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Missionari incatenati alla Questura di Caserta



Missionari incatenati alla Questura di Caserta

In questo momento alcuni missionari comboniani sono incatenati ad una
finestra della Questura di Caserta per protestare contro le azioni
repressive messe in atto verso gli immigrati. Sollecitiamo a inviare
messaggi a:

Corriere di Caserta
e-mail: edicor@tin.it
fax 0823442739
tel. 0823355008

Il Mattino - redazione di Caserta
e-mail: caserta@ilmattino.it
fax 0823444914
tel. 0823448401


Pubblichiamo copia del fax inviato da PeaceLink al Questore di Caserta.

PeaceLink
casella postale 2009
74100 Taranto
www.peacelink.it



Al dott. Roca Vincenzo
Questore di Caserta
Piazza Vanvitelli, 5
81100 Caserta
tel. 0823. 429111  fax 0823.429504


Oggetto: Solidarietà ai Missionari Comboniani e al Vescovo Raffaele Nogaro


Egregio Questore,

La informiamo che quanto sta accedendo lì da Lei incomincia a fare il giro
di Internet. Anche noi ne diamo diffusione dal nostro sito.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Mons. Raffaele Nogaro, vescovo di
Caserta. e pieno appoggio ai Missionari Comboniani, Giorgio Poletti e
Francesco Nascimbene, incatenatisi alla finestra della questura di Caserta
in difesa degli immigrati e per sollecitare le autorità e l’amministrazione
locale ad affrontare il fenomeno dell’immigrazione con una politica
positiva di accoglienza e non con azioni in chiave solo repressiva.

Ci saremmo aspettati azioni per garantire e promuovere la dignità dei
poveri più che il tentativo di criminalizzare gli immigrati; è preoccupante
la sommaria identificazione tra immigrati e criminali, specie in una zona
in cui tutti sanno bene che la fonte primaria del crimine e della paura è
la camorra: il crimine è "guidato" da chi ha la pelle bianca.

Ci auguriamo che le autorità locali riconsiderino la loro azione e mirino a
promuovere e difendere i valori della Carta Universale dei Diritti Umani
promossa dall’ONU.

E ci auguriamo che considerino la camorra non come fonte di voti ma come il
pericolo numero uno; certo gli immigrati non votano e tuttavia ripercorrono
oggi lo stesso disagiato percorso degli emigranti italiani del secolo scorso.

Essere forti con i deboli e deboli con i forti non sana le ingiustizie e
non rende più sicura la nostra società. La prego di leggere questa favola
che Le invio con i miei

distinti saluti


Taranto, 06 giugno 2003

prof. Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
Tel.0997303686
Fax 1782273886



Una favola per aiutare a combattere i pregiudizi

Le capre che uccisero il leopardo

Una volta un cucciolo di leopardo vagabondava lontano dalla sua casa, nella
prateria dove pascolavano gli elefanti. Mentre gli elefanti pascolavano,
uno di essi pestò per errore il cucciolo e lo uccise.

Alcuni leopardi trovarono il corpo del cucciolo e corsero dal padre per
avvertirlo della disgrazia. "Tuo figlio è morto!", gli dissero. "L'abbiamo
trovato nella valle".

"Ditemi chi l'ha ucciso" gridò il leopardo padre addolorato, "perché io
possa vendicare la sua morte!".

"L'hanno ucciso gli elefanti", risposero gli altri leopardi.

"Cosa? Gli elefanti?" esclamò il leopardo padre con voce sorpresa.

"Sì, gli elefanti" ripeterono essi.

Il leopardo padre riflettè per un minuto e poi disse: "No, non sono stati
gli elefanti. Sono state le capre ad uccidere mio figlio. Sono state loro a
farmi questa cosa terribile!". Infuriato, trovò un gregge di capre sulla
collina e trucidò molte di esse per vendetta.

Anche ora, quando un uomo è in collera con qualcuno più forte di lui,
spesso si vendica con chi è più debole.

Favola eritrea
(in AA.VV. "Diverso come me", schede didattiche, Edizioni Gruppo Abele)