passaggio dalla necessita' strutturale a quella che chiamerei
liberta' antistrutturale, nel senso che sia la struttura ad adeguarsi alla
vita, e non viceversa; e che l'alto e il basso non restino immobilizzati
nell'opposizione, ma si dinamicizzassero.
La lotta alle ideologie, quale Marx auspicava, oggi potrebbe servire a
prendere le distanza da tutto cio' che si delega e si lascia in balia di
altre forme sottili di potere. Penso, ad esempio, all'idolatria delle
competenze. Queste sono necessarie anche sotto il profilo politico, se
distribuite e rispettose di esigenze maturate nell'impatto col quotidiano:
la cartina di tornasole della validita' della teoria e' sempre nel suo
lasciarsi intersecare dalla pratica, dal modo semplice in cui si svolge la
convivenza spicciola di cittadini rispettosi nel relazionarsi. (Mi permetto
una parentesi: la pubblicita' oggi dominante si alimenta dello scambio tra
le attese e i gusti della gente e chi ne prende atto per sfruttarlo; ma
questo e' un cattivo modello di reciprocita', perche' le competenze sono
asservire alla legge del mercato, in mano a chi e' piu' forte).
*
Piu' l'analisi si approfondisce nel tentativo di svincolare ogni
aggregazione umana dalle pastoie della violenza, spesso invisibili ad occhio
nudo ed inesperto, piu' si diviene consapevoli delle sue insidie. Mi fa
piacere, ne' mai me ne stanco, quando leggo: "la nonviolenza e' in cammino".
Aveva ragione, a suo modo, la frase marxiana: il comunismo in un solo paese
non puo' reggersi. Trasferendo al nostro discorso il senso della frase,
dobbiamo convenire che, per giungere a forme di associazione civile, estese
a tutti i popoli della terra, ci va un impegno ciclopico: dissociare la
violenza dal potere comporta far convergere tutte le potenzialita' umane
nella creazione di nuovi stili di convivenza, tali da far esplodere ovunque
la pace.
La pace, e' stato detto da un fine analista come Machiavelli, facilmente si
tramuta in ozio e quindi in licenza. Si puo' essere d'accordo sotto un solo
profilo: la pace non si potra' mai mantenere nell'immobilismo. E' conquista
continua; se non si espande, si tramuta davvero in inerzia dello spirito.
Mentre scrivo, sento la paura di cadere nell'enfasi delle utopie astratte,
dei velleitarismi e dei fanatismi di ogni genere. E per esorcizzarla non ho
saputo parlare della nonviolenza senza aver fatto un giro di orizzonte nella
storia.
Mi convince, in questa ricerca a piu' voci, il discorso su un attivismo
nonviolento che superi perfino i concetti di un sano riformismo, al quale si
ispirano, nei paesi occidentali, le politiche meno perverse. Quanto a noi,
dobbiamo parlare con termini nuovi, con idee nuove, con volonta' nuova. Non
per ignoranza delle lentezze della storia o del bisogno di regole in ogni
forma di organizzazione, ma per consapevolezza del limite di cui e'
impastato tutto il creato, compresi gli esseri umani.
Percio' non dobbiamo illuderci di aver fatto qualcosa di buono nel lanciare
idee; occorre soprattutto persistere in esse di fronte agli insuccessi. La
scala su cui salire e' fatta di tanti gradini, su ognuno dei quali sostare
quel tanto che e' utile per proseguire. Lo scoraggiamento deve trasformarsi,
da cedimento, in rinnovata consapevolezza. La compiutezza del sogno di pace
non sara' mai raggiunta, ma ad ogni tappa dobbiamo saper girare attorno lo
sguardo. Uno sguardo di insieme (che solo Dio puo' avere, ma che da lui
siamo chiamati ad apprendere momento per momento), non miope ne' presbite.
Dalla storia non si esce. Ma nella storia il nuovo e' sempre possibile.
E' vero. La pace mediante la pace e' il traguardo col quale soltanto
pochissimi si sono misurati, e spesso pagando con la morte il loro sogno.
Oggi puo' essere scoccata l'ora di una mutazione antropologica, mai
inverata: quella che permetta all'essere umano di traghettare la vita
biologica dalle sacche dell'impotenza contro la morte, verso una vita
dignitosa, degna di essere vissuta, dando alla morte stessa un significato
oltre la vita. Non parlo dell'aldila', ma dell'eredita' da lasciare alle fut
ure generazioni: il proposito fermo di immettere nella creazione la liberta'
dalla necessita'. Non c'e' altro centro su cui gravitare, se non un
pluricentro umano collaborativo, in continua espansione; tale da accogliere
in se' individualita' paghe, anziche' della loro sussistenza, di una
sussidiarieta' che trasformi le relazioni umane in cooperazione dai mille
modi.
(Continua)

6. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: IL BISOGNO DI SICUREZZA E LA DIFESA CIVILE
PER L'EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE). PARTE SECONDA
[Siamo assai grati a Francesco Tullio (per contatti:
psicosoluzioni@francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo
suo saggio - di cui pubblichiamo oggi la seconda parte - aggiornato per
l'occasione. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della
nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale
e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione
nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina
e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista,
psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e
trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di
psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al
master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001,
ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno
1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito:
www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha
coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del
Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il
confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali.
Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e
formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e
dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace;
numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in
Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in
pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei
servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero
professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso
e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica
dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e
nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la
prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di
incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione
dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di
crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un
contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti
intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi
della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse
pubblicazioni]
2. Riflessioni sugli aspetti soggettivi della sicurezza in un sistema
democratico
La presente parte intende contribuire a mettere in luce due
implicazioni/accezioni della  sicurezza, il primo e' "l'assicurare" i
vantaggi acquisiti, il secondo e' il senso di paura diffusa che si radica
nella paura dei singoli. Sono processi che si intrecciano e si mescolano  in
proporzioni diverse nelle diverse singole persone.
Le forme di attrito fra gruppi umani sono manifestazioni complesse e
derivano dall'interazione di forze economiche, culturali e psicologiche.
Enumero brevemente i fattori psicosociali abitualmente presi in esame (1),
rinviando la discussione dei singoli fattori ad una trattazione piu'
approfondita (2):
- la paura  e l'ostilita' individuale e di gruppo;
- la competizione su risorse scarse o ritenute tali;
- il bisogno degli individui di identificarsi in un gruppo o in una causa
che diano alla loro vita un senso trascendente;
- la tendenza umana ad esternalizzare, a proiettare su altri la
responsabilita' di impulsi ed intenzioni sgradite;
- una peculiare tendenza ad identificarsi, farsi rappresentare o subire dei
leaders che utilizzano le inclinazioni piu' selvagge degli individui in nome
della sicurezza o dell'interesse nazionale. Nel nostro periodo storico la
agglutinazione collettiva di questa suscettibilita' passa attraverso la
funzione dei mezzi di comunicazione di massa che, entro certi limiti,
possono esaltarla o inibirla;
- un ulteriore punto di vista da tenere in considerazione (3) e' lo studio
di quei sistemi di credenze collettive (belief systems) di un gruppo,
particolarmente perniciosi quando diventano rigidi, resistenti al
cambiamento e soprattutto se si accompagnano alla intensa sensazione del
gruppo di essere vittima di qualche torto.
La paura di malattie contagiose e la paura di dissoluzione della propria
identita' collettiva' di fronte a massicci flussi migratori sono i segni di
una angoscia diffusa che ha le proprie ricadute anche sulle scelte di
difesa.
*
I continui allarmi sul terrorismo, sulla violenza nei quartieri e nelle
famiglie, sulle catastrofi ambientali, sul rischio di recessione e di
perdita del lavoro, che vengono trasmessi dai mass media e vissuti da gruppi
consistenti della popolazione indicano come una analisi della dimensione
soggettiva della percezione della sicurezza/insicurezza e della reazione a
tali problemi veri e/o presunti, sia imprescindibile per la costruzione di
adeguate risposte difensive e trasformative.
Applico alla riflessione che segue i seguenti postulati:
1. Il senso di insicurezza e di paura sono concetti che si riferiscono
inevitabilmente ad una radice soggettiva. Queste dimensioni si riflettono
sulle istituzioni e sulle modalita' sociali di gestione dei conflitti
all'interno della collettivita' e con l'esterno (4).
2. Esiste anche una relazione fra bisogni, valori ed approcci individuali,
scelte di sviluppo collettive, e conflitti internazionali. Esiste un nesso
fra tensioni interiori (insoddisfazioni personali e malcontento sociale), i
modi di affrontare il vissuto di crisi (serenita' e maturita' d'animo,
rabbia o impotenza con le loro sfumature e comportamenti connessi, sia
personali che collettivi), e la stabilita'/instabilita' nazionale,
internazionale ed ambientale. Esiste cioo' un nesso fra micro e
macroconflitti e fra aspetti psicologici, economici e politici della
sicurezza.
3. Queste diverse dimensioni si influenzano reciprocamente fra di loro. E'
una scelta prenderle in esame in una ottica sistemica, di circolarita' fra
di esse, e non di semplice relazione causa-effetto.
4. La politica, pur essendo il risultato di un processo complesso, deve
prendere  adeguatamente in considerazione queste dimensioni personali. La
comprensione delle dinamiche relazionali e delle personalita' individuali e
collettive coinvolte nei conflitti e' utile per identificare nodi irrisolti,
per costruire strategie di intervento e per individuare le modalita'
comunicative piu' efficaci da applicare di volta in volta per uscire dalla
crisi. Questo sapere e' di per se' neutrale. Esso puo' essere utilizzato per
personale avidita' ed ambizione e/o per il bene comune.
5. Una politica che si definisca democratica non puo' applicare per
definizione forme di comunicazione manipolative con i propri membri e non
puo' favorire una strutturazione interna verticistica e programmi puramente
repressivi. Essa deve favorire anche la comunicazione sincera con il
competitore, con l'avversario e con il potenziale nemico, perche' la
competizione senza limiti esita inevitabilmente in scontro (5). Essa deve
dunque favorire la cooperazione almeno quanto enfatizza la competizione e
deve favorire il rispetto degli altri popoli, una maturazione emotiva
collettiva, lo sviluppo delle competenze e degli strumenti di gestione
costruttiva dei conflitti.
Il termine sicurezza viene dunque usato con molteplici implicazioni. Oltre
alla tutela dell'integrita' fisica e della identita' storica ci si riferisce
frequentemente alla sicurezza politico-economica di un sistema complesso,
nel quale possano essere mantenuti i vantaggi materiali.
Garantire la sicurezza all'interno di un ordine internazionale condiviso e
concordato puo' significare distribuire almeno in parte questi vantaggi in
modo che tutte le genti non avvertano rancore, odio ed ingiustizia. Bisogna
altresi' trovare un punto di equilibrio nel rispetto delle molteplici
culture e valori. Ma teoricamente si puo' pensare di continuare a garantire
la sicurezza anche non occupandosi della  "distribuzione" se non fra i piu'
determinati e arroganti che possono rappresentare un pericolo. I moderati, i
fatalisti o gli impotenti non rappresentano un problema per i poteri "forti"
ma solo per gli "etici".
Tuttavia il vissuto di molti cittadini del mondo meno sviluppato e' stato
l'anelito di ricchezza materiale per tutti come promesso dal sistema
economico-tecnologico-informativo dominante. Le risorse invece sono
limitate. La ricchezza non potra' arrivare dappertutto ed anzi molti paesi
saranno soggetti a difficolta' e catastrofi come e piu' di prima. Da qui,
fra l'altro, una ragione dell'assalto al primo mondo. All'impulso  del "si
salvi chi puo'" si mescola la speranza che se la ricchezza non arrivera' nei
paesi d'origine qualche briciola si potra' conquistare in Europa.
Quel benessere promesso non puo' essere aggiunto alla ricchezza gia'
esistente;  I limiti dello sviluppo si intrecciano con i limiti della
ricchezza. Le promesse potrebbero essere almeno parzialmente realizzate solo
a scapito dei vantaggi del mondo gia' ricco. Sembra peraltro che nel
frattempo chi partiva gia' ricco abbia acquisito una percentuale maggiore
degli introiti e vantaggi complessivi nelle transazioni internazionali. Una
ricontrattazione potrebbe  garantire una adesione al sistema internazionale
di popoli e categorie ora insoddisfatte, tale da svuotare l'adesione alla
violenza degli  estremisti (6).
Una scelta diversa e' di mantenere un alto reddito per pochi, mantenere o
aumentare i risultati materiali per quelli che li hanno gia' raggiunti,
continuando a promettere vantaggi a chi ancora aderisce al sistema e
trascurando gli altri. A sostenere questa opzione vi sono alcuni fattori
caratteriali e psichici di una parte della popolazione privilegiata:
l'ottimismo nel proprio benessere futuro e nella vittoria contro il nemico,
la fede nel sistema.
*
Nel momento in cui la crisi e' evidente, oltre all'ottimismo, addirittura la
baldanzosita' di coloro che sono ben immedesimati in questo sistema di
sviluppo, si evidenziano due principali valenze emotive che sostengono la
guerra preventiva.
La prima di chi ha un approccio consapevolmente disposto allo scontro per
mantenere i privilegi. Questa e' la posizione di chi e' disposto a giocare
il tutto per tutto, a fare i sacrifici dello scontro, convinto che e' meglio
essere determinati e magari brutali da subito. Questo tipo di prevalenza
emotiva sottende spesso dei caratteri competitivi, aggressivi, anche
arroganti, perlopiu' rigidi (7).
L'altra valenza emotiva e' di coloro che non presentano questa bellicosita'
e devono essere convinti con le buone o con le cattive della necessita' di
partecipare alla lotta. La minaccia del terrorismo e' una degli eccellenti
argomenti per coinvolgerli nella strategia della prevenzione. Questa e' la
posizione di chi per paura accetta le scelte che vengono proposte dai
vertici. Queste scelte possono progressivamente portare alla affermazione
del proprio gruppo di appartenenza (non necessariamente nazionale ma
ideologico o economico), oppure allo scontro. Chi appartiene a questa
tipologia spera sempre che lo scontro poi non ci sia davvero, che ci si
fermi alla minaccia o all'atto dimostrativo. Quando poi nello scontro ci
sono i morti per davvero si puo' anche ritirare dall'adesione alla strategia
intrapresa. Da qui proviene la preoccupazione dei vertici per le reazioni
dell'opinione pubblica nelle missioni a rischio (8).
La prima posizione emotiva sembra essere minoritaria nelle popolazioni
europee e, pare, anche in Usa, almeno per ora. Essa e' piu' diffusa fra gli
strati della popolazione piu' avezzi ad un approccio attivo per il
raggiungimento dei propri obiettivi, che tendono alla competizione, alla
leadership e puntano al raggiungimento di posti di controllo e potere, nelle
forze armate, nella politica, fra i giovani e vecchi rampanti delle imprese
e della new economy.
La strategia della difesa preventiva, cosi' come la radicalmente diversa
strategia della difesa civile e della prevenzione dei conflitti, in uno
stato formalmente democratico hanno bisogno di affermarsi attraverso la
progressiva approvazione di altre fette della popolazione. Quelli della
difesa preventiva tendono ad imporre, ad accorciare i tempi, a prevaricare,
noi tendiamo a coinvolgere costruttivamente. Per farlo dobbiamo saper
ascoltare e rispettare chi non la pensa come noi.
*
Note
1. J. E. Mack (1990), "The Enemy system", in Volkan, Julius and Montville,
The Psychodynamics of International Relationship. Lexington Books,
Lexington, Mass. La trattazione approfondita di tale aspetti verra'
pubblicata a breve in un  volume su Guerra ed emozioni. Parte del presente
capitolo proviene dalla ricerca su Le ong e la trasformazione  dei
conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi,
esperienze, prospettive, (commissionata e finanziata dall'ufficio Onu del
Ministero degli Esteri), a cura di F. Tullio nel 2002,  Editori associati -
editrice internazionale, Roma 2002.
2. Francesco Tullio, Guerra ed emozioni, in attesa di pubblicazione.
3. Gutlove Paula (1992), " Psychology and Conflict Resolution: Toward a New
Diplomacy", in  Tonci Kuzmanic e Arno Truger, Yugoslavia War, edito da
Austrian Study Centre for Peace and Conflict Resolutio Sclaining e Peace
Institute Ljubljana.
4. Mentzos Stavros, Interpersonale und Isntitutionalisierte Abwehr,
Suhrkamp, Frankfurt am Main.
5. Simone Weil: "da un lato la guerra non fa che prolungare quell'altra
guerra che si chiama concorrenza; dall'altro tutta la vita economica e'
attualmente orientata verso una guerra futura".
6. Massimo Fini, Il vizio oscuro dell'Occidente, Marsilio, 2002.
7. Questo atteggiamento si rileva non solo laddove i privilegi vanno
mantenuti ma anche, con alcune differenze, dove essi vanno conquistati e
talvolta anche dove invece di privilegi vanno mantenute o conquistate le
condizioni minime di sopravvivenza.
8. Personalmente ritengo che la forza, anche fisica, in certe situazioni sia
inevitabile, ma distinguo fra  forza e violenza. La forza e' intesa a
bloccare l'atto violento dell'altro in mancanza di altre alternative - se
per esempio un soggetto sta per uccidere un bambino ed io gli strappo l'arma
uso la forza. La violenza invece ha una valenza rivendicativa, e' un abuso
della forza, al di fuori del rispetto e della ricerca di dialogo e
giustizia.
(Continua)

7. PROPOSTE. ANGELO GANDOLFI: ALLA PERUGIA-ASSISI PER I CORPI CIVILI DI PACE
[Ringraziamo Angelo Gandolfi (per contatti: angelo.gan@libero.it) per questo
intervento. Angelo Gandolfi e' impegnato nell'esperienza dei "Berretti
bianchi", organizzazione umanitaria di intervento nonviolento in aree di
conflitto, e nella promozione dei Corpi civili di pace; e' stato
recentemente in Iraq per verificare la possibilita' di realizzare a Baghdad
una "ambasciata di pace" nonviolenta]
In ritardo, fra timidezze ed esitazioni, decisamente "dal basso" e' nata la
proposta di partecipazione alla Perugia-Assisi di uno spezzone "per i corpi
civili di pace". Ed e' bene che sia cosi', perche' anche questo fa parte del
processo "costituente" in atto.
Non dunque una proposta "di segreteria", ma maturata fra chi si sente in
questo percorso e che decide di lanciarla. Anche per cercare di
caratterizzare la marcia Perugia-Assisi tentando, al di la' di "nostalgie"
controproducenti, di recuperare lo spirito originario "capitiniano" che essa
sembra avere un po' perso, inevitabilmente, avendo assunto le dimensioni che
ha raggiunto.
Nella marcia porteremo il contenuto secondo cui vogliamo essere strumento di
autodifesa della societa' civile dinanzi alla "guerra costituente" in atto,
dunque di denuncia della sostanziale "falsita'" della guerra come strumento
di liberazione da dittature o da fantasmatici pericoli di esistenza di
arsenali sconosciuti o "non dichiarati", e soprattutto denuncia della corsa
al riarmo che si nasconde dietro l'accordo unanime dei "potenti" in
disaccordo su tutto, tranne che sul ricorso alle armi.
Intendiamo dare visibilita' alla nostra proposta attraverso la presenza
fisica di un gruppo di persone, augurandoci che sia possibile avere uno
striscione molto semplice, anche solamente con la scritta "per un corpo
civile di pace", se vogliamo aggiungerci "europeo" forse meglio, nello stile
di sobrieta' che dovrebbe caratterizzare noi nonviolenti o amici della
nonviolenza.
Invitiamo tutti coloro che riusciranno a leggere questo appello e si
riconoscono nella nostra proposta a fare riferimento a Sandro Mazzi (tel.
3288783637) o a Silvano Tartarini (tel. 3357660623), entrambi della
segreteria della "Rete per i Corpi civili di pace".

8. INCONTRI. CATIUSCIA BARBAROSSA: DA PERUGIA AI POPOLI DEL MONDO
[Ringraziamo Catiuscia Barbarossa (per contatti: casapetrof@hotmail.com) per
questo intervento. Catiuscia Barbarossa e' da sempre impegnata per la pace e
i diritti umani e nell'educazione alla pace e alla nonviolenza]
E' iniziata a Perugia la quinta assemblea dell'Onu dei popoli che si
svolgera' dal 9 all'11 ottobre e si concludera' domenica 12 con la amrcia
Perugia-Assisi.
Sono arrivata puntualissima per l'inizio della sesione di apertura
dell'assemblea. La sala dei Notari era attrezzata per le traduzioni in
simultanea e ben presto si e' riempita di tanti colori, abiti e fisionomie.
Gli Italiani sono stati invitati a sedersi sui banchi laterali lasciando i
tavoli centrali agli ospiti stranieri.
Un componente della Tavola della pace ha iniziato ad introdurre le finalita'
dell'incontro (il titolo era: Le responsabilita' globali dell'Europa dopo la
guerra in Iraq) e a presentare le autorita' presenti; seppur nella mia
impazienza di superare presto la fase dei discorsi piu' o meno di
circostanza delle autorita', ho apprezzato molto che questo rappresentante
abbia poi chiamato al tavolo i rappresentanti di associazioni componenti la
Tavola della pace, chiedendo loro di presentarsi velocemente. Come ha detto
lui e' stato importante vedere in faccia quelle persone, avere per lo meno
un'idea di chi sta dietro certe iniziative e risentire i nomi di
organizzazioni piu' o meno note: Agesci, Legambiente, Pax Christi, Emmaus,
Beati i costruttori di pace, Mani tese, Banca etica, ed altri.
*
Il primo a prendere la parola e' stato Flavio Lotti, coordinatore della
Tavola della pace, il quale ha iniziatocol ricordare che cio' che muove
certe scelte individuali e comunitarie non e' idealismo ma alla fine un sano
interesse, poiche' non c'e' modo di garantire la sicurezza se non difendendo
la sicurezza di tutti. I governi europei, di fronte a ingiustizie e
atrocita' commesse un pu' in tutto il mondo, si sono spesso mostrati silenti
o hanno avanzato vuote promesse.
Anche la solidarieta' sta andando in crisi, non ci domandiamo piu' quali
sono le nostre responsabilita'. Barriere disumane vengono innalzate ai
confini dell'Europa con annessi campi di detenzione. Il governo italiano
distribuisce pillole quotidiane di ingiustizia e qualunquismo.
E' necessario percio' sentirsi parte di un'Europa che dice no alla guerra
preventiva e alla guerra in assoluto, poiche' dalla storia abbiamo imparato
che la guerra non risolve i problemi, anzi li aggrava. Gli europei hanno una
grande responsabilita' verso il mondo, e devono, in ogni caso, fare molta
attenzione a non cadere nella tentazione dell'eurocentrismo, o del senso di
superiorita' (sia esso nei confronti degli americani o degli arabi). Lotti
ha ricordato come in passato (e anche nel presente) gli europei abbiano
fatto un sacco di guai.
Punto fondamentale dell'intervento e' stato il richiamo al non limitarsi
alla protesta contro l'ingiustizia ma a una ricerca precisa di nuove
alleanze per il cambiamento. L'assemblea deve essere utilizzata bene, ci si
deve porre in ascolto, e vivere l'assemblea come punto di incontro e
confronto fra la societa' civile europea e la societa' civile mondiale. Se
gli altri preparano lo scontro di civilta', i componenti della societa'
civile preparano l'incontro, se altri pongono gli interessi nazionali al
primo posto e innalzano muri, i componenti dell'assemblea pongono
l'interesse globale  al primo posto e costruiscono ponti.
*
Dopo l'introduzione di Flavio Lotti sono intervenuti Candido Grzybowski
(Brasile), direttore di Ibase, membro fondatore del Forum sociale mondiale
di Porto Alegre; Vandana Shiva (India), fondatrice del movimento Navdanya,
per la preservazione della biodiversita' e dei diritti delle comunita'
locali; Eveline Herfkens, coordinatrice della campagna delle Nazioni Unite
"Millennium development goals"; Federico Mayor (Spagna), Presidente di
Ubuntu, network internazionale per la riforma delle istituzioni
internazionali, gia' direttore generale dell'Unesco; Mario Soares
(Portogallo), parlamentare Europeo, gia' presidente della Repubblica del
Portogallo, presidente del Comitato internazionale per il Contratto mondiale
dell'acqua.
Gli interventi di tutti questi relatori meriterebbero una trascrizione
integrale.
Vandana Shiva si e' mostrata particolarmente energica, come del resto la
coordinatrice del Millennium development goals: non so se sono di parte, ma
le donne mi sono sembrate un po' piu' concrete, forse solo piu'
comunicative, meno "ufficiali" rispetto ad alcune esposizioni maschile
comunque interessanti per altri versi.
*
Uscita dalla Sala dei Notari mi sono diretta in Piazza Matteotti, perche' ho
visto che c'era una mostra fotografica che riguardava il lavoro minorile nel
mondo. Guardare certe immagini non puo' che dirti che devi fare qualcosa
perche' certe cose non si verifichino, in nessuna parte del mondo e in
assoluto.
Non c'e' destino, karma, aberrazione ideologica, che giustifichi l'impiego
di bambini in lavori massacranti... Siamo noi che avremmo dovuto toglierli
(e dobbiamo toglierli) dalla miniere, dalle fornaci, da stanze buie e
malsane e porli in scuole per l'infanzia, in parchi, in case dignitosamente
accoglienti in cui vivere con le loro famiglie.

9. INCONTRI. ROBERTA BERTOLDI: L'INTERVENTO DI VANDANA SHIVA A PERUGIA
[Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo ampi stralci del
seguente articolo di Roberta Bertoldi (per contatti:
roberta.bertoldi@unimondo.org) sull'intervento di Vandana Shiva alla quinta
assemblea dell'Onu dei popoli in corso a Perugia.
Roberta Bertoldi segue l'assemblea dell'Onu dei popoli per alcune testate
on-line pacifiste.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo,
Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003]
Un applauso caloroso ha accolto Vandana Shiva, la famosa ricercatrice
indiana che ha condotto una campagna contro la brevettabilita' delle sementi
e la privatizzazione dell'acqua a livello mondiale. "La logica dell'impero
e' quella di brevettare le sementi. Dopo Cancun i governi europei sono
rimasti seduti e cercano di dividere la nostra societa' civile. A Cancun il
sacrificio di un contadino coreano e' stato un simbolo di vita per altri
milioni di contadini del mondo. La guerra dell'impero non e' solo buttare le
bombe ma e' anche il genocidio causato da scambi commerciali ingiusti e
inqui portati avanti dall'Organizzazione mondiale del commercio"...
Secondo Vandana Shiva "su pressione delle multinazionali delle
biotecnologie, in questi mesi l'Europa ha cambiato politica sugli organismi
geneticamente modificati. E in India 20.000 agricoltori sono morti
intrappolati nei debiti contratti con le multinazionali dell'agrobusiness
che spingono verso politiche che portano la morte di milioni di persone e
consentono di far marcire migliaia di tonnellate di alimenti".
Vandana Shiva ha richiamato i governi europei a un'agricoltura che
garantisca un cibo sano e sostenibile. "Le pressioni a favore degli ogm da
parte degli Stati Uniti sull'Europa sono paragonabili a una corruzione che
rientra nel progetto di controllo degli esseri viventi. Quattro delle
imprese idriche che stanno portando avanti la privatizzazione l'acqua nel
mondo sono europee e vogliono merceficare un diritto di tutti, l'acqua che
e' un bene comune".
Concludendo il suo intervento Vandana Shiva e' intervenuta con la
sensibilita' di donna del Sud del mondo su recenti polemiche: "L'Europa non
deve rafforzare i simboli ma deve riuscire a comprende la diversita'
culturale". Una diversita' che e' anche la forza del movimento per una
globalizzazione dal basso, del Forum sociale mondiale, che secondo la
ricercatrice indiana dovra' radicarsi territorialmente non diventando una
piramide che schiaccia tutto quello che ha sotto, ma costruendo dei centri
concentrici che si espandano e si allarghino. Al prossimo Forum sociale
mondiale Vandana Shiva manda un "messaggio di pace che va dalla terra di S.
Francesco alla terra di Gandhi".

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 700 dell'11 ottobre 2003