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Napoli: il Forum Sociale Europeo e la Questione Palestinese



Articolo di Asma Agbarieh, direttrice del mensile palestinese Al Sabar e 
coordinatrice dell'ufficio legale del Workers Advice Center a Gerusalemme 
Est e Nazareth


Napoli: il Forum Sociale Europeo e la Questione Palestinese

Cari amici,

ho partecipato al Forum Sociale Europeo (dei paesi del Mediterraneo) 
tenutosi a Napoli dal 4 al 6 Luglio. Vi mando alcune mie impressioni che 
vorrei condividere e discutere con voi. Il mio auspicio è quello di 
riuscire insieme ad approfondire il ruolo di questo movimento relativamente 
alla questione palestinese e il ruolo internazionale che oggi svolgono gli 
Stati Uniti.

La guerra in Iraq e la crescita del movimento internazionale avverso alla 
globalizzazione sono due aspetti che ci possono aiutare nel riesame della 
questione palestinese, questione che è stata veramente centrale durante la 
conferenza di Napoli. Durante gli ultimi 10 anni, nel corso della 
cosiddetta era post-Oslo (1993-2000), ha prevalso l'opinione che attribuiva 
agli Stati Uniti, unica potenza dominante rimasta, il ruolo chiave per la 
soluzione del problema. Questa posizione ha pesantemente influito sulle 
politiche adottate nell'area e sul destino del popolo Palestinese.

Più in particolare, due correnti si sono evidenziate in questo periodo, 
determinando il destino del popolo Palestinese. Arafat, leader 
dell'autorità palestinese, guida la prima delle due correnti. Fin 
dall'inizio degli anni '90 ha seguito una politica perdente che ha aperto 
le porte agli Stati Uniti e a Oslo. Verso la fine della stessa decade il 
popolo Palestinese ha respinto gli accordi di Oslo, facendo riesplodere 
l'Intifada. E' iniziata come una dimostrazione di generale insoddisfazione, 
ma non è riuscita a sfociare in una vera lotta di liberazione nazionale con 
una propria strategia di sviluppo. A causa di questo fallimento i negoziati 
palestinesi proseguono oggi sulla stessa falsa riga, sotto la leaership di 
Abu Mazen.

Hamas guida la seconda corrente, quella della resistenza militare e degli 
attacchi suicidi.
Sebbene ufficialmente Hamas  rifiuti  gli Stati Uniti, preferisce 
focalizzare la propria lotta contro Israele, ignorando il ruolo cruciale 
degli Stati Uniti nel supportare Israele e i regimi arabi reazionari.
Dal punto di vista ideologico, inoltre, Hamas impone l'islam politico che 
predica un isolazionismo su base religiosa.

Possiamo affiancare a queste due correnti l'ala sinistra delle 
organizzazioni palestinesi che hanno adottato una politica di "unità 
nazionale" nei confronti sia dell'Autorità Palestinese sia di Hamas. Non 
sono stati capaci di rappresentare una terza via né alla linea 
pro-americana dell'Autorità Palestinese, né all'allucinante visione 
islamica di Hamas; un'alternativa dettata da principi morali ma 
praticabile, idonea alle attuali esigenze del popolo Palestinese.

Un ulteriore fattore negativo, non meno grave, in questa situazione è 
rappresentato dal fatto che tutte e tre queste correnti che hanno agito 
sotto l'Intifada sono rimaste isolate da quel processo positivo che ha dato 
vita, sempre negli ultimi dieci anni, al movimento contro la 
globalizzazione e a quello contro la guerra in Iraq.

L'unità nazionale durante la seconda Intifada si limitata ad un minimo 
comun denominatore, e ha dovuto affrontare un test cruciale rappresentato 
dalla conclusione della guerra in Iraq e dal lancio della Road Map.




Cosa è successo a Napoli?

I Palestinesi che hanno partecipato al Forum di Napoli rappresentavano 
Fatah, la sinistra Palestinese e alcuni rappresentanti di diverse 
organizzazioni della società civile. All'apertura della Conferenza queste 
organizzazioni hanno cercato di redigere un documento unitario sulla 
questione palestinese.
Concordavano sul fatto che tale documento contenesse le questioni su cui 
concordavano come ad esempio le risoluzioni Onu,  ed evitasse ciò che le 
divide, come la Road Map e l'occupazione americana dell'Iraq. Questo 
atteggiamento ha però reso tale documento irrilevante perchè il piano della 
Road Map, che è anche peggio degli Accordi di Oslo, è strettamente legato 
all'occupazione dell'Iraq e attribuisce agli Stati Uniti il ruolo di 
giudice finale su tutte le questioni in contenzioso fra Israele e i 
Palestinesi.

Alla fine, dopo molto dibattere, le parti non hanno trovato un accordo. 
Molti rappresentanti di organizzazioni di sinistra, che sostengono ogni 
forma di resistenza, inclusi gli attacchi suicidi, domandavano che il 
documento denunciasse il Sionismo, negando così ogni negoziato con Israele. 
I rappresentanti delle organizzazioni più moderate hanno posto un netto 
rifiuto. Coloro che hanno sostenuto le denunce del Sionismo si sono alla 
fine ritrovati, praticamente, dalla stessa parte di Hamas che naturalmente 
non partecipava all'evento.

La fine del dibattito è arrivata quando i rappresentanti delle fazioni di 
sinistra hanno deciso di abbandonare la sala perché alcuni rappresentanti 
di due organizzazioni non-Sioniste sono saliti sul palco: Ta'ayush e New 
Profile, un'organizzazione che sostiene la lotta degli obiettori di coscienza.

Lasciare la sala è stato un errore gravissimo. Ha minato la credibilità 
dell'opposizione Palestinese ed è apparso un passo estremo in quanto ha 
rappresentato il rifiuto anche di quegli Israeliani che esprimono 
solidarietà verso il popolo Palestinese e sono attivi e impegnati contro 
l'occupazione. Tale incapacità di collaborare con un movimento vitale, 
quale è quello degli obiettori di coscienza, ha indubbiamente significato 
una grande debolezza. Hanno dimostrato di non saper distinguere tra gli 
Israeliani del Labor o del Likud, che trattano con l'Autorità Palestinese 
al solo scopo di ottenere più concessioni e sottomissione e le correnti 
radicali non Sioniste che si oppongono al servizio militare e 
all'occupazione. La minaccia di boicottare la Conferenza con un out-out "o 
loro o noi" non è stata saggia per nulla, presentando noi Palestinesi come 
isolazionisti.

La denuncia del Sionismo non è un programma politico alternativo in se 
stesso. Non fornisce un programma alternativo praticabile per la vita 
quotidiana della classe lavoratrice, né per i sindacati, né per la 
sinistra. Porta solo a posizioni vicine a quelle di Hamas che nega ogni 
negoziato e considera la lotta armata un pincipio definitivo. Il problema è 
che la lotta armata non è sostenuta da un programma alternativo a quello 
proposto da Israele e accettato dall'Autorità Palestinese.


Fine dell'era della potenza unica

Queste difficili relazioni all'interno della delegazione Palestinese 
riflettono la difficile situazione che vive il popolo Palestinese così come 
evidenziato dalla gestione della seconda Intifada. D'altronde non si può 
comprendere la fine mortale delle organizzazioni Palestinesi se non si 
allarga lo sguardo sulla situazione internazionale.All'inizio dell'ultimo 
decennio è apparso evidente come gli Stati Uniti avessero in pugno l'intero 
pianeta. Alla fine del medesimo decennio il loro ruolo è stato certamente 
ridimensionato. Ci troviamo infatti in un periodo di transizione tra la 
fine di una vecchia era e l'inizio di una nuova. Il New York Times ha 
correttamente scritto, dopo le imponenti manifestazioni contro la guerra 
del 15 Febbraio 2003, che oggi il mondo è diviso in due blocchi: gli Stati 
Uniti da una parte e l'opinione pubblica mondiale dall'altra. L'attuale 
ordine mondiale internazionale, che impone ai Palestinesi soluzioni di 
totale sottomissione, sta collassando. La domanda da porsi è da quale parte 
stanno i Palestinesi. Allo stesso tempo, alla luce di questa nuova 
situazione, come dovrebbe essere presentata la situazione Palestinese?

L'"Iniziativa Nazionale Palestinese" di Mustafa Barghouthy è un tentativo 
per affrontare questa nuova situazione. Riflette posizioni che sono 
parecchi diffuse tra le rappresentanze della società civile della West 
Bank.Lo stesso Barghouthy  è membro del People's Party (l'ex partito 
comunista). Non era presente di persona alla Conferenza, ma era ben 
rappresentrato all'interno della delegazione Palestinese  presente.
Cosa propone la sua iniziativa?


La Terza Via

Sia Hayat (9 Luglio) sia Al Ahram (10-16 Luglio) hanno pubblicato un lungo 
articolo di Barghouthy in cui egli attribuisce il fallimento di Oslo alle 
posizioni antidemocratiche dell'Autorità Palestinese.  Nello stesso 
articolo egli afferma che rifiuta il piano della Road Map così come rifiuta 
la lotta armata di Hamas, aggiungendo che la condizione per intravedere una 
soluzione al problema Palestinese è che vengano convocate elezioni 
democratiche prima dell'accettazione di ogni piano politico. Questa 
posizione rappresenta veramente una Terza Via?

Sebbene Barghouthy, sempre in questo articolo, affermi di rifiutare il 
piano della Road Map, egli tralascia totalmente di considerare le 
circostanze internazionali nelle quali il piano è stato imposto, 
principalmente la guerra in Iraq. Afferma di sostenere i negoziati quale 
mezzo per raggiungere una soluzione, ma non accenna a chi potrà essere il 
mediatore dei futuri negoziati.

Barghouthy cerca di convincerci che si è aperta un'opportunità senza 
precedenti per migliorare la nostra posizione nei negoziati. 
Perchè?  Perchè il problema Palestinese è centrale all'interno del 
movimento contro la globalizzazione. Ma Barghouthy ha torto. Il mondo oggi 
guarda la natura militare e violenta con cui gli Stati Uniti impongono la 
globalizzazione e questo è dimostrato dal fatto che, oggi, l'opposizione 
all'occupazione militare dell'Iraq e i violenti attacchi ai diritti dei 
lavoratori sono di fatto i temi centrali del movimento.

E' impossibile lottare contro l'occupazione messa in atto da Israele senza 
lottare contro gli Stati Uniti. E' questo il punto su cui Barghouthy 
sbaglia: sembra che voglia portare  il movimento internazionale contro la 
globalizzazione, e in particolare la sua parte Europea, a spingere sugli 
Stati Uniti, senza rifutare così il loro ruolo di unico mediatore tra 
Palestinesi ed Israele.
Questo tipo di approccio non solo è irrealizzabile, ma anche pericoloso. 
Riporta indietro l'opinione pubblica. Confonde l'opinione pubblica 
internazionale che vede gli Stati Uniti come una minaccia per il mondo. 
Aiuta in questo modo gli Usa a riguadagnare legittimità come mediatore.

Quello che secondo noi è necessario oggi è ribaltare l'equazione; dobbiamo 
cioè smettere di pensare a utilizzare i forum anti globalizzazione come 
àncora per la questione Palestinese e considerarla una questione strategica 
prioritaria rispetto ad altre questioni internazionali.
La questione andrebbe posta differentemente: come la questione palestinese 
possa servire alla costruzione di un'alleanza contro l'imperialismo 
statunitense e come affrontare quindi questo regime che minaccia l'intera 
umanità. E' questa la questione che la classe lavoratrice di tutto il mondo 
dovrebbe sollevare, così come la deve sollevare un popolo oppresso da una 
mai risolta oppressione nazionale.

L'occupazione dell'Iraq sta diventando l'asse principale  della politica 
USA in Medio Oriente. Ed è questo il motivo per cui il successo o il 
fallimento del tentativo statunitense di imporre la propria politica e il 
modello neoliberale in Iraq sarà determinante per il destino del Medio 
Oriente. E ancora, è questo il motivo per cui la lotta contro l'occupazione 
israeliana è strettamente legata alla lotta all'occupazione americana 
dell'Iraq. Solo la sconfitta degli Stati Uniti in Iraq potrà aprire nuovi 
orizzonti a una giusta soluzione del problema Palestinese.

La crescente opposizione popolare alla globalizzazione e alla politica 
statunitense è la chiave di volta che permetterà al popolo Palestinese di 
rinnovare le proprie forze per continuare la lotta contro l'occupazione 
israeliana. Sarà un processo lungo ma in questo modo il popolo Palestinese 
non porterà avanti una lotta solitaria, ma sarà parte di un movimento 
internazionale di opposizione agli Stati Uniti. Una lotta di questo genere 
potrà anche adottare una prospettiva sociale che non porrà il profitto e il 
benessere del capitale in cima ai propri interessi. Il Socialismo è l'unico 
sistema che pone il benessere dell'umanità al di sopra del benessere del 
capitale. In un contesto di questo genere troverà posto l'equa soluzione di 
tutti i problemi, compreso il problema Palestinese.